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Un padre, un secolo

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di Marco Lodoli

Un uomo su un letto di cenere, lungo come un secolo
E corto come un addio: ed è mio padre.
Lui l’Etiopia e la Spagna, Lubiana e Salò
Giovinezza giovinezza e morte morte
Ma insieme a me poche cose, un’altalena
Forse qualche afosa sfilata del due giugno
Coi carri pesanti e i bersaglieri sudati
Io piccolo accanto a lui e lui muto nei ricordi.
E poi qualche litigata più avanti
Rosso e nero attorno alla minestra
E già ci sembrava tutto inutile, parole accese
Che non significavano più niente
Una miseria nei tovaglioli sporchi sulla tavola
Una consapevolezza che faceva male.
Lui in guerra e in galera, lui ovunque come il tempo
Lui a costruire brutte case al sud e al nord
sempre a fare e a dire, sempre fretta e basta
e io che diventavo vecchio a vent’anni
io che non volevo somigliargli in nulla
e sono come lui, come un cane
somiglia a un altro cane quando zoppica
e quando il vento ruba gli odori della vita.
Tutti a tredici anni sono fascisti, ma io di più
E poi c’è pala e vergogna per coprire
Ci sono i figli degli operai a Monfalcòn
Che leggono Pavese e ascoltano Coltrane
E hanno ragazze che bevono rosso e cantano piano
Canzoni d’amore e di rivoluzione.
E il libro mio di Malcom X me lo ricordo bene
Strappato dal padre in mille pezzi sopra al tavolo
Mille petali che dicono m’ama non m’ama
E tutto era frammenti che non tornavano più insieme.
Credimi sulla parola, ma credimi davvero
Nulla è esaltante, disse mio padre, e fu per sempre vero.
Il secolo si curva, rimpicciolisce, respira con la bombola
Pronuncia frasi irreali, indifferenti, poi tace.
Marco, sussurra, cerca di volere bene ai tuoi figli
Portali al prato a giocare, portali via da qui.
Fregatene di tutti, fatti la vita tua Marco, pensa ai soldi.
Cent’anni di storia in un fiotto di merda nel pannolone,
il Vecchio chiude gli occhi, s’addormenta, punta a domani.

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