Gioventù tedesca I
Verso la fine del 1839 un 26nne Wagner giunse alle porte di Parigi, e subito… (ma lasciamo parlare lui, auf englisch visto che siamo in rete) I made the acquaintance of Meyerbeer. I brought under his notice the two finished Acts of my Rienzi; he promised me, in the friendliest fashion, his support in Paris. Entirely without any personal references, I could rely on no one but Meyerbeer. He seemed prepared, with the most signal attentiveness, to set in train whatever might further my aims – had it not unfortunately so turned out that, Meyerbeer was generally absent from Paris. First of all, I entered upon negotiations with the Théâtre de la Renaissance. I was so warmly recommended by Meyerbeer to the Director, that he could not help receiving me with the best of promises – when the Théâtre immediately became bankrupt. Thus I began the summer of 1840, completely bereft of immediate prospects. On a sudden, Meyerbeer appeared again for a short space in Paris. With the most amiable sympathy he ascertained the position of my affairs, and desired to help. He therefore placed me in communication with Léon Pillet, the Director of the Grand Opera, with a view to my being entrusted with the composition of an opera for that stage. The “Flying Dutchman” had never ceased to fascinate my phantasy; I had also made the acquaintance of H. Heine’s remarkable version of this legend; and it was especially his treatment of the redemption of this Ahasuerus of the seas that placed within my hands all the material for turning the legend into an opera-subject. I wrote my sketch, and handed it to M. Léon Pillet. Thus far was everything set on foot when Meyerbeer again left Paris, and the fulfilment of my wish had to be relinquished to destiny. I was very soon astounded by hearing from Pillet that the sketch pleased him so much that he should be glad if I would cede it to him. I struggled obstinately against this suggestion. I counted upon the speedy return of Meyerbeer, and held my peace. In November I put the last touches to my score of Rienzi, and sent it to Dresden. This period was the culminating point of the utter misery of my existence. I wrote for the Gazette Musicale “The Life’s End of a German Musician in Paris,” wherein I made the wretched hero die with these words: “I believe in God, Mozart, and Beethoven.” In the spring of 1841 I learnt, forsooth, that my sketch of the Flying Dutchman had already been handed to Paul Fouché: I therefore consented at last to make over my sketch for a moderate sum. I had now to clothe my own subject with German verses. In 7 weeks the whole opera was composed; I sent it to Meyerbeer, in Berlin, with the petition that he would get it taken up for the theatre of that city. This was effected with tolerable rapidity. As my Rienzi had already been accepted for the Dresden Court theatre, I therefore now looked forward to the production of two of my works upon the foremost German stages. I therefore left it in the spring of 1842. For the first time I saw the Rhine – with hot tears in my eyes, I, poor artist, swore eternal fidelity to my German fatherland.
Così termina lo Schizzo autobiografico che Wagner stese nell’autunno del 1842. Esso dà un quadro accettabile del contesto in cui Wagner il 26 luglio 1840 scrisse una lettera a Meyerbeer che restò inedita fino al 1964, quando Heinz Becker la pubblicò nell’Annuario IX del Baeck Institute. Questa la traduciamo in italiano, per la prima volta:
Mio riveritissimo Signore,
vogliate per amor del Cielo non prendere troppo a male se V’importuno nuovamente col ricordo della mia insignificante persona. Non so se abbiate conservato ancora un minimo d’interesse per me, e posso comunque tanto meno sperarlo dacché sempre più mi rendo conto di quanto poco sono degno di Voi. Confidando tuttavia nell’infinitezza della Vostra bontà, sia osato nondimeno un’altra volta: – se incrociate queste righe in una disposizione d’animo propizia, bene – altrimenti, rimarrete soltanto indifferente. Confesso che ora reputerei mio preciso dovere non importunarVi più in alcun modo e rimettere invece interamente alla bontà Vostra se vorrete fare, qualora consideraste opportuno il momento, qualcosa in mio favore. L’occasione che oggi però mi travia ad aggirare il mio proposito era davvero troppo eccitante e seducente. Ho letto appunto poco fa che il sig. Léon Pillet parte oggi da qui per venirVi a trovare, riveritissimo Signore, a Ems. Sa anche ognuno cosa si proponga il sig. Pillet con tale visita. Se e come esaudirete la sua preghiera, non posso ovviamente prevederlo. Né sono in grado di prevedere se sareste disposto a usare forse gli obblighi verso Voi di tale signore per una favorevole menzione di un povero aspirante par mio. Solo una preghiera oso: – dovesse essere conforme e accetto al Vostro discernimento superiore così come al grado dell’interesse che forse ancora nutrite per me, Vi chiedo in profondissima umiltà di lasciar cadere una parola buona per me e il mio Olandese alato (atto I), del quale ho pronti alcuni numeri per l’audizione.
Non sviluppo in perifrasi questa preghiera, perché so che al solo mio abbozzarla rileverete con un’occhiata cosa racchiude in sé, e se l’esaudimento della stessa è possibile. Accogliete perciò questo fugace accenno con le buone!
Nel resto sono ora costante, mi prefiggo di finire entro autunno il mio Rienzi, per farlo dare in un teatro tedesco. Più di tutto a mia portata è Dresda. Berlino sta troppo lontana. Lì solo una mano potente potrebbe condurmi al traguardo, e so che non potrei trovarne una più potente della Vostra, riveritissimo Signore; ma mi contento per oggi di questo lieve accenno a un punto troppo importante, il quale unito alla preghiera espressa sopra costituirebbe un peso troppo grande perché mi fosse lecito osare rovesciarlo oggi su di Voi, quando appunto non so ancora se già con la più piccola di queste righe ho già provato troppo la Vostra pazienza.
