Dossier: Israele paese ospite della Fiera del libro di Torino. Lettera aperta di Yitzhak Laor
(Il seguente testo va ad integrare il dossier dedicato alla dissidenza intellettuale in Israele. Di esso fanno già parte alcuni pezzi postati su NI – qui ,qui e qui
Dossier a cura di Francesco Forlani, Lorenzo Galbiati, Daria Giacobini, Diego Ianiro, Andrea Inglese, Fabio Orecchini.
La Fiera del libro di Torino e la buona vecchia Europa
Una lettera aperta di Yitzhak Laor
Cara amica, il nostro problema qui, in quanto israeliani contro l’occupazione, è un problema concreto con i nostri vicini concreti, quelli che tornano a casa dopo avere prestato servizio ai blocchi stradali e avere trattato esseri umani come animali: diventano fascisti attraverso la pratica – ossia attraverso il servizio militare – e solo poi fascisti ideologicamente. Questo non preoccupa la sinistra filo-israeliana in Italia. Tu sostieni che la sinistra italiana non avrebbe trattato un boicottaggio del Sudafrica nel modo in cui sta trattando qualunque proposta di boicottaggio di Israele. Ma la cosa è più semplice: pensa alla sinistra italiana durante la prima guerra del Libano e paragonala alla sua posizione attuale. Non è l’occupazione a aver cambiato natura. È l’Europa occidentale che è cambiata, che è tornata al suo vecchio modo di guardare i non-europei con odio e disprezzo.
Nell’immaginario della sinistra italiana, i palestinesi hanno perso lo «status» simbolico di cui godevano un tempo (la kefia al collo di decine di migliaia di giovani italiani, ad esempio) e sono passati nell’hinterland dell’Europa: dove gli americani possono fare quello che vogliono, e l’avida Europa, come sempre, si schiera dalla parte dei più forti. I palestinesi sono ancora una volta solo degli arabi che sanguinano, e il sangue arabo – proprio come in passato il sangue ebraico – vale poco. Si potrebbe riassumere il cinismo dell’attuale scena italiana citando Giorgio Napolitano, quando ha fatto riferimento a una vecchia discussione che ebbe nel 1982 a Torino con l’allora comunista Giuliano Ferrara. Riflettendo sulla posizione del Pci sul massacro di Sabra e Shatila, Napolitano, che sarebbe poi diventato Presidente, ha detto: «Per quanto riguarda una determinata persona (Giuliano Ferrara), ricordo solo che egli si faceva promotore di una causa (la causa palestinese nel 1982) che nel Partito godeva di una qualche popolarità ma che non ci avvicinava per nulla alla presa del potere». Machiavelli avrebbe dovuto incontrare sia Ferrara che il Presidente italiano per un drink sui fiumi di sangue palestinese.
Ma il cambiamento di posizione della sinistra italiana ha molto poco a che vedere con la propaganda israeliana, anche se la Fiera del libro di Torino rientra anch’essa nella propaganda israeliana. Concentriamoci per un momento su questa fiera, a titolo di esempio. Abbiamo a che fare con la Cultura, che è sempre la «coesistenza» di affari (delle case editrici, ad esempio) con il razzismo implicito degli «amanti della Cultura», cultura che è sempre puramente occidentale (cristiana o «secolare»). Gli israeliani in questo contesto sono gli «eredi della buona vecchia Europa», mentre gli arabi, naturalmente, non sono ammessi in questa cultura. In breve, la xenofobia italiana ha anche un volto umano: la Fiera del libro di Torino. Il nostro stato, che da 41 anni sta privando un’intera nazione di qualunque diritto se non quello di emigrare, viene celebrato dalla Cultura. Bene, questa è l’Europa – dopo tutto, la stessa Europa che noi e i nostri genitori abbiamo conosciuto: la Cultura è sempre stata la cultura dei Padroni. Il dibattito sulla Fiera del libro può dimostrare come la sinistra, un tempo la più sensibile d’Europa verso la causa palestinese, sia diventata la più cinica sinistra filo-israeliana. Ha perso il suo orizzonte politico, e in questo vuoto ideologico ciò che si è realmente verificato è il ritorno del Coloniale. È questo il contesto storico in cui va letta l’estinzione della nazione palestinese, celebrata attraverso il 60° anniversario di Israele. L’Europa si sta espandendo fino a includere Israele, come «isola di democrazia», di «diritti umani».
Non dobbiamo dimenticare che la sinistra italiana non ha mai attraversato un processo post-coloniale. Ha fatto tutta la strada dalla retorica anticolonialista degli anni ’70 all’attuale «ansia» coloniale per «i nostri fratelli ebrei là nella giungla, tra i selvaggi». Mamma li turchi!
Cara amica, non possiamo dipendere dagli europei, nonostante pochi coraggiosi. Guarda, i nostri soldati sono tornati a casa e dai loro scarponi il sangue cola in salotto. Imparano presto nella vita a ignorare le lacrime delle madri. Prima di compiere vent’anni sono già crudeli come cacciatori di teschi. Lo ammetto: dovevo scrivere questo pezzo per il Manifesto, ma mi sono rivolto a te, perché non riesco più a rivolgermi agli europei direttamente, chiedendo loro di pensare ai palestinesi rinchiusi come animali nei loro ghetti, al vento e alla pioggia. E gli anni passano.
* scrittore israeliano
(traduzione Marina Impallomeni)
PS:
Shabtai il 14 sarà anche ad Aversa.
Verrà presentato il suo libro “Politica” edito da Multimedia
Mercoledì 14 Maggio 2008 ore 18.30
Libreria “Quarto Stato” Casa della Poesia Fresco di Stampa
in Via Magenta 78/80, Aversa
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Da non perdere: video intervista agli ebrei contro l’occupazione in manifestazione a Torino contro la Fiera del Libro.
http://www.rete-eco.it/gruppi-ebraici/rete-eco/1-rete-eco/1571-prova.html
E’ difficile trovare qualche brandello di ragionamento logico in questo scritto. Distribuisce patenti di fascismo con la stessa leggerezza con la quale Vattimo distribuisce quella di nazista e assegna all’intera Europa uno sguardo di odio e disprezzo verso il resto del mondo perché l’Europa stessa non condivide la sua posizione sul problema della Palestina. Non c’è dialogo qui, non c’è discussione, una sola posizione è quella rispettabile, quella di Yitzhak Laor, il resto è fascismo, odio, disprezzo. Quindi l’interesse per la cultura israeliana alla Fiera del Libro 2008 diventa automaticamente razzismo nei confronti della cultura araba (che logica sopraffina, l’anno prossimo ad esempio sarà al centro della Fiera la cultura egiziana e questo indicherà un automatico disprezzo per la cultura, che ne so, sudamericana) e il mancato boicottaggio della medesima diventa in automatico un rigurgito di colonialismo.
C’è poco da discutere qui, nulla si cui riflettere.
I fasciocomunisti alla riscossa
In Italia i fasciocomunisti sono una minoranza anche se rappresentano una pericolosa quinta colonna del fondamentalismo islamico. Li unisce l’avversione per l’ebreo americano, il ‘sionista’. Il boicottaggio ai danni di Israele è allarmante perché indica un fenomeno politico che si sta radicalizzando: la deriva antisionista del movimento antagonista, dei centri sociali e dei partiti e partitini dell’estrema sinistra rimasti fuori dal parlamento (da settori dei Comunisti Italiani a Sinistra Critica). Più che antisionismo Faremmo meglio a chiamarlo per nome, antisemitismo. Vedremo perché.
Certamente non va sottovalutato il radicamento politico dei movimenti neonazisti diffusi sul territorio italiano. Pensiamo alla rapidità con cui due degli assassini di Verona hanno cercato di trovare asilo a Londra, una delle maggiori piazze europee del neohitlerismo. C’è una rete di pazzoidi con la svastica tatuata nel cervello che minaccia periodicamente la nostra sicurezza. L’Operazione Odessa, lanciata qualche tempo fa dalla Digos di Bolzano, la smantellato un gruppo di naziskin che picchiavano ebrei e italiani. Se ne andavano in gita a Dachau per gridare Sieg Heil. Sembra che questo ripugnante “Turismo dell’Olocausto” stia fiorendo. Stessi problemi in Veneto, i funzionari della Digos parlano di “bullismo con la testa rasata”. Gli assassini di Verona appartengono a dei gruppi tribali, prepolitici, roba da “boot party”, insomma, menare le mani tanto per fare qualcosa. Negli stadi questi perdenti radicali sono almeno ventimila e hanno dichiarato guerra alle forze dell’ordine. L’Italia, come gli altri Paesi dell’Europa Occidentale, negli ultimi anni ha visto salire il numero degli atti di stampo neonazista. Ambienti del cosiddetto ‘antagonismo padano’ non sono immuni da questo genere di intimidazioni, come ha dimostrato il volantinaggio antisemita all’Università Cattolica di Milano. Le democrazie occidentali hanno anticorpi sufficienti per reagire a questa genere di xenofobia, infatti è un razzismo che conosciamo bene e sappiamo anche quant’è contraddittorio. Le nuove camicie grigie rivendicano nello stesso tempo la bontà dei forni crematori e negano l’esistenza dei campi di concentramento attribuendoli a un’invenzione dell’internazionale ebraica. In Inghilterra molti di loro, dopo un sano passato da squadrista, si sono convertiti all’Islam radicale.
Ma c’è un antisemitismo di sinistra che è frutto di una elaborazione teorica più complessa e meno avvertita. Negli Stati Uniti conta anche intellettuali e personalità del mondo ebraico, come quell’ispettore delle Nazioni Unite a Gaza – insegnante di diritto internazionale all’università – che recentemente ha paragonato lo Stato di Israele alla Germania Nazista. In Italia, con il boicottaggio al Salone del Libro di Torino, si è definitivamente compiuto lo slittamento dell’immagine dell’ebreo nella percezione della sinistra extraparlamentare: dallo stereotipo dello ‘sporco capitalista’ all’astrazione del ‘sionista’ in cui antisemitismo e antiamericanismo si fondono in un unico rigurgito antidemocratico.
