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Afro Tondelli, Lauro Farioli, Marino Serri, Ovidio Franchi, Emilio Reverberi

di Antonio Sparzani

La primavera e l’estate del 1960 sono segnate in Italia dalle manovre autoritarie del governo Tambroni (l’operazione “Ippocampo”) e dal susseguirsi di manovre militari dei paesi della NATO. Dopo la caduta, il 24 febbraio 1960 del Governo Segni, si apre una lunga crisi, risolta col varo del governo Tambroni con il voto determinante del Movimento Sociale Italiano, partito della destra estrema e diretto erede della Repubblica Sociale Italiana. Per il 1° luglio l’MSI indice provocatoriamente un congresso a Genova, città simbolo della resistenza antifascista. La reazione popolare è immediata: a Genova è sciopero generale e durissimi scontri seguono le cariche della polizia. Nonostante il trasferimento del congresso missino, la protesta dilaga e dimostrazioni si svolgono in tutta Italia duramente attaccate dalla polizia. Una decina di dimostranti rimangono uccisi, centinaia sono feriti. Il giorno seguente la strage di Reggio Emilia uno sciopero generale blocca il paese. Ai funerali partecipano nel massimo ordine oltre 150.000 persone, mentre le forze di polizia rimangono nelle caserme. Il 19 luglio Tambroni rassegna le dimissioni e le forze neofasciste rimangono ai margini della vita politica italiana fino al 1994. Guardatevi questo, e ascoltatevi questo.

Oggi abbiamo al governo del paese Mussolini, Ciarrapico, Calderoli oltre al loro ultratambroniano organizzatore.

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38 Commenti

  1. Doveroso ricordare Antonio, grazie. Emozionante la canzone. Non so quanto potrà coinvolgere i più giovani, però sono pezzi della nostra storia, della storia di questo paese.

  2. “Sangue del nostro sangue, nervi dei nostri nervi”.
    Ma di che sangue e di che nervi è fatta la maggioranza degli italiani?

  3. io lancio un’idea, ma può anche essere la più grande scemenza pensata, in queste condizioni, in tal caso fate finta di non aver letto niente:

    questi pensano, sono sicuri, di averci annullato:
    come far vedere, assieme, che siamo sempre qui?

    e se mettessimo, o affiancassimo a quelle bandiere iridate
    che ancora si vedono, poche,

    UNA BANDIERA ROSSA AD OGNI NOSTRA FINESTRA

  4. Tra le diecimila possibili valutazioni che di qui a qualche anno si daranno dell’operato politico di Berluscone (che resti uno solo, per carità!), ve ne saranno certamente due, contrapposte, riguardanti il medesimo versante. Leggeremo in una monografia del 2032: “A Berluscone va ascritto il merito di aver reinserito in un ambito di legittimità costituzionale un partito para-fascista come il MSI, e reintrodotto nel circuito democratico forze e potenzialità che se ne erano autoescluse”. Sei mesi dopo, nel febbraio 2033, un celebre analista scriverà sulla principale rivista di storia politica che “Tra i tanti meriti e demeriti che vanno imputati a Berluscone, la responsabilità più grave è quella di avere legittimato (nel suo furore anticomunista) il fascismo ed i fascisti, avocandoli a una legittima partecipazione istituzionale assolutamente gratuita, senza neanche porli a confronto con colpe storiche di cui non hanno avuto necessità di emendarsi. Una “grazia” politica non meritata e nemmeno richiesta!”. Dall’attualità del presente, noi come la pensiamo?

  5. ragazzi…
    ma imparare qualchecosa da giornate come quella di ieri?
    lasciare da parte la nostalgia acritica?
    smetterla di pensare che il male sia il fatto che all’interno di un ampio e variegato governo ci siano anche sparuti fascisti vecchia maniera?

    acritica perchè oltre a reggio emilia potremmo citare migliaia di episodi analoghi e ugualmente feroci e tragici.
    nostalgia perchè oggi il fascismo ha facce e linguaggi completamente diversi che, credetemi, si servono moltissimo, avvantaggiandosene, del linguaggio veterocomunista…basta..

    il problema della sinistra è il suo linguaggio, la sua simbologia, l’eredità che pensa di usare ancora come arma e invece è già tanto che serva come scudo..
    non perchè venga meno la memoria ma perchè bisogna andare avant, con i ragazzi di oggi non con quelli di ieri..

    e non è rassicurante vedervi ancora consolarvi in questo modo…aprite gli occhi cazzo..

  6. caro mendacio, non hai un bel nome, ma non è questo il punto, forse non hai colto che non è un tentativo di consolazione questo, ben se ne guarda, è anzi un amaro raffronto tra la situazione del 1960, quando la partecipazione del msi al governo suscitò nel paese una rivolta che portò, malgrado la polizia sparasse letteralmente ad alzo zero, alla caduta del governo, e la situazione odierna in cui invece più della metà del paese, o meglio dei votanti naturalmente, avalla e consacra questo orrore. Quale consolazione? Amarezza e presa di coscienza che se una sinistra ancora qua esiste va rifondata dalle più profonde fondamenta, tenendo conto con gran cura che il fascismo si annida anche altrove, come tu ben dici.

  7. saremo sempre figli della Resistenza, mendacio, ricorderemo e agiremo come sempre abbiamo fatto in questi anni, insieme con i ragazzi di adesso così diversi dai ragazzi che siamo stati. L’antagonismo ha bisogno soltanto di credere che mandare la fantasia al potere è ancora possibile

  8. La memoria storica deve essere salvaguardata. Tanti sono i fatti orribili che sono accaduti in questo paese dalla fine della guerra ad oggi. E di acqua e di morti ne sono passati tanti, troppi, sotto i ponti.

    E tuttavia una corretta analisi storica non può fare un parallelo così pedissequo tra la situazione del 1960 e quella di oggi. Oggi il fascismo storico, il fascismo “sostantivo”, non esiste più; mentre il fascismo “aggettivo” esiste, ma è abbastanza ben distribuito in molti ambiti della società e in molti ambienti, sia di destra sia di sinistra. E questo spiegherebbe il fatto per cui la gente non è più disposta a scendere in piazza – con tutti i fantasmi che ciò evoca dopo Genova – solo per difendere un principio, o un fantasma d’un’ideologia.

    Le cose sono cambiate, i partiti anche, le persone un po’ meno. Ma, vi do una notizia, la rivoluzione in Italia non ci sarà. Non per vigliaccheria, non per stanchezza, ma per il fatto che le cosiddette ideologie si sono sbiadite o sono scomparse. Soprattutto a sinistra. La rivoluzione in un solo paese, inserito peraltro in un contesto capitalistico avanzato, è impossibile e velleitaria. Questo lo aveva ben capito (non capito) Enrico Berlinguer (che era una brava persona). Ma le famose istanze, alle quali il comunismo si ispirava, per una società di liberi ed uguali, per la tolleranza, per lo sviluppo della cultura e della scienza, per l’onnilateralità umana, devono oggi essere preservate e attualizzate, ma soprattutto rese tangibili nelle azioni concrete.

