L’asciutto e la marea
di Davide Morganti
Nella chiesa le vecchie avevano da poco terminato i vespri. Procolo era ancora seduto a sgranare il rosario, sentiva il mare ritrarsi dalla riva negli angoli bui della chiesa, dietro le statue, in un cupo rimbombo che pareva uscire dalla fiamma delle candele. L’umidità si raccolse dentro il legno delle panche provocando rumori sinistri. Procolo aveva sentito per la prima volta i lamenti delle anime del purgatorio su quella panca e, da quel momento, prese a sedersi lì tutte le volte che entrava per pregare. I quadri si sporcavano di tenebre e di silenzio. Il sarto immaginò che fossero anneriti per i peccati di cui i santi si facevano carico durante l’intera giornata. Con l’aiuto della marea, sollevò lodi al Signore. La bocca diventò secca, gli umori traboccarono fuori disseccandosi sulla pelle; distemperando lentamente, il corpo abbandonò la sua voluttà, la carne si prosciugò, l’acqua prima di perdere vigore si ritenne strenuamente ancora un poco, infine corruppe la sua natura riversandosi fuori, travasando. Nel frattempo le vecchie erano andate via. La folla stava scomparendo nella notte per riapparire attraverso le finestre illuminate dalle lampade a olio. Si udì la voce di qualche soldato lamentarsi di non essere più di stanza a Napoli e di dover “soportar chisti cafuni”. Dalla panca si levò una figura secchissima, paurosamente scavata nel volto e nel corpo, consunta all’inverosimile, oltre le costole, con indosso una mantellina bianca rigata di scuro al bordo. Al braccio sinistro teneva avvolte delle strisce, mentre uno zucchetto copriva la testa scheletrica. Debolmente uscì sulla soglia della chiesa, la luna scese pigra. La pelle avvizzita, rientrata come per un risucchio, dava l’impressione di una fine prossima. Gli occhi, incavati nelle ampie orbite, paurosi, parevano un pozzo asciutto. Le orecchie mozze, mangiate da una malattia. Tra le mani stringeva un portolano. Ogni passo della figura provocava il cupo rumore del mare. Scese verso il Serapeo sul cui pavimento, a causa dell’avanzare del mare, agli inizi di quell’anno avevano steso pietre di tufo per tenere il piede sull’asciutto; ma erano passati solo pochi mesi che le onde già lo ricoprivano. Il mare si acquattò sotto l’isola di Procida in cerca di un riparo sicuro. A Pozzuoli tutti, ormai, stavano rintanati nelle case a causa della scarsa illuminazione. La luna oscillava cattiva sul mare, illuminando malvolentieri le strade e nascondendo il resto della terra. Lo spettro salì verso il Rione Terra. In lontananza, fuori al suo terraneo, sedeva una vecchia che curiosava nelle finestre illuminate di fronte. La penombra scendeva profonda dalle pareti dei palazzi sin giù nella stradina stretta allargandosi in una macchia scura che ingoiava gli angoli; la figura spettrale scivolò lungo i muri. La magrezza la dissolse rapidamente nel buio. All’alba trovarono Mariantonia Di Roja morta sull’uscio di casa. La vecchia levatrice aveva il corpo rinsecchito, completamente privo di umori ma non di sangue. Sulla schiena della sventurata, all’altezza dei reni, una profonda incisione scendeva nella carne. Né il medico né la polizia seppero trovare una valida spiegazione al disseccamento. Qualcuno, di certo, le aveva tirato fuori tutta l’acqua che la donna aveva in corpo. Le vicine di casa attribuirono quell’orrenda morte agli infanticidi che aveva procurato: si diceva che dove non facesse abortire di sua mano, la donna procurasse erbe malate che espellevano il feto dal corpo di notte, durante il sonno, per poi gettarlo in mare.
