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Gioventù tedesca II

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di Dario Borso e Heinrich Heine

RIASSUNTO. Il giovane Richard, che a Parigi fa la fame e abbandona il cane, lecca la penna e scrive a Giacomo M., boss della Santa Corona Lirica, che lo dirotta al direttore dell’Opera. Risultato: per 500 fiorini Richard cede il libretto del Vascello fantasma, di cui peraltro non ha scritto la musica. Peraltro ancora, la storia Richard l’aveva tratta gratis da Heinrich Heine, che l’aveva divulgata in Deutschland un lustro prima. Chi la fa, l’aspetti. Ora vediamo meglio questa benedetta (maledetta?) storia raccontata da Heine, mentre la volta prossima spieremo come qualmente Søren Kierkegaard, nello stesso anno 1840 e giusto a Berlino, indagasse la figura di Asvero, allineandola agli altri due colossi dell’età moderna: Don Giovanni e Faust. Intanto Hans, in quanto austriaco, se n’è ito.

La favola dell’Olandese Volante vi è certamente nota. E’ la storia del naviglio stregato che non può mai giungere in porto e gira già da tempo immemore per mare. Se incrocia un’altra imbarcazione, si accosta in battello qualcuno del sinistro equipaggio e prega di prendere cortesemente in consegna un pacco di lettere. Queste lettere bisogna inchiodarle bene all’albero maestro, altrimenti alla nave succede una disgrazia, specie se non c’è una bibbia a bordo o un ferro di cavallo al trinchetto. Le lettere sono sempre indirizzate a persone affatto ignote o da tanto defunte, così che a volte il pronipote riceve una lettera d’amore rivolta a sua bisnonna, che già da un secolo giace nella tomba. Quello spettro di legno, quel tristo naviglio deve il suo nome al suo capitano, un olandese il quale un dì giurò su tutti i diavoli che nonostante la violentissima tempesta giusto in corso avrebbe doppiato un certo promontorio di cui mi sfugge il nome, dovesse pure navigare fino al giorno del giudizio. Il diavolo l’ha preso in parola, ed egli deve errare fino al giorno del giudizio in mare, a meno di non venir redento dalla fedeltà di una donna. Il diavolo, da tonto che è, non crede alla fedeltà femminile, e consente perciò al dannato capitano di scendere a terra una volta ogni sette anni, e sposarsi e attuare così la sua redenzione. Povero olandese! Non vede l’ora di riredimersi dal matrimonio stesso e liberarsi della sua redentrice, e così torna a bordo.
Su questa favola si basava il dramma che ho visto al teatro di Amsterdam. Sono trascorsi altri sette anni, il povero olandese è diventato più stanco che mai dell’eterno vagare, scende a terra, fa amicizia con un mercante scozzese, gli vende diamanti a un prezzo irrisorio, e appena ode che il suo ospite possiede una bella figlia, la chiede in moglie. Puro codesto affare viene concluso. Ora vediamo la casa dello scozzese, la ragazza attende il promesso sposo, trepidando in cuore. Guarda spesso con occhio strutto a un gran quadro disfatto che sta appeso in sala e rappresenta un bell’uomo in costume ispanolandese; è un vecchio cimelio ereditario, e a detta della nonna un ritratto fedele dell’olandese volante come fu visto cent’anni prima in Scozia, al tempo di re Guglielmo d’Orange. A tale quadro è poi collegato per tradizione un monito, che le femmine di famiglia si guardino dall’originale. Proprio perciò la ragazza fin da piccina s’è impressa in cuore i tratti dell’uomo periglioso. Quando mo compare in carne e ossa l’olandese volante reale, la ragazza rabbrividisce; ma non di paura. Pure quegli è colpito alla vista del ritratto. Allorché gli si spiega chi rappresenta, sa tenere però lontano da sé ogni sospetto; ride della superstizione e schernisce addirittura l’olandese volante quale ebreo errante dell’oceano; passando però involontariamente a un tono melanconico, descrive come Mynheer debba soffrire sul deserto smisurato d’acqua le pene più inaudite, come il suo corpo altro non sia che una bara di carne in cui l’anima sua s’annoia, come la vita lo respinga da sé e pure la morte lo rifiuti; simile a una botte vuota che le onde si lanciano tra loro e si rilanciano per beffa, così il povero olandese viene sbottolato via tra morte e vita, nessuna delle due volendo trattenerlo: il suo dolore è profondo quanto il mare su cui galleggia alla deriva, la sua nave è senza ancora e il cuor suo senza speme.
Credo che tali fossero all’incirca le parole conclusive dello sposo. La sposa l’osserva seria e lancia a tratti occhiate laterali al suo ritratto. E’ come avesse scoperto il suo segreto, e quand’egli in seguito domanda: Caterina, vuoi essermi fedele?, lei risponde decisa: Fino alla morte.