    Credo che l’attuale crisi della sinistra in Italia la dovrebbe portare, più che a spingere sull’acceleratore di un recupero integralista di un’ideologia, a recuperare quella meravigliosa tradizione dei movimenti degli anni settanta, che agivano concretamente nella società provenendo da tradizioni politiche e culturali differenti, ma che si imponevano di non assumere mai la forma di un partito e di andare in parlamento. Era in fondo la genuina rivendicazione di una autonomia della società civile. Questa grande intuizione fu spazzata via: dal terrorismo, dalla repressione legalitaria, dalle stragi. La restaurazione di una pesante partitocrazia, legata sempre di più ai poteri forti, ha dato il colpo finale.

    Tutto il resto è noia.

  9. UNA BANDIERA ROSSA AD OGNI NOSTRA FINESTRA, dice godog

    Ma quante sarebbero?
    Se dovessi giudicare dai commenti qui sopra, che mi sembrano prevalentemente nostalgici, penserei che una delle tante cose che sono cambiate negli anni è la perdita della capacità d’analisi.
    La nostalgia scalda per un momento il cuore, ma non serve a cambiare le cose

    Quando leggo quello che dice Wakefield: “L’antagonismo ha bisogno soltanto di credere che mandare la fantasia al potere è ancora possibile”
    mi viene da pensare che la Lega risucchierà sempre più voti dalla classe operaia e i ceti popolari.
    La fantasia al potere non aiuta ad arrivare a fine mese, purtroppo.

  10. Esporre una bandiera rossa è una idea meravigliosamente adatta all’oggi. Mi spiego, oggi le bandiere rosse sventolano in Italia solo sui centri commerciali all’ingrosso cinesi, e il fatto che siano il simbolo del sangue e non il “simbolo della riscossa” è abbastanza triste.
    Ricoprire i davanzali con bandiere di: Pace, Ferrari, squadra del cuore, Tibet, Europa, Italia, mi pare un parto dell’apparire, si dice solo a chi passa per la strada:”ehi io sono pacifista, ferrarista, pallonaro, filotibetano, europeo, italiano (e spesso forzista)” aggiungere la bandiera rossa sarebbe un dire:” guardami sono comunista” a chi passa per strada.
    Ma chi passa per la strada sa che la bandiera rossa non si espone silenziosa sui muri ma si sventola per le strade urlando alla gente che così non va e l’obiettivo non sono i soldi.
    La sinistra non si fa con tanti piccoli nuclei di critica arroccati nelle proprie case a bestemmiare di fronte al tg5, credo invece la via di uscita da questa trappola si ricominciare ad incontrarsi per la strada, a cantare, a parlare, a bere e a ridere del male con le guance arrossate dal vino e illuminate dal sole dell’avvenire

  11. Qui ci si dimentica di tutti gli italiani mandati morire nei gulag sovietici con il benestare di Togliatti. E qui mi fermo. Perchè le malefatte, per non dire altro, per non dire gli infami tradimenti e i genocodi sottaciuti – leggi foibe – le hanno legittimate proprio quei tanto cari comunisti di cui qualcuno vorrebbe esporre le bandiere alle finestre. Il fascismo non esiste più. L’MSI ha sempre avuto il diritto di esistere e, oggi, certamente nel PDL è andata a confluire quella Destra di cui avete tanta paura. Ma credete veremante che gli italiani siano tutti deficienti o cosa? Se Bertinotti non ha più un posto in Parlamento, non è certamente cantando in strada O Bella Ciao che glielo restituirete. Io aborro la Lega, ma capisco perchè la gente la vota. Perchè si fa portavoce di un malessere che è vivo, reale tra la gente, perchè non fa l’intellettuale ma parla con le parole – sanguigne certo – del popolo, del nord in questo caso ma Lombardo rappresenta lo stesso tipo di utenza nel sud, e propone delle soluzioni pratiche. Che poi siano discutibili è un altro paio di maniche. Vi ricordate le cause del fallimento della Rivoluzione napoletana del ’99 perfettamante delineate dal Cuoco? I Rivoluzionari e il popolo non parlavano la stessa lingua, vi era proprio un difetto di codice, un cortocircuito comunicativo. La stessa cosa è accaduta tra la Sinistra estrema e i suoi elettori. Questo è la realtà. E ora si volta pagina, nel bene e nel male.

  12. Forse solo la generazione nata dopo l’epoca della militanza può ricostruire un movimento libero dalle certezze categoriche degli ultimi vent’anni. Chiedendosi, come suggerisce lo storico americano Paul Berman, quale sia, oggi, il significato della parola “resistenza”. Ripartendo dai nostri nonni più che dai nostri fratelli o dai nostri padri.

    La sinistra sessantottina europea e americana temeva l’Occidente. Credeva che il nazismo si fosse insinuato nelle società borghese e industrializzata del Dopoguerra cambiando volto e conservando l’ideologia di sempre. I politici occidentali parlavano di libertà e di democrazia ma nel frattempo invadevano Cuba e il Vietnam e affossavano l’Algeria. Il capitalismo rapinava il resto del mondo per garantirsi il Progresso e la prosperità.

    Il nemico erano gli Stati Uniti e il Sionismo. Gli ebrei che non avevano imparato la lezione dell’Olocausto e perseguitavano il popolo palestinese. Lo stato di Israele, un altro travestimento del nazismo. I militanti della sinistra europea che negli anni Settanta transitarono nei campi militari palestinesi si addestrarono con i loro coetanei neofascisti convinti anch’essi di combattere contro la cospirazione giudea che avvolge il mondo. Avevano la stessa attrazione per il sacrificio estremo, desideravano tutti morire in nome della Causa. Per molto tempo i veterani del Sessantotto hanno continuato a credere in questa visione del mondo e, ancora oggi, ci sono quelli disposti a difenderla. Altri hanno preso le distanze dalla violenza senza riuscire a darsi una risposta sull’abisso che si era spalancato tra i loro ideali e il senso di inadeguatezza che provavano dopo la sconfitta. Sono i ‘dispersi’, prendendo in prestito il titolo di una raccolta del poeta Maurizio Cucchi. Altri ancora hanno fatto un completo giro di vite negando le passioni giovanili, criticandone il radicalismo in nome di una ritrovata maturità adulta, anche se non si capisce perché la maturità debba coincidere per forza di cose con il conservatorismo.

