L’offesa
di Gianni Biondillo
Ricardo Menéndez Salmòn, L’offesa, trad. Claudia Tarolo, Marcos y Marcos, 2008, 152 pag.
Ci sono libri che ti capitano per caso fra le mani. Non sai di cosa parla, non conosci l’autore, non sai neppure perché, con tutto quello che si pubblica, lo porti a casa, lo apri, lo leggi. È che nel tempo, dopo aver deglutito funghi indigesti, si diventa scopritori di tartufi. Nel mare magnum di quello che si pubblica ogni volta fai una scommessa. Non è detto che la vinci, ma quando accade è sempre un piacere particolare, perché è fin troppo facile scommettere su chi già conosci.
Così mi è accaduto con L’offesa di Ricardo Menéndez Salmòn.
Del quale nulla sapevo, ma che di certo ora cercherò di seguire ogni volta che verrà tradotto. Perché credo che questa sia la prima volta che lo si legga in italiano e lo dobbiamo ad un editore che raramente sbaglia le sue scelte. Piccola chiosa: dobbiamo a Marcos y Marcos autori straordinari, colpevolmente dimenticati dalle grandi case editrici nazionali, oppure recuperati in pompa magna, vedi il caso di Don Fante ora nella scuderia Einaudi. Forse anche per questo non ho avuto dubbi su quello che mi portavo a casa. Un libro pubblicato da loro ha, come dire, una garanzia di qualità.
L’offesa è un breve romanzo che parla di Kurt Crüwell, giovane sarto tedesco che suo malgrado – altri erano i suoi propositi nella vita – si trova coinvolto nell’epocale evento della guerra nazista. Il libro è diviso in tre quadri, dove si racconta del destino di Kurt: dalla sua Germania alla Francia occupata, fino alla fuga in Inghilterra. Destino crudele che depriverà dei sensi il corpo del protagonista facendogli vivere una esistenza di pura e irrimediabile apatia.
Ma non voglio dire di più. Voglio solo aggiungere che chiuso il romanzo m’è restato addosso per giorni. Sarà per il finale onirico; sarà per la scrittura dolcemente ipotattica, da inizio Novecento, avulsa da quello che si legge normalmente in questi anni; sarà per il tema in fondo desueto, se si considera la giovane età del narratore. Sarà per tutto ciò.
O forse, più semplicemente, sarà perché è un bel libro.
[pubblicato su Cooperazione, marzo 2008]
Buondì!:-)
ora sto finendo di leggere “La solitudine dei numeri primi” di Paolo Giordano, sul quale scriverò qualcosa sicuramente tanto mi sta appassionando per l’argomento delicato che tratta.
La recensione che esponi mi interessa soprattutto per conoscere quel destino crudele di cui narra e che depriverà dei sensi il corpo del protagonista,
e poi quando una storia rimane nella pelle ancora a lungo, dopo averla letta, vuol dire che la sua intensità merita ogni attenzione…
very OT comment
maestro effeffe e maestro inglese
salutano gianni biondillo
noi siamo a procida abbiamo fatto nu bagno bello
e bevuto due bouteilles di fernet branc
ti vogliamo bene perchè anche noi senza patente!!!
E’ un bel libro, l’ho letto e scoperto seguendo percorsi di avvicinamento che si allontanano di volta in volta dal “mercato” incombente. Così si deve fare, andare a scavare la qualità nelle nicchie e appropriarsene. Ci sono come tre storie nel libro e questo é indice di una complessità che sempre si ritrova nelle vicende reali della vita. Magari uno attento al mercato ne avrebbe fatto tre libri.
Ue’, sfaccimme… qua a Milano chiove!!!
JOHN Fante. Eccheccazzo!