A questo punto, mi ricordo, udii ridere, e tale riso non veniva da giù, dall’inferno, ma da su, dal paradiso. Allorché levai lo sguardo, scorsi un’Eva strabiliante, che m’osservava coi suoi occhioni azzurri. Un braccio le pendeva giù oltre la piccionaia, e nella mano teneva una mela, o piuttosto una melarancia. Invece però di darmi simbolicamente la metà, mi gettò solo metaforicamente le bucce in testa. Fu intento o caso? Volevo saperlo. Ma allorché salii in paradiso per approfondire la conoscenza, stupii non poco nel trovare una bianca soave fanciulla, una molle figura straordinariamente femminile, non esile ma fine qual cristallo, un’immagine di rigore domestico e grazia inebriante. Solo a sinistra del labbro superiore s’incurvò qualcosa, o meglio si arricciò qualcosa, tipo la coda di una lucertolina in fuga. Era un tic misterioso, come non suolsi trovare proprio tra i puri angeli, epperò neanche tra gli orrendi diavoli. Questo tic non significava né il bene né il male, ma solo un sapere sofferto; è un sorriso ch’è stato avvelenato da quel pomo della conoscenza di cui la bocca ha goduto. Quando vedo questo tic su molli labbra rosee di fanciulla, allora sento nelle mie stesse labbra un guizzo convulsivo, una guizzante bramosia di baciare quelle labbra; è affinità elettiva.
Sussurrai perciò all’orecchio della bella: Verginella! voglio baciare la tua bocca.
Perdìo, Mynheer, questa è una buona idea! Fu la risposta che uscì in fretta dal cuore con incantevole armonia.
Ma no – la storia intera che qui pensavo di narrare e alla quale l’olandese volante doveva fare solo da cornice, ora voglio sopprimerla. Mi vendico così dei prudi, che trangugiano di gusto storie analoghe, e ne sono incantati fino all’ombelico, anzi ancora più giù, e poi sgridano il narratore, e in società storcono il naso al caso suo e lo diffamano come sconcio. E’ una bella storia, saporita come ananas in conserva o come caviale fresco, o come tartufi nel Borgogna, e sarebbe una lettura amena dopo le preghiere; ma per astio, per punizione di torto precedente, la sopprimerò. Tiro pertanto qui un trattone sospensivo ––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––
Codesto tratto sta per un divano nero, e su desso si svolse la storia che non racconto. L’innocente deve soffrire col colpevole, e più di un’anima buona mi guarderà ora con un occhio supplicante. Be’, a questi egregi confesserò in confidenza che non sono ancora stato mai baciato così selvaggiamente come da quella biondina olandese, e che costei ha sconfitto stravittoriosamente il pregiudizio da me fin lì nutrito verso capelli biondi e occhi azzurri. Solo allora compresi perché un poeta inglese abbia paragonato donne simili a champagne ghiacciato. Nell’involucro gelido è appostato il più ardente estratto. Non v’è niente di più piccante del contrasto tra quella freddezza esteriore e l’intimo calore, che avvampa baccantemente e imbriaca irresistibilmente il fortunato avventore. Sì, assai più che in brunette, l’incendio dei sensi brucia in certe madonnine all’apparenza chete, con crinaureola dorata e occhi celestecielo e pie mani liliali. Conosco una biondina di una delle migliori famiglie olandesi, che ogni tanto lasciava il suo bel castello sullo Zuidersee, e in incognito andava ad Amsterdam e lì a teatro, a ognuno che le piacesse gettava in testa bucce d’arancia, talvolta passava notti dissolute perfin nelle locande dei marinai, una Messalina dei Paesi Bassi.
Allorché tornai una seconda volta a teatro, giunsi giusto all’ultima scena del dramma, dove da un alto scoglio la moglie dell’olandese volante, la sig.ra Volante Olandese, si torce disperata le mani, mentre in mare, sul ponte del naviglio stregato, è dato vedere il suo sfortunato consorte. Egli l’ama e la vuole lasciare per non tirarla alla rovina, e le confessa il suo atroce destino, e la terribile maledizione che gli grava addosso. Lei però grida forte: Ti fui fedele fino ad ora, e so un mezzo più sicuro con cui serbarti fedeltà fino alla morte!
Con tali parole la moglie fedele si butta in mare, e dunque termina pure la maledizione dell’olandese volante, egli è redento, e noi vediamo come il naviglio fantasma sprofonda negli abissi marini.
La morale del dramma per le donne è che devono stare attente a non sposare un olandese volante; e noi uomini vediamo da questo dramma come grazie alle donne, ben che vada, andiamo in rovina.