Per tutti i casi Vi prego però insistentissimamente di accettare l’espressione più alta della mia sconfinata venerazione, come anche l’assicurazione che solo nella speranza di saperVi completamente ristabilito si sente soddisfatto
il Vostro
devotissimo schiavo
Richard Wagner
Mein hochverehrter Herr,
mögten Sie um des Himmels Willen nicht zu ungütig aufnehmen, wenn ich Sie abermals mit der Erinnerung an meine unbedeutende Person belästige. Ob Sie noch ein geringes Theil Theilnahme für mich bewahrt haben, weiß ich nicht u. kann es allerdings um so weniger hoffen, da ich immer mehr zu dem Bewußtsein gelange, wie wenig ich ihrer werth bin. Im Vertrauen jedoch auf die Unendlichkeit Ihrer Güte sei es nichts desto weniger noch einmal gewagt; – treffen Sie diese Zeilen in einer günstigen Stimmung, so ist Alles gut, – wenn nicht, nun, so werden Sie nur gleichgültig bleiben. Ich gestehe, daß ich es jetzt eigentlich für meine Pflicht hielt, Sie in keiner Art mehr zu belästigen, sondern es gänzlich nur Ihrer Güte zu überlassen, ob Sie, wenn Sie den Zeitpunkt für geeignet halten würden, etwas zu meinen Gunsten thun wollten. Der Anlaß aber, der mich heute verführt meinen Vorsatz zu umgehen, war gar zu anregend u. verführerisch. Ich lese nämlich soeben, daß H. Léon Pillet heute von hier abreist um Sie, hochverehrter Herr, in Ems zu besuchen. Zugleich weiß jeder, was Hr. Pillet mit diesem Besuche beabsichtigt. Wie u. ob Sie seine Bitte erfüllen werden, kann ich natürlich nicht voraussehen. Ob Sie gestimmt sein würden, die Verpflichtungen dieses Herrn gegen Sie vielleicht zu einer geneigten Erwähnung eines armen Aspiranten meines Gleichen zu benutzen, bin ich ebenfalls nicht im Stande vorauszusehen. Nur die Bitte wage ich: – sollte es Ihrer höheren Einsicht so wie dem Grad Ihres Interesses, das Sie vielleicht noch für mich hegen, angemessen u. genehm sein, so ersuche ich Sie in tiefster Demuth ein gutes Wort für mich u. meinen „geflügelten Holländer” (1 Act) fallen zu lassen, von dem ich einige Nummern zur Audition fertig habe.
Ich umschreibe diese Bitte nicht, weil ich weiß, daß Sie nur bei der leisesten Erwähnung derselben mit einem Blick vollkommen übersehen werden, was sie in sich schließt, u. ob eine Erfüllung derselben möglich ist. Nehmen Sie daher diese flüchtige Hindeutung in Güte auf!
Ich bin im übrigen jetzt fleißig, ich beabsichtige bis Herbst meinen „Rienzi” zu vollenden, um ihn auf einem deutschen Theater geben zu lassen. Das Nächste dafür ist mir Dresden. Berlin liegt mir zu fern. Dort könnte nur eine mächtige Hand mich zum Ziele führen, ich weiß daß ich keine mächtigere finden könnte, als die I h r i g e, hochverehrter Herr; begnüge mich aber für heute nur mit dieser leisen Berührung eines zu wichtigen Punktes, der, mit der bereits ausgesprochenen Bitte vereint eine zu gewichtige Last ausmachen wiirde, als daß ich es wagen dürfte, sie h e u t e auf Sie zu wälzen, wo ich ja noch nicht weiß, ob ich nicht schon mit der geringsten dieser Zeilen Ihre Langemuth zu sehr ermüdete.
Für alle Fälle bitte ich aber inständigst den lautersten Ausdruck meiner gränzenlosen Verehrung zu genehmigen, so wie die Versicherung, daß nur in der Hoffnung, Sie vollkommen gesund zu wissen, sich befriedigt fühlt.
Ihr
unterthänigster Sclave
Richard Wagner
I commenti a questo post sono chiusi
Chi ha scritto la traduzione? Perché non tradurre la parte in inglese?
E’ possibile – ma questo non è importante – rimettere tutto con la formattazione solita?
Grazie.
Io provo a buttarla lì… : Dario Borso e Hans Ebner?
La formattazione la decide chi mette il pezzo, o no?
l’extended skizze per i lettori tedeschi è qui:
users.utu.fi/hansalmi/texts/auto.html
siccome all’inizio io non parlavo tedesco e ebner non parlava italiano, abbiamo optato per l’inglese (ormai lo parlano tutti: perfino i pedofili in brazil, mica falano portugués… ). Last but not beast, più veloce copincollare.
Sei sicuro?
Messo così, le parole di Wagner sembrano scritte da Borso & Ebner.
La formattazione la decido io.
(Scherzo. Comunque da noi si formatta tutti uguali).
Borso, impara a mettere i link.
Sono io quella che ha problemi con la FORMATTAZIONEEEEEEEEEEE
qui stiamo a parlare della forma, ma la sostanza è che lingua lunga che hai… per leccarti meglio, giaculino mio!
