Terra!Sperare non sparare (dal fronte occidentale)

Alla testa
di
Andrea Bottalico

(…)Georgi Stoev aveva trentaquattro anni. Robusto, una foto lo ritrae con un libro in mano che osserva altrove, la giacca di pelle copre un corpo robusto, da torello. Da ragazzo sognava di diventare un wrestler. Il suo sguardo rassegnato scruta con attenzione chi ha davanti, ma nasconde rabbia, secerne veleno. Georgi Stoev era uno scrittore. L’hanno ammazzato il 7 aprile in pieno centro a Sofia due sicari. Tre colpi di pistola, uno alla testa. Sopravvissuto all’agguato, è morto all’ospedale dopo una breve agonia. Eppure lo sospettava da tempo, si sentiva minacciato, in pericolo. Dicono che abbia chiesto la protezione ma il ministro della giustizia bulgaro era uno dei personaggi citati nei suoi libri.

Alla testa
di
Andrea Bottalico

Per Salvatore…

Non ci sono mai stato in Bulgaria. E forse mai andrò a sentire da vicino il sapore notturno in quella città dal nome così attraente, sensuale come Sofia.
Se penso alla Bulgaria mi viene in mente lui, Hristo Stoichkov, con quella faccia da cane randagio, il solito sorrisino da malandrino, la barba sfatta da un paio di giorni. Penso alle sue punizioni che andavano a finire sempre laddove il portiere non arrivava, il buon vecchio Hristo!
Quando eravamo piccoli era un idolo per noi, il suo nome suonava bene. Ricordo che al “Buon Pastore” un giorno Paoletto andò a battere una punizione, convinto di segnare. Si avvicinò al pallone, lo posizionò, il volto serio lo sguardo ghiacciato, una rincorsa lunga. Il pallone andò a finire proprio lì dietro nell’incrocio, imparabile, mentre il portiere restò immobile, paralizzato fulminato dalla traiettoria malata. Esultò anche il vecchio che stava affacciato alla finestra della palazzina di fronte al campetto.
Da quel giorno Paoletto lo chiamano tutti Stoichkov, ma nessuno più lo ha visto segnare altre punizioni.

Se penso alla Bulgaria mi viene in mente Vera, la badante che accudisce mia nonna. Capelli tinti di un rosso porpora, un paio di occhiali spessi, la catenina al collo con Cristo in croce, il dente d’oro. Vera quando mi vede sorride e dice con un italiano appesantito, trascinato: “Fratello, cuome stai? Siede siede, preparare caffè…” E’ gentile Vera, sembra un uomo in sovrappeso, con il seno sproporzionato, una voce profonda. Quando abbraccia suo marito lo avvolge al punto da farlo scomparire sotto le sue carni massicce. Mi racconta della sua famiglia che vive in un villaggio non lontano da Plovdiv, una bella città, chiamata “la Firenze della Bulgaria” (fatto sta che gli ultras del Lokomotiv Plovdiv si fanno chiamare “Napoletani ultras Plovdiv”). Mi mostra foto di sua figlia difficili da decifrare, quindici anni già sposata, una bambina in mezzo a delle baracche impolverate, con ai piedi delle scarpe di misura almeno tre volte più grande. Sorridente, gli stracci a dosso, abbraccia con tenerezza due bambini più piccoli.
Vera ha dei tatuaggi sul braccio. L’altra volta per scherzare le ho chiesto se li avesse fatti in carcere.
Mi rispose dopo una risata chiatta che erano i nomi dei suoi figli, e mentre ne parlava gli occhi d’un colpo divennero lucidi.

Georgi Stoev aveva trentaquattro anni. Robusto, una foto lo ritrae con un libro in mano che osserva altrove, la giacca di pelle copre un corpo robusto, da torello. Da ragazzo sognava di diventare un wrestler. Il suo sguardo rassegnato scruta con attenzione chi ha davanti, ma nasconde rabbia, secerne veleno. Georgi Stoev era uno scrittore. L’hanno ammazzato il 7 aprile in pieno centro a Sofia due sicari. Tre colpi di pistola, uno alla testa. Sopravvissuto all’agguato, è morto all’ospedale dopo una breve agonia. Eppure lo sospettava da tempo, si sentiva minacciato, in pericolo. Dicono che abbia chiesto la protezione ma il ministro della giustizia bulgaro era uno dei personaggi citati nei suoi libri.

I giornali ne hanno parlato poco, del resto a chi vuoi che importa di uno scrittore che decide di raccontare il crimine organizzato nel suo paese. Chissà magari avrà detto la verità, tutta nuda. Ha scritto nove libri che sembrano svelare i meccanismi dell’economia criminale bulgara, del suo sistema di potere, i rapporti con la politica, facendo nomi e cognomi di boss e padrini. Per questo è stato sparato in testa, come a dire “hai pensato troppo, hai detto troppo!” Sicuramente le parole scritte da Georgi Stoev non dovevano essere innocue (anche se non ho letto una riga dei suoi libri). Non può essere innocua la scrittura di un uomo che è stato ucciso per ciò che ha raccontato. Aveva coraggio. Lo si legge nei suoi occhi mentre parla ad una trasmissione televisiva, Goreshto, con un tono calmo, intervallato da lunghi sospiri, consapevole. Uno sguardo obliquo, esperto, imbastardito da quello che ha visto, da quello che ha vissuto. Colpevole.

