Prima dell’estinzione
di Mauro Pianesi
Avevo letto già in manoscritto Prima dell’estinzione (Effigie), l’ultimo romanzo di Sergio Nelli, storia narrata in prima persona di un giornalista nel tunnel del ricovero ospedaliero. Trasformato, fra diagnosi imprecise e impietose, in cittadino del dolore, comincia a sentire la fine e il peso insopportabile del mondo. “Entri in un’atmosfera plumbea, fredda, come sottomonte. Mentre fuori c’è il sole, ci sono i motorini che esplodono all’estate, c’è la stessa erbetta tenera che cresce, e il cibo e la musica e le ragazze che si vogliono divertire”.
Autobiografica, quasi diaristica come nei precedenti e, in particolare, nel bellissimo Ricrescite (Bollati Boringhieri), innervata da un’immaginazione potente che ne è il vero motore, la scrittura di Nelli ha il raro pregio di riuscire a far dialogare le cose (il mondo inanimato) con i ricordi che esse lasciano nel nostro universo sensoriale. I ricordi o la loro malinconia. Per giungere a questi esiti (che sento particolarmente innovativi), l’autore sembra rifarsi a luoghi letterari arcaici, premoderni, tipo “mondo alla rovescia”, che ad esempio – se riferito alla donna del protagonista – sa materializzare così: “L’energia del suo orgasmo invade le stanze, appiccica la sua pellicola sui muri, rinnova le pentole, rivitalizza la frutta, dà profumo all’aglio, fa brillare il vetro, ammorbidisce le coperte, esalta il fumo vecchio”. C’è qualcosa di fiabesco in questa elencazione mozzafiato della nuda verità non solo degli oggetti, ma addirittura degli odori.
E con l’olfatto, forse il senso più difficile da scrivere, l’io narrante di Prima dell’estinzione ha un rapporto particolarmente felice. “Soprattutto quando socchiudo gli occhi appoggiando la testa sul guanciale, rivisito odori antichi e nuovi che mi hanno messo sotto il naso il lavoro e tutto il resto: l’alcool puro più la puzza di piedi, il pizzicante filo di pietra focaia, il salnitro e la lavanda, la muffetta e l’olio antitarlo, le cere, le gocce antiverruca, la crema da barba, la cipria, il vomito e il bruciato di carne avariata delle discariche, l’esalazione di cane bagnato del nostro fiume, il bottino della pelle conciata negli snodi industriali del mio Valdarno, l’agro urico degli ultimi Vespasiani, il sandalo mestruato dei nuovi cinema, la mela appassita delle discoteche di vinile, l’uovo marcio delle bombette di Carnevale, la manciata di terra radici e rapa sbucciata di un fornello che non si accende in cucina, il decomposto floreale dei cimiteri, il tuberoso degli scavi dei parcheggi sotterranei poco prima dell’inaugurazione al cemento, quella mistura di computer stampanti calore e cellophane lacerato che incontriamo in tanti uffici…”.
Come il diarista di Ricrescite, il protagonista di Prima dell’estinzione ha bisogno di una figura di deuteragonista esterna alla narrazione, e lo trova in Copito de Nieve, unico esemplare mai conosciuto di gorilla affetto da albinismo, catturato cucciolo in Guinea Equatoriale e da lì trasferito a Barcellona, del cui zoo sarà la star incontrastata fino alla morte (2003). Noto per il carattere schivo e scontroso, minaccioso verso i flash dei visitatori (ma in realtà soffriva di fotofobia data la mancanza di pigmento negli occhi), Copito appare nel Palomar di Calvino e in un racconto del catalano Toni Sala, ed è protagonista, tra l’altro, di video e album rock. Forse in Ricrescite il riferimento ai vulcani e al loro simbolismo risultava più organico alla narrazione, paradossalmente più caricato di affettività da parte dell’autore. Mentre sui “rapporti” del povero giornalista con Copito, che campeggia magnifico in copertina, sembra non tutto sia stato detto.
S’è detto della frequentazione di Nelli con certa premodernità (e non importa davvero dire se si stia parlando di due secoli o di cinquant’anni fa, tanto il prefisso “post” è divenuto caratterizzante ogni aspetto delle nostre vite). Ecco allora i ricordi di Firenze e del quartiere di San Frediano, che sembrano uscire da una pagina di Collodi (autore cui Nelli, peraltro, ha dedicato affettuosa attenzione). “Da bambino guardavo spellare vivi i ranocchi presi in Arno o in padule. C’era il babbo di un mio amico che poi li vendeva infilzati in lunghi rametti. Si metteva davanti casa, tra due chiese, su un selciato di pietra serena. Incideva in un punto preciso sopra gli occhi, tagliava mezza testa e la pelle veniva via tutta e lasciava bianchi iranocchi che, come appena nati, rinati, gettati in un secchio di plastica d’acqua ormai rasata, continuavano a nuotare, a provare i loro riflessi di questa nuova brevissima esistenza, decerebrata, ubriaca, cieca… […] Via Romana, subito dopo l’inizio sontuoso della porta, era come un’amnesia che solo Piazza Pitti risana. Santo Spirito era celeste, e terragna come un mercato. Via Maffia si profilava da un lato vuota come un rifugio per assassini, dall’altro murata, chiusa, ma arresa come una conchiglia fiorita. Via dei Serragli sprofondava nel suo tempo imploso, pallida come se un vampiro l’avesse anemizzata per sempre. Su Piazza del Carmine appariva e scompariva un enorme dagherrotipo della cacciata dal Paradiso di Masaccio, sfuggita finalmente dalla Cappella Brancacci. Nelle stradine svolazzavano il pittore e l’artigiano, la bohème e le zitelle vecchie, l’oro e il frutto marcito, il sonno e il cibo, le armi e la nudità…”.
Le storie della letteratura ci hanno abituati a scrittori ossessionati dai propri personaggi e dai mondi virtuali costruiti per farli vivere. Flaubert e la Bovary, insomma. Nelli no, la sua interpretazione del mondo è ludica e, per questo, il fantastico se lo va a pescare direttamente dalle pieghe (dalle piaghe) del “duro vero”. Votato interamente alla fede nella scrittura e nella filosofia, Prima dell’estinzione è un libro immaginifico, disperato e sarcastico. “Se mi estinguo sarò una freccia che si perde nel buio”.
Un invito bello alla lettura. Mi piace l’argomento: personaggio affrontando il mondo della malattia con sensibilità acuta. La realtà diventa strana, fiabesca, vacilla tra il sogno e l’osservazione deformata del mondo.
Leggerò!