Se quello sono io, mi chiamo Giacomino, mica
i primi commenti a un’opera che sara’ seriamente seguita sono come sempre di carattere “laterale”…..invece sono rimasto impressionato dal coraggio di chi ci mette la propria cultura linguistica e intellettuale…aspetto senza le normali invidie dei primi commenti il seguito affascinante di qs opera……come sempre quando non si sa entrare nel merito, o sostanza ci si rifugia nella forma!
3 MCD 903.18 MEYERBEER LE PROPHETE 1970 Horne-Gedda-Rinaldi-Peter; RAI 70 Lewis
2 MCD 961.141 MEYERBEER LES HUGUENOTS 1971 Gedda-Shane-Tarres-Diaz; Austria 71 Märzendorfer
3 MCD 992.206 MEYERBEER ROBERO IL DIAVOLO 1968 SCOTTO
3 MCD 011.235 MEYERBEER L’AFRICANA 1977 Arroyo-Casellato Lamberti-Milnes-Rydl; Muenchen 77 Albrecht
Borso, non so cosa vuoi dire, cosa intendi, cosa vuoi.
Mi sembra davvero strano che persone che stimo, come Janeczek e Pinto, ti diano credito.
Pino, la forma è essenziale, e lo sai anche lei.
Aspetto la seconda puntata!
Io invece non capisco come diano credito a lei, franz krauspenhaar. Mi sembra solo spinto da invidia e sbruffonaggine, rancore immotivato e spacconeria da quattro soldi: tutto questo, forse, per una inferiorità patita, percepita, ma probabilmente ancora inconscia.
L’episodio del concorso di Mister Troll, su Lapoesiaelospirito, è un chiaro esempio del suo stile, a partire dal deprecabile fotomontaggio a mo’ di locandina.
Se interessa, continuiamo, altrimenti no. L’idea è quella di un feuilleton tedesco, tipo il serial tv Heimat, solo un secolo prima. Certo, questa prima puntata, a farne un video, sarebbe a basso costo. La seconda, sulla “moderata somma”, costerebbe 500: vedremo cosa ne dice il produttore (o produttrice?), che comunque ringrazio.
Hans Peter
[prima dell’inevitabile diluvio comparato di battute dei vari nicks di Borso&C e groupies… direi che, se uno lo sa fare, la formattazione si può aggiustare. Se.]
Questa lettera del giovane Richard pieno di “profondissima umiltà” è molto interessante. Sfodera uno stile di forbita ed untuosa captatio benevolentiae degna di un Monteverdi al suo mecenate Vincenzo I Gonzaga, per la serie di quando i musicisti erano stipendiati al servizio di.
Chissà se quella fidelity to my German fatherland, in nome della quale Wagner chiede una spintarella a Meyerbeer, certo intesa in un senso leggermente razzista, non fosse poi la stessa che ispirò quella arcigna walkiria della moglie Cosima Liszt in Wagner, quando costrinse Gustav Mahler, per potere dirigere la musica teutonica doc di Richard, a sottoporsi ad una umiliante visita per vedere se fosse per caso poco arianamente circonciso e a mangiare carne di maiale.
,\\’
Mi pare che la formattazione sia apposto. Vediamo per la traduzione. Dario e Ebner vogliono fare proprio quello che intuisce giustamente Orsola: mostrare la trasformazione del giovane Wagner in questuante leccaculo (Arschkriecher per i tedeskofoni) di Meyerbeer in antisemita…
Vabbé: come dicono le ferrovie dello Stato…ci scusiamo per l’inconveniente.
“L’olandese alato” è volante o razzolante? correggete il refuso!
Al Serenissimo Signore, mio Signore Colendissimo/ Il Signor Ducca di Mantoa / Canisa
Serenissimo Signore, mio Signore Colendissimo,
S’io non coressi a chiedere alla bona grazia di Vostra Altezza Serenissima con la propria voce, in questa occasione de la morte del Pallavicino, il titolo che già il signore Giaches aveva sopra la musica, forsi che a mio cordoglio la invidia ne li effetti altrui potrebbe, più oratoriamente che musicalmente, con sifatti modi apparenti adoperarsi che, machiando la bona mente de l’Altezza Serenissima Sua verso di me, li potrebbono dar a credere che ciò nascesse da qualche temenza de inabilitate mia, o da qualche troppo credere di me stesso, che perciò me ne stassi aspetando ambiziosamente quello che doveva (come debole servitore che sono) con particolar umiliate dimandar affettuosamente e cercare; né parimente, se non cercassi di più aver occasione di servir alla Altezza Serenissima Sua, tanto più quanto che Ella si rapresenta, averebbe particolar argomento di lamentarsi giustamente d’una negligente servitù mia e, insieme, il mio debole sapere a bone conclusioni non cercandole maggior adito di mostrarsi al finissimo gusto del udito Suo ancora ne’ motetti e messe valere qualche poco, potrebbe di me lamentarsi con giusta causa. E finalmente il mondo, avendomi visto nel servizio de l’Altezza Serenissima Vostra con mio molto desiderio e con bona grazia Sua dopo la morte del famoso signor Striggio perseverare, e dopo quella del eccellente signor Giaches, e ancora per terza dopo quella del eccellente signor Franceschino, e finalmente ancora dopo questa del soffiziente messer Benedetto Pallavicino, e che io non ricercassi (non per merito di virtute, ma per merito di fedele e singolar devozione che ho sempre tenuto verso il servizio di Vostra Altezza Serenissima) il loco ora vacante in questa parte de la Chiesa, e che, in tutto e per tutto, non dimandassi con grande instanza e umiliate il sudetto titolo, con ragione potrebbe mormorare de la mia negligenza.
