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Maschio adulto solitario

[Cosimo Argentina ha da poco pubblicato questo libro. Se andate sul link avrete maggiori delucidazioni. Qui di seguito uno stralcio che ci regala l’autore. G.B.]

di Cosimo Argentina

Alle otto di sera tornai a casa mia e lì trovai l’allegra brigata seduta a tavola.
«Lui è Paride Vorca, Dànilo, te lo ricordi vero? Ha un appartamento sopra di noi.»
Come no. Me lo ricordavo sì, il moscone. Come non ricordarsi di un uomo alto un metro e sessantacinque che pesava cento chili,f accia da mastino napoletano e occhi da bue muschiato: questo era, il signor Vorca. Un incrocio tra un cane e un bue muschiato con un alito da fuga nei campi e occhiali con la montatura in osso che cercava di usare il meno possibile ma che gli erano necessari, al bighino 88.
Lui mi strinse la mano e me la stritolò per farmi capire un po’ di cose. Quella stretta era: “Bello, qui le cose sono cambiate, come vedi… ormai ci sono nuovi equilibri… come vedi… qui la situazione è sotto controllo e anche quella rompicoglioni di tua sorella s’è adeguata… come potrai intuire… perciò se sei venuto a rompere questo idillio è giusto che tu sappia…” ecco cos’era quella stretta di mano.
«Hai fame?» disse mia madre.
«Mio fratello ha sempre fame» fece Diana.
«Cosa c’è da mangiare?»
«…lui ama le zucchine e allora… un po’ di zucchine ripiene e dei carciofi e…»
Lui. Capito bene!? Aveva messo un fermaglio dorato tra i capelli e aveva fatto le zucchine per il suo amore.
Fino a dieci mesi prima amava mio padre e se ne andava sottobraccio al grande capo e adesso gli faceva le zucchine, al buecane.
La regola mia e di Sara mia madre non l’aveva rispettata. «Va bene, mangerò un po’ di formaggio e due zucchine» e mi sedetti schiena al televisore, di fronte al nuovo ras di casa Colombia, con a sinistra Diana e a destra mia madre con i suoi boccoli rossi.
Vorca cominciò a parlare a testa bassa sul piatto con le mascelle che andavano e venivano da tutte le parti. Parlava al piatto ma era con me che ce l’aveva. Voleva sapere che fine avrei fatto.
Io ascoltavo e mi innervosivo.
Ero sudato e pallido, mi tremava un po’ il labbro e non riuscivo mai a ingoiare il boccone al primo colpo. Lui parlava e mia madre faceva di sì con la testa mettendogli di tanto in tanto una mano sfibrata sull’avambraccio da nostromo in pensione. Diana non partecipava se non con occhiatacce disseminate un po’ in giro e sbuffi violenti e rumorosi.
Poi mia madre disse che senza Vorca non avrebbe saputo come fare perché io me n’ero fottuto e Diana aveva i suoi limiti caratteriali e per questo si beccò un siluro da mia sorella.
«Tu devi capire, Dànilo, che ho passato la vita a pensare agli altri e adesso è giusto che pensi un po’ a me stessa, tu devi capire che ognuno si rifà una vita e che senza Paride sarebbe stato duro e lui… e lui…»
«E lui?», fece feroce Diana.
E lui…
«E lui è per me…»
Non si decideva a dir nulla ma pretendeva che avessimo capito tutto e noi tutto avevamo capito, senza dubbio.
E qui intervenne la mia voce che sfuggendomi dalle labbra spaccò l’aria che sapeva di fritto e nicotina.
«…non preoccuparti per me, mà, io ce la faccio da solo e poi adesso c’è un amico che mi deve dare un lavoro…»
«…un lavoro? Bene, Dànilo, il militare ti ha fatto senz’altro ben…»
«A me sì, mà, ma nel frattempo qui vedo che le cose sono andate a puttane, mà.»
Ci fu silenzio e Vorca sollevò il testone come un grosso varano in lenta digestione che annusa il pericolo.
«…tutto in merda, qua, mà. Vengo a casa e chi trovo, mà? Uno che siede a tavola al posto di papà. Uno che ti scopa al posto di papà, che ti mette le mani addosso e che usa il dopobarba di papà. Uno che chissà perché è spuntato fuori il giorno stesso che papà è morto e da allora, un minuto dopo il decesso, è partito di gran carriera con un lurido corteggiamento che farebbe accapponare la pelle al più viscido degli azzecchini di via D’Aquino… non posso crederci, mà, non posso credere che una che ha avuto accanto un uomo come papà possa farsi sbattere da uno del genere… mà… fatti parecchie docce perché quest’uomo puzza di sciacallo a distanza, mà. Come hai potuto? Pareva gentile all’inizio, no? Pareva uno che volesse aiutare il prossimo del cazzo, un altruista della menchia, no? E invece… e invece… mà… voleva solo ungerti. Ma non è questo il peggio… il peggio è stato che tu glielo hai permesso… tu hai accettato i suoi modi dimmerda e lo hai incoraggiato perché sei sempre stata puttana dentro e solo adesso tiri fuori la tua vera natura. Questa sei tu, mà, non quella che andava a messa la domenica con papà o che restava stupita quando c’erano coppie che si sbattevano le corna in faccia. Tu hai finto per quasi trent’anni, mà, questa è la cosa che più mi manda ammale… tu hai mentito perché la tua vera natura è questa… rossetti, maschi arrapati, gonne collo spacco, locali notturni… ti piace sentirti femmina e non ti accorgi che sei patetica perché hai cinquant’anni e passa e li porti malissimo… vuoi riportare indietro le cose ma ormai per te ci sono solo vecchi porci che ti succhieranno la pensione e fino a che una pensione ci sarà, da succhiare, si faranno succhiare il cazzo da te…»
Vorca era rimasto impassibile fa’ che da me si aspettava proprio questo.
Mia madre era rimbalzata da una parete all’altra della cucina tappandosi le orecchie e colpendomi con i pugni mosci e aggrappolati di vene.
La sua voce diceva cose tipo «tu non vali un cazzo» oppure «è per colpa tua, per colpa della nullità che sei che le cose sono andate a rotoli in questo ultimo anno…» «anche tuo padre ti disprezzava».
Mia sorella Diana si era alzata e aveva lasciato la cucina sbattendo la porta con tutt’e due le mani.
Mia madre aveva urlato e lanciato per terra piatti e posate, bicchieri e coppe di plastica con l’insalata dentro.
«…tu sei sempre stato uno zero!» questo mi disse. «Spero che tu sparisca da questa casa e che non ti faccia più vedere… per nessuna ragione al mondo. Mi fai schifo!»
Vorca sollevò la forchetta e i rebbi scintillarono in aria prima di infilzare un pezzo di formaggio paesano.
«Ragazzo» disse poi la sua voce «ormai qua tu non c’entri più niente. Vattene, dopo quello che hai detto a tua madre puoi solo andare via!».
La voce che aveva era da cartone animato. Era come il cattivo di turno di un cartoon, come il re impostore che recitava l’ultima battuta prima della riscossa del principe diseredato. Ma non ci fu riscossa.
Anzi mi alzai e me ne andai passando dalla mia camera a recuperare due vestiti e una sacca.
L’ultima cosa che ricordo di casa mia furono le otturazioni di Vorca esibite mentre lui ribadiva il suo «vattene, Dànilo» e su quella “o” si chiudeva un capitolo della mia vita.

