SUL DISEGNO (1918)
di Ludwig Meidner
traduzione di Luca Zenobi
Se vuoi disegnare, devi sentire dentro di te una grande pienezza di spirito, serenità, trasporto e amore per il creato.
Non temere la vuota bianchezza del foglio.
Sii impavido! Là c’è il mondo selvaggio, la spaventosa incertezza – e qui c’è il tuo spirito e la tua ardente volontà di fondare un nuovo mondo, più puro, più organizzato, più vicino a Dio rispetto a questo caotico e disordinato che ora ci circonda.
Noi disegnatori di quest’epoca, di questi giorni enigmatici e incerti, non siamo scossi da una qualsivoglia tendenza formalistica o preconcetto scolastico – ma la vita intorno a noi ci esalta con potenza. Nuotiamo in un fiume magico e con dita eccitate e cervello spasmodicamente teso incaviamo, incidiamo, scaviamo profondamente nella pietra, nel metallo, nel legno e sul cartoncino le nostre visioni interiori. Il nostro entusiasmo abbraccia analogamente le meraviglie della vita umile e le delicate immagini interiori che Dio sussurra alle nostre anime – la barbarie contemporanea e la follia del Nuovo così come rocce, nuvole e falce di luna. Diversamente dai nostri impressionisti idioti che saltellano per i campi di cavoli e fissano lo sguardo sui valori pittorici, noi siamo fiamma e fiume di fuoco, ma non romanticamente dissoluti e sfrenati, bensì pieni di rigore, tensione e melodia. Non temere il volto dell’uomo che è un riflesso della magnificenza divina, ma più spesso il giorno del macello cosparso di brandelli sanguinanti. Comprimi le rughe della fronte, la radice del naso e gli occhi. Penetra come un animale scavatore nell’insondabile fondo delle pupille e nel bianco degli occhi del tuo soggetto e non lasciar riposare la penna finché non avrai congiunto in un vincolo simpatetico la sua anima e la tua. Sprofonda nell’intimità, nell’umida e spaventosa intimità di due labbra. Tieni conto della punta o della rotondità sfregiata del mento. L’orecchio, come un ornamento, deve incantarti ogni volta e i capelli splendenti, le loro onde e sinuosità attorno alle gote scarne, le setole pungenti e la peluria attorno alla bocca siano un piacevole nutrimento per la tua penna guizzante.
Se vuoi disegnare un paesaggio devi possedere molto dello spirito delle nuvole, degli alberi, delle argentee slanciate strade maestre. La semplice esattezza o la familiarità qui non servono a molto. Sii pieno di canto – e tutto procederà da sé. Perché vuoi sapere precisamente come si disegna la betulla, l’abete rosso o il cespuglio, come si esprime con la penna lo spumeggiare del fiume?!
Se penso ai vigorosi disegnatori dei secoli scorsi! Imponenti penne tonanti, piantati a terra, senza angoscia, paura e nevrastenia! E se mi arrivano al cervello Bosch van Aecken, Breughel, Callot o quel farabutto di Hogarth! E abbassa rispettosamente la voce ogni volta che pensi ai tuoi connazionali, gli Schongauer, i Dürer, gli Altdorfer e gli Urs Graf!
Cosa non hanno compiuto questi cristi onnipotenti! Hanno costruito un mondo pieno di situazioni e storie curiose, enigmatiche, incredibili, folli, sataniche e sacre. E con quanta evidenza e sicurezza! E come ci hanno creduto! E in più luce e ombra, ritmo, composizione e psicologia delle nuvole e della volta celeste. Che roco grido di trionfo l’allegoria della “Pazienza” e della “Voluttà” di Pieter Breughel, e che ironie spaccatesta e che spasimi pessimistici questi vicoli di bettole e questi bordelli di Hogarth!
Quando i secoli suonano, torna il coraggio nel mio petto logorato di guerriero. Le mie piccole mani infuriano al ritmo di quelle antichissime, primitive incisioni e di quegli intagli. Sono totalmente immerso nel mio elemento e saluto i titani nelle loro lussureggianti tombe colme di inquietudine.
Il vero disegnatore ama la figura umana. Egli nutre un ardente desiderio di mettere in mostra la struttura del corpo. Egli sente e penetra la nudità. Ma più di ogni altra cosa vorrebbe sempre compenetrarvi lo scheletro, tratteggiarne anche la decomposizione.
Come sono tragici i gesti dei dormienti, poiché, vedi, essi sono spinti verso un mondo ultraterreno, distesi in modo solenne e strano. Stringono le braccia attorno al petto, le tendono, affusolate, tutt’intorno alla testa. E alcuni con orribile ardore premono energicamente un cuscino contro la bocca.
Disegnatore, osserva i dormienti. Essi riposano colpevoli al severo cospetto di Dio.
Bisogna mettersi all’opera con strumenti aguzzi; una penna a sfera appuntita con stagno, una punta tagliente o del gesso duro. Tu grafico, non devi gingillarti e dissimulare “pittoricamente”. La tua incisione deve prorompere dalla vita interiore. Devi avere un vento infernale nei tuoi nervi. Tu, pazzo lunatico, il tuo sangue dev’essere un mare che ribolle.
La poesia nell’intimo e il tratto affilato, espansivo, rovente, il tratto dall’esattezza profetica, che tutto esprime, che solo una volta può essere eseguito. La musica del tuo petto dall’ampio respiro e la mano con ali di fuoco che un angelo ti conduce: questo è ciò che conta. Questo è più importante di tutto il resto. Questo conduce alla grande opera.
Disegnatore di quest’epoca, tu, uomo colmo d’estasi e di virilità! Tu conosci i tuoi mezzi. Tu sai quanto conti ogni linea e ogni singolo punto. Tu hai un immenso senso di responsabilità perché dalla tua anima non devono germogliare forme orribili, incomprensibili e turpi.
Ah, il vibrante globo terrestre è ricoperto di innumerevoli splendidi disegni. Da epoche oscure un fiume scaglia sulla terra milioni di fogli strepitanti, e guarda, giungono già portati dal vento i disegnatori del futuro con dita guizzanti e cervelli esplosivi. Hanno coraggio in corpo e la sicurezza dei sonnambuli.
Noi amiamo il disegno da sempre, noi irragionevoli, giocosi, esultanti uomini della terra. Dal primo incantevole balbettio dei popoli primitivi – fino a Kokoschka e Hermann Huber, dallo stile severo di Raffaello – fino agli scarabocchi pornografici dei nostri pisciatoi.
Il disegno rende sani, sereni e credenti.
Io, per quanto mi riguarda, sono sempre solo. Nessuna ragazza mi ama. Nessuna donna vuol dormire al mio fianco. Nessun amico stare con me. Non ho né casa né patria; sono povero, bandito e odiato a morte… ma io posso disegnare, alzarmi libero in volo sul terreno pulsante di una calda piana amando Dio ed esulto con la matita, canto, prego e lodo l’immenso e infinitamente buono.
Da Im Nacken das Sternemeer (Alle mie spalle il mare di stelle).
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Certo si fosse vissuti in un’epoca, quando vivevano persone che potevano dire: ” Noi siamo fiamma e fiume di fuoco, ma non romanticamente dissoluti e sfrenati, bensì pieni di rigore, tensione e melodia.”, allora, certo, ci saremmo sentiti, anche noi, miseri scribacchini e imbrattatori, in qualche modo giustificati, nel rappresentare il loglio in campi abitati da splendidi fiori.
Il fatto è che , invece, dobbiamo sentire risuonare, continuamente, la voce della nostra coscienza, che ci spinge e ci incita ad affrontare il nostro destino, ma di cui noi sappiamo perfettamente di essere indegni: “Tu pazzo lunatico, il tuo sangue dev’essere un mare che ribolle.”!
@Domenico
le tue scelte rappresentano sempre una delizia, immeritata per certi amici, che continuamente rischiano di essere una croce.
Dimenticavo un “bravo!” a Luca, per il “rigore” linguistico della sua [sono certo] ottima traduzione.
G.
questo pezzo di meidner è intento a ruotare intorno all’eguaglianza di disegno e ostensione. sul tema ha ancora molto da dire un saggio (bellissimo) di yourcenar su piranesi [la mente nera di piranesi, in Con beneficio di inventario, Bompiani (1985)]
grazie giovanni e sopratutto grazie a domenico per avermi “invitato” a partecipare alle vostre belle discussioni. ma perchè indegni del nostro destino? siamo, come tutti, rappresentanti del destino che la nostra epoca storica ci pone di fronte e a cui, come in tutte le epoche storiche, dobbiamo sottostare. nessuno è indegno del proprio destino, semplicemente perchè è il destino a non curarsi di noi, ci investe e ci coinvolge incurante dalla nostra eventauale indegnità. le nostre “celie” in questo senso sono degne quanto quelle di meidner, non credi?
@Luca
Grazie. Le tue parole sono una consolazione.
enfasi, un po’ ridicola.
molto tedesca, vagamente sinistra, visto la piega che prese.
che chiama enfasi, naturalmente, nei commenti.
e quale piega avrebbe preso? a parte i bei risultati pittorici e letterari che ha prodotto non vedo nessuna conseguenza “sinistra” e, considerato che siamo nel 18 e si è appena conclusa una guerra mondiale, forse è un’enfasi che andrebbe contestualizzata o storicizzata. i nostri commenti forse sono inutilmente enfatici, ma sai se qualcosa ti appassiona non sempre si riesce a mantenere un tono freddo e distaccato. grazie per averci riportato con i piedi per terra tashtego
Sottoscrivo pienamente ciò che dice Luca.