Pe tutte le sudete ragioni dunque, e per quelle forsi, per mia bona ventura, che la bontà Sua potrebbe aggiungere, non avendo sdegnato mai di udir li deboli componimenti miei, io Li chieggio supplichevolmente d’esser mastro e de la Camera e de la Chiesa sopra la musica, il che, facendomi degno la bontà e grazia Sua, io lo riceverò con quella umiltà che a debole servitore conviene quando che da gran principe come è l’Altezza Serenissima Sua vien favorito e agraziato, alla Quale m’inchino e Li facio umilissima riverenza, pregandoLe ogni giorno da Dio quel contento maggiore che servitore devoto e fedele può desiderare con grande affetto al suo signore.
Da Mantova, il 28 novembre 1601
Di Vostra Altezza Serenissima
umillissimo e obbligatissimo servitore
Claudio Monteverdi
[al volo – istruttive strategie di artisti poveri]
Ho fatto conoscenza con Meyerbeer. L’ho messo al corrente dei mie due atti finiti del Rienzi; lui mi ha promesso, nel modo più amichevole, il suo appoggio a Parigi. Non avendo assolutamente alcuna altra raccomandazione, non potevo che mettermi in contatto con Meyerbeer.
Egli pareva pronto, con i maggiori segni di attenzione, a portare avanti ciò che auspicavo al di là delle mie aspettative – se sfortunatamente non fosse capitato che Meyerbeer fosse di solito lontano da Parigi. Dapprima sono entrato in contatto con il Théâtre de la Renaissance. Ero stato così caldamente raccomandato da Meyerbeer al direttore, che egli non potè che accogliermi con le migliori promesse, quando il Teatro di colpo fece bancarotta.
Così nell’estate del 1840 rimasi completamente privo di immediate prospettive. All’improvviso Meyerbeer ricomparve per un breve periodo a Parigi. Con la più affabile simpatia egli verifico lo stato dei miei affari e volle aiutarmi. Subito mi mise in contatto con Léon Pillet, il direttore della Grand Opera, per farmi ingaggiare per la composizione di un’opera per quel palcoscenico.
“L’olandese volante” non aveva mai cessato di affascinare la mia fantasia. Ero anche venuto a conoscenza di una notevole versione di Heine di questa leggenda, era specialmente il suo modo di trattare la redenzione di questo Ahasuerus dei mari che mi metteva in mano tutto il materiale per volgere la leggenda nel soggetto per un’opera. Io scrissi il mio abbozzo e lo diedi in mano a Pillet, In modo che fosse avviato prima che Meyerbeer lasciasse ancora Parigi e il compimento dei miei desideri abdicasse al destino. Io rimasi presto sbalordito di udire da Pillet che l’abbozzo gli era piaciuto così tanto che sarebbe stato contento se glielo avessi ceduto.
Io combattei ostinatamente contro questa tentazione. Contavo su di un veloce ritorno di Meyerbeer e mi mantenni calmo. In novembre
diedi i miei ultimi ritocchi allo spartito del Rienzi. E lo mandai a Dresda. Questo periodo fu il punto culminate della completa miseria della mia vita. Scrissi per la Gazzetta Musicale “La morte di un musicista tedesco Parigi”. E feci morire lo sventurato protagonista con queste parole sulle labbra “Io credo in Dio, Mozart e Beethoven.”
Nella primavera del 1841 venni a sapere, in verità che il mio abbozzo de “L’olandese volante” era già stato dato in mano a Paul Fouché: gli permisi quindi alla fine di lavorare sul mio abbozzo per una modica cifra. Io ora dovevo rivestire il mio soggetto con versi tedeschi. In sette settimane l’intera opera era composta, la mandai a Meyerbeer a Berlino, con la preghiera che egli la proponesse al teatro della città. Questo accade con una sopportabile rapidità. Poiché il mio Rienzi era già stato accettato dal Teatro di Corte di Dresda, pareva ormai che io mi avviassi alla produzione di due miei lavori sui palcoscenici più prestigiosi della Germania. Così partii nella primavera del 1842. Io vidi il Reno, con calde lacrime agli occhi, Io, povero artista, giurai fedeltà alla mia patria tedesca.
,\\’
Aberrante accostare Monteverdi a Wagner: li separano 2 secoli e mezzo, più la Rivoluzione francese. Quello era galateo, questo servilismo. O vogliamo imitare Wagner (oltre che giustificarlo)? In fin dei conti da lui ci separa solo 1 secolo e mezzo…
GRAZIE ORSOLA!
@angelo: “geflügelten Holländer”: è un apax della specie più rara, rara avis = pollo. Così prostrato il Nostro, da abbassarsi dal part. attivo “fliegend”/volante al part. passivo “geflügelt”: ahilui lasso/lapsus!
@renato: lettera a Gonzaga di Montverdi / lettera a Meyerbeer di Wagner / lettera a Nessuno di Moresco?
@Orsola: grazie! (ma NB: Reister ha scritto in bacheca che su 5.000 lettori di NI solo 200 leggono i commenti, ossia il 4 %)
[prego Helena! ma è così al volo che la riguarderei…]
@Renato
Nè quello di Monteverdi è semplice galateo, nè quello quello di Wagner mero servilismo: entrambi nascondono la stessa vita grama e la stessa preoccupazione degli artisti di tutte le epoche per guadagnarsi e mantenersi mecenati e diffondere le proprie opere. Monteverdi nonostante fosse la star assoluta della corte di Mantova, non gradito al successore di Vincenzo I, è costretto a riparare a Venezia.