[da Maschio adulto solitario, Manni, 2008, pagg. 63-65]

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4 Commenti

  1. oggi esco dall’ufficio e lo compro; x argentina e x la casa editrice (che è del sud eccetera…)
    confesso però che il titolo è piuttosto respingente, è in sé una dichiarazione di guerriglia
    siccome le parole non si scelgono a caso, direi che da un “maschio adulto solitario” tendenzialmente l’esperienza mi suggerirebbe di tenermi alla larga :)

  2. E’ un libro che leggerò presto. Mi pare scavi molto all’interno della dimensione morale attuale (o di quello che ne resta) come fanno tra gli altri due bei libri usciti quest’anno: “Il primo sangue” di Federico Platania e “Il tango delle fate” di Riccardo Reim. Notevole e positiva la recensione di Renato Barilli sull’ultimo numero de “L’immaginazione”. Molto accattivante, almeno a giudicare dalle pagine qui pubblicate, il taglio fortemente espressionistico del linguaggio. La casa editrice Manni, da vent’anni all’avanguardia nella promozione di una letteratura sperimentale e di ricerca è un’ulteriore garanzia della qualità di questo romanzo.

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GIANNI BIONDILLO (Milano, 1966), camminatore, scrittore e architetto pubblica per Guanda dal 2004. Come autore e saggista s’è occupato di narrativa di genere, psicogeografia, architettura, viaggi, eros, fiabe. Ha vinto il Premio Scerbanenco (2011), il Premio Bergamo (2018) e il Premio Bagutta (2024). Scrive per il cinema, il teatro e la televisione. È tradotto in varie lingue europee.
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