I fasciocomunisti under 30 sono diversi dai loro nonni, hanno dimenticato per chi è stata combattuta la Seconda Guerra mondiale. In passato l’ex Partito Comunista aveva cristallizzato l’immagine dell’ebreo come compagno e ‘vittima’ nella lotta antifascista, spogliandolo delle sue diverse forme identitarie che non coincidevano per forza con l’orrore della Shoah e assimilandolo a questo o quel progetto politico legato alla storia del nostro Paese. Più tardi D’Alema avrebbe sostenuto che la comunità ebraica internazionale doveva svolgere un ruolo di vigilanza critica nei confronti dello stato di Israele riducendo in questo modo le differenti anime del mondo ebraico alla propria strategia politica contingente.
“L’Unità” ha scritto che Fini soffia sul fuoco della contestazione per giustificare una repressione torinese in salsa genovese ma ci saremmo aspettati un’autocritica più calzante che a sinistra purtroppo non arriva mai. Magari un editoriale sui risultati della politica propalestina portata avanti negli ultimi decenni, dall’infatuazione per un terrorista nativista corrotto e accentratore come Yasser Arafat – diventato un’icona del movimento rivoluzionario internazionale – alla sostanziale legittimazione dei fondamentalisti di Hamas. Per cui, paradosso dei paradossi, quegli stessi fasciocomunisti che impediscono al Papa di parlare alla Sapienza poi vanno a braccetto con un movimento religioso integralista e militarizzato che paragonare a Comunione e Liberazione sarebbe un affronto al cattolicesimo postconciliare.
Quello che manca a sinistra è soprattutto un’idea nuova sull’assetto internazionale emerso dopo l’11 Settembre. Una visione più approfondita della realtà. In compenso abbiamo gli slogan, le mistificazioni, le assurdità, fino a operazioni più sottili di manipolazione come accade nei licei e nelle università dove la Kefiya rivoluzionaria continua a essere brandita senza accorgersi che a Gaza c’è un gruppo di assassini che se ne fottono altamente dei palestinesi. Tanto si sa, i Kassam sono missili giocattolo che i miliziani di Hamas tirano solo per fare casino (andate a raccontarlo a chi se li è trovati in casa). Questa e altre distorsioni hanno determinato il passaggio dalla figura dell’ebreo ‘vittima della Shoah’ a quella del ‘sionista americano’, capitalista, colonialista e imperialista.
Lo stereotipo che affascina i fasciocomunisti è un riflesso condizionato della propaganda jihadista contro l’Occidente. Il cliché del sionista torna nella ideologia neonazista, tra i neofascisti nostalgici dell’Eurabia medievale, in certo fondamentalismo preconciliare cattolico e marcionista, negli ambienti più radicali del protestantesimo, in una confusione che ha come cappello simbolico internet e le sue periferie sconfinate. Perché il sionismo non è più quello storico, il movimento di autodeterminazione che diede vita allo Stato d’Israele (autodeterminazione non era una parola d’ordine di sinistra?), ma un’astrazione che ha una presa fortissima nella nostra società. Per costruire un nemico basta la cospirazione ‘sinarchista’. I fasciocomunisti vivono in una “meta-realtà” in cui l’unico comune denominatore è il linguaggio antisemita e le sue secolari concrezioni e incrostazioni storiche.
Secondo il Forum Palestina il governo israeliano è sempre stato complice dei “circoli sionisti e oltranzisti che ne determinano le scelte strategiche”. Per il CSOA Askatasuna lo Stato di Israele è uguale alla Birmania ed è “reticente” sulle cause storiche della Guerra del ’48. Il revisionismo è una caratteristica della ‘storiografia’ fasciocomunista che nei volantini, nei suoi comunicati e dispacci, si caratterizza essenzialmente come una critica del sionismo, cioè, lo ripetiamo, di un movimento di autodeterminazione uguale a quelli che la sinistra ha sempre esaltato, dai baschi ai curdi ai palestinesi stessi. Gli ebrei no, dopo che l’URSS identificò Israele come una propaggine del capitalismo yankee il wilsonismo è stato messo in soffitta e nessuno ricorda più la Società delle Nazioni.
Valerio Evangelisti è uno scrittore di culto della sinistra antagonista. Un romanziere bonelliano che ha creato antieroi di successo ispirati alla Santa Inquisizione (te pareva). Sul blog “Carmilla”, che si è dissociato, Evangelisti ha scritto che la storia dei governi di Israele successiva al 1948 non è gloriosa, malgrado l’epica che le è stata costruita sopra. “Da ragazzino fui ingannato anch’io, e credetti che la Guerra dei Sei giorni fosse stata combattuta dal Davide Israele contro un Golia rappresentato dai paesi arabi aggressori. Persino questa realtà un tempo certa appare dubbia”. Capito? Sappiamo che Libano, Siria, Iraq, Transgiordania ed Egitto avevano invaso il neonato stato israeliano riducendolo sulla costa del Mediterraneo. Che gli ebrei stavano per essere ributtati in mare. Cinque stati contro uno e restano ancora dei dubbi.
Lo scrittore si chiede chi ha cominciato, tra arabi e israeliani, rispondendosi che il “terrorismo palestinese” (virgolettato) nacque verso il 1968, “venti anni dopo il terrorismo israeliano sui palestinesi e lo svuotamento della Palestina dalla sua popolazione originaria”. Quando parla di terrorismo israeliano (senza virgolette) per caso Evangelisti ha in mente l’Haganah, l’Irgun, la Brigata Ebraica o la Banda Stem? Perché diciamolo, l’attentato al King David Hotel di Gerusalemme nel 1946 fece duecento vittime ma vogliamo paragonarlo all’impatto del terrorismo palestinese negli Settanta o alla martirologia dei kamikaze di Hamas? Nella prosa un po’ orrorifica di Evangelisti il terrore è indifferenziato, male e bene si confondono, anche se a ben vedere lo scrittore è bravissimo a celare la realtà della guerra jihadista contro l’Occidente sotto l’involucro del palestinismo, di una terra araba perseguitata e martoriata. Ancora una volta i conflitti che insanguinano l’Islam e minacciano il resto del mondo restano tagliati fuori dall’analisi storico-politica della (sedicente) intellettualità di sinistra mentre le svirgolettature antisemite abbondano. E se invece del Salone di Torino boicottassimo certa letteratura italiana bloggettara da strapazzo?
Vedo l’immagine cosi dolce, nello slancio della mano aperta, si offre la colomba. Per che viene la pace, ciascuno deve ascoltare il dolore e la rabbia del vicino: condividere la terra insieme.
Sogno una scuola dove i bambini imparano insieme a scoprire la culture dell’altro, giocano insieme: è il ridere che manca, la leggerezza, la parola.
penso che su questa terra divisa, c’è un uomo, c’è una donna, c’è un bambino che sogna un futuro nella pace e penso che nel fondo tutti sognano, ma la frontiera verso l’altro è lunga da raggiungere.
Ad esempio, per capirne qualcosa di più di Medio Oriente sarebbe utile leggersi qualcosa sul revanscismo sciita, capeggiato dalla attuale dirigenza iraniana (con i suoi alleati Hamas, Hezbollah, Siria) , nei confronti della maggioranza islamica sunnita, arroccata attorno alla Arabia Saudita. Allora si potrebbe anche vedere che il popolo palestinese è anche uno strumento cinicamente utilizzato in questo gioco strategico. E anche il Libano si trova nella stessa condizione.
Sottoscrivo pienamente, in modo assoluto, ciò che viene detto nell’intevento
di The O.C., salvo per due particolari, di non piccolo conto.
Quando The O.C. parla dell’episodio che ha riguardato Benedetto sedicessimo alla Sapienza, è lui che si dichiara clerico-fascista.
Noi italiani siamo amici sia degli ebrei che dei palestinesi – vedi dichiariazioni dell’ex e meritorio ministro deglli esteri D’Alema e NON siamo CONTRO né degli uni né degli altri, mentre il capo dello stato autoritario e semifascista del Vaticano – a cui [] nessuno ha impedito nulla, sino a prova contraria, ma che probabilmente si cagava sotto a giocare fuori casa, è un nemico dello Stato Italiano.
Lo Stato Italiano che è, per la sua Costituzione, uno stato laico, e che non dovrebbe permettere nessuna ingerenza nei suoi affari interni da parte di agenti stranieri o, direttamente, da parte di cariche di Stati stranieri [ vedi affare Libia-Calderoli].
Ma che invece subisce degli aut aut nella materia delicatissima dei diritti civili, a causa della vigliaccheria della sua classe dirigente.
Classe dirigente che sembra considerare diritto alla libertà soltanto quella di un pagliaccio padano.
E di altri, forse affiliati o forse collusi o forse simpatizzanti o forse… [ma questo lo sanno solo loro e chissà perchè non ci possono dire la verità, anche se si tratta di loro avversari: collusi anche loro?].
Sottolineo, perchè mi sembra necessaria, che, molto più semplicemente, senza la complessità delle argomentazioni, quelle giuste, di The O.C., le medesime posizioni le avevo espresse qualche giorno, ma il mio intervento era stato censurato.
Forse da chi, più realista del re, considerava un’offesa al nostro Capo dello Stato, chiamarlo *vesuviano* in quanto *partenopeo* e di cui si dichiarava di prendere in parola il suo invito di appropriarsi del diritto di critica ni confronti di chiunque, siano palestinesi, siano israeliani e siano, anche, parlamentari e governanti italiani.
Non è Giorgio Napolitano il più alto difensore, in questo paese, della libertà di parola, sempre, e non solo quando fa comodo a Lor Signori?