@db
accontentiamoci di un pubblico di nicchia come per il lardo di Colonnata e i fagiuoli zolfini
Sogliono, el più delle volte, coloro che desiderano acquistare grazia appresso uno Principe, farsegli incontro con quelle cose che infra le loro abbino più care, o delle quali vegghino lui più delettarsi; donde si vede molte volte essere loro presentati cavalli, arme, drappi d’oro, prete preziose e simili ornamenti, degni della grandezza di quelli. Desiderando io adunque, offerirmi, alla vostra Magnificenzia con qualche testimone della servitù mia verso di quella, non ho trovato intra la mia suppellettile, cosa quale io abbia più cara o tanto esístimi quanto la cognizione delle azioni delli uomini grandi, imparata con una lunga esperienzia delle cose moderne et una continua lezione delle antique; le quali avendo io con gran diligenzia lungamente escogitate et esaminate, et ora in uno piccolo volume ridotte, mando alla Magnificenzia Vostra. E benché io iudichi questa opera indegna della presenzia di quella, tamen confido assai che per sua umanità li debba essere accetta, considerato come da me non li possa esser fatto maggiore dono, che darle facultà di potere in brevissimo tempo intendere tutto quello che io in tanti anni e con tanti mia disagi e periculi ho conosciuto e inteso. La quale opera io non ho ornata né ripiena di clausule ample, o di parole ampullose e magnifiche, o di qualunque altro lenocinio o ornamento estrinseco con li quali molti sogliono le loro cose descrivere et ornare; perché io ho voluto, o che veruna cosa la onori, o che solamente la varietà della materia e la gravità del subietto la facci grata. Né voglio sia reputata presunzione se uno uomo di basso et infimo stato ardisce discorrere e regolare e’ governi de’ principi; perché, così come coloro che disegnono e’ paesi si pongano bassi nel piano a considerare la natura de’ monti e de’ luoghi alti, e per considerare quella de’ bassi si pongano alto sopra e’ monti, similmente, a conoscere bene la natura de’ populi, bisogna essere principe, et a conoscere bene quella de’ principi, bisogna essere populare. Pigli, adunque, Vostra Magnificenzia questo piccolo dono con quello animo che io lo mando; il quale se da quella fia diligentemente considerato e letto, vi conoscerà drento uno estremo mio desiderio, che Lei pervenga a quella grandezza che la fortuna e le altre sue qualità li promettano. E, se Vostra Magnificenzia dallo apice della sua altezza qualche volta volgerà li occhi in questi luoghi bassi, conoscerà quanto io indegnamente sopporti una grande e continua malignità di fortuna.
non odio la forma solo se supporta qcosa d’entro…l’abito non fa il monaco.
poi pubblico di nicchia o no aspetto la seconda puntata che aggiustera’ le cose ne sono sicuro…..
pino
ma *alato* è un apax o un rapax?
@Folco: come già ebbi ad accennare, il geflügelte Hühnchen è un hapax d’allevamento, che a seconda de’ paesi assume differenti nomi, dal nordico Seasahasuerus al nostrano cappone. Ricordo che, in tempo di verno, rinchiusi in una gabbia un cappone senza dargli mai né da mangiare né da bere, e passati che furono cinque giorni interi si morì, siccome altri capponi tenuti pur senza mangiare e senza bere non vissero più che sette, otto e nove giorni. E pure, aperti i loro ventrigli, vi trovai in tutti una considerabile quantità di pietruzzole che aveano inghiottite prima che fossero rinchiusi, ed in tempo di così gran bisogno non si erano consumate né passate in nutrimento. Ritentai la prova in un altro cappone, ed a questo somministrai continuamente acqua da poter bere, e nella cassetta della gabbia misi molte pietruzze numerate, acciocché se vinto dalla fame volesse cibarsene, potesse farlo a suo piacimento: ma egli non le toccò mai, ancor che ne’ primi giorni della prigionia non facesse altro che bere ingordissimamente e con frequenza. Quattro giorni prima della sua morte allentò grandemente il bere, e finalmente, passato il ventesimo giorno, si morì. Ed un altro cappone, tenuto in chiusa con la medesima libertà di poter bere, arrivò a vivere ventiquattro giorni, ed io, dopo la lor morte, ne’ ventrigli di tutt’a due trovai le solite pietre, conforme le avea trovate ne’ primi, e conforme le ho trovate ne’ ventrigli di alcuni asuereracci, che dopo aver campato senza cibo e senza bevanda chi dodici e chi tredici giornate intere, finalmente si morirono.Di mie altre esperienze co’ vermi, su comanda del mio Signore Cosimo Granduca, forse dimani.