    Ma nel Sessantotto c’erano anche pochi, pochissimi uomini di sinistra pronti a rimettere in discussione il marxismo e a ripensare l’Occidente e il suo destino. Uno di questi era l’ebreo polacco Adam Michnik. Nel marzo del Sessantotto Michnik era uno studente universitario che si era ribellato all’utopia della società perfetta, il comunismo sovietico. Quando l’onda della Primavera di Praga giunse nella Repubblica Popolare polacca i giovani cominciarono a idealizzare la democrazia occidentale, chiedendo ai propri governanti di tornare a un sistema politico più ‘normale’. In fondo Stalin l’aveva promesso a Potsdam, ma sappiamo quanto valevano le promesse di Stalin. I sovietici affogarono nel sangue il risveglio democratico dell’Europa Orientale. Prima del Sessantotto in Polonia vivevano quarantamila ebrei. Dopo la repressione sovietica ne rimasero cinquemila. (Prima della Seconda Guerra mondiale erano oltre tre milioni.) L’Unione Sovietica stava proseguendo la politica antisemita del nazismo?

    Molti anni dopo Michnik avrebbe raccontato la storia del pogrom di Kielce, una piccola città della Polonia Orientale. I nazisti avevano deportato migliaia di persone quando i sovietici liberarono Kielce, trovando solo due ebrei rimasti vivi. Nei mesi successivi si riformò una minuscola comunità, qualche centinaio di sopravvissuti all’Olocausto. Il 4 luglio del 1946, i superstiti rimasero vittime di un altro pogrom. La folla prese d’assalto il ghetto uccidendo quaranta persone. La guerra era finita ma il rancore e l’odio antiebraico no.

    Nel Sessantotto Michnik fu espulso dall’università e finì dietro le sbarre, accusato di atti di teppismo. Venne rilasciato l’anno successivo e da allora sarebbe entrato e uscito di galera accumulando sei anni di detenzione. Scrisse per i samizdat e insegnò alla Flying University, una specie di seminario alternativo ai corsi di studio imposti dal partito comunista polacco. Era diventato un dissidente. Dal Sessantotto all’Ottantanove fu uno dei leader dell’opposizione democratica nel Paese, tra i consiglieri più ascoltati di Lech Walesa, partecipando ai negoziati tra Solidarnosc e la giunta Jaruzelsky (i Round Table Talks dell’89). Caduto il Comunismo, Walesa gli affidò il compito di creare un grande quotidiano popolare, la Gazeta Wyborcza, che oggi è uno dei giornali più letti in Polonia.

    Una volta un giornalista gli ha chiesto: “Mi dica, è stato peggio Reagan o Breznev?”. “Se fossi americano non avrei mai votato per Reagan – ha risposto Michnik – ma da polacco ho apprezzato l’atteggiamento duro di Reagan nei confronti di Breznev. Forse Reagan non capiva esattamente quello che stava facendo, ma la realtà è che, improvvisamente, le cose cambiarono”. Quella polacca fu una rivoluzione di velluto, una lotta nonviolenta condotta in nome dei principi della sinistra antitotalitaria. I diritti umani e la libertà di espressione, la tolleranza religiosa e l’antirazzismo, l’uguaglianza e il rispetto della legge, l’istruzione, il progresso, la sicurezza sociale.

    L’esempio di Michnik fu fondamentale per i sessantottini europei e americani che dopo lo sballo rivoluzionario scelsero di fare i conti con la realtà. Ci furono alcuni eventi che aiutarono questa sofferta riflessione sulle proprie radici politiche e sulla ideologia che le aveva rette fino a quel momento. Nel 1969 l’assemblea dell’OLP decretò l’estinzione dello stato di Israele e tre anni dopo i palestinesi massacrarono gli atleti israeliani alle Olimpiadi di Monaco. Fu un brutto colpo per quanti avevano creduto nella lotta del popolo palestinese contro l’aggressione imperialista. Il mondo arabo stava prendendo un’altra direzione.

    Solo un cieco avrebbe potuto chiudere gli occhi sui massacri compiuti dai regimi comunisti che erano andati al potere in Indocina. Perfino i campioni della nuova sinistra americana, da Allen Ginsberg a Joan Baez, si resero conto che una cosa erano Woodstock, il beat e l’amore libero, e ben altra le violazioni brutali dei diritti umani. Quando i vietnamiti iniziarono a fuggire sui boat-people l’immagine degli Stati Uniti, lentamente, iniziò a cambiare. Jimmy Carter ordinò alla Sesta Flotta di intervenire per salvare i profughi. La sinistra ortodossa lo accusò di mettere i diritti umani al servizio dell’imperialismo ma forse, come ha scritto Berman, “la forza dei forti non era per definizione un crimine contro i deboli. Forse il potere era uno strumento che, se impiegato ragionevolmente, poteva fare un gran bene ai più oppressi tra gli oppressi”. Insomma l’Occidente e il capitalismo non erano soltanto sinonimi di oppressione e colonialismo. “La vita mi ha insegnato che se qualcuno viene frustrato e qualcun altro lo sta frustrando, devi stare sempre dalla parte di chi viene frustrato”, ha detto Michnik ripensando alla sua storia personale.

    Tutti sono bravi a schierarsi dalla parte degli ultimi salvo lavarsene le mani come fece il buon Pilato. A meno che non si decida di agire prendendosi delle responsabilità. Come Carter con i profughi vietnamiti o Papa Giovanni Paolo II con i dissidenti polacchi. È stata questa la vera svolta di un pezzetto della sinistra post-sessantottina: opporsi ai regimi totalitari ovunque fossero, forzare il diritto internazionale in nome dei diritti dei popoli e dell’individuo. Se dobbiamo stare alle norme, le Nazioni Unite definirono illecita la cattura del criminale nazista Eichmann da parte del Mossad perché violava la sovranità territoriale dell’Argentina… L’antitotalitarismo non è né di destra né di sinistra, è semplicemente un dovere delle democrazie liberali. ‘Credere’ nei diritti delle vittime significa professare una sorta di religione laica e civile. Difendere la libertà non solo nel cortile di casa ma in tutto il pianeta.

    Come il molfettese Gaetano Salvemini sbarcato alla Harvard University per mettere in guardia gli americani dal Fascismo. Come i fratelli Carlo e Nello Rosselli assassinati in Francia per ordine di Mussolini. Come George Orwell e gli scrittori del Congress for Cultural Fredoom che raccontavano la natura occhiuta del Grande Fratello. A questa tradizione si sono rifatti i sessantottini antitotalitari. André Glucksmann e i nuovi filosofi francesi, in debito con l’ultimo Foucault e i libri di Anna Arendt. Bernard Kouchner, l’inventore di Medici senza frontiere, amministratore del Kosovo per conto dell’Onu negli anni novanta e oggi ministro degli esteri francesi. Un altro ministro degli esteri, il tedesco Joschka Fischer, e il premier inglese Tony Blair. Sergio Vieira de Mello, caduto insieme ai colleghi delle Nazioni Unite il 19 agosto 2003, quando un camion-bomba guidato da un kamikaze jihadista rase al suolo la sede dell’Onu a Baghdad.