La traduzione del testo di Heine è di Dario Borso

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37 Commenti

  1. ringrazio Helena per questa sofferto secondo tempo di Gioventù Bruciata. se vuole addirittura rendermi felice:

    – tolga tutti i salti di riga fuorché quello tra riassunto e testo

    – prolunghi i trattone sospensivo fino a fondo riga

    – poco sopra il trattone, invece di *arricciano il naso* metta “storcono il naso”

    – poco sotto il trattone, elimini una *e* da *dorata e e occhi*

  2. Un testo molto bello e poetico.
    Amo questa storia di naviglio fantasmo con lettere antique.
    Penso che ci sono ancora olandesi volanti, vittimi della maledizione dell’amore o della fuga.
    Garcia Marquez ha scritto anche lui una favola che evoca un batello fantasmo: è il punto di sogno per il lettore o lo scrittore che vede passare come un miraggio il corteo dei ricordi, dei volti amati, dei desideri.

    Grazie per il post, fa viaggiare e dimenticare la realtà.

  3. faccio bene io, a diffidare degli olandesi che volano!
    :)

    sono uno di quei lettori non commentatori di cui dicevano le statistiche dei giorni scorsi, ma stavolta dovevo dirtelo: è stato un piacere leggerti.

  4. hahaha!
    il dramma per gli uomini è quindi sposare donne olandesi?
    hahahah…

    lasciamo perdere quella lunga sospensione e
    assaggiamo l’ananas…:-)

  5. è proprio di occhio ‘strutto’ che trattasi…?
    io credo che era intento, non caso, quello delle bucce..:-)

  6. sto ancora incredibilmente soffrendo: sono già 7 minuti che ho scritto un’e-mail a Helena per sollecitarla a correggere i refusi (per me sono come i peccati mortali prima di confessarsi), e non mi ha ancora risposto! le scrivevo appunto: *He, come dice Heine, tutto è pene quel che finisce bene. MA, bitte, all’inizio dei commenti ti ho pregato di correggere un paio di punti: fallo! (nel senso di H)*

    *strutto*: il crucco parla di Wehmut, struggimento (in Toscana dicono: il jelato si strugge, noi abbiamo lo strutto ecc.). E a prop., Helena, quell’a capo prima di strutto non c’è in tedesco!

    pur non essendo uno specialista, mi proverei volentieri a rispondere su qualsiasi tema (tipo: chi è il poeta dello champagne ghiacciato? ecc.)