Si affacciò, e poi zampettò con certi suoi chè chè chè, una torva e a metà spennata gallina, priva di un occhio, e legato alla zampa destra uno spago, tutto nodi e giunte, che non la smetteva più di venir fuora, di venir su: tale, dall’oceano, la sàgola interinata dello scandaglilo ove il verricello di poppa la richiami a bordo e tuttavia gala d’una barba la in fronzoli, di tratto in tratto: una mucida, una verde alga d’abisso. Dopo aver esperito in qua in là più d’una levata di zampa, con l’aria, ogni volta, di saper bene ove intendeva andare, ma d’esserne impedita dai divieti contrastanti del fato, la zampettante guercia mutò poi parere del tutto. Spiccicò l’ali dal corpo (e parve estrinsecarne le costole per una più lauta inspirazione d’aria), mentre una bizza mal rattenuta le gorgogliava già nel gargarozzo: una catarrosa comminatoria. A strozza invelenita principiò a gorgheggiare in falsetto: starnazzò spiritata in colmo alla montagna di que’cenci, donde irrorò le cose e le parvenze universe del supremo coccodè, quasi avesse fatto l’ovo lassù. Ma ne svolacchiò giù senza por tempo in mezzo, atterrando con nuovi acuti parossistici, un volo a vela de’ più riusciti, un record: sempre tirandosi dietro lo spago. Una volta a terra, e dopo un ulteriore co co co co non si capì bene se di corruccio immedicabile o di raggiunta pace, d’amistà, la si piazzò a gambe ferme davanti le scarpe dell’allibito Meyerbeer, volgendogli il poco bersaglieresco pennacchietto della coda: levò il radicale del medesimo, scoperchiò il boccon del prete in bellezza, diaframmò al minimo, a tutta apertura invero, la rosa rosata dello sfinctere, e plof! le fece subito la cacca: in dispregio no, è probabile anzi in onore, e con la più gran disinvoltura del mondo: un cioccolatinone verde intorcolato alla Borromini come i grumi di solfo colloide delle acque àlbule: e in vetta in vetta uno scaracchietto di calce, allo stato colloidale pure isso, una crema chiara, di latte pastorizzato pallido, come già allora usava. Di tutta quell’aerodinamica, naturalmente, e del conseguente sgancio del gianduiotto, o boero che fosse, Meyerbeer ne profittò pe non risponde.
@ hans & dario
Prima o poi tutti ci inginocchiamo e ci mettiamo a piangere sul grembo di qualcuno
Paul Mc Cartney, a commento di Paperback writer
mi par di capire che su Wagner le posizioni sono tre:
1- eretta (Orsola)
2- carponi (me)
3- in grembo (Vincenzo)
La 3- va nel senso di mediare: più vicina alla 2- in quanto concernente zona erronea, va nel senso della 1-, assolutorio.
Io ci sto a spostarmi da 3- a 2- se Orsola fa lo stesso, e soprattutto se vien chiarito il senso di tal piangere.
Sehr geehrte Damen und Herren, werden Sie mein Libretto lesen?
Es kostete mich Jahre es zu schreiben, werden sie einen Blick darauf werfen?
Sie basiert auf einer Novelle von einem Mann namens Richard
Und ich brauche eine Arbeit, also will ich ein Libretto Schreiber sein.
Es ist eine schmutzige Geschichte von einem schmutzigen Mann
Und seine anhängliche Frau versteht nicht.
Sein Sohn arbeitet für die Tageszeitung.
Es ist eine monotone Arbeit, aber er will ein Libretto Schreiber sein.
Es sind 50 Seiten, ein paar mehr oder weniger,
Ich werde nochmehr schreiben in ein oder zwei Wochen.
Ich kann die Geschichte länger schreiben, wenn Sie den Stil mögen,
ich kann ihn auch komplett ändern, und ich will ein Libretto Schreiber sein.
Wenn Sie sie wirklich mögen, können sie die Rechte haben,
Sie könnte eine Millionen über Nacht einbringen.
Wenn Sie sie zurückgeben müssen, können Sie sie mir herschicken.
Aber ich brauche eine Pause, und ich will ein Libretto Schreiber sein.
(refrain)
Meyerbeer Wagner
Meyerbeer Wagner
Meyerbeer Wagner
Meyerbeer Wagner
nessuna delle tre
opterei per eletta
nel caso
Wagner è uno dei casi esemplari in cui mi sento assolutamente di separare l’opera dalla biografia, ma anche l’opera in toto da alcune pagine. (Preluio_ Tristan und Isolde)
Il suo famoso leitmotiv, ritorno dei momenti melodici, con carattere lirico ed evocativo, presagio e reminiscenza, è una rivoluzione compositiva il cui attento studio mi sentirei di suggerire, leggendo qui è là certe sgraziate prose e liriche, come modello per una composizione sinfonica dei testi letterari.
,\\’
Sehr geehrte Damen und Herren, werden Sie mein Libretto lesen?
Es kostete mich Jahre es zu schreiben, werden sie einen Blick darauf werfen?
consiglio questo
[per una nicchia meno angusta]
http://translate.google.com/translate_t?langpair=de|fr
Giusto il richiamo al leitmotiv, ma qui siamo prima: difatti Wagner scrive che dell’Olandese “ho pronti alcuni numeri per l’audizione.” Numeri è appunto il modo tradizionale di contrassegnare un pezzo nello spartito.
Ho messo la traduzione tedesca di Paperback Writer, variando un po’. C’è anche la versione italiana, però più libera, delle Ombre:
http://www.youtube.com/watch?v=gOFpxgOs-1I
[a me consta che è proprio ne L’Olandese volante che W. Impiega per la prima volta il leitmotiv inteso nel senso di tema musicale che caratterizza un personaggio o una situazione
in numeri ci sono in tutte le partiture per comodità di richiamo]
Quindi Orsola, invece di avvicinarsi a 2-, ascende a 0-, da eretta a eletta:mi domando cos’è, in lei, quello che manca.
A quando la prossima puntata?
Borso/Aditus, come sei messo male!
