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Volantino distribuito al Museo Egizio di Torino da alcuni antirazzisti torinesi

GLI EGIZIANI

O LI VOLETE SCHIAVI

O LI VOLETE MORTI

Gentili visitatrici, gentili visitatori che state per entrare nel Museo Egizio di Torino, ci permettiamo di interrompere il normale flusso della fila per dirvi due parole. Data la necessità e l’urgenza di quanto vogliamo comunicarvi, siamo certi che comprenderete l’eccezionalità del metodo impiegato per attirare la vostra attenzione.

Molti anni sono passati ormai da quando le mummie che state per vedere arrivarono qui dal lontano Egitto, e non è dato sapere se siano entrate in territorio italiano in modo regolare, o clandestinamente. Abbiamo il fondato sospetto che siano state trafugate in modo truffaldino, assieme ai tesori di inestimabile valore che sempre qui troverete. Ma in fondo poco importa, perché queste mummie sono arrivate a Torino letteralmente già morte e sepolte da un pezzo.

Capita ovviamente anche al giorno d’oggi che degli stranieri approdino sulle coste italiane, in genere più morti che vivi. E non certo morti per una lunga e ricca vecchiaia, ma affogati durante il naufragio della nave che doveva portarli via dalla loro miseria, come accade di continuo ogni estate, come è accaduto solo qualche giorno fa, con una nave che trasportava decine di disperati provenienti, tra l’altro, proprio dall’Egitto. Quelli che hanno la fortuna di sopravvivere al viaggio, rischiano poi incrociare sulla loro strada un poliziotto, e rimanere uccisi durante un “normale controllo di polizia” o di rimanere intrappolati nella tremenda macchina delle espulsioni, per finire in un Cpt in attesa di deportazione. E anche lì rischiano di morire, come è successo un mese fa a Fathi “Hassan” Nejl, morto di polmonite nel lager di corso Brunelleschi, lasciato senza cure dai volontari della Croce Rossa che gestiscono il centro.

Quelli che sulla loro strada hanno la fortuna di trovare un padrone disposto ad assumerli, preferibilmente in nero, rischiano (più degli italiani, le statistiche parlano chiaro) di morire per un incidente sul lavoro. Per rimanere in tema, qualche settimana fa in provincia di Milano due clandestini egiziani morirono cadendo dall’impalcatura di un cantiere.

E quelli che hanno la fortuna di non morire di lavoro, rischiano comunque di morire per mano del padrone in persona, o di suo figlio, come è successo a Said, che era andato ad accompagnare suo fratello a riscuotere due mesi di stipendio arretrato dal padrone di una ditta in quel di Gerenzano, nel produttivo hinterland milanese.

Certo, osserverete ora voi, anche se un morto è un morto e tutti i morti sono uguali, a differenza dei moderni clandestini, i faraoni che state per ammirare avevano dalla loro parte il potere religioso ed economico, e a ben guardare le loro salme ricordano più il cadavere del penultimo papa o quello del penultimo padrone della Fiat. Siamo d’accordo. Infatti anche questi ultimi, come i faraoni di ogni epoca, hanno avuto il privilegio di un addio da parte di lunghe e ordinate file di visitatori.

Ma tutti gli stranieri morti in questi anni rischiano di non avere la stessa fortuna. L’ultimo pericolo che essi ancora corrono è quello di essere presto dimenticati, e forse mai vendicati. Questo, di sicuro, dipende anche da noi.

 

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18 Commenti

  1. un volantino politico lo vedrei un po’ più sintetico, un po’ meno gnè gnè, un po’ meno “borghese & colto”, un po’ meno corretto, mano equilibrato, un po’ più graffiante, storto, cattivo, estremo, scritto male…

  2. Complimenti Marco, per segnalare questa iniziativa. Ho trovato la paragone tra il mondo egiziano e il nostro benvenuto. Hai mostrato tutta la crudeltà ipocrita della nostra epoca.
    Questo deve tocca molta visitatori. Il museo egiziano è il più affasciante che ho visto. Ho passato un pomeriggio di dominica a visitare, ma non ho potuto vedere tutto, perché è un museo immenso. Mi rammento bene le tessuti ben conservati, le mummie che fanno sempre impressione.