@Tashtego
Sono certo che conosci tutto ciò che è stato fatto da quei “splendidi fiori” di un’epoca artisticamente splendida. E quindi non capisco la quasi “acredine”.
Siamo all’accusa di “responsabilità oggettiva” di banda armata? Schiele, Klimt come Himmler, Malher come Gobbels?
Io, se amo, non ho alcuna paura dell’enfasi, della più bieca retorica.
Io Berlusconi?
era solo un appunto.
certo retorica e enfasi sono cose diverse.
“Disegnatore di quest’epoca, tu, uomo colmo d’estasi e di virilità!”
è solo una frase presa a caso.
non voglio offendere nessuno, ma non solo non significa un cazzo, è anche tremendamente ridicola e ricorda le enfasi fascio-nazistiche di qualche anno dopo.
certamente erano uomini nati nell’ottocento, la loro formazione di base risiedeva lì e si vede.
tuttavia ammetto di essere obnubilato nel giudizio, in quanto odiatore della forma espressionistica in sé e dell’espressionismo tedesco in particolare.
Tashtego, ad ognuno il suo.
Io impazzisco per l’espressionismo e per l’espressionismo tedesco in particolare.
E, ogni tanto, mi piace, anche, di essere un po’ virile, benché l’estasi, ah quella!, non proprio troppo spesso.
caro tashtego, liberissimo di non amare, persino di odiare il pathos espressionista. ciò che non mi pare legittimo, e lo dico senza nessuna acredine, è considerarlo simile alle enfasi fascio-nazistiche come le chiami tu. visto in quest’ottica anche tutto lo sturm und drang potrebbe essere considerato come anticipazione della retorica nazista. trattasi di pathos, che è cosa ben diversa dalla propaganda, e nasconde solo il disagio nei confronti di una realtà e di una soggettività che si dissolvono e a cui si tenta di ridare una qualche forma unitaria attraverso l’arte e attraverso un gesto artistico che doveva essere necessariamente virile ed estatico di fronte a una realtà del genere. e poi la virilità e l’estasi non sono mica un’esclusiva della retorica di destra. io poi sono dell’idea che la retorica nazista si sia appropriata di un patrimonio linguistico e di immagini che ha svenduto ai suoi fini propagandistici, e non che ci siano stati “fantomatici” anticipatori o precursori in questo senso.
@luca
punti di vista.
la mia opinione è legittima quanto la tua.
la matrice culturale da cui emana il fasci-nazismo è quella.
non parlo di retorica, parlo di cultura.
non affermo che questi siano precursori di alcunché di fascistico.
affermo che sono rami dello stesso albero.
per esempio, negli stessi anni già erano attivi architetti come gropius e mies van der rohe, artisti come theo van doesburg, come mondrian (olandesi, certo), malevic (russo, certo) e molti altri che operavano per sottrazione dell’espressione.
erano lontani anni luce dal contesto culturale del loro e di altri paesi, ma erano lì, era il nuovo che avanzava e che sarebbe stato sconfitto sia dai regimi socialisti che dai fascio-nazisti.
vado a braccio, ma credo che le cose sia andate più o meno in questo modo.
credo di poter affermare di sentirmi tuttora più vicino a questi ultimi.
e di sentirmi molto lontano da qualsisi forma di pathos, che trovo sempre ridicolo, che sia o no connotato da politica.
compreso lo sturm und drang.
chiunque, in qualsiasi epoca, scriva una frase come questa:
“Disegnatore di quest’epoca, tu, uomo colmo d’estasi e di virilità!”
per me è un po’ un coglione.
“rami dello stesso albero”. allora guardando i film della riefensthal dobbiamo concludere che i greci con il loro culto del corpo e della bellezza erano fascisti anche loro. comunque io chiudo qui, su questi toni la discussione non mi interessa, per fortuna che anche i coglioni al mondo hanno diritto di esprimersi e fare arte.
A Tashtego piace estremizzare per creare “l’uomo di paglia” e prendersi una ‘ragione’ che nessuno vorrebbe.
Perché non serve a nessuno.
Inoltre: tutto il suo “bene artistico”, così ben elencato nelle sue componenti – ma non si vede bene perchè, su questo, oggi, necessiti una scelta esclusiva – formato, a suo dire, da quanti “operavano per sottrazione dell’espressione” – Tashtego dimentica – è albero il cui ramo principale ci porta, dritto, dritti a Le Corbusier.
Il quale , con l’invenzione del “modulo”, ha fatto danni all’umanità almeno quanto Attila, se non quanto Hitler.
@giovannicossu
“albero il cui ramo principale ci porta, dritto, dritti a Le Corbusier.
Il quale , con l’invenzione del “modulo”, ha fatto danni all’umanità almeno quanto Attila, se non quanto Hitler”.
questa è una paccuta stupidaggine.
che può dire solo chi non sa nulla di le corbusier, del modulor, e dell’architettura in genere.
nemmeno come “spiritosa” provocazione funziona, per eccesso di stupidità nenica da scompartimento di treno.
vedo che il tono dei commenti di N.I. 2.0 si adegua gagliardamente alla mondezza culturale in auge ovunque.
bon voyage a tout le monde.
@Tashtego
Bisogna ammettere, e lo dico con tristezza, che talvolta anche i tuoi commenti contribuiscono inesorabilmente, nei contenuti e nelle forme che scegli per affermarli, al deterioramento delle discussioni.
P.s.
La tua sortita circa la “broda fascista” dell’Espressionismo (credo di poter riassumere così le tue idee) è forse meno clamorosa dei danni unnici provocati dall’architettura di Le Corbusier?
Beh, l’eccesso retorico era effettivamente un segno di quel periodo storico, l’urlo primitivo, il nuovo pathos, l’enfasi piccolo borghese, il ribellismo immaturo, l’estasi, neppure io lo amo.
Ma “la matrice culturale da cui emana il fasci-nazismo” come dice tash, NON è quella. E neppure il segno estetico, il segno estetico del nazismo è l’adunata, la scena à la Riefensthal, il colossale, la runa, Odino.
Cari Pinto e Alcor.
Mai parlato di “broda fascista”, innanzi tutto.
Credo che le temperie culturali, tra cui l’enfasi piccolo borghese tardo ottocentesca di cui parla alcor (a quella mi riferisco nei commenti), possano avere figliolanza numerosa, tra cui, non me lo sto inventando io, ovviamente, c’è il fascio-nazismo. (Metto il prefisso fascio al posto del prefisso nazi, perché il primo viene prima e fa da parziale modello al secondo).
Voglio dire che nello zuppone politico-culturale che generò il fascismo c’è molta di questa roba (robaccia?).
Io ce la vedo, ce la sento, ce la percepisco nettamente, ce l’ho sempre percepita.
Bello poi l’inserto paracul-turale della critica a Le Corbusier del Cossu e del Pinto, come fosse una sorta de ripicca al mio deprezzamento del testo di Meidner.
Cossu non sa nemmeno cos’è il Modulor, non sa che nessuno l’ha applicato e che dunque non può, qualora ne fosse stato capace, provocare alcuna devastazione.
Invece Pinto deve aver letto uno dei libri più stupidi che esistono, “Maledetti architetti” del povero Tom Wolfe, se attribuisce a Le Corbusier una devastazione unnica. Il libro di Wolfe ha da anni grande successo perché convince chi lo legge che di architettura moderna non vale la pena di occuparsi, dunque conforta gli intellettuali nella loro ignoranza.
Il clima è favorevole alle semplificazioni, dunque i semplicioni si trovano a loro agio, je pare venuto il momento loro e credo abbiano ragione.
Cosa c’è di più innocuo et banale che sparare addosso all’architettura moderna (notoriamente ignota, ripeto, ignota, alla maggior parte degli intellettuali italiani i quali per altro di questa ignoranza non si vergognano, ma l’esibiscono con orgoglio) in tempi in cui lo fa pure Alemanno?
Chissà cosa ha in mente il Pinto quando se la piglia con Le Corbusier, invece che metti con la speculazione edilizia, con la corruzione delle amministrazioni pubbliche, con l’ignoranza delle classi dirigenti, intellettuali e scrittori compresi, che tutti assieme hanno contribuito alla costruzione della città di merda nella quale viviamo?
Chissà se Pinto, che legge testi tedeschi risalenti all’aurora del Novecento, s’è accorto che il quel periodo è pur successo qualcosa anche in campi diversi dalla scrittura, come l’arte e l’architettura (maledetto Picasso, artista degenerato! Li mortacci de Mondrian!) dove le rivoluzioni dei linguaggi furono molto più radicali.
Le Corbusier, come Ritveld, Mies Van der Rohe, Gropius, Van Doesburg, e altri come loro, semplicemente FONDARONO un LINGUAGGIO radicalmente NUOVO e ALTERNATIVO a quello in cui disgustosamente si attarda il Meidner.
Linguaggio che è alla base del nostro mondo, della nostra attuale sensibilità.
Linguaggio contro-intuitivo, che la destra politica & culturale – se se ne espungono le frazioni autenticamente rivoluzionarie, che pure ci sono (vedi Terragni/Sironi) – non ha mai capito, e tutt’ora non capisce.
Ma da Pinto ci si aspetterebbe uno sforzo.
ragassi, calma – se capisco ancora l’italiano Pinto non intendeva attaccare Le Corbusier, al contrario; semmai metteva sullo stesso piano, nel segno della loro palese gratuità, le equazioni espressionismo=fascismo e Le Corbusier=barbarie
@ scannabue
Grazie per aver sciolto un nodo creato, chissà, dalla rapidità della mia risposta.
@tash
Mi esprimo, con grande circospezione, solo sulle cose che mi sono prossime, non mi sognerei mai di impancarmi con Le Corbusier.