Una logica perversa impazza, a quanto pare, nella pochezza argomentativa di certa politologia dell’ultima ora. “Chi non mi idolatra è un pazzo, un comunista, un coglione!” predica con fine esegesi un certo presidente del consiglio. Chi si azzarda a criticare la politica di Israele è un fasciocomunista antisionista e antisemita! Stesso percorso logico, stessa sottigliezza di analisi. Sostenere che Israele (ma anche gli USA) pratica dichiaratamente una scelta militarista e una politica di armamento crescente equivale, nel grossolano approccio dei tg e di chi se li beve, a una “deriva antisionista” nonché a uno “slittamento dell’immagine dell’ebreo nella percezione della sinistra extraparlamentare” (e quell’extraparlamentare risuona di un compiacimento che nemmeno la grafica a stampa riesce a celare). In barba alla libertà di espressione, al dialogo cui si afferma di aspirare, al rispetto per l’altro che si dice di praticare… Un “terrorista corrotto e accentratore” come Arafat ha tentato inutilmente per anni di instaurare con i governanti israeliani un confronto paritario, ottenendone una serie di bombardamenti ad personam. Del resto, l’esplosività con cui certi discorsi transitano dal ragionamento all’invettiva attesta della difficoltà interpretativa cui si condannano da sé. Di Hamas, per esempio, si disconosce la legittimità democratica garantita dal voto: il che ovviamente non coincide col condividerne le scelte (è soprattutto in Italia, del resto, che le elezioni hanno funzione di lavacro, cioè mondano il vincitore da qualsiasi sporcizia). Se Evangelisti sostiene che “la storia dei governi di Israele successivi al 1948 non è gloriosa” si può certamente confutarlo ma scandalizzarsene è assurdo. Quali sarebbero, poi, le democrazie occidentali dotate di anticorpi contro la xenofobia (o il razzismo, o l’intolleranza comunque rivestita)? L’Italia non si direbbe. Men che meno gli USA, che della democrazia fanno merce da esportare a suon di bombe. E Israele, che più ne avrebbe interesse, si può dire che abbia scelto di lavorare per la pace?
A niky, te lo sei letto a quel comunista (vero) di Luzzatto Voghera? Lo ‘slittamento’ è farina del suo sacco. E il terrorista Arafat ‘accentratore e nativista’, a niky, lo sai di chi è sacco? Del professor Edoardo Said.
Sul resto si può discutere, democrazia esportata compresa.
@niki lismo
> Sostenere che Israele (ma anche gli USA) pratica dichiaratamente una scelta militarista e una politica di armamento crescente equivale, nel grossolano approccio dei tg e di chi se li beve
Non credo che Israele abbia scelte dal punto di vista militare, visto che in sessant’anni è stato attaccato per 4 volte (1948, 1956, 1967, 1973) da tutti i paesi confinanti, rischiando ogni volta la distruzione. Ultimamente ci sono stati due ritiri da territori occupati (Libano e Gaza) cui non sono seguiti scenari di pace ma attacchi di razzi e di artiglierie sul suo territorio. Quindi è entrato in scena l’Iran, che tanto per cambiare vuole guadagnare una leadership nel mondo islamico promettendo la distruzione di Israele e usando Hamas e Hezbollah come pedine in chiave anti sunnita. Poi l’idiozia di Bush con la sua guerra iraqena ha portato altra instabilità nella regione e accresciuto i sentimenti antioccidentali. Aggiungiamo il petrolio a 120 euro con nuovi paesi consumatori (India e Cina) e accresciuta dipendenza dell’occidente nei confronti dei paesi arabi produttori. Infine c’è la difficoltà dell’esercito israeliano nell’affrontare piccoli gruppi di lanciatori di razzi o di artiglieria nascosti in mezzo alla popolazione civile, come si è visto nella campagna del Libano del 2006 contro Hezbollah e adesso a Gaza contro Hamas (problemi questi che gli Americani a Falluja e i Russi a Grozny hanno risolto con ben altro cinismo, spianando le città con i civili dentro, ricorrendo anche alle bombe al fosforo). Se Israele rinunciasse alla forza militare, nel giro di un paio d’anni il suo attuale territorio sarebbe un secondo Libano, conteso da Giordani, Siriani, Egiziani, Iraniani, probabilmente senza Ebrei. Molto difficilmente uno stato palestinese.
Il mantenere una forza militare non vuol dire rinunciare a negoziare per la pace, ma per avere un disarmo reale bisogna aspettare un lungo periodo di pace che porti a reciproca fiducia e a concordanza di interessi. Tornando a un esempio usato altre volte, Francia e Germania sono arrivate a questa fiducia dopo 180 anni e 150 anni di guerra (da Valmy alla caduta di Berlino nel 1945). Tu e molti altri chiedono (o pretendono) questa evoluzione da Israele in pochi anni e in modo unilaterale. A questo punto mi viene da chiederti se pensi di vivere su di un pianeta terra popolato da soli angeli o da uomini che improvvisamente toccati dalla grazia diventano angeli. Oppure mi pare che per soddisfare un tuo intimo e convinto sentimento di giustizia tu voglia imporre ad altri i tuoi astratti parametri etici, e dico astratti non perché non validi ma perché questi riguardano una situazione che non ti tocca personalmente e perché la loro applicazione non ha conseguenze su di te. Porgi l’altra guancia, visto che la guancia non è la mia.
>Non credo che Israele abbia scelte dal punto di vista militare, visto che in sessant’anni è stato attaccato per 4 volte (1948, 1956, 1967, 1973) da tutti i paesi confinanti, rischiando ogni volta la distruzione.
La Fazi ha appena pubblicato “La pulizia etnica della Palestina” dello storico Ilan Pappe. Costa 19 euro, ma ve lo potete far prestare pure, o vedere in biblioteca, o. Ne consiglio un’attenta lettura.
Diego,
ti ringrazio per il consiglio di lettura, che seguirò. Mi puoi anticipare in cosa il libro di Ilan Pappe inficia la mia affermazione circa le guerre dal 1948 al 1973?
Sebastian
sarebbe stato interessante sapere chi è l’amica a cui la scrive, sia pure fittizia, per capire certi riferimenti, ma ammetto che non ho mai visto tanti pregiudizi, luoghi comuni e banalità, prima di tutto sull’Europa, alla quale attribuisce, chissà perché, un’identità unitaria che “noi europei” non raggiungeremo forse mai.
che senso abbia poi questa frase “Non dobbiamo dimenticare che la sinistra italiana non ha mai attraversato un processo post-coloniale.”
la sinistra italiana, avrebbe dovuto attraversare un processo post-coloniale? e perché? la società italiana tutta forse dovrebbe ricordare che ha tentato di essere colonialista durante il fascismo, una storia ridicola e tragica, ma attribuire alla “sinistra italiana” l’assenza di questo processo mi lascia più che perplessa.
OT
Mi ero assentato, diciamo un paio d’ore dalla rete ed ho trovato quel che prima c’era e ora non c’è più. Attualmente compaiono due commenti di tale Monom che non erano stati approvati secondo una griglia che come redazione ci siamo dati. Li ho “liberati”. In compenso ho messo in moderazione tutti gli altri a firma dello stesso perché insultanti e basta. Ho messo in moderazione anche la legittima risposta alle offese, di uno dei redattori di NI, perchè togliendo le une non poteva restare la replica da sola.
Cos’è successo? Molto probabilmente il commentatore di cui sopra a scritto da due indirizzi diversi. da uno in cui si è messo a insultare un redattore o un autore, e un altro pulito. ora il caso ha voluto che due commenti più o meno pertinenti fossero scritti dall’indirizzo sbagliato. E per questo non sono apparsi. Gli insulti, invece, che partivano da un altro indirizzo, quello giusto, sono apparsi in chiaro.
La griglia, regola del gioco, si può riassumere così. Se un commentatore insulta un autore o un postante in un thread, poco importa che altrove dica le cose intelligenti che è in grado di sostenere. Viene bannato, o messo in moderazione automaticamente.
Il postante segue l’andamento dell’articolo con i relativi commenti dalla home page il che non permette di ravvisare, com’è stato il caso per tale Monom che v’erano due commenti in moderazione per quanto non offensivi e in tema col post.
Da Monom pretendo delle scuse, ora per due motivi. Il primo, meno grave è quello di avermi dato del figlio di puttana, il secondo ben più grave è di trasferire su un dossier così doloroso e complesso, com’è quello che stiamo cercando di analizzare, tutte le nevrosi di noi occidentali. Altrimenti formulato mi chiedo, se ci si scalda così per un commento apparso o meno in un blog letterario, come pretendere che persone che abbiano visto i propri cari assassinati, da una parte o dall’altra, trovino le parole per costruire qualcosa di diverso da “una guerra”?
effeffe
@ff
Io ti chiedo scusa, certamente, anche se penso di avere ragione.
E pensando di non avere mezzi di ritorsione nei tuoi confronti, per obbligarti a rimettere i miei interventi al loro posto.
Delle tue ragioni non me ne frega, almeno quanto a te non te ne frega delle mie.
Io non credo né nella magia, né nel sacro e non penso proprio che si debba essere addolorati o in lutto per parlare RAZIONALMENTE dei problemi che ci affligono.
Non sono abituato ad esporre i mei sentimenti in pubblico o ad usarli retoricamente per sostenere un ragione (altrimenti vorrebbe dire che si soffre ha SEMPRE ragione: prova a trarre TUTTE le conclusioni da questo).
Io NON SONO NEVROTICO E NON SONO OCCIDENTALE, ma posso, come faccio sempre, simulare nevrosi, dolore, gioia e quant’altro proprio per fottere voi nevrotici occidentali.
P.S. Adesso riguarda la seconda riga ancora una volta.
va bene così. Però tranquillo
effeffe
ps
chiedo scusa a tutti- soprattutto all’autore della lettera- per essere stati spettatori, loro malgrado, degli inconvenienti di cui sopra.
Per effeffe e le lettori che credono alla pace. Non posso tradurre in Italiano, non oso: ho paura di fare errori.
Un poème de Mahmoud Darwich
Ainsi qu’un petit café, tel est l’amour
Ainsi qu’un petit café
dans la rue des étrangers,
tel est l’amour… il reçoit tout le monde.
Ainsi qu’un café bondé ou déserté
selon la météo.
La pluie tombe, les clients sont plus nombreux.
Le ciel s’adoucit, les voici moins nombreux
qui s’ennuient…
Je suis là, ô étrangère, assis dans mon coin.
(De quelle couleur sont tes yeux?
Quel est ton nom?
Comment t’appeler quand tu passes près de moi,
assis à t’attendre?)
Un petit café que l’amour.
Je commande deux verres
de vin et je bois à ma santé et à la tienne.
J’ai emporté
deux chapeaux et un parapluie. Il pleut.
Il pleut plus fort que jamais
et tu n’entres pas.
Finalement je me dis: Celle que j’attendais
m’a peut-être attendu… ou attendu
un autre homme.
Elle nous a attendus
et ne m’a pas, reconnu.
Et elle disait: je suis là, à t’attendre.
(De quelle couleur sont tes yeux?