  7. :-)))))))))))))))))))))))))))))))))
    ma dai!
    brindiamoci sopra!
    evviva le olandesi!
    e il paradiso, naturalmente!
    hahaha

  8. al di là del mero estetismo della scrittura, il messaggio è arrivato, via mare, attraverso le ardite intemperie, e le stregate reminescenze…

  9. La cronaca di Enrico getta nuova luce sulla psicanalisi (invece del contrario!). Dev’essere stato certamente a lui infatti che Freud pensò durante la 31sima lezione di psicanalisi (forse un po’ stanco e distratto, si capisce), al momento di lanciare il fatidico: “Wo Es war, soll Ich werden”. Lo Zuidersee venne bonificato giusto nel 1932, anno delle lezioni. Risultato: la scomparsa di un mare dalla faccia della terra (Zuidersee = Mare del Sud, gemello al Mare del Nord o Nordico o Baltico), e oltracciò di una bellisima elegia di Goethe (“Das Meer woran die Tulpen blühen). Bene, lo slogan di Freud (che Lacan tradusse tra l’altro macchinosamente con “Là ou fut ça, il me faut advenir” ?!), si capisce da sé, una volta individuata la fonte e dunque posto Es = das Mädchen (accessoriata: occhi, castello ecc.): “Dov’era lei, mi fionderò”: ah, Wehmut!

    a impedire l’orgasmo, un altro refuso: là dov’era l’occhio strutto, va attaccato alla frase precedente, senza a capo. Helpena!

  10. borso,
    ma Heine – che io non conosco per niente – e Melville?
    si tratta dello ‘spirito del tempo’, di sturm?
    Achab, aveva moglie e figlio, ma li vedeva ogni tre o quattro anni[?], dopo aver finito l’intero giro della terra. si parla di posta da una nave all’altra, e poi c’è la moneta d’oro inchiodata all’albero della nave.
    per l’ambientazione: quinto bozzetto: *la fregata e il vascello fantasma*: le *encantadas*. e naturalmente – nella “bella traduzione” di Pavese: *benito cereno*
    ! da escludere ogni possibilità di contaminazione diretta. assurdo
    pensarla, oltre che ipotizzarla: i racconti di *piazza tales* vengono
    pubblicati, in rivista, tra il 1853 e il 1856. e Melville, naturalmente,
    non aveva certo bisogno di olandese
    se poi qualcuno volesse approfondire l’argomento delle ‘navigazioni’
    letterarie: *il mulino d’amleto* un dono impagabile di chi fuggì dall’italia
    nel ’38 a causa delle leggi razziali, dando agio ai de martini, nel vuoto, di farsi credere ‘scienziati dell’uomo’

  11. In “Clarel: A Poem and a Pilgrimage in the Holy Land” (1876), Melville condemned “the preaching of the cross” and the “promises to destroy the wisdom of the wise.” (Paul, Cor., 1:18). The Jews did not accept the consequence of Christianity that reason must be crucified in order to increase faith in God. Similarly to Byron’s Prometheus, the Wandering Jew in Melville’s poem alters his cosmic solitude and metaphysical orphanhood to make it a blessing rather than a curse, for the Wandering Jew is presented at peace with his solitude, punishment and fate in the Diaspora: “Just let him live, just let him rove…. / My fate! / Cut off I am, made separate… / …Hence solitude / Elect I; in waste places brood / More lonely than an only god”. The Jews were ready to accept the consequences of their tragic fate and disassociate themselves from God so that man could step out into the center stage: “What say these in effect to God? / How profits it? And who art Thou / That we should serve Thee? Of Thy ways / No knowledge we desire; new ways / We have found out, and better. Go- / Depart from us… / Depart from us!” And if He do? / (And that He may, the Scripture says) / Is aught betwixt ye and the hells? …. / And if, in satire of the heaven, / A world, a new world have been given / For stage, whereon to deploy the event; / If such a people be-well, well; / One hears the kettledrums of hell! / Exemplary act awaits in place
    In drama of the human race… / God is – man, / The human nature, the divine-…” In Melville’s poem the Wandering Jew is portrayed as a very realistic person and so is his attitude towards the world. The Eternal Jew is the first post-Christian realist, and so his freedom of speech seems infernal to his older contemporaries. When he opens his mouth to say how the world really is, the old Christian metaphysics and theology are swept away. He shows us that the way one should really live is not by following Christian Scripture and the dictates of the Church. As a result of the 
pilgrimage, men should not fear the tragedy of falling from grace. Melville ascribed magical, mystical, god-like qualities to the desert – the place where the Biblical legends found their roots. In the pilgrimage a Voyage of a Soul – Melville grappled with the question of fate vs. freewill: the Wandering Jew’s rebellious provocation was a praiseworthy deed because he rejected Christian righteousness and justification of worldly evil by faith.