Io invece, quando gli ignoranti si esprimono da ignoranti, cerco invece di impartire delle pietose lezioni: come quella, assolutamente veritiera, su Le Corbusier e il “modulo”.
Non vedo titoli per cui Tash dovrebbe esprimere pareri più autorevoli in merito.
Tutto quello che sa dire su Le Corbusier e il “modulo” assomiglia troppo puzzonescamente a ciò che dicono i credenti nel Cristo “primitivo”, secondo loro senza alcuna responsabilità per gli obbrobri che la Chiesa ha compiuto in suo nome.
E poi quali sarebbero questi architetti e urbanisti innocenti a fronte di un capitale immobiliare diabolico? Non ho mai visto un “capitale” che studia, disegna e realizza diabolici moduli lecorbusieani che impestano città, paesi e periferie.
@tash
ma il linguaggio espressionista non è totalitario.
Non è, mi pare, neppure biologico.
Se c’è un autore che in un certo senso può fare da cerniera tra espressionismo e nazismo è Benn.
Ma definire Benn espressionista mi sembra riduttivo e soprattutto, se quello che ci irrita è l’enfasi retorica di Meidner (mi irrita), Benn è certamente altrove. Ed è una storia a sè.
La temperie è una cosa, cosa poi si faccia o si decida di fare in una determinata temperie non è indifferente. Anzi, è discriminante.
Versi [O.T.]
Se mai il nume, oscuro e inconoscibile,
in un essere è sorto ed ha parlato,
ciò fu solo nel verso poiché immensa
la pena dei cuori vi si è infranta;
i cuori van per gli spazi alla deriva
quando la strofa va di bocca in bocca,
sopravvive alle risse tra le genti,
alla violenza e al patto tra i sicari.
Così, i canti che un popolo ha cantato,
indiani, *yaqui* di parola atzeca
vinti dall’avidità dell’uomo bianco
vivono ancora come canti agresti:
“Su, bimbo vieni con le sette spighe
vieni in catene, adorno delle giade,
il dio del mais innalza, per nutrirci,
la verga fragorosa e tu sei l’olocausto-”
Il grande soffio a colui che le sue vie,
rapito e soggiogato, offrì allo spirito,
inflato, efflato, apnea – alitazioni
di indiana penitenza e fachiria –
il grande Sé, il sogno del gran Tutto,
donato a chi in silenzio si consacri,
si conserva nei Salmi e nei Veda,
irride ad ogni fare e sfida il tempo.
Due mondi sono in gioco ed in conflitto,
e solo l’uomo è basso se tentenna,
non può vivere solo dell’istante
anche se egli è il futto del momento;
il potere svanisce nella feccia,
laddove un verso costruisce i sogni
dei popoli e li sottrae alla bassezza,
eternità di suono e di parola.
GOTTFRIED BENN, Poesie statiche, Einaudi, 1972. Trad. di Giuliano Baioni.
*
Una sola cosa mi pare di dover segnalare, seriamente.
La catastrofe politica, antropologica, culturale che ha investito la “sinistra”, può – e secondo me ha – avere uno dei motivi principali nell’assurdo vizio da “pubblico ministero togliattiano” che infetta tutti gli intellettuali di quest’area.
Come se il mondo – o il solito strapaese – non facesse altro che aspettare
le loro sentenze di condanna per comportarsi di conseguenza.
Ma almeno il vero Togliatti non scherzava, per niente, e si era prima dotato dei mezzi necessari a farla rispettare per forza, la sentenza da lui emessa.
Qua, almeno da quarant’anni siamo alla farsa, alle pagliacciate.
mi pare si sia partiti per la tangente; il problema era quello del pathos linguistico meidneriano che, evidentemente, non può piacere a tutti e, anzi, può benissimo risultare irritante (purché non sia l’effetto di un maldestro traduttore); è chiaramente un pathos da “fine del mondo” (i paesaggi apocalittici di meidner, che, ed è qui la straordinaria visionarietà profetica degli espressionisti, sono antecedenti allo scoppio della grande guerra!) e come potrebbe non esserlo nel 1918. l’aspetto più interessante del testo di meidner, aldilà delle sue modalità espressive, sta nel gesto di rappresentazione, nel tentativo di compenetrare la figura umana e i paesaggi, non accontentandosi più di descrivere esternamente l’oggetto, ma tentando appunto di coglierne l’essenza più intima, anche laddove questa dovesse risultare disgustosa (i cadaveri benniani) o deformata. ora tutto ciò ha a che fare col rapporto io-realtà, che forse risente anche di una cultura tardo ottocentesca come sostiene tash (e tuttavia, mi permetto di insistere, è stato il nazismo ad appropriarsi di quel bagaglio culturale, non quella cultura ad assumere un taglio fascio-nazistico), ma di quella cultura poetica che faceva capo semmai a baudelaire e rimbaud (cos’ha la charogne di fascista?). mi pare piuttosto che nella visione di tash, oltre a una incontestabile questione di gusto, vi sia però un certo pregiudizio verso forme espressive tipicamente germaniche legate a una forte affermazione della soggettività, anche questo perfettamente legittimo, nessuno ha mai contestato la legittimità delle sue posizioni, semmai i modi. meidner un coglione? forse anche tutto lo sturm und drang? magari anche kleist? tutto può essere, ma forse bastava dire che un certo tipo di cultura è lontana dalla nostra sensibilità, si fa fatica ad accertarla come grande forma d’arte e chiedersi cosa ci avevamo trovato di così interessante. la “mondezza culturale” però, credo sia altra
A me il testo è piaciuto, nonostante lo stile enfatico, anzi me lo salvo in vista degli anni in cui avrò, più o meno, anch’io soltanto il disegno.
difficile spiegare che non sto dicendo che nazismo e espressionismo sono l’uno figlio dell’altro: mica sono così imbecille.
sto dicendo piuttosto che espressionismo e nazismo sono entrambi discendenze di un unico ceppo tardo ottocentesco, eccetera.
e lo è, per parte italiana, anche il fascismo assieme al futurismo: ma, benché qualcuno sostenga il contrario, non c’è rapporto di filiazione diretta, bensi rapporto di condivisione di origine.
adesso qualcuno dirà che affermo che futurismo e fascismo so’ uguali, tra loro e con l’espressionismo tedesco, che è la stessa cosa del nazismo eccetera…
cossu dimostra di non sapere cos’è il modulor di le corbusier, e soprattutto di non sapere chi è le corbusier e cosa ha fatto: http://it.wikipedia.org/wiki/Modulor
Si capisce che difendi la tua formazione, Tash. Peraltro “lo Spirituale nell’Arte” di Kandinsky mi sembra (almeno nel ricordo) altrettanto enfatico e forse ancora più esaltato, eppure K. mi pare faccia parte del tuo “ceppo buono”. Farei la tara all’enfasi con maggiore equanimità.
Io non saprò di Le Corbusier almeno quanto Tash non sa d’espressionismo, ma quando vedo qualche quadro espressionista che incanta, mi incanto.
La stessa cosa non può succedere a Tash con Le Corbusier – ma lo conosce davvero? – perchè davanti al “modulo” c’è da vomitare, per quanto “nuovo linguaggio sia.
http://home.worldonline.dk/jgkjelds/unite.html
hai ragione elio.
kandinsky era un enfaticone.
la cultura era quella e nemmeno le corbusier ne era esente.
non credo si possa parlare di ceppi buoni o cattivi, naturalmente.
ma certamente la poetica di kandinsky ha poco a che fare con gli artisti citati sopra.
ripeto, non hai capito cos’è il modulor, cossu.
l’unità di abitazione è un capolavoro.
vedere per credere.
certo se vomiti su le corbusier, chissà che ti succede quando guardi le palazzate di caltagirone.
siamo davvero molto off topic.
a questo punto.
@Tash
Le palazzate di Caltagirone SONO Le Corbusier.
Sono italiano e non so so cosa sia “off topic”: presumo “fuori i topi”.
Se tu leggessi gli interventi contro cui non vedi l’ora di scagliarti per compulsività private a cui nessuno è interessato, avresti visto che “mai” io ho parlato di “Modulor”, ma sempre e solo di “modulo”.
Ho visto che non intendevi, e ti ho lasciato cuocere nella tua broda.
Ora, senza entrare nel merito del rapporto tra le “due cose” e siccome, al contrario di me, ti vedo frequentatore di Wikipedia:
*
L’Unité d’Habitation di Marseille (Unità di abitazione di Marsiglia) rappresenta una delle realizzazioni pratiche delle teorie di Le Corbusier sul nuovo modo di costruire la città ed è uno dei punti fondamentali di arrivo del Movimento Moderno nel concepire l’architettura e l’urbanistica. L’Unità di abitazione, ALTA 17 PIANI, è composta da una successione di 337 APPARTAMENTI [capitale immobiliare?], QUASI COME SE FOSSERO STATI COSTRUITI IN SERIE E POI ASSEMBLATI [per uomini (ma quella è l’altra architettura do L.C.: per i ricchi) o per le scimmie in gabbia proletarie?] a testimoniare la sua idea, secondo la quale la casa si sarebbe dovuta trasformare in una “macchina per abitare”, adeguandosi al periodo storico rivoluzionato dall’invenzione delle macchine, nel quale possono abitarvi fino a 1500 persone.