  3. Il mio plauso agli autori del volantino, al loro coraggio, e a Marco che ha avuto il coraggio di segnalarlo. Assieme alla bontà d’animo, anche il coraggio oramai è virtù rara.

  4. Perché coraggio?
    Non capisco che coraggio ci voglia a scrivere un testo così, e non capisco neppure a cosa invita. Intendo dire, a cosa invita di concreto, che cambi davvero le cose.
    Perché se invita alla “consapevolezza” vorrei far notare che chi accoglie l’invito era già consapevole.
    Nessuno che sia indifferente alla sorte di un immigrato egiziano,e magari lo abbia come dipendente in nero, e decide di farsi un giro al museo egizio, farà qualcosa di più di leggerlo, forse, e poi di appallottolarlo.
    Se da un lato mi rendo conto che di questi inviti, volantini, appelli aiutano forse a tenere desta l’attenzione di chi è già d’accordo, da un altro lato lasciano anche il tempo che trovano.
    E non lo dico per Marco Rovelli, che è uno che fa scrive libri e partecipa. Lo dico in generale. Queste parole e le parole di tutte le lettere, i volantini, gli appelli sono sempre così al di sotto del necessario che danno alla fine un’impressione di profonda inutilità e di retorica appagante per chi la pratica.
    Gli estensori del volantino, mi chiedo, si sono soddisfatti dell’aver scritto il volantino, o hanno fatto o hanno in mente di fare qualcosa che porti l’indignazione al di fuori della solita cerchia degli indignati?

    Dopo aver letto le ultime due righe:

    “L’ultimo pericolo che essi ancora corrono è quello di essere presto dimenticati, e forse mai vendicati. Questo, di sicuro, dipende anche da noi.”

    uno che sia davvero desideroso di fare qualcosa, cosa fa? Dipende da noi in che modo? Cosa dobbiamo fare?

    La decadenza di questo paese è dimostrata anche da queste parole per altro degne e condivisibili, ma parole, mentre forse un’associazione che si faccia carico di trovare fondi e costituire un’organizzazione come il vecchio soccorso rosso, che denunci ogni volta che ne viene a conoscenza chi assume in nero, prendendosi carico anche dell’immigrato e sostenendolo, insomma, la vecchia coscienza di classe applicata anche agli immigrati, una certa concreta combattività, qualcosa di più insomma, di tutte queste parole che fanno appello ai buoni sentimenti, mi troverebbe ben diversamente disponibile.

  5. La denuncia, fine a se stessa, serve ma, se rimane tale, serve a ben poco. Vedi il ruolo dei mezzi di comunicazione di massa. Questo è chiaro al sottoscritto ed anche ai redattori del volantino, presumo. Il dramma, antico come il mondo, è che il popolo, salvo rari casi, tace, sopporta ed acconsente. Il problema è sì il Potere ma, soprattutto, la massa cieca, indolente ed opportunista. Purtroppo, come il fascismo, anche il berlusconismo ha avuto ed ha una base di massa. E, allora, che fare? Non sono in grado di fornire soluzioni, se non del tutto teoriche. Ché, per organizzarsi, bisogna essere in tanti. Ma, a quanto vedo, nemmeno i cosiddetti intellettuali di professione sanno fornire delle prospettive concrete. Manca un progetto credibile di trasformazione dell’esistente, che abbia delle gambe materiali… L’epoca che stiamo vivendo è a dir poco brutta. E pericolosa. Senza un’etica ed un pensiero forti, non si va da nessuna parte. L’eterno presente.

  6. Certo, certo, tutte sensate le critiche a questo documento. Solo che il gruppo torinese che ha organizzato questa ha messo in atto molte altre inziative di sostegno ai migranti (reclusi nei cpt, contro la croce rossa, aiuto ai clandestini contro gli sbirri in borghese, ecc) e si mettono in gioco e accumulano denunce su denunce. Sapete, io sono un po’ stufo delle parole di chi non fa, e si limita a criticare chi fa – in tempi in cui è molto difficile capire quel che bisogna fare.
    Ah, le parole. Ah, i buoni sentimenti.