  12. La leccata del giugno 1840 era inedita: per quello mi sono impegnato a tradurla, stando anche attento a non sporcarmi. ma per firmarsi “schiavo” doveva aver prima definito i rapporti. e difatti il 3 maggio precedente Wagner si era dichiarato così a Meyerbeer:

    My head & my heart are no longer mine to give away, – they are your property, my master; – the most that is left to me is my two hands, – do you wish to make use of them? – I realise that I must become your slave, body & soul, in order to find food and strength for my work, which will one day tell me of my gratitude. I shall be a loyal & honest slave.

  13. What say you to a bottle of champagne?
    Frozen into a very vinous ice,
    Which leaves few drops of that immortal rain,
    Yet in the very centre, past all price,
    About a liquid glassful will remain;
    And this is stronger than the strongest grape
    Could e’er express in its expanded shape:
    ‘T is the whole spirit brought to a quintessence;
    And thus the chilliest aspects may concentre
    A hidden nectar under a cold presence.

    E’ il don Giovanni inglese di Byron, che parla di Adeline: tutto gira nell’imbuto, finché cola nei papirer di Søren.
    quanto a Clarel, si vede che distilla i connotati filosofici di Achab: uomo solo/errante in lotta, alla faccia delle regioni rivelate. ma non dimentichiamoci di Bartleby, di cui sappiamo solo che in gioventù lavorava all’ufficio letterenon recapitate (come le lettere dell’olandese!).
    notare infine il modo elaborato in cui compare l’etichetta “ebreo errante” in Heine (il quale nello stesso anno 1835 scriveva Il rabbino di Bacharach, sui primi pogrom nel medioevo, contemporanei alla nascita della leggenda d’Asvero).
    e proprio in cauda: la bibbia equiparata a ferrodicavallo…

  14. tu compi miracoli borso

    capisco anche l’inglese
    non sapendolo

    ci leggo quello che penso
    perchè così sta scritto

  15. un giorno o l’altro bisogna arrivarci a questo neros
    to aspettando un tuo giudizio su ciò che dice il giovane
    che di zuidersee prosciugati manco p’a capa

    e la zamira?

  16. Veramente è preventivata per la 17ma e ultima puntata (titolo provvisorio: “La Zamira Errante”). già qui però si può postare la sua erratica filosofia (che tra l’altro è il nero rovescio dello spinodiderottiano “Sta scritto lassù”):

    *Nun far del bene, si nun è che vuoi avè mmale.*

  17. giusto desto dalla pennica: sonno agitato, incubo, visione: un topo che ingiallisce a topazio, la mano adunca, bianca in martingala, inconfondibile: erano 7 mesi già che non veniva a visitarmi (“niente funghi!” il suo ultimo divieto settembrino), per non dire coniarmi: con punta di pietra su polso sinistro, cubitale: BANNIER DIG! e io che pensavo di sapere il danese… (tra l’altro, sarebbe la prima volta che Severo mi ordina di fare: ma dov’è la negazione in ‘sto comando? sante socrates!)

  18. nemmeno Cornelio, il pronipote del maggiordomo, ha saputo decifrare il BANNIER DIG! ma conoscendolo, pensa che non gradisca finire nella terza puntata di un reteromanzo. sarà, Severo: ma Asvero?

  19. Il divolo fa le pentole ma ci rimette le corna.
    Che sia Asvero a voler bonificare lo Zuidersee, non meraviglia, quando si pensi che in tali acque melmose si annidavano pesci – figli del grande Pesce – capaci di uccidere suo padre con un solo colpo di mano che buttava a terra il suo cappello, imponendogli di raccoglierlo e rimetterselo. Come fecero, una volta, davanti a lui, nella civile Vienna.
    La strana storia è che il giovane Filomene – la cui famiglia, per mestiere, prosciugava stagni – non ne volle sapere.
    Non è certo un motivo per prosciugare mari il fatto che vi abitino gli squali.