Quel vin aimes-tu?
Quel est ton nom? Comment t’appeler
Quand tu passes près de moi?)
Ainsi qu’un petit café, tel est l’amour…
Sul commento di O.C
In Italia i fasciocomunisti sono una minoranza anche se rappresentano una pericolosa quinta colonna del fondamentalismo islamico. Li unisce l’avversione per l’ebreo americano, il ‘sionista’.
>>interessante, sarebbe utile sapere se
1. esistono sionisti integralisti o se sono integralisti solo gli islamici che si oppongono ai sionisti
2. se esistono sionisti non americani
Il boicottaggio ai danni di Israele è allarmante perché indica un fenomeno politico che si sta radicalizzando: la deriva antisionista del movimento antagonista, dei centri sociali e dei partiti e partitini dell’estrema sinistra rimasti fuori dal parlamento (da settori dei Comunisti Italiani a Sinistra Critica). Più che antisionismo Faremmo meglio a chiamarlo per nome, antisemitismo.
>>perfetto, antisionismo = antisemitismo, e quindi i molti ebrei che si dichiarano antisionisti si odiano in quanto ebrei e, suppongo, sono favorevoli a distruggere Israele; ne segue anche che tutti quelli che votano sinistra radicale sono antisemiti, a meno che si voglia distinguere militanti da elettori. ottimo, sono in buona compagnia, e felice che i miei avversari mi diano dell’antisemita: è un ottimo modo per me per verificare quanto loro siano fascisti e basta (io suppongo entri nella categoria fasciocomunista d’ufficio, pur non essendo islamico).
Vedremo perché.
<> Che c’entra con la sinistra radicale? la vita è piena di sorprese…
Ma c’è un antisemitismo di sinistra che è frutto di una elaborazione teorica più complessa e meno avvertita. Negli Stati Uniti conta anche intellettuali e personalità del mondo ebraico, come quell’ispettore delle Nazioni Unite a Gaza – insegnante di diritto internazionale all’università – che recentemente ha paragonato lo Stato di Israele alla Germania Nazista.
<>Bravissimo: “sporco capitalista” (ma dai, dì sporco ebreo capitalista, fa più effetto) non vale niente, è il sionista in astratto ma meglio se americano che mi sogno di notte. A quando un tuo bel saggio sull’argomento? Ti pregherei di intervistarmi… beh, se dici che si è
“definitivamente compiuto lo slittamento dell’immagine dell’ebreo nella percezione della sinistra extraparlamentare” avrai fatto dei sondaggi, degli studi sociologici a tappeto sugli antisionisti, pardon antisemiti della sinistra radicale italiana, quindi, next time, eccomi qui pronto a servirti tutte le mie percezioni stereotipate, e se vuoi ti do anche nomi di ebrei della sinistra radicale, con loro ci dovrebbe essere più gusto fare una bella intervista a tal proposito.
Immagino poi che boicottare Israele, cioè avvalersi di un proprio diritto sia antidemocratico: ergo chi non sostiene Israele è un antidemocratico.
Credo si dovrebbe dichiararlo per legge.
I fasciocomunisti under 30 sono diversi dai loro nonni, hanno dimenticato per chi è stata combattuta la Seconda Guerra mondiale.
>>Eh sì i miei amici under 30 sono ignoranti di storia o hanno subito un lavaggio del cervello per ciò che rigurda la IIGM… lo sospettavo da sempre, grazie della conferma. Poverini i loro nonni.
In passato l’ex Partito Comunista aveva cristallizzato l’immagine dell’ebreo come compagno e ‘vittima’ nella lotta antifascista, spogliandolo delle sue diverse forme identitarie che non coincidevano per forza con l’orrore della Shoah e assimilandolo a questo o quel progetto politico legato alla storia del nostro Paese. Più tardi D’Alema avrebbe sostenuto che la comunità ebraica internazionale doveva svolgere un ruolo di vigilanza critica nei confronti dello stato di Israele riducendo in questo modo le differenti anime del mondo ebraico alla propria strategia politica contingente.
“L’Unità” ha scritto che Fini soffia sul fuoco della contestazione per giustificare una repressione torinese in salsa genovese ma ci saremmo aspettati un’autocritica più calzante che a sinistra purtroppo non arriva mai. Magari un editoriale sui risultati della politica propalestina portata avanti negli ultimi decenni, dall’infatuazione per un terrorista nativista corrotto e accentratore come Yasser Arafat – diventato un’icona del movimento rivoluzionario internazionale – alla sostanziale legittimazione dei fondamentalisti di Hamas. Per cui, paradosso dei paradossi, quegli stessi fasciocomunisti che impediscono al Papa di parlare alla Sapienza
>>grazie, sempre più lieto di essere tra i fasciocomunisti, mi fai davvero un favore indicandomi i miei compagni di strada: i docenti e i ricercatori della Sapienza mi son sembrati da subito miei amici.
poi vanno a braccetto con un movimento religioso integralista e militarizzato che paragonare a Comunione e Liberazione sarebbe un affronto al cattolicesimo postconciliare.
Quello che manca a sinistra è soprattutto un’idea nuova sull’assetto internazionale emerso dopo l’11 Settembre. Una visione più approfondita della realtà.
<<pretendi troppo, non ricordi che under 30 di sinistra manco sanno perchè è stata combattuta la IIGM? figurati se possono avere una visione approfondita della realtà… già io che ne ho 37 fatico a capire se il cielo è blu o rosso…
In compenso abbiamo gli slogan, le mistificazioni, le assurdità, fino a operazioni più sottili di manipolazione come accade nei licei e nelle università dove la Kefiya rivoluzionaria continua a essere brandita senza accorgersi che a Gaza c’è un gruppo di assassini che se ne fottono altamente dei palestinesi. Tanto si sa, i Kassam sono missili giocattolo che i miliziani di Hamas tirano solo per fare casino (andate a raccontarlo a chi se li è trovati in casa).
<<Eh già, pensa che anche il vecchio ebreo del video da me segnalato nel primo commento ci è cascato… non potresti contattarlo e spiegargli meglio quanto micidiali sono i Kassam?
Questa e altre distorsioni hanno determinato il passaggio dalla figura dell’ebreo ‘vittima della Shoah’ a quella del ‘sionista americano’, capitalista, colonialista e imperialista.
<<Ah be’, ora è tutto chiaro, direi che hai appena enunciato una legge fisica.
Lo stereotipo che affascina i fasciocomunisti è un riflesso condizionato della propaganda jihadista contro l’Occidente.
<>viviamo in una meta-realtà… uhm… siamo psicotici insomma.
quindi direi che per salvarci, se non si trova alla svelta la terapia genica per i nostri riflessi condizionati, forse è il caso che ci rinchiudano… manicomi? lager? ops, un fasciocomunista può scrivere “lager”?
Secondo il Forum Palestina il governo israeliano è sempre stato complice dei “circoli sionisti e oltranzisti che ne determinano le scelte strategiche”. Per il CSOA Askatasuna lo Stato di Israele è uguale alla Birmania ed è “reticente” sulle cause storiche della Guerra del ’48. Il revisionismo è una caratteristica della ‘storiografia’ fasciocomunista che nei volantini, nei suoi comunicati e dispacci, si caratterizza essenzialmente come una critica del sionismo, cioè, lo ripetiamo, di un movimento di autodeterminazione uguale a quelli che la sinistra ha sempre esaltato, dai baschi ai curdi ai palestinesi stessi. Gli ebrei no, dopo che l’URSS identificò Israele come una propaggine del capitalismo yankee il wilsonismo è stato messo in soffitta e nessuno ricorda più la Società delle Nazioni.
<>Se Valerio Evangelisti è uno dei nostri, boicotta, boicotta, ma poi ti raccomando, cerca la cura per noi poveri fasciocomunisti.
OT part two
Pensate a Barbarella Serra che è passata da Murdoch ai media arabi dopo un flirt con la BBC. Ideologicamente è un bel salto ma lei difende con le unghie il mito del giornalismo anglosassone neutrale e obiettivo. Sembra che sia entrata ad Al Jazeera perché non sopportava più gli atteggiamenti un po’ xenofobi e perbenisti degli inglesi verso gli arabi e le minoranze. Spiega che le notizie che arrivano in Occidente dalla Palestina e dal Medio Oriente sono filtrate dai canali anglosassoni che non ci dicono tutta la verità. Invece le news di Al Jazeera sono le uniche che sgorgano dritte dalla fonte e hanno un ruolo fondamentale nel dialogo tra civiltà. Peccato che Al Jazeera è la stessa emittente che ha tagliato e rimontato in modo arbitrario i video di Bin Laden (vanta il più alto numero di scoop sull’argomento), amplificando le dichiarazioni contro gli Ebrei e i Crociati e ridimensionando quelle in cui Osama ordina di massacrare gli apostati. Costoro sono molto più pericolosi degli infedeli ma Al Jazeera non è dello stesso parere. La tv araba nasconde un animo di parte e gioca la sua partita, più o meno sporca, nel conflitto mediatico in corso. Chissà se Barbarella si è mai chiesta perché hanno scelto proprio lei come volto per Dar Al Harb, la Casa della Guerra. Non sarà che quei tratti mediterranei e vagamente mediorientali hanno un seguito sulle grandi comunità islamiche d’Inghilterra?
OT part III
Sui figli e figliastri della diplomazia italiana. Un delfino figlio di papà, Gheddafi Junior, attacca il senatore Calderoli. Il successore in linea dinastica di un’autocrazia decennale stronca il legittimo rappresentante di un governo eletto democraticamente. Saif ha detto che “un ritorno al governo di Calderoli avrebbe ripercussioni catastrofiche sulle relazioni tra l’Italia e la Libia”. Il ministro uscente D’Alema l’ha definita un’ingerenza “intollerabile” e tuttavia comprensibile visto che Calderoli, allora ministro, si presentò in tv paraculando il Profeta. Per il neosindaco Gianni Alemanno “il caso è chiuso. Spesso D’Alema riesce a dare segnali istituzionali forti e chiari…”. Sarà, ma andrebbe ricordato che Calderoli dopo il suo gesto si dimise e che, se ci sta a cuore la libertà di parola, possiamo difenderlo un po’, suvvia, almeno uno sforzo, proviamoci un attimo. Dopo la performance leghista, nella fertile Libia, l’ambasciata italiana fu presa d’assalto e durante gli scontri morirono una dozzina di persone. Sapete cosa ha detto Saif? Che Calderoli è “the real killer of the Libyans who where killed”. Quindi il caso non è chiuso. Anche se c’è di mezzo l’Eni, il petrolio libico, Gazprom, e le strambe alleanze di un’Italia che non sai mai da che parte sta.