  7. Naturalmente servono azioni, iniziative, gesti reali. Ma noi abbiamo soprattutto bisogno (anche) di parole. Perchè non siamo al centro della battaglia, ma ne possiamo essere la voce. La battaglia la combattono i migranti stessi, si tratta di una lotta per guadagnare posizioni, di un conflitto che sorge dalla storia più recente dei movimenti migratori e del pianeta tutto. Un lotta che si combatte anzitutto già con il semplice gesto della migrazione, qualcosa che funziona da se, motore di se, che ci investe e che ha bisogno di parole sensate per essere riconosciuta piuttosto che celata, rifiutata ed esorcizzata. Anzitutto le parole, che non sono mai troppe. Cosa c’è di sbagliato nelle parole? La loro inutilità? In fondo il diritto e la legge non sono parole che si oppongono alla parola senza suono dei migranti? Che si continui a dire…e che dal dire sorga l’agire, perchè si può fare sensatamente solo ciò che si sa. E il gruppo di torino, evidentemente, sa ciò che fa, nella misura in cui lo fa, al di là di ogni parola.
    Scusate per la disarticolazione del discorso.

  8. E allora marco, perché oltre al volantino non hai postato anche le iniziative di questo gruppo e le indicazioni per sostenerli, eventualmente?
    Un volantino postato così resta nel campo dei buoni sentimenti, e di buoni sentimenti un terzo della popolazione è piena, peccato che gli altri due terzi abbiano i mezzi.

  9. Il nostro residuo benessere – non siamo ancora sprofondati nella miseria nera, anche se il Paese arranca e si vede – dipende in buona parte dal meccanismo dei clandestini che lavorano in nero, completamente invisibili, perché non possono emergere, pena l’espulsione.
    Quello che andrebbe detto è che questa politica, ormai sostanzialmente condivisa dalla sinistra, di soffiare sul fuoco della paura e dell’insicurezza serve in realtà ad alzare la soglia dell’accesso nella legalità di una forza lavoro che è come manna dal cielo, che arriva qui disperata per farsi schiava aiutandoci – tutti – a tenere bassi i prezzi di produzione e dunque a tenerci a galla non ostante la decadenza fisica intellettuale scientifica culturale della compagine terminale di cui facciamo parte.
    È ai loro figli, piuttosto che ai nostri che non abbiamo – i nostri figli che sono pochi e dediti a galleggiare sopra ogni possibile vero mestiere, vera fatica, vera applicazione al miglioramento a alla trasformazione della porzione di mondo dove viviamo, eccetera – è ai loro figli dicevo, ai figli degli schiavi di oggi, che affideremo l’Italia, e tutto quello che c’è dentro.
    Nemmeno la sinistra radicale vuole davvero la piena emancipazione degli immigrati, perché non conviene a nessuno.
    Questo è grosso modo il quadro attuale come lo vedo dalla mia postazione.
    Posso sbagliarmi, ma dirsi la verità, al di là degli appelli indignati può aiutare.
    La domanda cruciale è: chi oggi in Italia vuole davvero l’emancipazione dei clandestini? la casa per gli immigrati? Le scuole? chi vuole davvero trattarli alla pari dei cittadini italiani?

  10. L’idea è bella, lo slogan è azzeccato. Resta. Le critiche e le correzioni sono certamente condivisibili. E non basta nemmeno dire che chi critica è più bravo a parlare che a fare.

    Intanto quel “normale flusso della fila” è stato interrotto. Può darsi che ci troviamo di fronte ad una prova di retorica gridata e compiaciuta, un esempio di indignazione parolaia ed economica. E talora disturba meno il razzismo animalesco del semplicismo volto solo a sensibilizzare e rendere consapevoli. Ma il livello raggiunto è così basso che bisogna perfino ricomniciare ad interrompere il normale flusso della fila. Lo scritto dei volantini vola: come l’orale delle parole. Sappiamo bene che la risposta non sta nè nel sentimentalismo cattolico e reazionario nè nelle iniziative occasionali. Potremmo certamente buttarla sull’economia o sulla necessità dell’organizzazione.
    Ma chi non può? La “massa cieca e indistinta” che fa?
    Agisce, vive le relazioni. Ed allora anche su quello dobbiamo puntare. La massa ha bisogno di consapevolezza per non chiudersi nel pregiudizio accecante. Cambiare il punto di vista delle persone, fare in modo che interagiscano, che si parlino, che si perdano nelle traduzioni, che giochino a calcio insieme. Dove sta il museo degli stranieri? Quanti, anche di sinistra, viaggiano o studiano la cultura altra e tralasciano il Said che abita davanti a loro? Per non “essere dimenticati” devono essere conosciuti, ad uno ad uno. Soprattutto quando ce li troviamo davanti agli occhi, nei nostri luoghi di lavoro, ma sempre, SEMPRE ultimi della fila, più che ultimi, già sottoterra. Troppo arduo. O schiavi o morti; comunque con gli occhi spenti.