Ogni unità abitativa è del tipo duplex, cioè disposto su due livelli diversi accessibili mediante una scala interna. Gli ingressi sono disposti lungo un corridoio-strada situato ogni due piani. Al settimo e ottavo piano sono presenti una parte dei servizi generali necessari alla popolazione (asilo-nido, negozi, lavanderia, ristorante, ecc.), in modo da eliminare, secondo la teoria di Le Corbusier, il salto dimensionale tra il singolo edificio e la città, cosicché il primo divenga un sottomultiplo della seconda. Per lui non esiste una sostanziale distinzione tra l’urbanistica e l’architettura e la sua attenzione si è rivolta a studiare un sistema di relazioni che, partendo dalla singola unità abitativa, intesa come cellula di un insieme, si estende via via all’edificio, al quartiere, alla città, all’intero ambiente costruito.
Un’altra innovazione è rappresentata dal tetto abitabile (o tetto giardino, secondo i celeberrimi “Cinque punti”[modulo]), il quale, grazie all’utilizzo del calcestruzzo armato, può essere adibito a diverse funzioni sociali e sarebbe potuto divenire, secondo le idee dell’architetto, un enorme giardino pensile. Osservando il basamento si può notare l’adozione dei pilotis, a forma di tronco di cono rovesciato, per sorreggere tutto il corpo di fabbrica, separando le abitazioni dall’oscurità e dall’umidità derivanti dalla collocazione a terra, ma, soprattutto, rinunciando definitivamente alle mura portanti e quindi affidando il sostegno del solaio ai soli pilastri. L’ennesima intuizione si può evincere dall’arretramento degli stessi pilastri rispetto al filo dei solai. Questa tecnica consente uno sviluppo della facciata indipendente dal resto dell’appartamento e in particolare permette l’utilizzo di finestre a nastro, capaci di scorrere lungo la parete e di fornire un’illuminazione eccellente.
*
Dopo tutto questo, Tash mi deve dire da dove viene tutto quest’altro:
lecosepiubrutteditalia.blogspot.com
http://www.imille.org/jpg/scampia.jpg
E questo:
http://www.comune.firenze.it/firenzelacittanuova/ml/dload/piagge1280x1024.jpg
E questo:
http://www.comune.firenze.it/firenzelacittanuova/us/grafica/immagini/pia.jpg
ricompare la parola “broda”.
chissà perché.
a casa vostra non è che fate la broda di pollo.
oppure i tortellini in broda.
ma qui, dove si esplica la geometrica potenza della vostra formazione di liceali con la media alta, ecco comparire la “broda”.
il buffo cossu confonde il contente con il contenuto.
egli è palesemente convinto, come del resto il 99,9% della gente, che le vele abbiano determinato il degrado e i camorristi de dodici anni.
è convinto cioè che è l’architettura che abbrutisce gli abitanti e non gli abitanti – quelli delle vele prima di arrivare lì erano com’è noto tutti ricercatori universitari dediti a cenette con pollo al curry – che abbrutiscono l’architettura.
il cossu sogna casette a schiera come quelle che vede in televisione.
come se fossero garanzia di decoro e buone maniere e niente camorra.
dimentica i ghetti americani, per esempio.
le vele in sé, come conferma metti il film di garrone, non hanno niente di particolarmente efferato, anzi.
ma in tempi di semplificazione si cerca subito il capro e si inasprisce la pena.
le cazzate che si sentono in treno assurgono a pensiero.
unico.
Non solo “Vele”.
Conosco anche “Piagge” lecorbusieane, per non parlare dell’interpretazione ideale: la “Megastruttura” a Sorgane, progettata, purtroppo, dal compianto amico Leonardo Ricci.
Tutte, immancabilmente, esempio di insediamento abitativo degradato.
Non dà da pensare questo?
//www.comune.firenze.it/firenzelacittanuova/ml/dload/piagge1280x1024.jpg
Comunque, è vero, io sogno case. Non carceri preventivi per chi non ha la cultura adatta per una casa sulla cascata, o certose in Costa Smeralda.
http://www.comune.firenze.it/firenzelacittanuova/us/n/ac_piagge_big.htm
cossu vuole la casa con la staccionata il vecchio olmo il vialetto col garage la grande porta che si solleva elettricamente il cane peloso biondo come il bimbo che gioca nel prato che gli fa arf – i cani nelle casette de tavole sovrapposte e staccionata fanno arf – la moglie sorchetta attende sulla soglia porge le labbra sposta indietro la gamba gli prende la borsa tiene nell’altra mano un martini molto secco come lo vuole cossu che ha letto di là dal fiume e tra gli alberi, egli ha ancora un po’ di lavoro dopo cena da fare l’arrosto sfrigola into the forno le patate s’indorano, il bimbo biondo le dita nel nasino la salopette osh-kosh-b-gosh macchiata d’erba di prato cossu sente sul petto la punta dei seni della housewife che premono impazienti eretti i capezzoli tutto è pulito perfetto il martini il bimbo i capezzoli la cucina spazzolata dall’ultimo raggio di sole il televisore acceso la poltrona preferita da cossu egli ha la sua casa americana si è trasferito lì con la mente molti sono come lui si odiano in quanto italici si vorrebbero yankee no carceri casermoni città dense strade e piazze che schifo meglio olmi e aceri vialetti suburbie sterminate civili col giornale che ti arriva volando fin sulla soglia di casa e il cane del cossu yankee non puzza come quello in italy
E’ un dialogo fra sordi (magari lo fosse, almeno a segni ci s’intenderebbe). Non porterà a nulla continuare a discutere, non così almeno. Propongo a Tash, se lo vorrà e se ha tempo, di scrivere un pezzo su Le Corbusier per NI. Vale anche per Cossu, naturalmente, e per Giovanni Fazzini, che ha dato una scorsa la questione.
Io mi riservo di scrivere un pezzo su Tash, dal momento che lui lo ha fatto su di me. Ma prima mi informo.
Grazie.
[tash triplo sorriso!]
NON OFF T[R]OPIC
La prosa di Ludwig Meidner ha un suo fascino molto datato, questo sì, proprio per le sue iperboli enfatiche, ma personalmente nonostante la programmatica viriltà d’intenti trovo poco incisivi e soft i suoi disegni rispetto ad esempio a quelli di Grosz ed Otto Dix. Secondo me è come pittore con i suoi paesaggi apocalittici che trova una cifra stilistica forte che avrà una sua influenza fondamentale sul neo espressionismo tedesco di Kiefer, Baselitz, Polke, Richter and Company.
OFF T[R]OPIC
Credo che le case abbiano un’influenza fondamentale sulla psiche di chi le abita, ma non mai per motivi meramente estetici bensì logistici: sono nata al quarto piano di un ottocentesco milanese edificio con un’ascensore ingabbiata in una tour-eiffelica gabbia di ferro e gli alberi che spuntavano da un quadrato di terra del marciapiede, osservando dall’alto trame di rotaie a calligrammi d’incroci, sincronie di semafori, al ritmo più che delle stagioni dell’accendersi e spegnersi dei lampioni e del riscaldamento centrale. Appollaiata lassù ho imparato distanza e distacco. Solitudini metafisiche, vaghe tristezze delle quali non avrei mai potuto fare a meno. L’abitudine a fantasticare guardando i muri.
Mi cantavano però sempre questa della casetta in Canada. Quel tale Pinco Panco allora mi faceva quasi piangere per la sua cattiveria incendiaria, ma forse, a pensarci bene era un fan di Le Corbusier… e se disegnavo una casa per compito a scuola facevo quella lì, con il camino sul tetto con il fumo e l’albero d’ordinanza di fianco.
Ora ci vivo in una specie di casetta in Canadà, sono anni che non prendo un’ascensore, di notte lucine distanti e latrare di cani che comincia uno e attaccano tutti, traffico con la legna e il fuoco, ho molti gatti, vedo rare lucciole.
E se rimpiango lo sferragliare di formazione del tram numero 19 non posso farci niente.
,\\’
A me non sembra un dialogo tra sordi, lo trovo anzi piuttosto divertente. Quello che appare chiaro dall’espressione appena trattenuta di reazioni viscerali, come il ribrezzo, è che la reazione estetica viene inevitabilmente ad assumere una connotazione morale, nonostante i retorici “de gustibus …”. Sebbene sia ovvio che quanto più si ama una cosa tanto più si finirà per conoscerla, ci si rinfaccia delle simmetriche ignoranze, quale spiegazione (in fondo caritatevole) della differenza nelle reazioni. La domanda diventa quindi: ma perché stamo qui a parlarci? Perché tentiamo di impartirci queste lezioni di recupero non richieste? Mi sembra poco probabile che sia soltanto per fare “bella figura” in questo contesto (che non determina nulla di concreto). Intravedo invece un fondo ideale, in questo zelo, il credere che nella propria reazione “felice” a determinate strutturazioni vi sia qualcosa di universalmente valido che gli altri dovrebbero condividere, piuttosto che l’esito di un complicato percorso di autoformazione, che conduca a differenze – a configurazioni di soglie – irriducibili l’una all’altra. In fondo vi è qualcosa di tenero, di sollecito, in queste indignazioni: la speranza che l’interlocutore capisca di essere sulla cattiva strada e possa piano piano cominciare ad emendarsi.
Nell’Unité d’Habitation di Marseille io ci sono stata, forse sono la sola, qui , ad averci messo piede, ci andò ad abitare una mia amica d’infanzia nei primi tempi di matrimonio, non era male. Comoda. Un po’ stretta per i miei gusti.
Mentre le infinite casette coi nani hanno deturpato i paesaggi veneti, e le microvillette hollywoodiane si sono mangiate un bel pezzo di costa pugliese.
Quanto a Meidner, mi pare che all’enfasi dell’epoca ci aggiunga molto di suo, una scrittura sbrodolata.