    Siamo nuotatori.
    *Saldi navigatori sulla tolda sono quelli che riportano i pesci più fantastici, più di quelli pescati nei fantastici mari delle “Mille e una notte”*: è Valery, nei “Quaderni” che parla di Poincaré.
    Il giovane pescatore pensa che ci sia qualcosa di sbagliato, non nei pesci, anche in quelli, ma soprattutto nel grande Pesce. La Purezza.
    Ma che cosa si crede? Non vede che uccidendo i pesci spazzini -che gli vogliono soltanto togliere i parassiti dalla pelle per farne pranzo, pensando, lui, che da nessuna sporcizia può mai essere stato contaminato – è proprio così che si è trasformato in Squalo?

    *Zamira dekirkegaardizzava […] farabutelli di provincia dopo avergli deterso l’anima dalle ultime perplessità*
    Jung: Aion.
    Shakespeare : tramite il pizzuto: *do it no fish *
    Beckett: aspettando godot: god_hot dog_ godod: aspettando dio cane.

    Jung dice in una lettera, quindi letteralmente, che il ridicolo Heidegger e il piagnone Kierkegaard non sono filosofi, ma oggetti degni di essere analizzati scientificamente con gli strumenti offerti dalla “diagnostica psichiatrica”.
    Con me ha sfondato una porta aperta.

    Leibniz e Wittgenstein, unici e soli, all’apice di duemila anni di storia. Problema secondario stabilire quale sia il loro Cristo.
    E *il migliore* dei mondi possibili, io lo leggo darwinianamente come *il più adattto*, ma questo oggi è più che di moda.

    Borso: BANNIER DIG?

  20. hai ragione dogod, c’è ancora chi considera Leibniz un parruccone, e non sa che lo teneva giusto per celare la ciste alla nuca, grande come un uovo (di struzzo).

    su dog hot dog ti dico solo questo: all’air-studio anni fa abbiamo prodotto dei badge atei: su uno campeggiava il triangolo con scritto ai 3 rispettivi lati DOG HOT DOG e al centro, invece dell’occhio, l’hot-dog di Lichtenstein (un altro faceva: MONOTHEISM? STEREOTHEISM!) li davamo via come noccioline. poi in studio hanno rubato tutti i computer, con le matrici dentro, e ora i badge superstiti salgono di prezzo che è un piacere).

    sul BANNER DIG! ho consultato pure il sacerdomo di Severo, don Agammal: niente. Però ricordo che la penultima volta che mi comparve in sonno, 1 anno esatto fa d’aprile, il più cruento dei mesi (per via del calore), Severo mi si rivolse con un recitativo: MANNA MOM VUOLE, BANNO MENNENO. che c’entri?

  21. Questo è Dawkins _ in *L’illusione di Dio* che prende per il bavero quel monumento di prosopea che è Voltaire – aveva impersonato Leibniz in Candide, per meglio bastonarlo – il quale prese le parti di Newton nella famosa disputa _
    *Newton era una beghina che ha lasciato diecimila pagine
    di folli scritti teologici che nessuno è mai riuscito a leggere.
    per di più fu uno di quelli che calcolò l’età della terra partendo dallaBibbia: secondo lui fu un venerdì che fu creata
    ciliegina: andava beato a godersi le impiccagioni del poveracci
    che avevano commesso reati monetarie che lui, come direttore
    della Zecca aveva fatto arrestare

    Leibniz non mise mai piede in una chiesa
    mise un tedesco sul trono inglese ma si è fatto
    sempre i cazzi suoi, contro il volere di quello là