  11. @ tatsego

    Un mano equilibrato, un po’ più graffiante, storto, cattivo no è un mano egiziano.

  12. è molto bello e arriva.
    visto che è difficile comunicare se non con i grandi mezzi, quest’idea secondo me è efficace. e soprattutto si fa, come dici tu Marco.
    grazie

  13. Marlowe, così per dire, la lotta dei migranti la organizziamo anche direttamente in egitto? Lì non si muore solo di polmonite, eppure nessuno si sognerebbe mai di definire l’autocrazia egiziana un governo dei lager.

  14. Alcor, non puoi saperlo, i volantini politici torinesi sono tutti concepiti in questo esatto modo, sviluppano in non meno di 5/6 cartelle di testo un’antitesi ingegnosa, o una metafora continuata. Spesso non rimane nemmeno lo spazio per il simbolino, e anche per inserire “fotocopiato in proprio” o “CSOA mixpantzinko” o “ehi! siamo anarchici, eh?” devono rubare spazio ai vivagni. (E’ del tutto scontato che nessuno ci capisca un’ostia, a partire dagli estensori, ma ciò va senza dire).

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Marco Rovelli nasce nel 1969 a Massa. Scrive e canta. Come scrittore, dopo il libro di poesie Corpo esposto, pubblicato nel 2004, ha pubblicato Lager italiani, un "reportage narrativo" interamente dedicato ai centri di permanenza temporanea (CPT), raccontati attraverso le storie di coloro che vi sono stati reclusi e analizzati dal punto di vista politico e filosofico. Nel 2008 ha pubblicato Lavorare uccide, un nuovo reportage narrativo dedicato ad un'analisi critica del fenomeno delle morti sul lavoro in Italia. Nel 2009 ha pubblicato Servi, il racconto di un viaggio nei luoghi e nelle storie dei clandestini al lavoro. Sempre nel 2009 ha pubblicato il secondo libro di poesie, L'inappartenenza. Suoi racconti e reportage sono apparsi su diverse riviste, tra cui Nuovi Argomenti. Collabora con il manifesto e l'Unità, sulla quale tiene una rubrica settimanale. Fa parte della redazione della rivista online Nazione Indiana. Collabora con Transeuropa Edizioni, per cui cura la collana "Margini a fuoco" insieme a Marco Revelli. Come musicista, dopo l'esperienza col gruppo degli Swan Crash, dal 2001 al 2006 fa parte (come cantante e autore di canzoni) dei Les Anarchistes, gruppo vincitore, fra le altre cose, del premio Ciampi 2002 per il miglior album d'esordio, gruppo che spesso ha rivisitato antichi canti della tradizione anarchica e popolare italiana. Nel 2007 ha lasciato il vecchio gruppo e ha iniziato un percorso come solista. Nel 2009 ha pubblicato il primo cd, libertAria, nel quale ci sono canzoni scritte insieme a Erri De Luca, Maurizio Maggiani e Wu Ming 2, e al quale hanno collaborato Yo Yo Mundi e Daniele Sepe. A Rovelli è stato assegnato il Premio Fuori dal controllo 2009 nell'ambito del Meeting Etichette Indipendenti. In campo teatrale, dal libro Servi Marco Rovelli ha tratto, nel 2009, un omonimo "racconto teatrale e musicale" che lo ha visto in scena insieme a Mohamed Ba, per la regia di Renato Sarti del Teatro della Cooperativa. Nel 2011 ha scritto un nuovo racconto teatrale e musicale, Homo Migrans, diretto ancora da Renato Sarti: in scena, insieme a Rovelli, Moni Ovadia, Mohamed Ba, il maestro di fisarmonica cromatica rom serbo Jovica Jovic e Camilla Barone.
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