Errata corrige

Niemöller
di Gianni Biondillo

Non ricordo neppure più dove lessi quei versi, anni fa. Mi piacquero, li condividevo, li trascrissi pure da qualche parte. Per anni, per me, erano senza ombra di dubbio (così c’era scritto) di Bertolt Brecht.
Sbagliavo.

E’ che quelle parole, anche se non sue, sembravano davvero brechtiane. Un po’ come quando diciamo di Galileo il suo “eppur si muove”, o il Voltaire che non condivide le idee del suo nemico ma lotterebbe fino alla morte per fargliele dire. Né l’uno né l’altro hanno mai detto quelle frasi, ma riassumono così bene i personaggi che paiono naturalmente loro. Quelle parole ci piace immaginarle dette da Galileo o da Voltaire, anche se sappiamo che non le dissero.

E pensare -che strana la mente umana- che nel tempo ero pure venuto a conoscenza (e anche questo: dove lo lessi? Bah!) di Martin Niemöller. Anzi: c’era una sorta di logica conseguenza. Martin Niemöller aveva scritto questi versi, così belli, così intensi, da aver smosso la coscienza di un popolo, rimbalzando nelle pagine di vari intellettuali tedeschi, fra questi Brecht stesso. Lo dissi pure qui, in un commento.
Non era così.

Certo potevo dare un occhio ai libri. Io di mio posso dirvi che l’opera di Brecht sta in uno scatolone nella cantina di mia cugina (vivo in un bilocale, siate pazienti, tutto non mi sta in casa), mi veniva difficile consultarla. Poi era così ovvio che fossero sue quelle parole, l’avevo letto e riletto così tante volte, che neppure ci pensavo ad andare a vedere la fonte primaria.

Ci ha pensato Luca Carlucci a dimostrare come la falsa attribuzione navighi negli anni, da ben prima della rete, nell’immaginario collettivo. E lo voglio ringraziare per il suo lavoro paziente.
Perché se è vero che la rete diffonde viralmente notizie ingovernabili che, a furia di ripetersi e propagarsi, si “autoavverano”, è altrettanto vero che la rete è anche un posto dove si può invertire la rotta, fare analisi testuale, ricerca, indagine. E per questo il lavoro di Carlucci merita visibilità.

I versi di Niemöller “brechtizzati” sono indiscutibilmente suoi, anche se nel mio profondo contineranno ad essere sia di Niemöller che Brecht. Perché sono, soprattutto, di tutti noi.

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23 Commenti

  1. Caro Gianni, grazie per aver segnalato la mia sgangherata indaginetta. Chissà mai che qualche lettore di NI non rilanci sul piatto elementi nuovi, auspicabilmente clamorosi.

    Dopotutto manca ancora da acclarare il punto fondamentale (probabilmente inacclarabile, visto che questo genere di fenomeni, come le leggende metropolitane e le barzellette, hanno costituzionalmente natali oscuri) del punto esatto di aggancio tra Brecht e il testo di Nimoeller.

  2. I versi di Niemoller (perdonate la o senza dieresi, ma non riesco a trovarla sul mio pc!) che, confesso l’ignoranza, non conoscevo mi hanno colpita moltissimo nella loro meravigliosa e terribile semplicità. Mentre sentivo un brivido lungo la schiena mi è passato davanti agli occhi in una serie di flash il quadro devastante e devastato di questo nostro Paese: Berlusconi che annuncia l’uso della forza per aprire una discarica senza che gli accertamenti tecnici e ambientali siano conclusi mentre afferma che le indagini della magistratura sono un ostacolo alla risoluzione del problema immondizia, bande di personaggi inquietanti che si fanno giustizia da sole, immigrati che vengono trascinati giù dagli autobus per “controlli”, gay malmenati solo perchè esistono, la lettera di una ricercatrice italiana che vive all’estero e scrive al Presidente Napolitano dello sgomento che prova nel vedere così ridotto il suo Paese e si potrebbe continuare a lungo. E’ proprio vero che le parole non invecchiano quando contengono verità incontrovertibili. Grazie a Gianni Biondillo per averci ricordato questi versi bellissimi: forse dovremmo farci fare delle magliette con i versi stampati per dare modo a queste parole, che non sono solo parole, di circolare con il fine di svegliare le coscienze di chi ancora crede che non sia tutto perduto, perchè non accada che quando verranno a prenderci non ci sia più nessuno a combattere.