    Potremmo aggiungere a questa lista i neoconservative americani che, per la sinistra italiana, rappresentano l’ultima incarnazione dell’America imperialista, ignorante spaccona e collusa con il sionismo. Stanco di doversi difendere dagli attacchi dei suoi (ex) compagni, alla fine il giornalista Christopher Hitchens è sbottato: “Se mi chiedono se sono diventato un neoconservatore, faccio prima a rispondere di sì. In realtà i neocon non sono conservatori sotto alcun punto di vista. La definizione nacque come insulto. Li odiavano, o se preferisci ci odiano, perché siamo radicali, perché vediamo una possibilità di pace, di progresso e di giustizia, nel cambiamento di uno status quo ingiusto e instabile. Questo non è conservatorismo”. Sarebbe bello se qualche commentatore italiano, abituato a ridurre il Sessantotto a un fenomeno di piazza, tra una manganellata e una scopatina liberatrice, un giorno ci spiegasse la storia dell’idealismo democratico, la sua natura radicale e rivoluzionaria. Che genere di “resistenza” è questa? Per quei commentatori, ovviamente, si tratta soltanto di una grande ipocrisia. Gli altri sono dei “traditori”, punto e basta. Come si è definito Michnik in un saggio apparso sulla Gazeta del 2003.

    I problemi iniziano quando non è più sufficiente combattere la tirannia con il dissenso e la nonviolenza. Che si fa quando i Paesi democratici si trovano di fronte a una dittatura sanguinaria? In pieno Sessantotto molti intellettuali islamici studiavano nelle grandi università americane. Erano fieramente comunisti e credevano che la rivoluzione avrebbe salvato i loro paesi dal dominio coloniale e dalle spietate autocrazie locali. Poi però la rivoluzione arrivò davvero, quella islamica in Iran, quella baathista in Iraq. Gli intellettuali tornarono a casa pieni di speranza ma scoprirono che i loro Paesi erano diventati FASCISTI. Questi governi avevano preso il peggio delle ideologie europee del Primo Novecento e le avevano adattate alla sharia, la legge islamica. Riponevano una fiducia incrollabile nei propri miti fondatori e nelle armi offerte dalla tecnologia moderna. Erano dei ‘modernisti reazionari’ che impiccavano, gasavano, stupravano, fanatici della morte e dei sacrifici umani. L’ayatollah Khomeini mandava i ragazzi a immolarsi contro i carri armati di Saddam Hussein come aveva fatto il Fuhrer con le Hitlerjugend. L’11 Settembre è stato l’apoteosi di questa ideologia funebre. Così alcuni dissidenti arabi chiesero all’Occidente di intervenire, come aveva fatto nei Balcani, in Bosnia e nel Kosovo. Anche questa volta l’America intervenne e il resto dell’Occidente rimase a guardare.

    “A mio avviso, le opinioni religiose del team di Bush sono anacronistiche. Non posso credere che John Ashcroft abbia delle conversazioni personali quotidiane con Dio, che gli dice cosa deve fare. Ma se Dio gli ha detto che doveva distruggere Saddam, beh, è stato il suggerimento giusto, perché un mondo senza Saddam Hussein è migliore di un mondo con Saddam Hussein”. Solo chi ha vissuto sotto una dittatura può apprezzare l’ironia amara di Michnik. Certo si può criticare l’amministrazione Bush per aver mentito sulle armi di distruzione di massa, per il suo unilateralismo e per gli errori commessi durante la guerra in Iraq. Anche i bombardamenti Alleati sulle principali città tedesche alla fine della Seconda Guerra mondiale furono devastanti, come ha ricordato lo scrittore Andrea Giovene, ma questo non significa cancellare il D-Day. “Il diritto al D-Day”, come lo chiama Berman.

    Con la sua politica estera George W. Bush ha dimostrato qual è il legame tra sicurezza e diffusione della democrazia. Riascoltiamo il discorso tenuto dal presidente al National Endowment for Democracy del 2003. Bush ha riconosciuto gli errori commessi dagli Stati Uniti in Medio Oriente nella seconda metà del Novecento: aver accettato la mancanza di libertà nei paesi arabi in cambio dei propri interessi economici non aveva generato maggiore sicurezza per l’America, perché “la stabilità a lungo termine non si può comprare a scapito della libertà”. Senza libertà erano aumentati il rancore, la stagnazione, la violenza. “Per questo gli Stati Uniti hanno adottato una nuova politica, una strategia avanzata di libertà in Medio Oriente”. Dietro queste parole c’erano gli ideali della Dottrina Wilson, lo spirito che aveva spinto il presidente Thomas Jefferson a organizzare una spedizione punitiva contro i pirati libici, algerini e tunisini, gli stati schiavisti che all’inizio del XIX secolo controllavano Gibilterra e la tratta di un milione e mezzo di schiavi. La stessa America che avrebbe combattuto una sanguinosa guerra civile proprio sulla questione della schiavitù. Forse è di questo che abbiamo bisogno adesso in Italia, di più contraddizioni.

    Forse il Sessantotto, in Europa e in America, è stato l’epilogo piuttosto che l’inizio di qualcosa, e ce ne stiamo accorgendo pienamente soltanto adesso. La fine di un’ideologia – l’occidentalismo – sposata da tutti coloro che odiano il progresso e la civiltà occidentale. Ed è in questo scenario postumo che ci aggiriamo cercando di interpretare i concetti di destra e di sinistra in un modo che sia ricco di implicazioni e, di nuovo, contraddizioni.

    Non è semplice spiegare queste ragioni ai veteromarxisti, ai neo e postcomunisti che al solo sentire il nome di Bush si tappano le orecchie e rifiutano di ascoltare qualsiasi argomentazione. Eppure qualche mese fa su Rai 3 è andato in onda un terribile documentario sulle condizioni di vita in una scuola afgana. Si vedeva una classe di bimbe coperte dal Burka. Quasi tutte, per fortuna, avevano il volto scoperto. L’insegnante ha chiesto a una di loro, che si copriva totalmente il viso, con più determinazione delle altre, perché ti comporti in questo modo? La ragazzina ha risposto che farsi vedere “è peccato”. E perché è peccato? ha insistito la maestra. “Perché l’ha detto il mullah Omar”, ha risposto la bimba, spiegando che il Profeta mise la donna in “una scatola” per vederla lui e soltanto lui.