  22. @borso
    era quello che desideravo sapere e ti ringrazio
    ma tu hai 17 puntate di Giovani Tedeschi per tentare di convincermi
    io come farò a tentare di convincere te?
    ma, felicemente, lo posso dire che siamo d’accordo almeno su una cosa?
    : vs. heide
    chissà se, conoscendosi, non si possa raddoppiare eros, lasciando fuori
    un a svizzera

  23. solo la tesi dell’ignegnere potrà dirimere. sul BANNIER DIG mi devo arrangiare da solo, confrontando con gli altri divieti socratici:

    niente funghi! = basta allucinazioni

    MANNA MOM VUOLE = manna vuole antiparassitario che trovi applicazione nel trattamento locale delle parassidosi umane provocate dai pidocchi del capo (pediculus humanus capitis), del pube (phthirus pubis) e delle rispettive uova (lendini). Ma manna? La manna (ebr. מן) è un prodotto ottenuto dal Fraxinus ornus (orniello da manna). Si riduce sempre di più il numero dei coltivatori, quasi solo gli anziani sanno come coltivare e praticare le incisioni sulla corteccia del tronco col mannaruolo. Dalle piccole incisioni trasversali create con gesti precisi, sgorga lentamente un succo inizialmente di colore ceruleo e di sapore amaro (lagrima), che a contatto con l’aria rapidamente si schiarisce e assume un sapore dolce. Condensandosi, forma cannoli e stalattiti di colore bianco e profumati. Manna cannolo: la più pregiata, simile ad una stalattite. Manna rottame: costituita dalla linfa che scorre lungo la corteccia. La produzione viene messa ad asciugare (stinnitura) per le prime 24 ore all’ombra per ripulire i cannoli dalle impurità; successivamente in pieno sole sugli stinnituri per circa una settimana, La manna è nota per le sue proprietà lassative. Il decotto di manna è un blando purgante. È indicata nei casi d’indigestione e ipertensione. Per gli ebrei la manna non produceva feci in quanto cibo celeste e non soggetto alla regola della generazione e della corruzione (cfr. Maimonide, Guida dei Perplessi: “non di solo pane vive l’uomo, ma di tutto ciò che esce dalla Volontà del Signore”). Vi fu però un caso citato nel Tanakh in cui la manna fatta avanzare produsse vermi.

  24. *Borso.
    c’è anche nel *mulino amletico* richiamato più sopra una *guida per i perplessi*. si tratta però di un intermezzo – corredato, oltretutto, da una citazione di Valéry da *la jeune parque* – che, appunto, vuole aiutare a proseguire chi sino a quel punto è arrivato.la domanda che rivolge il mulino può avere una risposta soltanto da te. ed è questa: nel complesso – che è un termine junghiano, non freudiano – dei testi del complesso dell’”errante”, si – e quando – accenna a “zoppia”? in tutte le forme dirette e attraverso qualunque metafora o metonimia.
    perché, se così fosse, verrebbe spiegato il rapporto tra *navigazione* e antisemitismo*
    la sostituzione del racconto e del mito con *narrazioni varazzine* o *voraginesche* trasforma i personaggi della conoscenza “pagana” – metafore scientifiche – in pupazzi irrispettosi dell’ignoranza cristiana.
    prima dell’antisemitismo c’è la paura popolare, alimentata dalla chiesa, degli uomini della conoscenza; in primis astrologi, ma la cui arte difficilmente poteva essere esercitata senza una forte competenza astronomica
    ma non è tutto – è questo che bisogna sottolineare – nel complesso mitico della “navigazione”
    non è che gli eroi siano i naviganti che conoscono le rotte – anche mio nonno era un “gubernator” perché sapeva ancora navigare con le stelle, ma non era un eroe – sono gli eroi che sono stelle e i loro viaggi lo scorrere del tempo

    v. anche: chatwin, le vie dei canti

  25. @Borso!!!

    BANNIER DIG:

    **The Jews did not accept the consequence of Christianity that reason must be crucified in order to increase faith in God.**

    Non mi dire di no! Ti prego.