Luca cita un certo tipo di soggettività, Kleist, ma Kleist è uno scrittore controllatissimo, grande, immenso, cosa c’entra con Meidner?
la discussione sulle origini della modernità, sulle avanguardie, su quello che ne rimane oggi sia in termini di eredità che di praticabilità tematica – eccetera – è cruciale.
ma non per motivi di culturalismo umanistico liceale.
per capire chi siamo e dove siamo.
personalmente sono eventualmente interessato a capire che c’è ancora vita attorno a me.
non “che” ma “se”.
per esempio, i diorami di giovanni catelli, stupida e reiterata orgia di metaforazze, sono un segnale di regressione alla prosa liceale d’arte.
che c’azzecca questa roba col dettato sull’essenzialità de liguaggi della modernità novecentesca?
se lo sarà mai letto, catelli, un libro di fenoglio?
per dire.
Prima che si apra una nuova vertenza sulla prosa liceale e fenoglio – mi pare fuori di dubbio chi prevarrebbe – mi associo e insisto nella richiesta rivolta da Pinto a Tash e Cossu, sperando che la accolgano e scrivano ciascuno il suo pezzo, di modo che la nota a mergine diventi testo e tema di discussione, nonché migliore spunto di riflessione per noi, altrimenti tagliati fuori dar “dibbbattito”, soprattutto se legittimato dai soli crediti personali che si possono vantare o meno. Grazie
@ alcor
kleist non c’entra nulla con meidner, l’ho citato solo perchè mi pare che il problema di tash, diciamo il suo rifiuto – a mio avviso ideologico – verso un certo tipo di arte, sia legato a un “gesto” di forte affermazione della soggettività, contrapposta a una realtà con la quale è complicato rapportarsi utilizzando gli schemi canonici della razionalità. volevo cioè dire che la sua critica a meidner, nei termini in cui lui la poneva, toccava anche forme letterarie ben più “consistenti”, non era solo una questione di enfasi e virilità, ma appunto di rivendicazioni individuali espresse in forme tipicamente germaniche. solo questo, è evidente che poi la scrittura di kleist è tutt’altra cosa (ma d’altronde meidner non scrive racconti e la sua scrittura ha tratti a mio parere interessanti e innovativi, ma bisognerebbe forse leggerlo in originale).
@alcor
p.s. la mia ultima frase non era di tono “professorale” (tipo vatti a leggere meidner in tedesco prima di parlare); volevo solo rimarcare che, naturalmente, come sempre o quasi, nella traduzione si finisce inevitabilmente per perdere qualcosa del testo originale (oddio, qualche volta ci si guadagna anche)
@tashtego
Metteresti questa tua riflessione sulla prosa di Catelli dove l’interessato può leggerla, dandogli così modo di replicare?
@pinto
credo che catelli se vuole possa replicare anche qui, se crede.
questa considerazione sui diorami mi è veramente sfuggita: avevo deciso di non intervenire in nessun modo a commento dei suoi scritti.
perché è inutile: chi scrive così, scrive così e basta: che gli vuoi dire?
per me oggetto di discussione potrebbeo invece essere le ripetute scelte di pinto.
ma io sono un estremista, uno abbastanza violento, con cui si dialoga male, ci si mena.
@alcor
ho visitato l’unità di abitazione di berlino, appartamenti (abitati) compresi, e l’ho trovata magnifica.
il modello abitativo novecentesco piccolo borghese ha massacrato il territorio.
lo stesso, nella direzione opposta, hanno fatto quasi tutti gli interventi di edilizia economica, in quasi tutta europa: ma almeno erano sviluppabili, perfezionabili, migliorabili e lo sono tutt’ora.
il casettume è un’eterna sorda tristissima tautologia, sempre uguale a se stessa, ovunque.
ma il Grande Ripieno planetario si vede abitare così.
e anche cossu.
@tash
Quali scelte?
Ps.
Non sei un estremista, le tue scelte poetiche sono trasparenti. Ma talvolta sei maleducato.
@ taratash, il tuo impulso a commentare catelli nonostante la decisione dichiarata di non scriverne è uno dei tratti umani migliori che hai mostrato in questa discussione. rinnovo l’invito e il desiderio di leggere un tuo pezzo più esteso su moduli, le courbusier etc., magari potrebbe postartelo lo stesso pinto; che non serca a mitigare il tuo scetticismo sulle sue scelte? prova
@luca secondo (cioè secondo comm a me)
Non l’ho preso come invito professorale.
Però non andrò a leggermelo, non dovendo scrivere nulla su di lui mi basta quel che ho letto qui. Anche se tu lo avessi tradotto molto infedelmente, cosa che non credo, passa abbastanza da togliermi la voglia, è un tipo di scrittura che mi orripila.
E per di più ce n’è anche parecchia in giro di contemporanea, con gli stessi difetti. Con questi registri e questi debordamenti dello spirito bisogna che lo scrittore sia geniale, per cavarne qualcosa, se non si ha un interesse specialistico.
@pinto
l’educazione è un manierismo che nella sintesi webbica non ha senso.
attiene al mondo reale, dal quale sono generalmente assente.
nel mondo reale, che ospita il mio mister hyde, mi comporto come la persona più cortese di questo mondo: quasi mai dico quello che penso.
qui o si dice quello che si pensa, chiaro e tondo, oppure è inutile venirci.
parlo delle caratteristiche dei pezzi che scegli di postare, ovviamente.
@tash
Capisco. Ma non condivido. Inoltre le idee, espresse così, fanno solo svirgolare le frecce che pure avresti al tuo arco.
E sono tutte sbagliate le mie scelte? Quali non ti piacciono?
Corollario: uno costruisce con i materiali che ha sotto mano, volentieri inserirei un tuo pezzo sul modulor, mi farai sapere se raccogli l’invito?
Mi sono riletta il thread.
La cosa davvero interessante, retoricamente parlando, è che Tash ha fatto un primo commento neutro. Deciso ma neutro.
L’unica sfumatura personale è il richiamo all’enfasi dei commentatori, che c’è, tanto che i commentatori la rivendicano.
Le risposte sono state piccate, ma ancora sulle cose, per un po’.
Poi Cossu, al commento 15, personalizza, un po aggressivamente:
“A Tashtego piace estremizzare per creare “l’uomo di paglia” e prendersi una ‘ragione’ che nessuno vorrebbe.
Perché non serve a nessuno.”
E fa anche una sparata (è una sparata) su le Corbusier:
“Il quale , con l’invenzione del “modulo”, ha fatto danni all’umanità almeno quanto Attila, se non quanto Hitler.”
A questa sparata Tash ribatte, e questa volta si irrita anche lui.
Vorrei far notare che la battaglia è 2 contro 1, Luca e Cossu di danno manforte rafforzandosi ognuno con il commento dell’altro.
E poi interviene Pinto. Anche tu Domenico, vedi le asprezze di Tash, ma sei cieco di fronte a quelle di Cossu, che è certamente persona sensibile, ma che usa spesso toni aggressivi.
E poi non ho più riletto il seguito perchè ormai le forze in campo si erano schierate e lo svolgimento della discussione quasi obbligato.
Naturalmente non scrivo questo per “difendere” tash, che non ha bisogno delle mie difese e credo che neppure le gradisca. ma per farvi notare che anche nelle discussioni la lettura risponde a schieramenti di “forze” se non di “potere”, sempre meno limpide di come possono sembrare a una lettura rapida.
Ma chi si è preso del maleducato è Tash, mentre, se vogliamo dire che lo è, Cossu dovrebbe stare sul podio con lui.
Non c’è niente di personale né in positivo né in negativo con nessuno, in questo mio commento, ma vi prego di andare a rileggere e forse vedrete quello che è già in bella mostra.
P.S. Luca dice una cosa giusta a mio parere “forse è un’enfasi che andrebbe contestualizzata o storicizzata”
Infatti, si poteva farlo come postilla al pezzo.
grazie alcors.
ma davvero non mi sento offeso.
mi piace polemizzare.
@pinto
grz, ma un pezzo sul modulor sarebbe troppo impegnativo.
dovrei studiare.
e non mi va più di farlo.
@cossu
dico solo che il modulor è solo un aspetto, forse marginale, della produzione di le corbusier e riguarda in particolare l’idea, tutta rinascimentale, di escogitare un sistema matematico che ci aiuti a determinare la misura delle cose, degli oggetti delle case, per rapporto alla figura umana, intesa in senso fisico, ovviamente.
naturalmente questo sistema matematico deve contenere necessariamente in sé una misura di bellezza e, se non ricordo male, si basa sulla sezione aurea.
nessuno credo l’abbia mai applicato, tranne il suo escogitatore, ma resta come testimonianza del clima culturale della stagione modernista/razionalista/ecc.
si tratta di un pacchetto complesso che ingloba sì il concetto di forma, ma anche quello di riforma.
insomma il modernismo è anche un’istanza politica di riforma del mondo fisico e si salda, ma solo parzialmente e in alcuni paesi d’europa, con l’instaurarsi delle social-democrazie.
in russia partecipa alla fase rivoluzionaria, ma è intriso di quell’enfasi piccolo borghese di cui si diceva sopra, dove la rivoluzione non è che un altro tipo di veicolo per l’affermazione dell’ego.
la città contemporanea a mio parere è frutto di un complesso molto intricato di cause, tra le quali c’è sicuramente il pensiero di le corbusier e di altri architetti e urbanisti. che punta alla riforma dell’habitat umano: vedi i principi della carta di atene.
la cosa più interessante, rispetto all’oggi, la più inconcepibile per persone giovani abituate ad accettare il caos dell’oggi, è che riforma politica, dello spazio, della città e dei linguaggi artistici, viaggiano assieme e si implementano e si influenzano reciprocamente.
si chiama utopia, per chi se lo fosse scordato, ed è l’unica forma di pensiero degna di questo nome.
il resto è rimestare nel mortaio.
la cultura o punta a tutto, oppure non è.
in questo preciso momento storico è fondamentale ancorarsi al principio del rapporto forma/riforma, anche solo per contrastare, soprattutto nelle nostre menti, il pensiero “facile”, le scorciatoie fascistazze e andanti che vanno impregnandoci uno ad uno.