    Tante anime candide dell’ortodossia liberal pensano che se la ragazzina crede davvero nella storia della scatola, ed è questa la sua tradizione millenaria – una religione e un modo di vivere che non possiamo giudicare –, qualsiasi discorso sulla democrazia e i diritti umani non ha senso. Teniamoceli per noi e lasciamo perdere il resto del mondo. E avrebbero anche ragione se non fosse che alla fine, dopo essere stata cacciata fuori dalla maestra (un’ottima maestra), e aver ascoltato le mille suppliche di un’amichetta (ancora più brava), la ragazzina ha finalmente deciso di sollevare il pesante cappuccio dalla testa. Sempre di spalle, al riparo da occhi indiscreti. Non sorrideva.

    Chi ci assicura che non vorrebbe farlo di nuovo? L’hanno convinta a indossare il burka. Nel saggio Le origini del totalitarismo la Arendt ha scritto che i leader di massa totalitari sono capaci di far credere alla gente anche le cose più strane, non c’è bisogno di costringerla.

    Questi Capi sanno che “se il giorno dopo (la gente) avrà delle prove inconfutabili della loro falsità, si rifugerà nel cinismo; invece di abbandonare i leader che le hanno mentito, protesterà dicendo che aveva saputo fin dall’inizio che quelle affermazioni erano falsa, e non potrà fare altro che ammirare i leader per la loro straordinaria abilità tattica”. Riflettiamoci su. Ricostruire un altro mondo non è impossibile.

  13. @Paola

    > Lombardo rappresenta lo stesso tipo di utenza nel sud, e propone delle soluzioni pratiche. Che poi siano discutibili è un altro paio di maniche.

    Affermazione errata. Lombardo in Sicilia si va portavoce di tutto e del contrario di tutto. Di fatto non si fa portavoce di nulla, se non di un fumoso vittimismo. Lombardo è essenzialmente una oliatissima e scientifica macchina clientelare, organizzata a più livelli secondo i criteri del marketing piramidale. Quali soluzioni pratiche proponga, se non spesa pubblica a tappeto indirizzata alla sua clientela, non mi è chiaro.

  14. sottoscrivo l’intervento di alcor: il nostro problema – di noialtri tutti, quelli che campano del proprio lavoro e pagano il mutuo- è pagare il mutuo, comprarci la polo con una marca decente, riuscire a fare le ferie, spiegare ai nostri figli che le mutande di prada no, che sono cafonate.
    la fantasia ci serve per uscire dallo squallore deprimente delle nostre vite soffocate dalle abitudini e addomesticate a suon di rate.
    il fatto di avere un nemico ci aiuta a guardare sempre l’altro e a pensarlo male così da consentirci di pensare a noi con benevolenza.
    ma cosa vuol dire essere fascisti, comunisti?
    io non sono più comunista da quando ho capito che ognuno è diverso e che quello che condividevo con gli altri era solo la paura di affrontare la solitudine. e ho smesso di odiare i fascisti da quando ho capito che erano scemi e anacronistici, e una insignificante minoranza.
    chi mi fa davvero paura sono io; soprattutto quando fingo di no.

  15. Replico a Sebastian. Circa le soluzioni pratiche facevo riferimento più che altro alla Lega, del nuovo partito di Lombardo so effettivamente poco e può darsi tranquillamente che sia il solito faccendiere mafioso travestito da paladino del Mezzogiorno. Quello che mi premeva evidenziare era il rifiuto delle Sinistre di farsi portavoce dell’italico malessere punito con l’esclusione dal Parlamento. Tradimento per tradimento. Berlusconi non mi piace, mi crea anche malessere fisico il vederlo, soprattutto com’è ridotto adesso, con i capelli disegnati in testa a mo’ di decrepito Big Jim. Ma non sarà un nuovo Mussolini nè, tantomeno, il nuovo Hitler. Farà, si spera, anche qualcosa di buono, è nelle sue corde, tutto sommato. Con buona pace degli inglesi

  16. Mussolini e Ciarrapico non sono al governo, sono in Parlamento. E allora? Sbaglio o in Parlamento c’era andata anche Cicciolina??

  17. per replicare avendo aperto un buon dibattito..
    in breve
    – evitare di usare linguaggi astratti..rivoluzione, fantasia al potere, bandiere rosse, belle ciao e compagnie belle..
    – parlare con il linguaggio di oggi, non dico sia meglio o peggio di quello di ieri, dico che è semplicemente quello che si capisce meglio.
    – fare piazza pulita di tutta una serie di atteggiamenti permissivi, di colore, nostalgici(vedi le bandiere rosse alle finestre, o la probabile manifestaione del 25 aprile piena di gente che canta bella ciao e contessa)
    – evitare la superiorità morale rispetto alla memoria storica, alle istituzioni, alla cultura
    – smetterla di proporre modelli e/o immaginari del passato. l’ha fatto anche veltroni con kennedy e ha fatto la fine che ha fatto
    – porre dei criteri al linguaggio e quindi alle cose da farsi, focalizzare il punto no trincerarsi dietro “multiculturalismo”, “pace”, “diritti civili”.

    sono di sinistra da quando ho coscienza politica non ho un mio rappresentante nè locale nè nazionale non dico ideale ma che parli e si muova in questo senso..così ce la si può fare, a proporre una sinistra nuova intorno ai problemi di oggi

    per rispondere all’autore dell’articolo da cui tutto è partito.
    è cosa ovvia che la storia sia da sapere e da ricordare, non proponiamola però per comparazioni stupide e vuote, prive di cirterio e senso, se non quello di dire ” va sempre peggio”..

    su su possibile che in sessant’anni di storia repubblicana io debba cantare ancora contessa???? anche perchè quei personaggi oggi abitano altri luoghi molto diversi dai miei..

  18. Con la vecchia legislatura abbiamo mandato in parlamento Mastella, De Gregorio, Pecoraro Scanio, Luxuria, Francesco Caruso ( quasi tutti della Campania, quando si dice la crisi dei rifiuti… ). A ciascuno i propri mostri.

  19. il bello di questo governo è che sarà quello del 2012, l’anno della svolta vera, mica ‘ste quisquilie.

  20. Per “The O.C.” e il suo “secolo brevissimo”:

    L’interventismo umanitario internazionale andrebbe bene se ci fossero delle regole molto precise, condivise dalla maggiornaza delle persone di questo pianeta. Purtroppo così non è. Troppo spesso le decisioni sugli interventi militari vengono prese unilateralmente, sulla base di spinte emotive, di testimonianze di pochi, di campagne giornalistiche, di interessi poco edificanti. Sappiamo bene quanto la famosa “opinione pubblica” può essere manipolata dai mezzi di comunicazione di massa.

