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“Un’altra vita non viene” di Nadia Agustoni

 

 

se è luce solo la luce
 

se è luce solo la luce plebeo il buio mi puniva
e il dovere sembrava vita scuotevo le mani facevo come l’aria
“lo stesso vento”, morivo uguale
a te parlavo nuova, come fosse il caso a dire non c’è vivere
“non è capace, nessuno di noi, neanche a far ombra
a un altro” e cadendo ci rialziamo somigliando a chi
scese al bisogno, alla pena o era fedele al mondo,
“è piccolo il mondo e tu non sai che si nasce grandi,
ci rimpiccioliamo di paura quando il cane abbaia, ci stana
come gli uccelli e una freccia di cartone indica la via del cielo,
come siamo o la tua casa”.

 

 

un’altra vita non viene
 

corti i pensieri e nella pupilla una macchia più scura,
scoppiano d’aria i soffioni, una rana si gonfia, goffa,
gli occhi smisurati a vederci e l’erta s’apre di verde,
scende una brezza, va al contrario la vita, le cose che speriamo
si fermano, spacchiamo melograni, la buona fortuna in chicchi rossi
imbratta la lingua e nel palato una fiacca ingrippa le parole
cadono fuori lo stesso di sputi e sembrano acerbe:
non c’è nascere un’altra vita non viene avremo colpe se colpe sono
e imperfetto il tempo, secco il male che tiene le parole.

 

miracolo d’insetto
 

fredda la pazienza con magra esattezza
sdegna il trapasso e liturgico il caso completa un giro
e un altro comincia, imprecando faccio mia la paura,
sono l’insetto che sul vetro batte e chiede miracolo alla luce
e vede capovolto il mondo.

 

è questo che c’è
 

è questo che c’è “i giorni come sono, non sapere il tempo,
il peso dei forse, una stanchezza che non congeda”…
e solo questo è rimprovero “i gesti sulle crepe, averti nelle mani
lo stesso che bolle d’ortica”, ma il tuo nome scansa le parvenze,
il cinismo del dire e non dire e penso che a noi basti una certa misura
e essere tra i vivi con questa certezza.

 

a mente

a mente mi rubo i pensieri che ho in mente
a mente so di mentire a me smentendo che la vita
sia nelle frasi o si esageri e grancassa inscenando
ci volti schiena e destino e nell’occhio la pagliuzza
faccia trave e ci scenda come a compiere volo
come ai sensi complicando come a scommessa rallegrando
e sia fuoco fuocherello fuochino quando i muscoli
han ballo di san vito e grezzo il cuore pompa
non più sangue ma grumetti rossi
e un bozzolo di seta è la bocca delizia il rutto.

 

soffiando sulla pietra
 

di terra l’asciutto distacco ripeti e stanze vuote
e finestre d’aria in mente si aprono, forse per sempre
non saprai altro e soffiando sulla pietra non sul fuoco,
c’è un vuoto, una buca grande e nell’oscurità dei rami
le foglie mutano il necessario perché io veda e accechi l’errore.

 

leggo kavafis
 

leggo kavafis e pare spino l’anelito
la pazienza avanza parole, si macera
il ritardo dell’ora sugli scuri nella vita
e i pensieri assommano il fare domestico, un solco
di paure i si e no e in due si canta la scommessa del due:
il giovane più bello e l’occhio che fruga leggero un fazzoletto
la vena azzurra nel polso, il polsino bianco, che immagino…
gioca una finta l’uno e l’altro finge anche lui ma perdona
la frase scesa al sereno dei gesti, il pomeriggio che i cortili
hanno oracoli e si tradisce su e giù la palpebra
si fa poco la voce e il desiderio è un estraneo
può divinare il silenzio, una lingua assurda, un nome
che non importa ma importava “ passano le cose,
chi ha creduto in una città leggeva le tombe, tutta a mente
alessandria si biforca, lo stesso dei vicoli l’andare,
la memoria in alfabeto di greci”.