@alcor
Il diciassettesimo commento, il mio, dice:
“P.s.
La tua sortita circa la “broda fascista” dell’Espressionismo (credo di poter riassumere così le tue idee) è forse meno clamorosa dei danni unnici provocati dall’architettura di Le Corbusier?”
La lenzuolata di Tash, che avrebbe fatto imbufalire un santo è invece al diciannovesimo commento, e da sola (per aver così grossolanamente mancato il bersaglio – sì, un altro -) giustificherebbe l’accusa di maleducazione.
Sulla postilla, invece, non sono affatto d’accordo, un piccolo sforzo può farlo anche il lettore. Il titolo del pezzo reca una data che dovrebbe squillare come una tromba nelle orecchie di ognuno. Che Cossu si sia espresso sopra le righe è innegabile, è un suo tratto, che non condivido, come non condivido gli spigoli di Tash. Spero, almeno, dopo le randellate, che vogliano parlarci del modulor.
@Tash
Mi hai preceduto. Vorrà dire che ti spillerò il pezzo in un’altra circostanza ;-)
@Pinto
è vero, ma al commento diciassettesimo le posizioni erano già stabilite.
Cmq io sono sempre stata molto interessata alle dinamiche, ma capisco che può sembrare una passione sterile per chiunque non la condivida:–)
@Cossu, dimmi che non ho del tutto torto, ti prego.
anch’io sinceramente faccio fatica a vedere tash come la vittima predestinata di due che si sono dati man forte nell’attaccarlo, per di più uno che ammette di avere il gusto della polemica “schizofrenica” (mr. hyde ecc. ecc.) mi pare ci abbia messo del suo. se le scelte di pinto, costretto “a costruire con i materiali che ha sotto mano”, non vanno bene mi pare che nulla vieti a tash di proporre alternative più valide, salvo poi tirarsi indietro perchè di studiare non ha voglia. a noi poveri liceali forse è rimasta ancora un po’ di voglia di studiare e ci inchiniamo di fornte a chi ha tanta sapeinza da potersi permettere l’allontanemanto dal mondo reale.
p.s. i poveri liceali fanno anche un sacco di errori di battitura come avrete notato
luca, sto uscendo.
non vedo perché io mi debba sentire in obbligo di scrivere una cosa sul modulor solo perché c’è cossu che lo cita (a sproposito).
magari se ho tempo scriverò un pezzo sul liceo, che mi pare argomento cruciale (è una mia fissa).
scrivere una cosa sul modulor significa studiare e io ripeto non ho voglia di farlo per quella cosa lì.
non vedo cosa c’entri l’allontanamento dal mondo reale.
per lavoro, devo studiare tutti i giorni: ne ho le palle piene.
studiate voi, se vi piasce.
ripeto anche che non mi sento attaccato e nemmeno vittima di nessuno.
quando mi va di litigare semplicemente litigo. tutto qui.
bonne chances a tout le monde.
@Alcor
A dire il vero non ho alcuna difficoltà ad ammettere di essere, qualche volta, aggressivo.
Considero questo, per davvero, una delle mie migliori qualità positive.
Inoltre non ho alcuna difficoltà ad essere maleducato – e cattivo – se questo mi può servire.
A che cosa? Studio, faccio cose, ho rapporti con gli altri.
Condivido quasi del tutto l’analisi del thread, salvo due puntualizzazioni:
primo intervento di Tash:
*enfasi, un po’ ridicola.
molto tedesca, vagamente sinistra, visto la piega che prese.
che chiama enfasi, naturalmente, nei commenti.*
Va benissimo l’enfasi, un po’ meno “ridicola”.
Infatti l’enfasi dei commenti è richiamata, come simile, dalla prima, e quindi “ridicola” come quella.
Ma ciò che infastidì – per lo meno me, e l’ho scritto – fu il fatto che rifiutato l’espressionismo e spaccando il mondo in due, quelli a cui l’espressionismo non dispiace dovrebbero essere, secondo Tasch, dei poveri deficienti e attardati codini che non capiscono l’avanguardia e che cosa significa arte contemporanea.
Difendersi da queste insinuazioni richiederebbe esibizioni di studi e opere che davvero umilierebbero, prima di tutto, chi le usa in tal senso.
Per finire, la mia, su Le Corbusier e il “modulo”, non è affatto una battuta, anzi, devo dire di averla studiata per vedere se Tasch ci cascava.
Forse era esagerato il richiamo ad Attila, ma vi assicuro che la faccenda ha tutti i crismi di una dignitosa diatriba accademica. Tant’è che il “modulo” non sembra più tanto godere il prestigio di una volta.
Forse, sia Alcor che Trasch, quando visitano le maggiori città europee, dovrebbero cercare il segno rosso dei mattoni e non il grigio cadaverico del cemento, per riuscire ad individuare qual è la vera “nuova” architettura.
Infine: Modulor.
Il più entusiasta, tra i non architetti, per questa pagliacciata semiesoterica, pare sia stato Einstein, il quale, in fatto di matematica,
era capace di giudizio quanto io lo sono sulle razze degli scarafaggi in Sudamerica.
[Calma! se avete avuto una reazione che non sia di accettazione immediata, vuol dire che ignorate tutto di Einstein e del suo rapporto con la matematica. Quindi, se volete reagire nel modo giusto, prendetevi sei mesi di tempo pieno: la bibliografia ve la faccio io.]
E non poteva essere che Einstein ad entusiasmarsi per una cosa così:
*
I critici del Modulor hanno, però, notato molti problemi col sistema. L’altezza della figura sembra essere arbitraria e scelta forse per convenienza matematica. Il corpo femminile, secondo le parole del recensore Michael Ostwald, “fu considerato solo in un secondo momento e rifiutato come fonte di armonia proporzionale”. Il sistema non trova relazioni con le attuali osservazioni antropometriche. Non c’è un metodo evidente e chiaro per trasferire queste misurazioni agli spazi abitati; ad esempio, il Modulor non può essere usato per calcolare comodi scalini o l’altezza dei montanti delle scale.
Wikipedia.
*
@Cossu
perchè ipotizzi che io nelle città cerchi il grigio cadaverico del cemento?
Io per prima cosa cerco i bar, seguendo sempre fiduciosa la mia fida Lonely Planet.
@Luca
“anch’io sinceramente faccio fatica a vedere tash come la vittima predestinata di due che si sono dati man forte nell’attaccarlo”
dissi questo? non lo dissi. Io di solito parlo preciso, se voglio dire che uno è una vittima predestinata ed è stato attaccato uso le parole “vittima” e “attaccare”.
E poi definire vittima Tash sarebbe stato abbastanza ridicolo:–)
Cmq, per quel che vale, questi in rete si chiamano flames, e non fanno male a nessuno, non si sparge sangue.
“pagliacciata semiesoterica” … stavo proprio simpatizzando con Cossu quando sento questa cosa su Einstein e la matematica. Qui vediamoci chiaro: io ho una laurea in una facoltà scientifica (in anni e luoghi seri) quindi di esami di matematica ne ho fatti un bel po’, ed ho pure continuato ad appassionarmici, sebbene sul fronte più facile dei fondamenti filosofici della stessa. Ma so benissimo di non essermi neppure avvicinato alla matematica che maneggiava Einstein, dunque voglio proprio capire questa che mi sembra tanto una sparata. Pregherei dunque Cossu di precisarla meglio e di fornire le referenze del caso.
@tash
ti rispondo anche se stai uscendo, la leggerai più tardi o domani. perché parlo di allontanamento dal mondo reale: “l’educazione è un manierismo che nella sintesi webbica non ha senso.
attiene al mondo reale, dal quale sono generalmente assente.” per il resto il liceo mi pare un argomento degnissimo di un contributo, visto come è stato ridotto negli ultimi anni. certo non sei obbligato a scrivere sul modulor, ma quello era solo un invito a proporre cose che a te potessero interessare e che non ritenessi spazzatura.
@alkor
vabbè però il tono era un po’ quello, io ho accentuato, ma lasciavi comunque intendere che io e cossu ci fossimo coalizzati contro di lui (il che non è vero semplicemente perché nella polemica architettonica io non sono proprio entrato). certo che non si sparge sangue, non l’ho mai pensato e prendo la polemica per quello che è e, infatti, se guardi i miei commenti, a parte l’ultimo, sono sempre stato estremamente misurato e conciliante. ero sinceramente interessato alle critiche di tash e non ne ho mai rinnegato la legittimità.
@Luca
ma non ti ho messo mica sotto accusa, ho solo analizzato le meccaniche, le meccaniche sono indipendenti dagli umani, sia pur webbici.
(non farmi usare gli emoticon che qui oggi ho abbondato)
il povero Cossu deve per forza straparlare anche, e forse soprattutto, di ciò che non sa; oltre a Le Corbusier, dice cose di Einstein, purtroppo. E quindi mi tocca intervenire, malgrado Einstein non abbia certo bisogno delle mie precisazioni. Einstein, come un vero fisico, sapeva, diciamo fino al 1905 (era ventiseienne), quella, non poca, matematica che serviva a dare sostanza alle sue varie e straordinariamente nuove teorie (relatività speciale, effetto fotoelettrico, moto browniano e altro ancora) e quando, negli anni dal 1905 al 1915, si accorse di non saperne abbastanza per quello che aveva ancora in mente di fare, se la imparò, quella che gli sarebbe servita, facendosela insegnare da chi ne sapeva più di lui, Marcel Grossmann e altri; come fa una persona, e non un quaquaraquà.