    La storia del burka della ragazzina è emblematica. Tu assumi che poiché la ragazzina se l’è tolto, probabilmente se lo toglierebbe ancora e definitivamente se potesse. Perché la natura umana è senza burka. E qui il senso del ragionamento mi sfugge. Perché tanti altri sono i condizionamenti delle ragazzine nelle nostre società cosiddette libere. Che so, il cellulare, il rossetto, la french alle unghie, il vestirsi da piccole troie, e via dicendo. E allora? Cos’è giusto e cos’è sbagliato? E, soprattutto, chi giudica cosa è giusto e cosa è sbagliato?

    Le regole, e il controllo dei controllori: questi sono due problemi fondamentali ancora irrisolti. Quando le decisioni prese alla leggera poi provocano milioni di morti, allora la responsabilità diventa pesante.

    Insomma: togliamole di mezzo le ideologie, ma proprio tutte però. E vigiliamo maniacalmente affinché qualsiasi decisione che implichi la sofferenza di qualcun altro sia assolutamente immune da qualsiasi ideologismo, anche occulto o inconsapevole.

    Ci sono, è vero, dei valori universali. Uno di questi, ad esempio, è il ripudio di ogni forma di violenza contro gli esseri umani. Ma quando da questi principi universali si scende agli aspetti psicologistici o politici del disagio e del livello di tolleranza, allora si arriva su un terreno minato. A quel punto anche il mio vicino di casa che tiene la musica troppo alta mi disturba, e perciò deve essere annientato. Soluzione sicuramente efficace dal mio ristrettissimo punto di vista. Ma a che prezzo?

  21. Ricordare non significa essere nostalgici. Ricordare la Resistenza non è archelogia. Studiare il passato è funzionale al presente e propedeutico al futuro, lo diceva per esempio Deleuze sul romanzo cosiddetto passatista per eccellenza, La Ricerca di Proust. Oggi c’è più che mai bisogno di antifascismo. Non ci sono più gli squadristi che cantano “chissenefrega della galera, camicia nera trionferà”, ma si instaura un regime mediatico, con le televisioni che falsificano la realtà mostrando un mondo devastato dalla violenza e dal crimine e dalla droga (i telegiornali sono degli snuff-movie), ma c’è il Padre che vigila sulle paure popolari, che bada all’economia, ai salari, all’ordine pubblico, e in fondo, grazie a Lui, va tutto bene, stiamo tutti bene. Il nuovo fascismo è falsificazione, furto legalizzato, istigazione all’odio e alla paura. Bisogna reinventare i linguaggi, è vero, ma “i morti di Reggio Emilia” sono la nostra storia, come lo sono le centinaia di ragazzi fucilati e impiccati dai fascisti e dai nazisti, come l’EIAR è la storia della televisione di oggi, schiava del potere.

  22. Mi sembra che con Mendacio (se non ironizza) e, soprattutto, con Prodan, una discussione sul presente potrebbe anche aprirsi, ma come vedete ‘siamo solo dei commenti’, quindi la marcia la vedo proprio lunga, ma lunga assai. La testa e il cuore di questo blog batte ancora per la Causa e in giro sento già chi dice ottimo, si torna nelle piazze (in tredici?). A Prodan, in particolare, vorrei rispondere che, personalmente, sto dalla parte delle “piccole troie”. Senza se e senza ma anche.

    Un’altra cosa, tanto per passare alla politica interna. Ieri Vendola ha detto che “Dobbiamo accettare la sfida del federalismo”. Unico comunista sopravvissuto alla debacle della sinistra, ancora in sella, Vendola potrebbe essere un candidato delle prossime primarie del PD (sì, del PD…). In passato “Nikita” ha saputo rimontare quando tutti lo davano per spacciato, non si è bruciato quando hanno cercato di metterlo a capo dell’Arcobaleno e adesso, che vince la Lega, Vendola strizza l’occhio al federalismo. Inutile attardarsi sul nazionalismo soft dei loft romani.

    In politica interna il governatore della Puglia può vantare qualche credito: aver estromesso la dirigenza ‘noglobal’ dell’Acquedotto prima di finire come con i Verdi in Campania, aver aumentato le esportazioni e il commercio estero della regione. La politica delle Notti Bianche e dei “Bollenti Spiriti” (le borse distribuite a pioggia nel comparto della formazione), invece, cioè il governo culturale del territorio, non bastano a convincere i cittadini (vedi Roma). Gli elettori sono soddisfatti fino a quando c’è un concerto in piazza, ma poi tornano a casa e ritrovano i loro problemi quotidiani. Così il vendolismo è stato punito nella sua accezione più tradizionale, paternalista, assistenziale e meridionalista. Non ha svecchiato, non ha innovato il sistema socioeconomico.

    Il “federalismo solidale” invece potrebbe essere una scelta originale per la sinistra del Sud. Sempre che sia verosimile uno scenario in cui la sinistra rientri nei ranghi e si giochi il tutto per tutto alle prossime primarie del PD. Se il rinascimento romano e quello napoletano sono stati un bluff, se il modello emiliano è in panne, si può ancora parlare di una sinistra adriatica e rivolta ai Balcani? Meno diffusa e ‘municipale’, più regionale e aggregante, disposta insomma a sfidarsi con la rivoluzione devolutiva? In fondo anche nei sistemi bipolari più avanzati e liberali ci sono spezzoni di governo locale ‘rosso’ (Londra) ed esiste un Movimento Comunista Federalista Padano che si batte contro il ‘centralismo capitalista’, ‘la multietnicità forzata’ e ‘la degenerazione della famiglia’. Ironia a parte, sappiamo quanto ha contato il vecchio voto operaio nel successo della Lega Nord.

    La ‘politica estera’ della Puglia viene abbastanza trascurata dai giornali e dai media locali (figuriamoci quelli nazionali) e, probabilmente, non avrà un grande appeal quando i cittadini torneranno a votare per la guida della Regione. I cittadini pensano più alle loro tasche che ai destini dell’Albania. In fin dei conti, se Vendola non riuscirà a rifondare la sinistra federalista ci penserà il centrodestra a creare quella nuova macroregione adriatica che ha affascinato tanti politici italiani, compreso Piero Fassino.

    Vendola offre un modello politico solidale, ‘postcomunista’, che risponde alle attese e all’immaginario dei Paesi che sono usciti dalle guerre balcaniche. La Tito-nostalgia può funzionare se dall’altra parte dell’Adriatico c’è “Nikita”. La vocazione adriatica dell’Italia potrebbe essere favorita da una nuova rivoluzione federale. Più libere di fare affari e mettersi in concorrenza (pensiamo all’espansione del traffico aeroportuale in Puglia), le regioni dell’adriatico meridionale, e magari la Romagna Felix, inizierebbero a guardare verso Tirana, Pristina, Atene e Belgrado, liberandosi dalle briglie romane. Pensiamo ai flussi di turisti, lavoratori ed energia che arrivano da Mosca e dai Balcani sudoccidentali. Insomma, invece di rifondare il comunismo ripartiamo dal federalismo?