:-)
DIO LI FA E LI ACCOMPAGNA (ovvero il precedente del TOcavallo)
*Aveva il cuore tenero e, quando per le strade di Parigi vedeva maltrattare i poveri cavalli, non faceva che piangere.*
R.W., Das Ende eines Musikers in Paris, 1841
Pur presentando non pochi elementi di novità, Der fliegende Holländer resta un lavoro per molti aspetti radicato nella tradizione. Soprattutto, dell’opera tradizionale mantiene la struttura a numeri, assai più ampi e articolati, certo, di quelli dell’opera italiana coeva, ma non meno ‘chiusi’, poiché essi condividono un profilo fraseologico-formale simmetrico e regolare, a livello sia melodico sia armonico. Si tratta di otto numeri complessivi, così suddivisi: introduzione; aria dell’Olandese; scena, duetto (l’Olandese-Daland) e coro (atto primo); Canzone delle filatrici, scena, Ballata di Senta e coro; duetto (Erik, Senta); finale secondo, aria di Daland e duetto (Senta-l’Olandese) (atto secondo); coro di marinai norvegesi e concertato; duettino (l’Olandese-Senta), cavatina di Erik e finale ultimo. L’ouverture è un ampio brano sinfonico articolato sui tre temi che ricorrono frequentemente nell’opera, il tema basato su delle ‘quinte vuote’, detto ‘dell’Olandese’, quello ‘della redenzione di Senta’, e quello che contraddistingue il coro dei marinai norvegesi. Tali temi non sono che i principali di un’opera che prevede un’ossatura tematica estremamente dettagliata: ma si tratta di un complesso di veri e propri ‘temi-reminiscenza’, la cui funzione è di restituire a ogni loro riapparizione la situazione drammatica, il personaggio o il clima emotivo da cui sono scaturiti. Non sono dunque da confondere con i Leitmotive dei futuri drammi wagneriani, che fungono invece da materiali sinfonici di sviluppo in un contesto formale del tutto sbrigliato dalla ‘gabbia’ convenzionale della quadratura strofica.
Io la metterei così: in 3 l’artista è neonato, in 2 gattona, in 1 è adulto. Tutto sta a intenderlo come un processo o una scelta.
Scusa Vincenzo, ma Orsola ha messo la 4- eletto: e allora io metto la 5- alato.
E rispondo anche al tuo quiz: Richard = Edipo volante.
@Ebner&company
casca l’asino sull’arte né parte del copia incolla
,\\’
Chi è quest’asina qui sopra? Il problema era se L’Olandese aveva o no i numeri tradizionali: pensate che io mi metta a scrivere a un’asina? Io copioincollo da fonte sicura, e cioè il Dizionario dell’Opera Baldini & Castoldi.
Il Lohengrin, l’opera successiva all’Olandese, patisce la stessa sorte: non c’è ancora il Leitmotiv. Se l’asina consulta Elvio Giudici, L’opera in CD, Il saggiatore, a p. 1077 vedrà che l’unica incisione a 5 stelle ***** su 11 citate l’ho prodotta io, e cioè la Myto Records.
Dario (sono a casa sua) mi dice che il tecnico di Nazione Indiana ha dato la statistica dei lettori: solo il 3 % di chi passa di qui va nei commenti, mentre il 97 % legge solo gli articoli.
Io non ho niente in contrario a dare perle ai porci, purché ci siano porci. Perciò, se c’è da andare avanti col serial Gioventù tedesca insieme a Dario, bene, sennò contattatemi in ditta via e-mail.
Ebner
Prescindendo da asini, porci e in toto dagli abitanti della vecchia fattoria, ma tagliando la testa al toro, direi che ne L’Olandese Volante seppure ci si trovi ancora in una struttura tradizionale a sezioni chiuse, i confini fra arie e recitativi sono più sfumati e già vi sono alcuni motivi musicali che ritornano in momenti successivi. Tecnica che si affinerà e svilupperà nelle opere successive.
Buon proseguimento al collettivo di nickname e alle sue perle.
,\\’
Contattate Herr Ebner in ditta via email.
Mi raccomando.
R. Wagner, Lohengrin (1847):
***** Myto Records / Conductor Andre Cluytens / Performer Sandor Konya (Tenor – Lohengrin) Leonie Rysanek (Soprano – Elsa von Brabant) Astrid Varnay (Soprano – Ortrud) Ernest Blanc (Baritone – Count Friedrich von Telramund) – 1958
**** EMI / Conductor R. Kempe – 1964
**** D. Gramophon / Conductor C. Abbado – 1991
* EMI / Conductor H. von Karajan – 1976
EVITATE I PACCHI !!! Fatevi consigliare da Elvio Giudici, L’Opera in CD, Il Saggiatore, Milano 2007, e comprate il migliore in rete digitando *Myto records* su google
(per produrre un cd passo 10 ore al giorno con lo spartito in mano, e un’orsola per caso dovrebbe…)
Orsola, tu dici: «Wagner è uno dei casi esemplari in cui mi sento assolutamente di separare l’opera dalla biografia», e questa tua affermazione mi sembra forzata. Forzata in generale per la musica, in quanto espressione inconsapevole di compositori con la loro specifica biografia, e forzata “a fortiori” per Wagner.