 

[ da I libri di lettura ]

 

[ Iris, V. Van Gogh, 1888, olio su tela, 71 × 93 cm, Los Angeles, Paul Getty Museum ]

 

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12 Commenti

  1. Sono -queste sette- tra le poesie più belle di Nadia Agustoni, fra quelle che ho letto.
    Mantenere l’ amoroso mentre “un’altra vita non viene” e pur “in due si canta la scommessa del due” esige una disciplina d’essere che non arriva mai all’essere stesso, e anzi ne implica una sorta d’implosione. “Toccare” -fisicamente- il proprio desiderio farà allora tutt’uno con il “non sapere il tempo” e disporsi a quella “lingua assurda” che ci spossa e ci spossessa, e che non è più la comune casa del linguaggio. Mentre cose e parole sono sull’orlo della dispersione, e “una fiacca ingrippa le parole”, Nadia le trattiene con uno sforzo che è sempre l’ultimo sforzo di “una stanchezza che non congeda”. Ho rubato le parole di Nadia, infatti, per dire proprio questo: espropriate/i, esposte/i alla Stanchezza, tuttavia restiamo.

  2. “i gesti sulle crepe, averti nelle mani
    lo stesso che bolle d’ortica”, ma il tuo nome scansa le parvenze,

    ottima musica, Nadia, grazie Orsola.

  3. [di grazia con grazia grazie ai grazie]

    mi lega qualcosa di profondo e condiviso agli spigoli ed alle immagini rotonde di Nadia
    soffioni, melograni, ortiche, cortili e crepe ed anche rutto che siano

    ,\\’

  4. il così è che si trasfigura, il tathagata, la presa d’atto, il filo conduttore di neuroni, corpo e parola assemblati tel quel, molto riuscite, Nadia, un abbraccio, Viola

  5. Ho aspettato due giorni, ho cercato.

    Ma dove ho già sentito questa voce?

    Poi, alla fine, ho ricordato:

    “Questi infatti tutto trascinava con l’incanto che sgorgava dalla sua voce”.

    [AESCH. *Agam*. 1629.]

    E, poi, ancora, del tutto cosciente di se stessa:

    “secco il male che tiene le parole”

    e delle cose: infatti

    *identifica* […] *il destino con il logos che produce tutte le cose dal concorso degli opposti*.

    AET. I 7, 22 [*Dox. 303].

    E perché, cinica:

    *[…] non dice né nasconde, ma indica*.

    (I PRESOCRATICI, Laterza, 1975).

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orsola puecher
orsola puecherhttps://www.nazioneindiana.com/author/orsola-puecher/
,\\' Nasce [ in un giorno di rose e bandiere ] Scrive. [ con molta calma ] Nulla ha maggior fascino dei documenti antichi sepolti per centinaia d’anni negli archivi. Nella corrispondenza epistolare, negli scritti vergati tanto tempo addietro, forse, sono le sole voci che da evi lontani possono tornare a farsi vive, a parlare, più di ogni altra cosa, più di ogni racconto. Perché ciò ch’era in loro, la sostanza segreta e cristallina dell’umano è anche e ancora profondamente sepolta in noi nell’oggi. E nulla più della verità agogna alla finzione dell’immaginazione, all’intuizione, che ne estragga frammenti di visioni. Il pensiero cammina a ritroso lungo le parole scritte nel momento in cui i fatti avvenivano, accendendosi di supposizioni, di scene probabilmente accadute. Le immagini traboccano di suggestioni sempre diverse, di particolari inquieti che accendono percorsi non lineari, come se nel passato ci fossero scordati sprazzi di futuro anteriore ancora da decodificare, ansiosi di essere narrati. Cosa avrà provato… che cosa avrà detto… avrà sofferto… pensato. Si affollano fatti ancora in cerca di un palcoscenico, di dialoghi, luoghi e personaggi che tornano in rilievo dalla carta muta, miracolosamente, per piccoli indizi e molliche di Pollicino nel bosco.
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