La mole di matematica che conosceva nel 1916 il povero Cossu non se l’immagina neanche vagamente, come è normale, però occorrerebbe un po’ meno spocchia nei propri ‘lanci’. A meno che, s’intende, il povero Cossu sia un vero esperto “sulle razze degli scarafaggi in Sudamerica”.
Io sono un vero esperto “sulle razze degli scarafaggi in Sudamerica”.
E anche povero. Purtroppo!
Un’autoannichilazione, passiamo oltre.
Caro, grandeSparz, e caro grande Elio dell’annichilazione,
Marcel Grossman non “insegnava” matematica ed Einstein, ma gli faceva i calcoli che lui non riusciva a fare.
Chi “insegnava”, matematica, ad Einstein: Minkosky, dichiarava invece che quell’allievo “era pigro”.
Ma non è stato il primo, Grossman, perchè anche per la relatività speciale, ci fu l’intervento di un altro matematico, un italiano.
Che poi le sue varie e straordinarie nuove teorie – va bene effetto fotoelettrico e altro – comprendano la ‘relatività speciale’ come sua è mitologia canonica, ma sembra non lo sia per qualche prestigioso storico della scienza e, allora, per qualche membro del comitato del Nobel, che infatti non per la relatività le fu assegnato.
Risulta da una lettera di un membro dell'”Accademia” di Berna – tre o quattro amici che studiavano assieme – che quelli lessero nel 1903 o 1904 [non lo ricordo ora] “La scienza e l’ipotesi” di Poincaré, nell’edizione tedesca, che, al contrario delle altre edizioni, portava in appendice un estratto dell’articolo sulla “simultaneità”, individuata come nodo su cui confluivano considerazioni filosofiche, fisiche e tecnologiche, già pubblicata, mi pare nel 1898, sulla “Revue de metafisique et morale”, e che è di fatto l’esposizione necessaria dei principi della relatività.
Certo a cui bisogna aggiungere qualcosa di matematica, ma questo gliel’aveva già preparato lo stesso Poincarè in un’altra piatto con le “trasformate” di Maxwell.
Per quanto riguarda , il mio testo di riferimento
è: EDWARD O. WILSON, Le società degli insetti, 2 voll, Einaudi, 1976.
Adesso vorrei aggiungere un’altra cosa O.T.
Quando uno di “formazione scientifica” si avventura in terreni letterari, mostrando una meschina capacità letteraria, tanto da confondere le idee agli altri – perchè prima non se l’è chiarite lui – non è che un letterato serio si metta subito a gridare: Meschino! Meschino!
A me sembrerebbe un’inutile, gratuita, offesa. E infatti non l’ho mai fatto.
Sembra invece che, in un blog tuttologo – che non è certo una facoltà universitaria – quando un letterato, per formazione propria, non si adegui al paradigma vincente, ma prenda come propri punti di riferimento posizioni critiche ed eterodosse, questi tali di “formazione scientifica” sentano il dovere di indossare la toga pretesca della propria disciplina
per riportare tutti all’ordine.
Offendendo inutilmente un, certo povero, ma non nel senso che vorrebbero loro, per offrirlo al linciaggio della folla.
Oltre tutti gli scherzi e le retoriche, quanti, davvero, dei lettori di N.I. sapevano che c’è un’annosa questione che riguarda la paternità della relatività e la validità del modulo di Le Corbusier?
O vogliamo rimanere per sempre prigionieri delle “due culture”?
Fuori delle facoltà – questa è la mia posizione – quando si fa cultura, la scienza è un racconto come tutti gli altri e come tutti gli altri va trattato
O vogliamo rimproverare Kafka, perché non ci ha detto qual era la razza precisa dell’insetto della “Metamorfosi”?
C’è ancora una cosa che invece non è O.T.
A una prima proposta di Minkosky di un utilizzo della sua “geometria quadrimensionale” per la relatività, Einstein, che aveva capito tutto, da grande matematico, rispose che era “una inutile complicazione matematica” che avrebbe potuto rendere meno perfetta la sua creatura.
Salvo rimangiarsi, poi, tutto, ed utilizzare proprio quella geometria, perché non era riuscito ad escogitare altro.
Non l’aveva capito, nemmeno lui, il povero Einstein, ma, poi, ci aveva pensato il suo amico Godel – altro livello: logica e matemica – e gli aveva “dimostrato” che “in certe condizioni” [se l’universo ruota] e se si ha “carburante sufficiente”, allora “si può ritornare nel passato”.
Ma “se si può tornare nel passato”, “il passato non è passato”, e , quindi, nella relatività generale, IL TEMPO NON ESISTE.
Io, naturalmente, da esperto di scarafaggi ma non matematico, non posso nemmeno capire cosa ciò significhi.
So solo che, oggi, l'”avanguardia”, nell’elaborazione di possibili “cosmologie scientifiche” è tuttora alle prese con questo tipo di problemi, dovuti al fatto che un linguaggio, un sistema di misura per missili intelligenti, sia stato troppo a lungo creduto una spiegazione, una descrizione reale di “come stanno le cose”.
Mentre la meccanica quantistica, inconciliabile con la relatività, ma come meccanica capace di giustificare ogni osservazione sperimentale, deve subire l’egemonia di questo mostro “teorico”, come Galileo dovette subire
l’egemonia del sistema tolemaico. Anche quello, contro lo stesso Tolomeo, che lo considerava “uno strumento di misurazione” assunto, per merito di qualche chiesa, a “rappresentazione veritiera del modo”.
cossu, e se più semplicemente ti arrampicassi su un albero e gridassi ‘voglio una donna’?
Mi ero quasi scordato del Modulor.
*
“Il sistema è basato sulle misure umane, la doppia unità, la sequenza di Fibonacci e la sezione aurea.”
Wikipedia
*
M’ama non m’ama di fibonacci. [1986].
ciascuno porta un portafoglio
porta ciascuno un portafoglio
porta porta ciascuno un portafoglio
porta, porta ciascuno un portafoglio
porta, porta a ciascuna un portafoglio
porta, porta a ciascuna in portafoglio
porta, porta a ciascuna
un rotolo di foglie un rotolo di foglie
e sfoglia come rose e sfoglia margherite
margherite rose porta
in portafogli un rotolo di fogli
margherite sfoglia
e porta rose (rotola foglie) ciascuno rotola foglia
come foglia morta
e porta
là
l’armonica
porta
mi piace cossu perchè lotta senza paura contro la precisione.
Io non conosco Dino Montonati, quindi accetto il suo intervento con gratitudine, ma con una certa prudenza: potrebbe infatti, con ironia, avere un significato del tutto opposto a quello apparente.
Ciononostante lo faccio mio, perché mi dà modo di chiudere, definitivamente, questo fiume smodato, e largo di interventi da parte mia, per ritornare alla fonte, all’inizio.
Che la precisione attenga all’in-formazione – scuola, facoltà, manualistica, bollettini professionali – mi pare pacifico, incontrovertibile.
Che altro sia l’Arte, anche quando sceglie “modi precisi” di azione e di produzione di manufatti, mi pare incontrovertibile anche questo.
La discussione iniziale verteva, secondo me, su questo nodo.
Su questo io esprimo una mia convinzione personale: ogni “gesto” artistico è, essenzialmente, “espressione” individuale.
Tutto l’altro – quello che gli sta o che gli viene messo attorno, che l’allontana dall’espressionismo – è, o stame: qualcosa di importante che da quello discende ma che con l’arte non ha niente a che vedere, o strame: la quasi totalità delle cose che all’arte vengono associate dai falsi artisti e dai mercanti d’anime.
era un po’ che non leggevo cose come “falsi artisti e mercanti d’anime”.
niente muore davvero, tutto ritorna a galla, come fanno i pneumatici nelle discariche.
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Invece di questi sessant’anni di pace finta (passati a stringere il culo che qualcuno non ci buttasse in testa un’atomica), avrei preferito partecipare a qualche anno di guerra vera, avrei preferito scavalcare le vette
emozionali e auto-conoscitive dell’esperienza bellica, piuttosto che trascinarmi per tutto questo tempo nelle pianure della falsa pace senza imparare a difendermi dall’aggressione più prevedibile e banale, ma soprattutto senza venire a sapere nulla su di me e su cosa sarei stato capace di fare.
Parto domani e sto via per un po’. A voi una buona estate.
Sono stato qualche giorno a Vienna, nell’ambito del mio Personale Programma Pluriennale di Visione dell’Arte Occidentale, che mi porta – per puro piascere – nei più importanti musei d’Europa e d’America.
A Vienna ho visto (rivisto dopo trent’anni) cose intense, talvolta meravigliose.
La geometria è un prodotto, uno dei primi e più evidenti, del lento affermarsi del Principio di Ragione a fronte del caos naturale.
Quando l’uomo assume il controllo geometrico del suo spazio vitale e comincia ad utilizzare un sistema di segni autonomo e riconoscibile rispetto ai paesaggi e alle forme che si danno come naturali, conquista molto di più di un “preteso raddrizzamento” della natura, conquista, come dicono anche i manuali delle scuole medie consapevolezza di se stesso, come un dato distinto da quello naturale.
Ma c’è molto di più: l’uso della precisione geometrica nei manufatti costituisce l’avvento del formato digitale nella costruzione della forma, vale a dire della forma trasmissibile mediante semplici istruzioni verbo-visive.