  3. ottima precisazione, Gianni. Posso aggiungere, in questo clima filologico, che o scrivi BERTOLT BRECHT, come tutti lo chiamarono, oppure, com’era il suo nome originale, Eugen Berthold Friedrich Brecht. In ogni caso “Bertold” non va bene. Ciao.

  4. intanto grazie a Luca.
    Poi una piccola considerazione sull’approssimazione della rete.
    Il 21 maggio cercai su google il testo di questa poesia con la chiave: “Prima vennero a prendere” e le voci che comparivano l’attribuivano tutte a Brecht, tranne una che la riconosceva a Niemöller. Dieci giorni dopo la situazione é ben diversa.

  5. In questa clima filologico posso solo aggiungere, come vero e proprio scoop, questo essenziale aneddoto: quando Berthold venne a Milano nei favolosi anni 50 (nel 56 per la precisione), fonti molto ben informate mi riferiscono, assai confidenzialmente, che egli, andandone letteralmente pazzo, si portò, al ritorno in DDR, una cospicua scorta di panettoncini Motta formato mignon, che divorava avidamente scartandoli dal delizioso involucro azzurrino che riproduceva in tutto e per tutto, ma in scala ridotta, la confezione di quello senior, compreso il piccolo cappio di filo dorato in cima.

    .\\’

  6. è una sensazione piacevole; ancora più particolare credo sia quella di ritrovare in un autore una frase che sembra così naturalmente appartenere, descrivere la realtà di un altro senza che possa esservi nesso (almeno cronologico) tra i due. Sicuramente si tratterà di un mio abbaglio ma nel verso di Baudelaire “Sono bella, o mortali!, come un sogno di pietra”, anche se troppo aulica, ho visto in quel “sogno di pietra” tutta una stagione di Camus

  7. Orsola,

    E lo capisco bene! Spero gustare in agosto i panettoncini.

    Tornando al posto, le parole hanno una lucidità bella. Parla di vigliacca, di silenzio, di indifferenza. Non è il caso in Italia, ci sono molti articoli e blog che sottolineano i fatti gravi, che sia a Napoli, Roma o altrove.
    E la differanza con gli anni trenta: per fortuna c’è una presa di coscienza più grande del razzismo.
    E’ importante trasmettere con l’educazione, la riflessione.
    Quando parlo di Anne Frank in classe, c’è un silenzio, un rispetto.
    Fra qualche tempo, con i miei “piccoli” (undici anni) uno ha detto: ” Ciascuno nel suo paese, è meglio.” Allora tutta la classe ha parlato per fare capire al piccolo ( che ripeteva parole sentite in famiglia) che francesi hanno spesso nonno o nonna straniero ( nella regione: polacchi, belgi, italiani, portoghesi…) E’ una ricchezza scoprire altra cultura.
    Per un paese è una fortuna.

    Per esempio nella letteratura francese, molti autori hanno origine straniera. Penso che una persona che viene da un altro paese: è una speranza, perché dà la sua lingua, la sua sensibilità artistica, , il suo talento.

    Il lavoro deve si fare con la giovinezza.

  8. Salve,

    leggo da poco Nazione Indiana. A quali versi vi riferite??? Per uno che inizia a leggere è piuttosto chiaro, anche grazie ai link, quale sia la querelle. Ma i versi sono quelli presenti su Wikipedia?

    Grazie

  9. Ah, scandalosa Orsola: è bastata una e-mail di verifica alla Motta per scoprire che i panettoncini estraniati eran di marca G. Cova.