  23. @ O.C.

    La testa e il cuore di questo blog batte ancora per la Causa

    la testa non è unica e ci sono diversi livelli di tachicardie

  24. confessione di alonso chisciano

    Giro nel mio deserto e sto tranquillo
    ho solo il vento per barriera
    Ah, che cavaliere triste
    in realtà avevo dato il cuore
    alla luna
    e la luna l’ho barattata col temporale
    e il temporale con un tempo ancor meno normale
    e il tempo stesso con una spada
    che mi accompagnasse
    fuori dei confini di quello che è reale.

    E più mi accorgo di amare l’ignota destinazione
    più lungo sterpi e rovesci
    non ritorno.

    A me, a me, a me
    una pazzia d’argento
    al mio cavallo una pazzia di biada

    Ah, come hai potuto pensare
    di cambiarci la strada
    che se la morte è soltanto un mare
    vedi, mi ci tuffo vestito

    Ahi, polvere delle mie strade
    ah, scintille del mio mare inaridito
    come hai potuto pensare
    di spogliarmi proprio adesso
    giro nel mio deserto e fa lo stesso

    Per non scalfire il tuo senso morale
    ma dentro
    caro il mio ingegnoso narratore, dentro,
    dentro è tutto un altro carnevale

    Mi porto dietro latta, legni
    l’antico arsenale
    carambole di fantasmi io conservo
    conservo pezzi di temporale
    le chiacchiere sul mercato
    che vergogna, che spavento
    la normalità eterna

    Risvegliarmi un’altra volta senza fiato
    fra il pianto scemo del barbiere
    e il sudore muto del curato
    io qui vedo l’orizzonte
    e faccio finta di accettare
    le predizioni della scimmia che indovina
    Io, tirar di scherma con la grandine, le dame.

    Ah, che compagnie infelici
    cavalieri di specchi, minestre di radici
    dormo nella follia
    e tutto il teatro con me

    Ma senti che odore di carta e incenso
    da una parte ti dico grazie
    e dall’altra continuo
    solo e senza corpo a scornarmi con il vento.

    (Fossati – Anna Lamberti Bocconi)

  25. non guardo quasi più la tivù, se non qualcosa su sky – sì, di un altro padrone, come ci fosse qualcosa che non ne abbia- e in effetti sto meglio, mi sento più intelligente, reattivo, valuto con più distacco la mia infelicità, tipicamente occidentale, basata sulla insoddisfazione costante da desideri spirituali – vorrei illuminarmi- e materiali – vorrei una bella auto e viaggiare molto-.
    poi faccio shiatsu per stare meglio, scrivo e talvolta leggo ciò che scrivo, cosa che mi soddisfa molto, per poco tempo però.
    leggo molto, frequento gli intelligentoni di internet affinché, non guardando la tivù, mi possa sentire informato e al centro di qualche cosa.
    sono in forma e lavoro nel sociale, non mangio carne e pesce da quindici anni e osservo con attenzione quel che mi accade, momento per momento, come suggeriscono i mistici.
    ma non succede niente, non sono contento, non mi pare di essere più utile all’esistenza della razza umana, anche se sarei pronto a giurare il contrario in qualsiasi momento a chicchessia mi si pari davanti e nomini berlusconi.
    sono sempre stato di sinistra, nato in una famiglia di sinistra, con uno zio che qui a venezia veniva chiamato mao, poi convertitosi anch’egli ai ds, prima di morire.
    sono anche stato comunista e anarchista, come tutti i giovanotti ribelli che si rispettano, per poi capire che anche quella è una trappola, una fede, una sovrastruttura mentale per mentecatti che han bisogno di stare in compagnia.
    mai creduto in dio, mai cercato di trovarlo, sempre stato convinto che anche questa è un’illusione per chi vuol trascendere part time, magari quando sono tristi e soli.
    e non riesco a votare questi soldatini illusionisti, correndo anche il pericolo di veder eletto il re degli spacciatori di oppio del popolo consumatore che paga per far circolare l’idea del circo del benessere.
    siamo in occidente, siamo grassi, obesi di vizi, infelici, tracotanti cialtroni dell’apparenza.
    siamo destinati all’infelicità eppure sorridiamo con denti bianchissimi.
    siamo la decadenza e la morte della vita.

    fernando gorup de besanez, “soy echo polvo”

  26. Ho sentito Vendola, non ricordo più se sul La7 o altrove, e mi è piaciuto assai, molto lucido, concreto, consapevole, generoso, autocritico. politico, programmatico e non trovo altri aggettivi per indicare il mio gradimento, pur nelle differenze grandissime.
    Risponde al alcune delle lamentazioni di questo thread come davvero bisognerebbe fare.

  27. «La vocazione adriatica dell’Italia […]»

    questa mi era sfuggita…

    Quanto agli albanesi, qui da noi c’è più di qualcuno che vorrebbe metterli tutti su un barcone e rovesciarli in mezzo all’Adriatico…

  28. Pare che il pensiero unico della “fine delle ideologie” dilaghi anche dentro il pensiero critico. In realtà la fine delle ideologie è stata decretata troppo alla svelta e a scopi strumentali: si è voluta privare la parte debole della società (che ha beni scarsi ma coscienza delle cose) degli occhiali di lettura della realtà, dei fondamenti per l’interpretazione del mondo. Gli occhiali non sono una gabbia, ma uno strumento per vedere (per capire), non costringono a una visione bensì consentono “la” visione. Che cosa è retorica bieca? Conservare la memoria storica (le parole, il linguaggio) della difesa collettiva della libertà o non piuttosto adeguarsi ai luoghi comuni delle “realizzazioni concrete” che non sono “né di destra né di sinistra”? Proporre un’etica della politica o farne un atteggiamento pratico guidato da chi ha più binari? Ciò che viene spacciato come né di destra né di sinistra è in realtà dominio assoluto di chi già esercita il potere: le multinazionali, la grande finanza, l’informazione di massa, la chiesa… Se questo linguaggio è vecchio è il segno dell’immutabilità degli assetti sociali. Se una sinistra nuova deve svendere anche il fondo del suo patrimonio di idee, perché dovrebbe ri-chiamarsi sinistra? Il cuore batte al solito modo, per fortuna: è l’unica cosa (diversamente dalla testa) ancora libera di non farsi comprare, né dai soldi né da una modernità arrembante quanto vacua.

  29. L’ideologia non ha colore, perché è falsa coscienza: è il mettere in evidenza alcune cose tralasciandone altre altrettanto significative ma non utili all’artificio retorico che si vuole raggiungere. In questo senso va accuratamente evitata.

