D’altra parte anche una parte del pubblico non ne può più, questa è la mia sensazione, di essere trattato come un consumatore onnivoro e indifferente.

di Biagio Cepollaro

Un ciclo di incontri presso La Camera Verde per questa edizione del Tiresia.

A Giuliano Mesa La Camera Verde dedica un ciclo di incontri.
Non si tratta di una rituale presentazione ma dell’avvio di un dialogo ‘vivo’ tra testo, autore e lettore.
Un dialogo che si approfondisce nel tempo e che chiama a reagire poeti e critici disposti a mettersi in gioco, a porre e a rischiare la propria esperienza e il proprio gusto nel campo di attrazione di una poesia tra le più significative degli ultimi decenni. Prospettive diverse da cui leggere l’opera ma anche possibilità di verificare tali prospettive grazie alla presenza di Mesa, tanto aperto ad accogliere i diversi apporti quanto rigoroso nel rigettare fraintendimenti.

Gli incontri con l’autore sono previsti alle ore 20.00 di mercoledì 21 maggio, 4 giugno, 11 giugno, 18 giugno e 25 giugno con la presenza di volta in volta di Marco Giovenale, Bruno Torregiani, Andrea Raos, Luigi Severi, Florinda Fusco, Andrea Inglese e Francesco Forlani.

Ritengo il ciclo di incontri dedicato ad un autore, anche come formula, un segnale mandato da Semerano relativo alla necessità che vi è di ‘fermare’ ciò che vale la pena di ‘fermare’, una sorta di antidoto al flusso di informazioni che costituisce la comunicazione sociale e, in particolare, un’alternativa possibile al rumore che confonde e distrae.
L’adozione di questa formula oggi è coraggiosa perché richiede dai partecipanti e dal pubblico concentrazione e profondità di approccio.
D’altra parte anche una parte del pubblico non ne può più, questa è la mia sensazione, di essere trattato come un consumatore onnivoro e indifferente.
In fondo la scommessa è di riuscire a far incontrare le ragioni profonde della poesia con le ragioni profonde della lettura…

Non posso che salutare con gioia questa iniziativa e riproporre una parte del Tiresia, a cui fanno seguito alcune mie brevi frasi di commento.

V. necromanzia. Οι αταφοι, Massengräben

dov’è sommersa dalla neve, le coltri,
là, dove la terra è bruna, tersa, senza solchi,
sulla soglia, prova a chiamare là, chiamare,
sentendo soltanto la tua voce, che chiama,
sotto le coltri, sotto
la neve luccicante,
sotto la terra nera,
chiama fino a sfinirti, a gemere.
non torneranno più, se non in sogno, insonni,
se non laggiù, la loro requie, dove?
le ombre vagheranno, qui, miriadi,
ancora a brulicare, loro,
cercando il loro nome.
e porti il latte, e il miele?
il vino dolce, la farina d’orzo?
non puoi nemmeno sentirli sibilare,
quel loro gracidare, lo sfrigolìo, l’affanno,
il mormorìo che fanno facendosi terra,
non senti, senti gracchiare il corvo,
che vede ritornare, l’ombra,
sulla neve, di un’altra luna gialla.
taci. porta le mani al viso, riannoda i tuoi capelli.
ancora non hai còlto il tuo narciso, e il croco già fiorisce.

Giuliano Mesa da Tiresia

Sono versi che ridanno alle parole il loro peso specifico perché, liberatole dall’eco del chiacchiericcio, le immergono nelle vicende umane fino a farne un distillato, attiguo alla musica da un lato e al silenzio dall’altro.
Qui il lavoro della dimensione fonico-ritmica è sempre necessitante, non perde mai di vista la traccia sotterranea di ciò che non si può dire ma che pure viene significato dall’intensità del taciuto. È il dire possibile di fronte e dentro l’orrore.
Un dire che non collabora ma che per restare altro si assottiglia fino a ridursi ad elementi semplici, gesti del dire, come quando dell’umano i resti rintracciabili sono ormai queste invocazioni, richiami senza risposta.
Tale essenzialità richiede una grande disciplina che non è solo letteraria ma soprattutto umana. Solo la struttura etica del chi dice può rendere necessaria la parola e, a parità di sapienza tecnica, tale struttura etica fa la differenza.
Le opere che meritano di essere ricordate, a mio avviso, sono proprio le opere che hanno questa doppia caratteristica che si risolve nella miracolosa sintesi della scrittura veramente riuscita.
Centro Culturale
»LA CAMERA VERDE«
Via Giovanni Miani, 20, 20/a, 20/b – 00154 Roma
Cell. 340 5263877
e-mail: lacameraverde@tiscalinet.it

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5 Commenti

  1. Sarebbe bello spostare questi cicli anche al Nord!
    Saluto anche io con gioia questa iniziativa
    e complimenti a Giuliano Mesa

  2. Troppi poeti, poetessi, poetesse, poetastri in giro. Per ogni lettore vi sono mille poetessi, imbrattacarte, peti, etc. Ogni minuto nasce un p (o) etino; ogni secondo viene proclamato il poeta del momento, del secolo, del millennio (che dura, poi, mezza giornata). Si sfogliano antologie, raccolte, collettivi, plaquette, fogli volanti e ansiosi cerchiamo la Titina (Gabriella Ferri) ma la Titina sfugge…

  3. Meglio chiarire: non mi riferivo ai poeti della rassegna della “Camera Verde”. Naturalmente. Il mio era parte di un discorso (sempiterno) su un andazzo italiota, il “pubblico” della poesia, etc.
    Giuliano Mesa, ad esempio, meriterebbe ben più attenzione e riconoscimento.
    Francesco Forlani e Andrea Inglese sono stati appena ospitati a Ischia (l’ex isola verde). Biagio Cepollaro è stato intimo della mia amica Amelia Rosselli…

  4. E’ una magnifica iniziativa: fermare lo sguardo. Come dice Giorgio di Costanzo, Giuliano Mesa merita riconoscimento.
    Ho scoperto Giuliano Mesa grazie a una traduzione di Andrea Raos e Eric Houser in Action poétique.
    La poesia che mi ha sconvolta è le bambole di Bangkok.
    I frammenti del corpo (in miniatura) delle bambole (bambina) sono descritti nella divorazione del rogo.
    La bellezza del mondo muore nell’urlo ultimo.
    La bambola, specchio della meraviglia del bambino diventa oggetto del terrore: olocausto.
    Restano le parole, conchiglie di fuoco, sempre sospese tra l’urlo della scrittura e l’ascolto del lettore, lettore entrando nella fabbrica, conoscendo tra le parole l’infierno fabbricato dalla società.Restano le parole nell’ultimo fuggire.
    La poesia raggiunge qui la dimenzione essenziale della conoscenza.
    Il poeta cattura lo sguardo delle “bambole” colto dalla paura di morire.
    E’ una testimonienza che rimane nell’anima del lettore. Si sente l’impronta viva, l’emozione, l’indignazione.
    La poesia è allora il luogo dell’alarme, un grido di umanità nel mondo selvatico della schiavitù.
    Una memoria degna per bambini sacrificati.

  5. sono d’accordo con l’idea che, se funziona, questa formula dovrebbe essere esportata…la casa della poesia di milano, per esempio.

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