  10. Carlucci le mie fonti confermano Motta. Inoltre il panettoncino Cova, in quegli anni la pasticceria chic dei milanesi, ora un po’ decaduta forse, era roba da sciuri, a cui BB era contrario per principio, un lusso da borghesi, il più proletario Motta lo gustava senza eccessivi sensi di colpa verso il popolo.
    Quelli della Motta di sicuro negano perchè avere un comunista fra i propri clienti era cosiderato disdicevole allora e temo anche oggi.
    Corsi e ricorsi della storia.

    ,\\’

  11. un amico d’infanzia di Caserta mi confessò che quando emigrò a MIlano negli anni settanta per lavorare alla Motta, tutte le volte che c’erano tensioni con il padrone loro, operai, sputavano dentro ai panettoni. Per fortuna ciò accadeva negli anni settanta, altrimenti il mio amico sarebbe assai dispiaciuto di sapere che aveva, probabilmente, sputato in faccia a Bertolt Brecht (autore peraltro a lui noto)
    effeffe

  12. Non so finalmente se gusterai i panettoni…
    La storia che racconta effeffe mi ha fatto sorridere, ma mostra che gli operai non hanno veri mezzi di rivoltarsi.
    Mi rammento un film 36 degrés le matin (credo) con Béatrice Dalle: è cameriere in una pizzeria. Una sera un coppia di clienti umilia Betty (la cameriere) . Allora nella cucina, invece di una fresca pizza mette cose schifose. Amo molto questo film, perché mostra un amore forte e che la società rovina i sogni.

    PS faccio un giro a Milano (18 agosto : arrivo / 22 agosto: parto) Se ci sono amichi indiani…

  13. Ciao, Biondillo! Oggi, una recensione al tuo ultimo libro, su un giornalaccio, “Il Foglio”, o “Il Soglio”, non ricordo bene…

  14. Gianni, una testata decisamente meno (molto meno, anzi per niente) ripugnante e nauseabonda del “Foglio”, “Liberazione”- “Qeer” segnala oggi l’ultimo tuo libro…

  15. All’intervento pubblicato da Gianni Biondillo sul “Sole 24ore” di oggi, 15 giugno, con titolo “Milano, apri le finestre” risponde, indirettamente Giacomo Borella, “L’Expo delle follie”, in “Lo Straniero”, n. 96 (giugno 2008): “Milano è da alcuni anni l’epicentro del virus dell'”eccellenza”. Questo virus megalomane si è propagato a macchia d’olio nel discorso pubblico e mediatico, intossicando in modo trasversale con la sua retorica ogni ambito della comunicazione politica, amministrativa, universitaria, giornalistica, sanitaria, architettonica, perfino gastronomica. Ciò che rende difficile da sopportare l’epidemia retorica dell’eccellenza è il fatto che essa cresce in rapporto di diretta proporzionalità allo scadimento della vita di ogni giorno nella regione metropolitana milanese, all’indecenza che caratterizza la progettualità nella dimensione quotidiana e ordinaria di molta parte delle istituzioni e della citadinanza…”.

  16. Giorgio, ho acceso solo ora il computer, e mo’ come faccio? Dove lo trovo un giornalaio aperto? Sul sito, poi, di Liberazione, mancano proprio le pagine delle recensioni! Uff…

    L’intervento di Borella che tu mi citi, comunque, mi sembra in continuità con quello che dico, no? (comunque fra qualche giorno lo metto su NI).

  17. Se clicchi su “Queer”, all’interno del sito di “Liberazione” trovi anche la recensione che ti riguarda

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gianni biondillo
gianni biondillo
GIANNI BIONDILLO (Milano, 1966), camminatore, scrittore e architetto pubblica per Guanda dal 2004. Come autore e saggista s’è occupato di narrativa di genere, psicogeografia, architettura, viaggi, eros, fiabe. Ha vinto il Premio Scerbanenco (2011), il Premio Bergamo (2018) e il Premio Bagutta (2024). Scrive per il cinema, il teatro e la televisione. È tradotto in varie lingue europee.
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