  26. In un sogno postmonitorio dopo la battaglia elettorale, dio in persona ≠ persona in dio mi ha sciolto l’enigma ≠ perizoma del divieto socratico: in effetti Severino Kimitero, che già 150 anni fa a una saggista che voleva intervistarlo per un libro rispose garbatamente: “grazie, non ballo”, be’ SK non vuole per coerenza finire in una puntata di reteromanzo. da ciò si spiegano tutti i suoi divieti

    NIENTE FUNGHI! = basta allucinazioni!

    MANNA MOM VUOLE, BANNO MENNENO = nun far del bene, si nun è che vuoi avè mmale = CONE FAREN A FARE L’ANOR

    BANNIER DIG! = bannati!

    in effetti era facile, anche se ora non so se l’accento è sulla I o sulla II a: bannati della terra? e comunque, avendo io sgomento solo all’idea di trasgredire, alla tua invocazione, godog: “Non mi dire di no!” non posso non rispondere se non così: non ti dirò di no né di sì né di ni. amen

  27. erano due o tre i momassassini che uccisero lo spettatore
    o mero incidente? senza naufragio le storie di mare non valgono
    come non valgono con entrambi i piedi
    a questo punto gli spettatori fuggono,
    perciò
    chi è in grado, tra gli spettatori, di documentare che è falsa
    la leggenda che nessuno sa quale piede manca a Achab
    senza utilizzare immagini filmiche?

  28. ma davvero ha 17 capitoli?
    io contro i pidocchi ho sempre usato le coccinelle, e credo che non fosse una ciste bensì un cervello alieno, sotto il parruquet.
    Ma è una traduzione alla Char o alla Celan?
    per decifrare il BANNIER DIG ci voleva uno storico, non un traduttore.

  29. @ impenitente

    ((((())))) entre nous

    che montalcino sia frascati

    solo noi poveri
    sappiamo che è l’estrema felicità

    d’altronde:

    era porta

    entrare o uscire
    significava abbandonarla

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«Da una parte l’Impero ottomano, dall’altra la Valacchia. In mezzo il Danubio, nero e immenso». Lara è sul fianco e ruota la testa all’indietro, verso Adrian. Rimane così per un po’, con la reminiscenza del suo profilo a sfumare sul cuscino.

Amicizia, ricerca, trauma: leggere Elena Ferrante nel contesto globale

L'opera dell'autrice che ha messo al centro l'amicizia femminile è stata anche veicolo di amicizia tra le studiose. Tiziana de Rogatis, Stiliana Milkova e Kathrin Wehling-Giorgi, le curatrici del volume speciale Elena Ferrante in A Global Context ...

Dentro o fuori

di Daniele Muriano
Un uomo faticava a sollevarsi dal letto. Un amico gli suggerì di dimenticarsi la stanza, la finestra, anche il letto – tutti gli oggetti che si trovavano lì intorno.

Un selvaggio che sa diventare uomo

di Domenico Talia Mico, Leo e Dominic Arcàdi, la storia di tre uomini. Tre vite difficili. Una vicenda che intreccia...

Soglie/ Le gemelle della Valle dei Molini

di Antonella Bragagna La più felice di tutte le vite è una solitudine affollata (Voltaire) Isabella Salerno è una mia vicina di...
helena janeczek
helena janeczek
Helena Janeczek è nata na Monaco di Baviera in una famiglia ebreo-polacca, vive in Italia da trentacinque anni. Dopo aver esordito con un libro di poesie edito da Suhrkamp, ha scelto l’italiano come lingua letteraria per opere di narrativa che spesso indagano il rapporto con la memoria storica del secolo passato. È autrice di Lezioni di tenebra (Mondadori, 1997, Guanda, 2011), Cibo (Mondadori, 2002), Le rondini di Montecassino (Guanda, 2010), che hanno vinto numerosi premi come il Premio Bagutta Opera Prima e il Premio Napoli. Co-organizza il festival letterario “SI-Scrittrici Insieme” a Somma Lombardo (VA). Il suo ultimo romanzo, La ragazza con la Leica (2017, Guanda) è stato finalista al Premio Campiello e ha vinto il Premio Bagutta e il Premio Strega 2018. Sin dalla nascita del blog, fa parte di Nazione Indiana.
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