A Saif, “la spada dell’Islam”, piace rilasciare interviste in cui si atteggia a monarca illuminato. Promette che, quando l’ingombrante genitore si farà da parte, la Libia avrà nuove elezioni e una vera democrazia. Nel frattempo chiede all’ONU di condannare quei nazisti di Israele. Dall’alto del suo scranno dorato sa come risolvere la questione palestinese: “Creare uno stato unico secolarizzato e su base federale”. Come al solito le democrazie stanno da un’altra parte e sono sempre quelle degli altri. Quelli come Saif, laureati alla London School of Economics (come Barbarella), preferiscono volare in jet da Milano a Tripoli accompagnati da mondane amiche italiane. Marta Marzotto, sempreverde come la bandiera libica (era il colore preferito del Profeta), ma anche le sgallettate in tacco alto del Grande Fratello. Tutto vero, il principe le ha portate in un’oasi del deserto a guardare l’eclissi. Se la spassano i Gheddafi. Saif ha la sua fondazione privata. Suo fratello gioca a calcio in Italia e ha sfidato pubblicamente la Juventus.
Facciamo un po’ di conti in tasca alla Libia di oggi. Questa petrocrazia che per il rotto della cuffia è uscita dalla lista degli Stati Canaglia. Il Paese accusato dall’ONU del più grave attacco terrorista islamista prima dell’11 Settembre, la strage di Lockerbie, 270 morti. Intervistato dal Figaro nel 2007 sui rimborsi ai familiari delle vittime Saif si è limitato a rispondere “Non lo so”. In compenso pretende qualche milione di euro dal governo italiano per costruire un’autostrada nel deserto, come risarcimento del colonialismo italiano. La fatwa contro Calderoli non fa partire certo la trattativa con il piede giusto. In Italia nessuno si sognerebbe mai di esaltare l’avventurismo coloniale fascista, mentre un Colonnello che si fece re con un colpo di stato – papà Muammar – oggi viene celebrato dalle grandi masse islamiche come un leader insigne, al pari del compianto Saddam e del revenant Osama.
Andate a chiedere chi sono i Gheddafi ai pescatori di Mazara del Vallo finiti nel carcere di Zuara, agli ex coloni italiani costretti a lasciare la Libia dopo il colpo di stato, agli abitanti di Lampedusa che alla fine degli anni Ottanta furono bombardati da un paio di missili rivoluzionari. Quando Gheddafi Senior fece troppo lo sborone, santificando le bombe dell’OLP, il presidente Reagan alle parole fece seguire i fatti. Nel bombardamento sul deserto il Colonnello rimase miracolosamente illeso e a perdere la vita fu sua figlia. Per noi italiani non si tratta di rimettere in moto la Grande Proletaria ma far capire a Saif che è inopportuno ispirarsi al babbo quello sì. Cominci a trasformare il suo Paese in uno stato con un vero ministro delle riforme e poi, se il ministro andrà in tv con una vignetta su Gesù Bambino, vedremo se le masse vaticane assalteranno l’ambasciata libica.
Al party con le dive del GF nessuno ha servito prodotti danesi. Non si scherza sul Profeta. Da Tripoli a Copenaghen, passando per Treviso e Verona. Tutto qui.
@sebastian, mi sembra che si comincia a ragionare
@galbiati, apprezzo l’ironia ma le proposte?
ad alcor, che scrive
“che senso abbia poi questa frase “Non dobbiamo dimenticare che la sinistra italiana non ha mai attraversato un processo post-coloniale.”
la sinistra italiana, avrebbe dovuto attraversare un processo post-coloniale? e perché? la società italiana tutta forse dovrebbe ricordare che ha tentato di essere colonialista durante il fascismo, una storia ridicola e tragica, ma attribuire alla “sinistra italiana” l’assenza di questo processo mi lascia più che perplessa.”
La tua risposta Alcor purtroppo conferma la percezione di Laor, e viene da una persona come te che – ne sono sicuoro – è immune da revisionismo. L’Italia fascista NON ha “tentato” di essere colonialista, LO E’ STATA. La storia del colonialismo italiano NON è “ridicola e tragica”, è SPÏETATA (ricordi il generale Graziani?) e CINICA. Tu che sei sempre stata attenta al linguaggio, sai bene che l’aggettivazione conta. Ma un’indulgenza verso il colonialismo fascista come sui lager fascisti, c’è stata sempre anche a sinistra, anche nel PCI. E non a caso, essa è cosi diffuso e trasversale.
Noto che inizia a indebolirsi il fronte dei siamonoiquellichehannosempreragione.
Scarseggiano motivazioni e ragionamenti.
Non resta che tornare al passato.
Il PCI non ha mostrato alcuna indulgenza con i lager e per le stragi coloniali fascisti, ma sostanziale indifferenza, perlomeno fino a quando Del Boca non ha cominciato a studiarlo e a parlarne. E l’indifferenza non derivava dal disprezzo verso gli Etiopi o i Libici, ma da due stereotipi. Uno è quello degli “Italiani brava gente”, contrapposti ai criminali tedeschi e nazisti, l’altro è quello di una presunta contrapposizione tra il fascismo e la società italiana (Regio Esercito incluso) estranea agli eccessi del fascismo. Tra l’altro questi stereotipi non sono stati applicati solo all’Africa, ma anche anche alla Jugoslavia e alla Grecia (Si ammazza troppo poco, si lamentava il generale Mario Robotti). Quindi il colonialismo non c’entra nulla, l’elemento chiave è una auto rappresentazione troppo indulgente dell’Italia in guerra.
L’Italia sul colonialismo non è mai stata monolitica, salvo nei periodi di dittatura, e storicamente la sinistra italiana è stata anticolonialista, perlomeno dall’opposizione dei socialisti alla guerra di Libia del 1911 (va bene, uno dei leader socialisti rivoluzionari di allora si chiamava Benito Mussolini), e fortemente terzomondista, dall’appoggio a Cuba, ai Vietcong, ai vari movimenti di liberazione, alle lotte contro le dittature sudamericane. Talvolta per convinzione, talvolta per ortodossia con l’Unione Sovietica. Certo, le stragi e le rappresaglie di Graziani e Badoglio in Libia prima e poi in Etiopia ci furono, ma sono estranee alla tradizione della sinistra italiana ed europea, che i conti con i diritti politici dei popoli non europei li hanno fatto da tempo.
Però il buon Laor, nel suo depresso e cosmico pessimismo, non può che chiamare la sinistra italiana sul banco degli imputati. Non è un ragionamento, ma un ricorrere a uno sfruttato topos retorico. Persino la sinistra, declama, non vuole vedere, solo io rimango, solo io, solitario disvelatore di verità.
Sui commenti di Sebastian
E’ difficile trovare qualche brandello di ragionamento logico in questo scritto.
>>Sono considerazioni, non c’è la pretese di dimostrare nulla, nella lettera di Laor.
Distribuisce patenti di fascismo con la stessa leggerezza con la quale Vattimo distribuisce quella di nazista
>>e con la quale buona parte degli europei distribuisce patenti di antisemitismo.
e assegna all’intera Europa uno sguardo di odio e disprezzo verso il resto del mondo perché l’Europa stessa non condivide la sua posizione sul problema della Palestina.
>>l’Europa se leggi bene la mette dopo gli Usa come disprezzo.
Beh, non so tu, ma io il disprezzo lo concepisco solo con chi detiene il potere, se una situazione di crimine si propaga ininterrotta per 60 anni.
Non c’è dialogo qui, non c’è discussione, una sola posizione è quella rispettabile, quella di Yitzhak Laor, il resto è fascismo, odio, disprezzo.
>>Dipende da te e da noi, se c’è discussione o meno, Laor non ha neanche voluto pubblicarla sui giornali, questa lettera.
Quindi l’interesse per la cultura israeliana alla Fiera del Libro 2008 diventa automaticamente razzismo nei confronti della cultura araba (che logica sopraffina, l’anno prossimo ad esempio sarà al centro della Fiera la cultura egiziana e questo indicherà un automatico disprezzo per la cultura, che ne so, sudamericana)
>>non per la cultura araba, ma per quella palestinese, che non è stata invitata con pari dignità a essere ospite a Torino: è stata semmai invitata a partecipare a una Fiera che inneggia al compleanno di Israele, ossia alla catastrofe degli stessi palestinesi (così si esprimono gran parte degli scrittori palestinesi). Dunque per i palestinesi il danno: solo Israele, e poi la beffa (venite anche voi a festeggiare Israele).
e il mancato boicottaggio della medesima diventa in automatico un rigurgito di colonialismo.
>>beh, il mancato boicottaggio – o comportamenti alternativi ma nella stessa direzione – nè un sintomo.
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Non credo che Israele abbia scelte dal punto di vista militare, visto che in sessant’anni è stato attaccato per 4 volte (1948, 1956, 1967, 1973) da tutti i paesi confinanti, rischiando ogni volta la distruzione.
>>In 60 anni o poco più Israele si è anche prodigato prima e dopo il ’48 a fare terrorismo e pulizia etnica verso i palestinesi, a invadere il Libano e a occupare illegalmente molti territori arabi conquistati dopo le guerre.
Dire poi che non poteva fare diversamente nelle guerre subite che rispondere come ha risposto è un po’ come dire che la storia che è avvenuta non poteva essere diversa, e questo dogma se vale per Israele dovrebbe valere per tutti gli stati, quindi gli stati arabi non potevano fare altro che attaccarlo, la Germania nazista non poteva fare altro che quello che ha fatto. Insomma, è un vicolo cieco dire che non si poteva fare diversamente, nella storia degli stati o delle persone – sempre.