“Di tutto ciò che si scrive amo solo quello che è scritto con il proprio sangue” diceva Friedrich Nietzsche. Ebbene, il sangue di uno scrittore è stato versato tra le strade affollate di Sofia. Vale la pena ricordare il suo nome.
Stoev meriterebbe di essere tradotto, almeno per capire qualcosa in più. Sono giorni che cerco disperatamente maggiori informazioni ma ho trovato poco. La sua voce non può svanire nel nulla, le sue parole avranno fatto tremare le gambe ai boss della mafia bulgara. Sto cercando di capire meglio la sua storia, il suo passato. Ma vallo a capire il cirillico! A guardarlo bene potrei restare ipnotizzato da quelle lettere, ma questo non aiuterebbe la comprensione, la potenza che le parole stesse hanno avuto.

Georgi Stoev in passato ha avuto a che fare con la malavita organizzata del suo paese. Sapeva bene i nomi i fatti gli affari, a quanto pare sapeva troppo. Decise di scrivere, voltò le spalle ai vecchi amici e passò dall’altra parte della barricata.
Vi scrivo affinché non si dimentichi il volto arrabbiato di un uomo che ha deciso di mordere la realtà, raccontandola. Non riguarda solo la Bulgaria. Riguarda tutti. Vi scrivo perché se qualcuno di voi avesse informazioni in più sarebbe importante saperle. Vi scrivo perché è morto uno scrittore, ammazzato. Magari qualcuno conosce il cirillico e decide di tradurre un suo libro, chissà. Sarebbe davvero importante. Una cosa è sicura: adesso quando penso alla Bulgaria mi balza in mente quella faccia da mastino di uno scrittore coraggioso che si chiamava Georgi Stoev.

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5 Commenti

  1. A parlare siam tutti buoni; dire la verità è un’impresa a cui pochi si accingono. Raccontare il profondo di se stessi e del mondo che si attraversa senza reticenze e ipocrisia, sforzandosi di dare un senso allo sguardo che si posa testardamente su ciò che non deve, strappando al linguaggio segni che lo rendano reale e condivisibile, questo è dire la verità. Non limitarsi a pensarla, sarebbe codardia, nè a viverla, lasciandola sprofondare nell’oblio, ma scriverne, renderela iterabile, comunicabile, visibile. Quando il volto della medusa dei nostri incubi viene guardato senza tramutare in muta pietra un uomo che ritorna, emerge e ne parla ad altri uomini, uno come Stoev, allora la medusa non è più un mostro magico e misterioso ma il fantoccio sul quale scagliarsi, la sagoma che nasconde avidi esseri intrattabili e pieni di vergongna, feroci quanto impauriti se sentono chiamarsi per nome. Il nome a cui il mondo un giorno presenterà il conto.

    Mai smettere di parlare, scrivere e cercare. Mai rassegnarsi a parole banali per dire niente. Mai dimostrarsi immeritati d’esser uomini vivendo come galline. Mai voltare lo sguardo, se se ne ha uno. Mai pensare di esseri unici, autosufficienti, distaccati dagli altri. Siamo un consorzio interdipendente di parassiti, schiavi e scrittori. Ciascuno scelga il suo.

    Parole dolci come burro, amare come liquore, brucianti come fuoco, Andrea.

  2. Magnifico ritratto e forte.
    La vicenda dà brividi di paura e di disgusto.
    Coraggioso questo pezzo inzuppato nella luce crudele della realtà.
    E la denuncia si paga al prezzo della vita: lo dice il riassunto implacabile di giustezza.

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Sono musicista, quando si studia un brano si considera che anche il silenzio, la pausa sia musica. Compositori come Beethoven ne hanno fatto uso per sorprendere, catturare, ritardare le emozioni del pubblico, il silenzio parte della bellezza. Il silenzio qui però non è la bellezza. Il silenzio che c’è qui, da più di dieci mesi, è anti musicale, è solo vuoto.
francesco forlani
francesco forlani
Vivo e lavoro a Parigi. Fondatore delle riviste internazionali Paso Doble e Sud, collaboratore dell’Atelier du Roman . Attualmente direttore artistico della rivista italo-francese Focus-in. Spettacoli teatrali: Do you remember revolution, Patrioska, Cave canem, Zazà et tuti l’ati sturiellet, Miss Take. È redattore del blog letterario Nazione Indiana e gioca nella nazionale di calcio scrittori Osvaldo Soriano Football Club, Era l’anno dei mondiali e Racconti in bottiglia (Rizzoli/Corriere della Sera). Métromorphoses, Autoreverse, Blu di Prussia, Manifesto del Comunista Dandy, Le Chat Noir, Manhattan Experiment, 1997 Fuga da New York, edizioni La Camera Verde, Chiunque cerca chiunque, Il peso del Ciao, Parigi, senza passare dal via, Il manifesto del comunista dandy, Peli, Penultimi, Par-delà la forêt. , L'estate corsa   Traduttore dal francese, L'insegnamento dell'ignoranza di Jean-Claude Michéa, Immediatamente di Dominique De Roux
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