Le opere di Wagner non sono come la Traviata, il cui libretto è derivato da una fonte letteraria esterna (La signora delle Camelie di Alexandre Dumas figlio), soprattutto perché Wagner stesso scriveva i suoi libretti. Si ispirava, è vero, a miti e saghe medievali, ma le rielaborava e ci metteva parecchio del suo. Non solo la musica dunque, ma anche la storia con tutta l’ideologia che si può portare dietro.
Dire pertanto che Wagner era un razzista nella vita però la sua musica era ben altra cosa significa, secondo me, fare una distinzione poco corretta dal punto di vista dell’analisi di un tipo molto particolare di teatro musicale quale era quello wagneriano.
Nell’ultima opera di Wagner, il Parsifal, ad esempio, questo elemento razzistico è particolarmente evidente. Amfortas, figlio del re Titurel, custode del sacro Graal (la coppa con il sangue di Cristo raccolto da Giuseppe d’Arimatea) e della lancia sacra (quella che ferì il costato di Cristo), viene sedotto dalla misteriosa Kundry e poi ferito con quella lancia dal cattivo Klingsor. Una ferita che non riesce a guarire, quasi a dover espiare la pena di essersi accoppiato con Kundry, evidente metafora dell’ebreo errante. Kundry che non riuscirà però a sedurre Parsifal, che la rifiuta, inspiegabilmente. Cosa che si capisce solo se se ne coglie l’elemento simbolico: la separazione delle razze, l’antisemitismo.
L’importanza che Wagner dava alla vicenda narrata, e teatralmente rappresentata, è anche testimoniata dal fatto che il teatro che fu costruito a Bayreuth, dietro sue precise indicazioni, per rappresentare le sue opere, prevede l’orchestra addirittura nascosta, invisibile, rispetto al proscenio teatrale.
Musica bellissima – nulla da eccepire – addirittura straordinaria, quella di Wagner, ma inseparabile dalla storia, e dunque dall’idelogia e dalla biografia, del grande compositore.
@Cristoforo Prodan
Mah… a me questo modo di affrontare Wagner è sempre sembrato una specie di “primo livello” (che di solito sulla scena si traduce immancabilmente in qualche personaggio con baffetti alla Hitler e l’elmetto a catino cha saluta a braccio teso e cammina con il passo dell’oca, al posto dei nanetti barbuti con le pepite di cartapesta d’antan) da cui poi prescindere per approfondire aspetti più interessanti: la dimensione inconscia, intima, i legami affettivi, il mito, la matrice filosofica, il leitmotiv proprio come rappresentazione astratta di sentimenti in contrasto o in sintonia che fa irruzione nell’intreccio narrativo e musicale dilatandone la dimensione.
,\\’
così, da orsola… a caso…
una rarità “storica”
Bayreuth 1965
e una direzione d’orchestra che molto amo e rimpiango
Bayreuth 1998
,\\’
tornando alla lettera: carponi o eletto il nostro Richard?
secondo me la cosa va vista storicamente, e cioè focalizzando i presupposti. se il presupposto ad es. è un certo democraticismo per cui gli uomini sarebbero tutti uguali, allora quella lettera risulta abominevole (per parlarci chiaro: Marx, che da lì a poco sarebbe finito pure lui esule a Parigi, non l’avrebbe mai scritta). se invece si parte dalla ripugnanza involontaria che c’ispirano la persona e il modo d’essere degli ebrei, un’avversione cioè istintiva, più forte in noi della volontà di liberarcene, allora si può dire che Richard con la lettera ha fatto il massimo di sforzo per superare tale ripugnanza. E invece che criticato, andrebbe lodato.
Ma l’avversione per gli ebrei è essa stessa storica, o no? Vale a dire, qual è il presupporsto della ripugnanza di W. ?
no dario la ripugnanza non va lodata x’ si cerca di superarla, va condannata se non vi si riesce…un po’ come l’expo’ teste’ vinto dall’indegna milano ex da bere….la coerenza e’ una non ci si arrampica sugli specchi…
la ripugnanza e l’avversione si condannano e basta….non si giustificano se si cerca di superarle…la storia e non l’etica o l’estetica lo ddimostrano.
poi milano ha vinto lexpo….io ho avvversione e ripugnanza per qs fatto e non cerco di trattenerla.. c’entra?
tento per la terza volta di mandare un parere, stavolta sintetico.La ripugnanza e l’avversione tali rimangono…anche se si cerca di superarle.
Dunque nessuna lode…e’ un po’ come per l’expo’ assegnato a milano….i miei sentimenti sono simili ma ne’ vanno lodati ne’ vanno criticati…fanno parte della mia visione… senno’ e’ troppo facile.
Beh, che bella sorpresa queste cose meyerbeeriane (arrivo in ritardo perché càpito di rado qui sopra — prima sono passato da ubicue). La lettera di W. a me non sembra affatto servile, mi sembra semplicemente ossessiva, digrignante e pigliainculo, esattamente come l’autore. Non credo che Meyerbeer gli ripugnasse. Non credo che a Wagner ripugnasse alcunché, si considerava persino bello, e provava quella specie di coppola alla Fantozzi per ore tutte le mattine davanti allo specchio. Ed era anche convinto di essere a propria volta di origine ebraica, perché convinto di essere figlio di Geyer, e convinto che Geyer fosse ebreo. Tutte illazioni sue, probabilmente, e senza fondamento. (Ho l’impressione di aver letto nell’Autob. di Wagner da qualche parte che una volta W. capitò in una bottega di tipografo, e scovò M. che cercava di nascondersi dietro una pila di foglj di musica. Come dare torto al povero M.? Non vedete che W. era pazzo?).