Infine c’è la difficoltà dell’esercito israeliano nell’affrontare piccoli gruppi di lanciatori di razzi o di artiglieria nascosti in mezzo alla popolazione civile, come si è visto nella campagna del Libano del 2006 contro Hezbollah e adesso a Gaza contro Hamas
>>Sono problemi che Israele si è costruito ad arte e che continua a costruirsi: lasciasse al Libano le terre di confine del Libano e i prigionieri che ancora tiene a marcire nelle sue carceri, lasciasse ai palestinesi Gerusalemme est, la loro terra e la possibilità di rientrare se profughi, e forse non dovrebbe pensare a come difendersi dai razzi – ma è avere un motivo per difendersi ciò a cui Israele tiene di più, per poter intanto annettere sempre più terre con le colonie: è così da sempre.
Se Israele rinunciasse alla forza militare, nel giro di un paio d’anni il suo attuale territorio sarebbe un secondo Libano, conteso da Giordani, Siriani, Egiziani, Iraniani, probabilmente senza Ebrei. Molto difficilmente uno stato palestinese.
>>Qui siamo alla fantastoria: finora nessuno di quei paesi sta attaccando Israele, e sappiamo bene chi ha alleato l’Occidente e possiede atomiche (illegalmente).
Il mantenere una forza militare non vuol dire rinunciare a negoziare per la pace, ma per avere un disarmo reale bisogna aspettare un lungo periodo di pace che porti a reciproca fiducia e a concordanza di interessi.
>>No, dobbiamo avere uno stato palestinese, o meglio un Israele binazionale.
Tornando a un esempio usato altre volte, Francia e Germania sono arrivate a questa fiducia dopo 180 anni e 150 anni di guerra (da Valmy alla caduta di Berlino nel 1945). Tu e molti altri chiedono (o pretendono) questa evoluzione da Israele in pochi anni e in modo unilaterale. A questo punto mi viene da chiederti se pensi di vivere su di un pianeta terra popolato da soli angeli o da uomini che improvvisamente toccati dalla grazia diventano angeli. Oppure mi pare che per soddisfare un tuo intimo e convinto sentimento di giustizia tu voglia imporre ad altri i tuoi astratti parametri etici, e dico astratti non perché non validi ma perché questi riguardano una situazione che non ti tocca personalmente e perché la loro applicazione non ha conseguenze su di te. Porgi l’altra guancia, visto che la guancia non è la mia.
>>Non siamo più negli anni ’48-’73, non c’è nessun attacco militare di stati arabi a Israele, basta guardare sempre indietro. Oggi sono i palestinesi le uniche vittime (e di rimando, in misura assai minore, i civili israeliani se vi è terrorismo palestinese).
Israele non è nella condizione morale di porgere l’altra guancia con i palestinesi, essendo stati i sionisti i primi a colpire gli arabi di Palestina fin da prima del ’48. Israele dovrebbe soltanto lasciare la Cisgiordania, invece continua a strapparne pezzi di guancia quando i palestinesi gli danno dei buffetti sulle guance.
Un articolo di Sandro Viola, da Repubblica di oggi, per me condivisibile, salvo sul punto dei “danni collaterali”.
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A Torino è andata bene, alla Fiera del libro non ci sono stati roghi di bandiere israeliane. Ma lo scontro impari tra gli imbecilli che bruciano le bandiere con la stella di David e i pugnaci difensori dello Stato ebraico, non è chiuso. Presto o tardi, sempre identico a come s´è presentato in questi anni, lo vedremo riproporsi. Da una parte, chi attribuisce agli israeliani la colpa di tutte le convulsioni e carneficine che punteggiano la contesa per la Palestina: dall´altra, coloro che negano senza mai un dubbio o ripensamento qualsiasi responsabilità d´Israele. Uno scontro impari, perché i difensori d´Israele parlano e scrivono un buon italiano, usano argomenti che in parte sono condivisibili, mentre dagli slogan dei bruciatori di bandiere emerge in modo chiaro una sola cosa: l´abissale ignoranza, da parte di chi li grida nelle strade, di quanto accade tra Israele e Palestina.
Discutere con gli ignoranti non ha senso, e quindi è inutile parlare delle manifestazioni anti-israeliane. Mentre tenterò ancora una volta di discutere con i più tetragoni difensori d´Israele. Ho detto che alcuni dei loro argomenti sono condivisibili. Israele è in effetti, come essi sostengono, l´unica democrazia nella regione, e lo vediamo in questi giorni dalla grandine di inchieste giudiziarie che sta piovendo sulla testa del primo ministro Olmert. Ed è anche vero che Israele appare sempre più minacciato: Hezbollah a nord, Hamas a sud, e un po´ più discosto il truce burattinaio di Hezbollah e Hamas, l´Iran di Ahmadinejad. Avversari che a differenza dei palestinesi di Arafat prima, e adesso di Abu Mazen, non hanno nulla da negoziare con gli israeliani. Perché il loro unico obbiettivo è quello di far sparire lo Stato degli ebrei dalla carta del Medio Oriente.
Questi argomenti pesano, e il fatto che Israele sia oggi più vulnerabile di quanto non sia stato da quasi mezzo secolo, dalla guerra di Suez in poi, giustifica a volte la foga dei suoi difensori italiani. Ma quel che rende troppo parziali sul piano politico, e moralmente discutibili, le loro arringhe di difesa, è che essi non abbiano mai voluto ammettere una responsabilità dei governi israeliani. La colonizzazione della Cisgiordania, per esempio. O la violenza distruttrice delle rappresaglie agli attentati palestinesi, descritta da tutti i “media” del mondo civile, ormai da molti anni, come troppo e inutilmente spietata. Le ragioni, cioè, che hanno portato ad una rottura in termini di “questione morale” tra il meglio dell´intellighenzia israeliana (scrittori, artisti, intellettuali) e la classe politica del paese.
Possibile che in quattro decenni d´occupazione israeliana in Palestina nessuno dei difensori d´Israele abbia avuto qualcosa da dire sulle terre confiscate senza risarcimenti, sull´ininterrotto proliferare delle colonie ebraiche, sul dirottamento delle poche acque della zona verso i rubinetti e le piscine delle suddette colonie? Possibile che ai loro occhi siano parsi ogni volta accettabili, e pertanto da non sottoporre ad alcuna critica, i cosiddetti “danni collaterali” provocati dalle rappresaglie israeliane, migliaia di morti in tutti questi anni, civili inermi che hanno perso la vita solo perché si trovavano ad abitare vicino agli obbiettivi militari dell´esercito d´Israele, o a costeggiarli una mattina per puro caso? Se tutti, anche chi da tempo appoggia le ragioni palestinesi, hanno condannato e condannano gli attentati dei kamikaze di Hamas e della Jihad islamica, come mai non s´è letto un solo articolo dei difensori d´Israele da cui affiori un biasimo, un senso d´orrore per le stragi provocate dai “raids” dell´esercito israeliano a Gaza?
La discussione sarebbe diversa, oggi, molto più sensata e civile, se si potesse dire che sì, una volta, almeno una volta, questi difensori abbiano avuto qualcosa da rimproverare ad Israele. Reagan aveva rimproverato l´invasione del Libano, Bush padre la testarda, fanatica estensione degli insediamenti in Palestina, Clinton i trucchi di Nethanyau, e almeno cinque o sei segretari di Stato hanno fatto capire negli anni quanta parte abbia avuto, nel fallimento d´ogni tentativo di compromesso della contesa, la classe politica israeliana. Stiamo parlando di governanti americani, del Paese cioè che ha più a cuore lo Stato ebraico, e più è pronto a battersi per difenderlo. Mentre da noi i difensori d´Israele non hanno mai nulla da eccepire. Silenzio, salvo a levarsi contro chi denuncia il troppo sangue che si versa in Palestina: anno dopo anno una media di quasi quattro vittime palestinesi per ogni vittima israeliana.
I difensori d´Israele fanno notare che la condotta d´Israele viene criticata con «una radicalità di linguaggio impossibile da usare verso qualsiasi altra nazione»: ed è vero, certe censure anti-israeliane hanno ormai una veemenza inquietante. Ma attenzione: tali censure, quella veemenza non vengono dagli analfabeti che bruciano le bandiere d´Israele. Vengono dal giornalismo occidentale, americano ed europeo, da tutti i cronisti in loco: da chi ha visto e vede quel che accade nella Palestina palestinese. Oppure vengono dal migliore giornalismo israeliano, da Haaretz e anche da Maariv, proprio perché Israele è una democrazia, e in una democrazia non si tacciono le responsabilità dei governanti.
È triste e preoccupante che «contro Israele», come sostengono i suoi difensori, «si possa dire tutto». Ma chi può credere si sia arrivati a tanto solo per i supposti legami di chi critica i governi d´Israele con la “sinistra internazionale” – come sostiene uno dei difensori, Piero Ostellino – o con gli ambienti antisemiti? È necessario ricordare ancora una volta che a denunciare gli effetti catastrofici della colonizzazione nella Palestina palestinese sono i giornalisti dei maggiori quotidiani, settimanali e catene televisive d´Occidente, le organizzazioni per il rispetto dei diritti umani, intellettuali famosi, le agenzie dell´Onu e i pacifisti israeliani? Non ci saranno altri solidi motivi per spiegarsi gli eccessi del linguaggio nei confronti d´Israele, per esempio la stanchezza, lo sdegno, la rivolta morale alla vista di quel che subiscono da quarant´anni, sulle loro terre, i palestinesi?
Si dirà che sinchè durano i roghi di bandiere israeliane, sinchè i fossili della sinistra marxista manderanno i loro giovani a manifestare con la “keffiah” sulla testa, sarà difficile a coloro che negano qualsiasi responsabilità israeliana nel dramma che si svolge in Palestina, d´essere più misurati, più obbiettivi. Bene: speriamo che per un po´ gli imbecilli se ne stiano quieti, che il clima si svelenisca, e che a un certo punto i suoi difensori comincino a difendere Israele in modo meno fazioso, più equilibrato e veritiero.
carissimo Sebastian
ti ringrazio per l’articolo perché è stata la stessa impressione che ho avuto alla fiera del libro di Torino. Nelle ore in cui, come in una pagina del grande Buzzati, tutti attendevano l’assedio. Ma in cui nessuno assaltò il Lingotto, nemmeno i visitatori abituali della Fiera, quest’anno in numero minore anche perché scoraggiati dai media.
effeffe
un’annotazione a margine e non nel merito. il ragionamento, lo ‘stile’ di viola, insieme a certe incursioni di pirani (meno la mafai, sartori), più o meno di ambito liberal-socialista, se ancora hanno senso queste partizioni, dal sapore sempre verde dei (post)pannunziani; e comunque nel contesto di una (auto)interrogazione della sinistra liberal, come orientamento da seguire, come una spina nel fianco per far avanzare il fronte delle nostre analisi (e dell’uso delle nostre parole): mi sa che stiamo consegnando la parola e l’analisi ai ‘vecchi’ corsivisti editorialisti commentatori, al loro stile geometrico e lucido, in fondo convincente. stanno uscendo i nuovi film di garrone e sorrentino. ma qui, dal fronte (letterario, politico-intellettuale) di una ‘sinistra’ per davvero, nessuna nuova: e allora ecco il dispatrio, la diaspora dei battitori liberi, un po’ eretici un po’ provocatori, un po’ incisivi e un po’, tristemente, nel giusto.