    E proprio l’equidistantismo destra/sinistra nasconde un discorso ideologico, perché appunto non tiene conto del contesto. Rileggendo alcune poesie della raccolta di Pasolini “Trasumanar e organizzar”, ho trovato che nel risvolto all’edizione Garzanti del 1971 il poeta scriveva, tra le altre cose: «La dichiarazione di equidistanza dai due corni estremi è oggettivamente un appoggio al corno destro».

    Se proprio vogliamo prendere il toro per le corna, cerchiamo almeno di acchiappare tutti e due i corni. Altrimenti, come dice un mio amico pizzettaro, sono “volatili per diabetici” (“cazzi amari”, per chi non avesse afferrato la metafora).

  30. @Paola

    Se vuoi sapere qualcosa di più di Raffaele Lombardo, non perderti il servizio che Exit gli dedica stasera su La 7.

    sebastian

  31. @Paola
    Ecco l’articolo di Repubblica che annuncia il servizio di stasera

    ————————————————————————————–

    Quelle buste della spesa nei comitati Mpa prima del voto

    ROMA—La telecamera è bassa, inquadra all’altezza della busta della spesa. Esce un primo signore, poi una signora che impugna con la stessa mano qualcosa che sembra un facsimile elettorale. All’interno del locale si intravedono altri che ritirano i pacchi. Dentro i pacchi, della pasta, prodotti confezionati. E l’il aprile, ultimo giorno di campagna elettorale, e il locale non è un supermercato ma un patronato, in uno dei quartieri a rischio di Catania, da Librino a Nesima. Una delle decine di centri di assistenza ai cittadini che fanno capo ai sindacati o ad associazioni — questo dovrebbero essere — e che nelle città siciliane invece spuntano come funghi alla vigilia delle elezioni, trasformandosi presto in comitati elettorali. Alla vetrina sono affissi i manifesti elettorali di Raffaele Lombardo, poi trionfatore alla presidenza della Regione, e un suo uomo in corsa per l’Assemblea regionale, CarmeloTagliaferro (lui non ce l’ha fatta).

    La telecamera li fuori crea allarme. Entra subito un signore molto agitato che ordina — così si sente distintamente dall’audio—di «non fare uscire nessuno dal patronato con la spesa». Gli avventori restano chiusi lì per lunghi minuti, mentre la telecamera zoomma all’interno e scova – fa notare la voce fuori campo – scatoloni di generi alimentati). E una delle immagini forti, una delle tante, dell’inchiesta-reportage sulla macchina elettorale di Raffaele Lombardo realizzata da due giovani giornaliste, Claudia Di Pasquale e Teresa Paola. Andrà in onda stasera, nel corso del programma di informazione condotto da Ilaria D’Amico “Exit”, dalle 2l.00 su La7. Venti minuti per un video d’impatto che ricorda molto «La mafia è bianca» sul sistema di potere cuffariano. Le due croniste si sono piazzate al seguito di galoppini e grandi elettori del nuovo viceré di Sicilia negli ultimi dieci giorni della campagna elettorale. Hanno filmato e raccolto le testimonianze, carpito i segreti, gli strumenti utilizzati per catturare pacchi di voti. Per scoprire che molto ruota proprio attorno a i patronati che presidiano il territorio. Quasi tutte le vetrine sono occupate dai manifesti elettorali di candidati del Pdl e soprattutto dell’Mpa e del suo leader Lombardo, che lì gioca in casa. Il centrosinistra laggiù sembra scomparso dai quartieri, cancellato.

    La sensazione è che a Catania, in Sicilia, abbia funzionato una perfetta catena di montaggio del consenso. I galoppini, oscurati, raccontano come accolgano i cittadini «bisognosi» al patronato e come si crea un pugno di voti per famiglia: «50 euro per la spesa, una carta telefonica, poi la mattina ci facciamo trovare all’ingresso del seggio». Vengono filmati alcuni che distribuiscono fac-simili nei dintorni delle scuole, sarebbe vietato. Gli stessi raccontano di essere rappresentanti di lista («Sì, siamo dell’Mpa»). Dunque, verificheranno all’apertura delle urne. Un controllo capillare del processo, dalla materia prima del bisogno al prodotto finale del voto. Quartiere di San Leone. C’è la fila davanti a un patronato per parlare col consigliere comunale che riceve. Uno dei tanti racconta che il consigliere promette un posto dopo il 13 aprile: da precario, ovviamente. In provincia, con telecamera nascosta, una delle giornaliste finge di essere in cerca di lavoro e in un patronato viene invitata a consegnare il curriculum al consigliere, poi, al sindaco del paese. Tutti cortesi. A Librino ci sono più patronati che salumerie, al quartiere di Nesima, tre patronati in 500 metri. Il gestore dice: «Sono al servizio degli amici. La famiglia Lombardo sono i miei amici. Sono cristiano e per me Raffaele è il vangelo». Famiglia, perché oltre a Raffaele c’è il fratello Angelo, eletto all’Assemblea. Il video chiude su tre ragazzini di sei anni reclutati in un orfanotrofio, anche loro per distribuire volantini ai seggi. Non sono perseguibili. «Ai politici chiedo di non approfittare della povera gente — supplica la suora intervistata, incaricata della loro custodia— Rispettate almeno la loro dignità». Il resto è trionfo di Lombardo, nuovo governatore, erede di Totò Cuffaro.

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Antonio Sparzani, vicentino di nascita, nato durante la guerra, dopo un ottimo liceo classico, una laurea in fisica a Pavia e successivo diploma di perfezionamento in fisica teorica, ha insegnato fisica per decenni all’Università di Milano. Negli ultimi anni il suo corso si chiamava Fondamenti della fisica e gli piaceva molto propinarlo agli studenti. Convintosi definitivamente che i saperi dell’uomo non vadano divisi, cerca da anni di riunire alcuni dei numerosi pezzetti nei quali tali saperi sono stati negli ultimi secoli orribilmente divisi. Soprattutto fisica e letteratura. Con questo fine in testa ha scritto Relatività, quante storie – un percorso scientifico-letterario tra relativo e assoluto (Bollati Boringhieri 2003) e ha poi curato, raggiunta l’età della pensione, con Giuliano Boccali, il volume Le virtù dell’inerzia (Bollati Boringhieri 2006). Ha curato due volumi del fisico Wolfgang Pauli, sempre per Bollati Boringhieri e ha poi tradotto e curato un saggio di Paul K. Feyerabend, Contro l’autonomia (Mimesis 2012). Ha quindi curato il voluminoso carteggio tra Wolfgang Pauli e Carl Gustav Jung (Moretti & Vitali 2016). È anche redattore del blog La poesia e lo spirito. Scrive poesie e raccontini quando non ne può fare a meno.
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