Per esempio, bastava scrivere che si voleva un quadrato di tot metri di lato, che quell’istruzione poteva essere compresa da chiunque, in qualunque luogo, possedesse lo stesso sistema di misura e la nozione di “quadrato”.
Se ho una sfera in una mano e un sasso nell’altra, posso dire di avere una mano digitale e una analogica.
Perché qualcuno possa ottenere quella stessa sfera, basterà fornirne materiale e raggio.
Ma provate a dare istruzioni verbo visive per riprodurre in formato digitale la forma esatta del sasso e vi accorgerete che è, allo stato attuale delle nostre capacità, praticamente impossibile.
Dovrete usare un formato analogico, cioè fare un calco del sasso.
Di quel sasso, così “naturale” “effimero” e “strambo” non siamo capaci di esprimere matematicamente la forma.
Non disponiamo di un linguaggio simbolico capace di farci comprendere e restituirci la conformazione, cioè la forma naturale.
Sono convinto che l’umanità stia lasciando il Rinascimento.
Ma non sta lasciando la forma per tornare alla conformazione, alla “spontaneità” del Medioevo.
Stiamo lasciando il Rinascimento, perché stiamo transitando verso una sensibilità estetica antiprospettica e caotica.
Ma soprattutto perché cominciamo a disporre degli strumenti adatti per digitalizzare con una certa esattezza la forma naturale.
A questo punto la geometria può diventare, invece che una necessità, un optional.
Ma qui mi manca ancora una definizione passabile del termine esattezza.
Perché mai le cose che facciamo, gli oggetti che produciamo e usiamo, gli edifici che costruiamo, dovrebbero seguire un principio di regolarità e geometria? E perché mai a questo principio dovrebbe far seguito un principio esecutivo basato sull’esattezza? Non si tratta forse di astrazioni concretamente irraggiungibili? Non è forse vero che, per esempio, un quadrato perfetto non è realizzabile, perché semplicemente non può esistere? A cosa servono allineamenti & regolarità di figura?
Le risposte a tutte queste domande, molto sensate, non ce l’ho.
O meglio.
Rispondere significherebbe scrivere un poderoso trattato su natura e funzioni dell’artificio umano.
O forse significherebbe costruire una Teoria generale degli oggetti, e al momento non mi sento preparato al compito.
Esistono molte ragioni funzionali ed estetiche per optare per la geometria, ma ne cito solo una, che purtroppo suona un po’ metafisica: per distinguersi dal caos naturale e combatterlo.
Cioè in pratica, per affermare la forza della forma in un Universo nel quale regna, quasi incontrastata, la conformazione.
Perché, anche oggi nel farsi della città e dell’ambiente contemporaneo, persiste questo deficit di geometria?
Perché rileviamo una tensione verso l’Esattezza, che quasi mai è capace di esprimersi pienamente?
Perché, nell’artificio umano, c’è così poco bisogno di netta contrapposizione al caos naturale?
Perché il Principio di Esattezza viene onorato così di rado?
Perché i luoghi dove viviamo, o dove veniamo a trovarci, risultano sempre così imprecisi, raffazzonati, casuali?
Perché quasi tutto quello che vediamo presenta i sintomi di una volontà, di un pensiero, di un’azione, insomma di un processo costitutivo, che hanno complessivamente mancato il bersaglio?
Perché la geometria resta tuttora appannaggio di un ultramondo platonico?
Cosa si oppone al suo pieno manifestarsi?
Subito mi si presentano almeno due ragioni di tutto quello che ho appena esposto.
La prima, la più facile e la più banale, ma non per questo meno vera, è che l’esattezza richiede, pensiero, lavoro, applicazione e mestiere, cioè in ultima analisi richiede dispendio di energie, attenzione, costi.
La seconda, meno ovvia, è che esiste una differenza sostanziale tra progetto e fenomeno: sono convinto che i luoghi siano un prodotto molto più fenomenico che progettuale.
La volontà progettuale qualora vi sia presente, anche in misura rilevante, incontra sempre un buon numero d’interferenze, d’ostacoli capaci, se non di annullarla del tutto, certo di introdurvi contraddizioni, difficoltà, inesattezze, opacità.
L’esattezza smagliante & cartesiana della geometria, deformata, appunto, dall’opacità complessiva della vita, dei soldi, della fatica del lavoro umano, dell’incertezza, della furbizia, dell’inadempienza, dell’incapacità, eccetera.
Ma affermare che il prodursi dell’ambiente umano, quindi dei luoghi come entità riconoscibili e abitabili, è un fenomeno, significa riconoscerlo come il prodotto di interessi molteplici, spesso contrastanti, talvolta concomitanti ma più spesso diacronici, fatalmente contraddittori & antagonisti.
Il conflitto tra le diverse iniziative che si manifestano sul territorio nel tempo e tra queste e, quando c’è, il complesso di norme che regola gli insediamenti, che dovrebbe garantire ordine e alcune prestazioni basiche di abitabilità, lo vedi bene nell’irregolarità e nell’apparente casualità del risultato.
Così lo scenario della città finisce per somigliare a quello che resta su un campo di battaglia alla fine del conflitto: una quantità di oggetti eterogenei disposti sul terreno così come ve li ha deposti la forza caotica dell’azione conflittuale: un luogo dove non si vede chi ha vinto e chi a ha perso, ma solo le conseguenze dello scontro.
Difficilmente la città contemporanea somiglia a qualcosa di diverso da un mucchio casuale di scorie e, anche quando c’è la possibilità che si affermi con chiarezza un qualsivoglia principio di geometria e d’ordine, ecco che intervengono le istanze di linguaggio dell’architettura odierna, che spesso puntano a rappresentare il caos piuttosto che a distinguersene, che perseguono il disordine e la contraddizione per metterli, per così dire, in scena.
E ciò perché l’estetica del caos si porta molto.
Tutto questo potrebbe costituire un segno concreto che forse stiamo definitivamente uscendo dal Rinascimento.
Scritto da: tashtego
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Ciò che mi ero riservato di fare, non è stato necessario fare: lo ha già fatto, in modo pregevole, devo ammettere, lo tesso Tashtego.
Questo fluttuare tra D’annunzio e Wittgenstein [uno dei più bei ritratti dipinti da Klimt è quello della sorella di quest’ultimo, e sicuramente, Tash, avrà potuto ammirarlo nei musei viennesi (?), dopo essere stato a visitare, della stessa sorella, la casa, per lei progettata e costrutita dalla stesso Ludwig: uno dei più luminosi esempi del razionalismo architettonico].
Questo stesso fluttuare tra Wiener Werkstatte e Bauhaus, inoltre, lo rende più umano di quanto non sia apparso a chi lo abbia incontrato per la prima volta, inducendo a considerarlo, alla fine, più simile a sé di quanto non si sarebbe mai potuto aspettare..
Unica differenza: il suo schierarsi per un’irraggiungibile’utopia platonico- cartesiana, a fronte di un pigro adagiamento nell’”arte”[unica, vera, alternativa alla dicotomia “geometria” -“conformazione”], terrorizzato dall’armato e metallico affacciarsi di qualunque utopia nella prassi.
Bastava dirlo, nel modo giusto – non tutti possono, o vogliono, visitare tutti i blog del mondo – e il confronto, se lui avesse voluto, avrebbe potuto assumere caratteri di schismogenesi complementare piuttosto che simmetrica, consentendo, a tutti, di lavorare, più alacremente, per la conservazione di un minimo di sanità mentale.
G.C.
La casa di Wittgenstein a Vienna, in realtà, è un mezzo pacco (ci andai pieno d’entusiasmo, che scemò durante la visita). Se non fosse stata progettata da Ludwig neppure ne parleremmo, in quegli anni si faceva di molto meglio, anche a Vienna stessa. (è un buon progetto, intendiamoci, ma nulla di più).
Vero è che anni dopo, a Oxford, un suo studente gli chiese del suo giovanile amore per la disciplina e lui gli rispose: “i problemi della filosofia non sono nulla di fronte a quelli dell’architettura”.
Già.
Io non ho visto la casa progettata a Vienna da Wittgenstein. Ne ho visto le foto, e ne ho seguito la varie fasi progettuali e la realizzazione in vari testi che ne parlano, compreso il carteggio di Wittgenstein con l’amico architetto che ne fu coautore. Che oggi possa dare un’impressione d’insignificanza non posso certo confutarlo.
Ma c’è un fatto di cui bisogna tenere conto: la casa venne occupata dall’Armata Rossa durante l’occupazione di Vienna e lo spazio interno venne completamente stravolto da nuove e diverse suddivisioni per renderlo funzionale ad usi che non erano certo quelli originari.
Non ricordo in quale decennio dello scorso secolo il Municipio di Vienna, accortosi dell’importanza dell’edificio, prese l’iniziativa di resturarlo, ma ricordo benissimo che “non ci fu nessuna possibiltà di riportarlo alle condizioni iniziali.
Certo, questo non toglie che potesse essere un “pacco” lo stesso. Ma ho visto sempre che ne parlavano con entusiasmo, per cui, per uno così entusiasta del pensiero di Wittgenstein, era molto facile entusiasmarsi di ciò che non ha mai visto e che magari non è mai esistito.
Giovanni, infatti andai a Vienna carico del tuo stesso entusiasmo (e della conoscenza delle traversie dell’edificio), quindi al contempo preparato e illuso. Alla fine appurai quanto fosse una buona casa, ma nulla di più.
Grazie, Gianni.
E’ sempre di più quello che vivo nella mente, che quello che mi capita di vivere veramente.