‘da non perdere!’ si esordisce qui sopra: ma forse la passione, l’entusiasmo (o la foga) antagonista, per il momento, sarebbero da calmierare con una bella e lunga bevuta; e, dopo, con una (lunga) riflessione su come cambiare nel profondo la nostra conoscenza storica, mezzi e strumenti e linguaggi e parole d’ordine della conoscenza storica. a dire il vero, mi sembra che a certi ‘officinanti’ parasinistrorsi di oggi, siano da preferire non dico il montaigniano scalfari, ma viola qui sopra e quel peperino di pirani certamente.
Evvai Sebastian.
A proposito, sento circolare nei gossip destrorsi la voce che gli Usa sarebbero sempre meno disposti ad appoggiare Israele e sempre più pronti alla pacificazione con l’Iran (>hezbollah). Quello che sta succedendo in Libano è sempre più chiaro (hezbollah win). La palestinolatria europea è storia ancora più vecchia (oggi stanziati gli ultimi 50.000 euri per ‘progetti culturali’ con gaza e westbak). Insomma, per chi teme “l’imperialismo sionista” tranquilli, di Israele non gliene strasbatte una mazza a nessuno. A parole giorgino e silvietto so’ tutti co’ Olmert ma poi guai a far arrabbiare la Nazione dell’Islam.
@mf
L’intervento di Viola è l’intervento che apre questa discussioni appartengono a due generi letterari diversi. Viola è un giornalista e scrive un articolo, secondo il criterio classico di arrivare a una conclusione ponendo sul terreno diversi punti anche tra di loro discordanti. Viola individua i punti, li valuta, li considera, trae le sue conclusioni. Lo fa anche bene, perché è bravo, perché ha una antica familiarità con l’esercizio di costruire una narrazione argomentativa che coivolge un certo numero di punti e giunge a una conclusione in un numero predefinito di righe di stampa.
L’intervento iniziale mi pare appartenga alla categoria del proselitismo e del rafforzamento di una opinione già consolidata. Non si tratta in questo caso di analizzare i punti a favore e a sfavore di una tesi, ma di selezionare il materiale che aiuti a convincere o a confermare un gruppo di persone sulla validità di un punto di vista non messo in discussione. Poi l’autore di dichiara un poeta e questo lo colloca in una rarefatta atmosfera di umori e di esplosioni emotive.
Mi impressiona quanto il secondo stile sia diffuso sulla rete. Buona parte dei blog sposano in partenza un punto di vista e aggregano una comunità sulla reiterazione del medesimo, selezionando solo materiale e informazioni che lo rafforzino. Inevitabili quindi il tono enfatico, lo spirito militante, la partigianeria dichiarata, le semplificazioni, la disattenzione alla sfumature. L’elemento più preoccupante è la conseguente tendenza all’iperbole, al privilegiare punti di vista via via più estremi, all’appiattimento dell’oggetto polemico sulle caratterizzazioni più negative (fascista, nazista, assassino, sterminatore). Non sono sicuro di riuscire a spiegarmi su questo punto, ma mi sembra che in certi casi il ricorrere a una analisi razionale e non emotiva venga sentita quasi come uno sfregio all’urgenza morale del problema e come un inutile dispiegamento di sofismi.
@ff
ero anch’io al salone, ho stazionato per un po’ nello stand di Israele e certi toni alla Nirenstein o alla http://www.informazionecorretta mi hanno irritato non poco. Ma aspettarsi concordanza di opinioni dagli ebrei è per definizione stessa di ebreo impossibile, troverai sempre uno di loro che spara l’incredibile castroneria che ti stordisce
@O.C.
urca, anche la claque …
@lorenzo
ti rispondo domani con più calma
@sebastian
vabbe ritiro tutto.
A proposito, sebastian, quelli di infocorretta stanno sulle palle pure ai postfascisti (se si può usare questa parola). Perché fanno troppo a spada tratta il proprio lavoro di selezione della disinformazione. E questo ai destristi non può che dare atroce fastidio. Su Fiamme e Fiammette ricordo le vignette di Mr.Vauro, quello che aspetto ancora di ridere una volta dico una su sua santità il Profeta dell’Islam. Non sarà che certe volte è meglio un po’ di sana emotività invece dei paludamenti più o meno giornalistico-accademici? Per fortuna che ci sta la rete. Anche se poi, lo so, sulla rete ci sta pure Beppe Manetta. Evvabbé.
@Lorenzo Galbiati
Quando parlo della forza militare di Israele, intendo dire che senza questa supremazia militare Israele avrebbe corso serissimi rischi di scomparire quattro volte in sessant’anni. Questo non vuole dire che sempre abbia fatto buon uso di tale forza. Dopodiché affermo che la situazione attuale di Israele è ancora precaria, anche perché gli ultimi e tardivi ritiri (Libano e Gaza) non hanno portato a condizioni di maggior sicurezza ma a attacchi con razzi sul territorio israeliano pre-confini 1967 e per gli altri motivi geopolitici che ho elencato.
Mi sembri poi molto ottimista nel pensare che Hezbollah smetterebbe ogni ostilità se Israele si ritirasse dalle fattorie di Sheba’a (circa 30 km quadrati di territorio libanese ancora sotto il controllo israeliano), anche perché questo territorio sarebbe immediatamente annesso dalla Siria che lo rivendica. Non è realistico metter in piedi tutto l’arsenale bellico, politico, propagandistico che Hezbollah dispiega contro Israele per la miseria dei 30 succitati chilometri quadrati.
Poi affermi che Israele si crea ad arte o alimenta motivi per essere sotto pressione per giustificare l’espansione delle colonie in Cisgiordania. Premessa: Israele non è una entità monolitica, è una democrazia, poi da sembre gli ebrei discutono e si dividino. Chi in Israele predica “pace e sicurezza in cambio di territori e ritiro dei coloni”, come Oz e Grossmann e i laburisti, ha uno spasmodico bisogno che ai ritiri dai territori occupati derivi una condizione di maggiore sicurezza. Chi, come la destra e il Likud è più tiepido (eufemismo) sulle trattative trae dagli attacchi del club sciita motivi per rallentarle. Tu affermi che la destra si crea la minaccia. Intendi dire che Hamas è una creatura di / è pilotata da / è scientemente alleata con la destra israeliana? A te portare gli elementi. A me pare che il Likud utilizzi l’insicurezza ai confini, non ho elementi per dire che la provochi. E fino a che questa tensione c’è o aumenta, non ci sarà una maggioranza nella politica e nella società israeliana per gesti unilaterali come rilasci di massa di prigionieri o altri ritiri unilaterali come da Gaza. Come pensi di far maturare le condizioni politiche per tali gesti? Se vuoi che qualcuno faccia qualcosa, o lo convinci o lo costringi. Oz e gli altri cercano di convincere Israele, ma questo può avvenire o perlomeno è grandemente facilitato solo se le condizioni di cui sopra si verificano. Mi pare che al di là dell’affermare che Israele “deve” fare un certo numero di cose non mi pare tu vada. Ma di quali mezzi di convinzione o di coercizione disponi?
E così dici che “dobbiamo avere uno stato palestinese, o meglio un Israele binazionale”. Come ci arrivi a queste condizioni, what next, please? Come puoi convincere o costringere la maggioranza degli israeliani a partire dagli onesti, integri ma isolatissimi Shabtai o Pappe? L’ipotesi di una sola nazione mi pare paradossale. Al di là del fatto che si tratta di una impresa mai tentata, per la quale la grandissima maggioranza degli interessati non nutre alcun interesse, bene che vada andrebbe a finire come in Libano. Non pretendiamo che gli altri siano le cavie nel realizzare le nostre geometrie morali,
>>Non siamo più negli anni ‘48-’73, non c’è nessun attacco militare di stati arabi a Israele, basta guardare sempre indietro.
Quello che c’è è il sentirsi in guerra (oddio, in Medio Oriente c’è ancora parecchia guerra reale e anche molta guerra potenziale), la percezione reale o presunta del nemico, da entrambe le parte. Non c’è l’unanimità dalle due parti nel volere la pace. Gli strascichi della guerra non sono fenomeni On/Off, che si spengono di colpo a un segno convenuto, richiedono i loro tempi di raffreddamento. Noi europei non abbiamo molti titoli per proporre insegnamenti in proposito, se non esporre con vergogna tutta la nostra imbecillità in proposito.
> Oggi sono i palestinesi le uniche vittime (e di rimando, in misura assai minore, i civili israeliani se vi è terrorismo palestinese).
> Israele non è nella condizione morale di porgere l’altra guancia con i palestinesi, essendo stati i sionisti i primi a colpire gli arabi di Palestina fin da prima del ‘> 48. Israele dovrebbe soltanto lasciare la Cisgiordania, invece continua a strapparne pezzi di guancia quando i palestinesi gli danno dei buffetti sulle guance.
Non scommetterei sulla correttezza della tua stringatissima valutazione su quanto è avvenuto in Palestina prima del 1948. E quanto al “dovrebbe”, qui apprezzo il condizionale rispetto all’apodittico indicativo di prima, ma ripeto che se ai ritiri continuano a corrispondere lancio di razzi e attacchi vari, a brindare saranno solo i coloni più oltranzisti.
@O.C.
Della Nirenstein proprio non reggo la sua incapacità a discutere con chi ha opinioni anche lievemente diverse dalle sue.
@Informazione Corretta ha spunti interessanti, ma è troppo unilaterale. Molto meglio il sito di Haaretz (o Maariv, il poco che si trova in inglese)
@sebastian 76
Rispondo isolando solo alcune tue frasi.
Quando parlo della forza militare di Israele, intendo dire che senza questa supremazia militare Israele avrebbe corso serissimi rischi di scomparire quattro volte in sessant’anni.
>>Non discuto. Al che c’è da chiedersi: è stato saggio che gli ebrei conquistassero con guerra e terrorismo una terra popolata da molti secoli in gran parte da arabi? E’ saggio conquistare una terra che sai che puoi mantenere solo se prevali militarmente su tutti i tuoi vicini? E’ da amanti della pace far questo? E nello specifico, è stata saggia l’autoproclamazione di Israele nel 1948, entro dei confini più allargati di quelli previsti dalla nascente ONU? è stato saggio perseguire una politica di continua occupazione delle terre arabe conquistate durante le guerre?
Mi sembri poi molto ottimista nel pensare che Hezbollah smetterebbe ogni ostilità se Israele si ritirasse dalle fattorie di Sheba’a.
>>No, non smetterebbe, dopo la guerra del 2006 al Libano, uno dei crimini contro l’umanità peggiori degli ultimi 20 anni, il risentimento e l’odio ci saranno per molto tempo.
Però anche dopo la fine della prima invasione del Libano, fino al 2006 non è che Israele si sia ritirato subito e in pace, abbia cercato di risolvere con il Libano tutte le pendenze intercorrenti, se ne sia stato sempre buonino a porgere l’altra guancia e nel frattempo i cattivoni Hezbollah si sian messi a sparare razzi a più non posso. I due stati non sono più stati pacificati dall’invasione israeliana e questo anche – forse soprattutto -perchè Israele ci ha messo un bel po’ a ritirarsi.
Poi affermi che Israele si crea ad arte o alimenta motivi per essere sotto pressione per giustificare l’espansione delle colonie in Cisgiordania. Premessa: Israele non è una entità monolitica, è una democrazia, poi da sembre gli ebrei discutono e si dividino.
>>Questo vale solo entro certi limiti: i limiti del colonialismo. Chi era contrario nella Knesset a far guerra al Libano nel 2006? Chi era contrario a bombardare il quartier generale di Arafat e a sparare sulla Basilica della Natività (uno dei peggiori crimini religiosi di guerra della nostra era)?
Chi in Israele predica “pace e sicurezza in cambio di territori e ritiro dei coloni”, come Oz e Grossmann e i laburisti, ha uno spasmodico bisogno che ai ritiri dai territori occupati derivi una condizione di maggiore sicurezza. Chi, come la destra e il Likud è più tiepido (eufemismo) sulle trattative trae dagli attacchi del club sciita motivi per rallentarle. Tu affermi che la destra si crea la minaccia.
>>No, io affermo che non cambia quasi nulla, per i palestinesi, tra destra e laburisti – a parte la destra estrema. Dare territori conta poco: la pace e la sicurezza non ci può essere senza uno stato palestinese o uno stato binazionale.
Intendi dire che Hamas è una creatura di / è pilotata da / è scientemente alleata con la destra israeliana? A te portare gli elementi.
>>Mi sembra evidente che il continuo rifiuto di Arafat come interlocutore, il restringergli il campo d’azione, unito agli errori suoi e del suo partito, abbia favorito Hamas. Non è stata una sorpresa la vittoria di Hamas (almeno per me, e non sono un veggente). Che poi ci siano stati legami militari o economici con Hamas di parti politico-militari israeliane non lo escludo. Comunque non era difficile neanche prevedere che con “i terroristi di Hamas” al potere il “democratico Israele” rifiutasse il dialogo finchè essi non lo riconoscono: buon modo per favorire lotte intestine tra palestinesi, mettere embarghi con l’aiuto dell’Europa… e chi divide e mette in prigione (Gaza) impera (pur con qualche buffetto di razzi)
A me pare che il Likud utilizzi l’insicurezza ai confini, non ho elementi per dire che la provochi. E fino a che questa tensione c’è o aumenta, non ci sarà una maggioranza nella politica e nella società israeliana per gesti unilaterali come rilasci di massa di prigionieri o altri ritiri unilaterali come da Gaza. Come pensi di far maturare le condizioni politiche per tali gesti?
Se vuoi che qualcuno faccia qualcosa, o lo convinci o lo costringi. Oz e gli altri cercano di convincere Israele, ma questo può avvenire o perlomeno è grandemente facilitato solo se le condizioni di cui sopra si verificano. Mi pare che al di là dell’affermare che Israele “deve” fare un certo numero di cose non mi pare tu vada. Ma di quali mezzi di convinzione o di coercizione disponi?
>>Credo in effetti che a tutt’oggi si possa solo costringere Israele, non convincere, se si vuole un reale cambiamento. Ma dati il peso mondiale degli USA e un’Europa pavida, disunita e succube degli stessi USA, non vedo chi presso l’ONU possa agire in modo da favorire atti coercitivi su Israele.
Il boicottaggio di Israele su vasta scala potrebbe essere un ipotesi da valutare. Ma è fantastoria.
Tu immagino proponi di convincere Israele: come? E come risolveresti la questione stato palestinese se la Cisgiordania ormai non esiste quasi più, essendo solo buchi di un frmaggio svizzero formato di colonie e strade israeliane? e la questione Gerusalemme est e ritorno dei profughi?
E così dici che “dobbiamo avere uno stato palestinese, o meglio un Israele binazionale”. Come ci arrivi a queste condizioni, what next, please? Come puoi convincere o costringere la maggioranza degli israeliani a partire dagli onesti, integri ma isolatissimi Shabtai o Pappe? L’ipotesi di una sola nazione mi pare paradossale. Al di là del fatto che si tratta di una impresa mai tentata, per la quale la grandissima maggioranza degli interessati non nutre alcun interesse, bene che vada andrebbe a finire come in Libano. Non pretendiamo che gli altri siano le cavie nel realizzare le nostre geometrie morali,
>>E’ vero, preferirei uno stato binazionale all’ipotesi di due stati per motivi ideali. Ma la verità è che, per quel che posso capirci, ora come ora le due ipotesi sono così lontane dall’essere fattibili che non saprei dire quale è la più realistica.
L’Europa ha visto il fascismo, il nazismo, lo stalinismo, è vero, ma se aspettiamo che parli solo chi è immacolato per arrivare a una soluzione, aspetteremo in eterno.
Non c’è l’unanimità dalle due parti nel volere la pace. Gli strascichi della guerra non sono fenomeni On/Off, che si spengono di colpo a un segno convenuto, richiedono i loro tempi di raffreddamento. Noi europei non abbiamo molti titoli per proporre insegnamenti in proposito, se non esporre con vergogna tutta la nostra imbecillità in proposito.
>>Sarebbe a dire che Israele vuole la pace e i palestinesi no? Ah, be’, se pace è solo assenza di guerra, hai proprio ragione: Israele se ne starebbe buono se i palestinesi della prigione a cielo aperto di Gaza o dei territori occupati – e sempre più circondati da colonie – subissero l’oppressione “in pace”.
L’occupazione di terre arabe è stata più una conseguenza che un obiettivo delle guerre. Israele ha dichiarato l’indipendenza nel 1948 a partire dai territori assegnati dalle Nazione Unite e i confini del 1949 sono stati quelli degli accordi di cessate il fuoco con le nazioni arabe. Israele ha restituito due volte il Sinai all’Egitto. Le trattative con la Siria iniziano solo ora per i motivi qui indicati (http://www.haaretz.com/hasen/spages/985745.html, ritengo Haaretz una fonte affidabile, invito tutti a dargli un’occhiata ogni tanto. Secondo alcuni è fumo sollevato da Olmert per per nascondere i suoi problemi giudiziari, ma da qule pragmatico ottimista che sono vedo con favore qualsiasi passo, anche piccolo, che migliori la situazione. Tra l’altro qualche giorno fa c’eran alcuni articoli su trattative aperte con Hamas). Su Gaza e Cisgiordania Israele ha poche scusanti .
Il Libano è stato fin dal 1967 la sponda per continui attacchi dell’OLP oltre che un’area di espansione della Siria, il nemico più arcigno e continuo di Israele. La SIria ha mantenuto il suo esercito in Libano fino a 3 anni fa e continua a sostenere e armare (come l’Iran) Hezbollah, altro nemico dichiarato di Israele, che di fatto in Libano ha giocato una partita seguendo le stesse regole che i suoi nemici hanno giocato e continuano a giocare. E si è ritirato anche prima degli altri.
La differenza tra destra e sinistra c’è eccome, basta seguire un dibattito politico quando si parla di espelllere i coloni ebrei da Gaza. Ovviamente guardano le cose da un punto di vista remoto, come quello dei due popoli in una nazione, tutto si appiattisce. Ma tra i sogni remoti, moralmente integri, rock solid costruzioni etiche e i piccoli passi reali, io preferisco i secondi.
Definire “buffetto di razzi” il lanciare razzi contro obiettivi civili con l’intento di uccidere, intento che riesce parzialmente unicamente per l’attuale e decrescente arretratezza tecnologica è una emerita porcata. Ma è una porcata tua, che riguarda te e su questo non mi dilungo.
Appurato che proponi nobilissime orizzonti a lungo temini ma che non sai proporre una strada per raggiungerli, ribadisco, con scarsa fantasia, che il ritiro dal Golan e dalla Cisgiordania con la creazione di uno stato palelestinese in Cisgiordania è la strada da seguire. La fine della disastrosa presidenza Bush, letale sollevatrice di tensioni, aiuterebbe in tal senso. Il revanscismo scita dell’Iran attuale è un ostacolo.
>> L’Europa ha visto il fascismo, il nazismo, lo stalinismo, è vero, ma se aspettiamo che parli solo chi è immacolato per arrivare a una soluzione, aspetteremo in eterno.
Giusto quello che dici, chi è senza peccato eccetera … Credo che quelli coinvoli in prima persona chiedano aiuto nel processo di pace e non consigli morali.
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Consiglio di lettura: la rubrica di Bradley Burston, intitolata “A Special Place in Hell”, sul sito di Haaretz.
Sebastian