[…]
Il sole stava ancora una volta, come da millenni, calando; e anche Procolo, nascosto nel buio di un vicoletto, ancora una volta modificò la sua natura: disseccò l’umidità del corpo spurgandosi dagli umori laidi e da quelli necessari: dentro la carne, le vene, il sangue, residui d’acqua imputridirono prima di dissolversi. Come la marea ritirava le acque dalla terra, così l’acqua fuggiva dal corpo. Secchissimo come avesse mille anni, le esangui nudità erano coperte soltanto dalla mantella bianca, strette attorno al braccio un’esile striscia di cuoio si allungava sulla testa. Quando il rumore della marea faceva sentire la sua voce, molte donne, inquiete e spaventate, chiudevano le finestre per non sentire, afflitte sempre da gravi presagi, o andavano a pregare alla chiesa dell’Assunta sul mare. Da lì gettavano in mare bigliettini con il nome dei pescatori. Un’oscurità nervosa coprì Pozzuoli. Nessuno più era per strada. Lo spettro contorse le dita rinsecchite. Il vento sollevò per un attimo il portolano. Il respiro era disidratato, il corpo si attaccava come poteva all’anima. Le poche stradine erano appena illuminate dalla luna. L’ombra dello spettro si proiettava sui palazzi, moltiplicandosi sui muri. Il rumore dei passi era lieve, come uno sciabordio. Da una finestra veniva una vivida luce, all’interno una madre allattava al seno un neonato. Doveva essere moglie di un pescatore, perché c’era rancido di mare in quella stanza e teste di pesce gettate sulla strada. La donna, dopo aver cullato il figlio, sazio di latte, lo mise a dormire in uno scialle vecchio e cominciò a sparecchiare la tavola; si chinò, poi, per afferrare un pitale da sversare fuori – da quelle parti nemmeno il latrinaro passava, si aspettava la pioggia. Le parve di sentire il fruscio di un’ombra, ma non fece nemmeno a tempo a comprendere cosa fosse. Al mattino la luce indugiò, incerta se scivolare tra le cupe strade o nascondersi. Il cadavere rinsecchito della donna fu trovato da una vicina, allarmata dai pianti feroci del neonato. I medici, dopo averne constatato il decesso, non sapevano cosa pensare. Semplicemente pareva che qualcuno, invece del sangue, pompasse fuori dal corpo qualsiasi umor acqueo. La gente chiedeva spiegazioni, ma nessuno era in grado di dare risposte. Il dottor Salvini nel suo referto scrisse che “il cadavere della tal Guzman Maria, di anni ventisei, si è completamente disseccato, privato dell’umidità necessaria alla vita, asciucato incredibilmente dell’acqua che, per le vene scorrendo insieme al sangue, impingue il corpo fino a che il fuoco non spegne l’acqua. Sulla parte renale habbesi trovato una incisione profonda un dito e larga quanto un morso dato da bocca umana, forse priva di denti. Il sangue risulta rappreso, torbido, senza fluidità per mancanza d’acqua. La causa del decesso rimane di natura inspiegabile; constatandone il tremendo essiccamento chiamiamo questa forma di mortale aridità alibantes, privi d’umidità, come hebbe a scrivere Plutarco”. La notizia, per quei misteriosi sentieri della diceria e della fuga, si diffuse in tutta Pozzuoli nella forma locale di aliapalia. L’aliapalia diventò il morto disseccato, asciugato di ogni umor vitale. I medici disposero che il corpo di Maria Guzman venisse sepolto in luogo segreto, senza conforti religiosi; nemmeno al marito bisognava dare notizia del suo interramento. Nonostante le proteste del canonico Ragnisco, il Comune decise di seguire quanto i medici avevano disposto per il bene della salute pubblica. Furono apposti i sigilli sulla casa della sventurata e tutti quelli che passavano, gettavano un’occhiata e acceleravano il passo. In ogni casa, vicolo, negozio, si chiacchierava della fine misteriosa di Maria Guzman. Arrivarono nel primo pomeriggio al Decurionato lettere che accusavano individui di stregoneria, di tradimento, di ogni cosa nefanda; si denunciavano, inoltre, uomini e donne per delitti e passioni contronatura o contro la chiesa. Per il resto, quella giornata trascorse sonnolenta e pigra, senza sussulti, attraversata soltanto da qualche brontolio temporalesco e dal brusio fitto delle case; qualcuno, in preda allo sconforto, sosteneva l’idea della fine del mondo, ma gran parte, non potendo far altro, tornava semplicemente a casa più presto.
La notte comunque passò tranquilla e, se si eccettua la rissa tra due ubriachi, nulla di particolare avvenne.
La storia de L’asciutto e la marea, edita da Gremese, è quella di Procolo, un sarto puteolano del 1837 che assomma in sé una serie di paradossi: non solo è un vampiro di fede cattolica e borbonica, ma il suo corpo è posseduto da un Yabashah, demone ancor più potente di lui. Parallela a questa è la storia d’amore e di ossessione tra Luz e suo marito Yankev, burattinaio praghese disceso in Italia sulle tracce di Pergolesi, ma in realtà alla ricerca del Yabashah, vampiro d’ispirazione ebraica che, a detta dello stesso autore, è costruita prendendo spunto dal primo capitolo della Genesi: nel nono versetto si legge, infatti, vetera’eh hayyabashah, ovvero “appaia l’asciutto”. L’intenzione di Morganti era quella di creare una creatura ebraica mitica, ossessionata dall’acqua come il popolo di Mosè nel deserto, che portasse nei tratti somatici l’orrore e il dolore dei lager. Una figura lontana dal vampiro di tradizione cattolico-occidentale, assetato di sangue e intimorito dagli oggetti sacri, che prova ripulsa per la croce ma a essa rimane sottoposta.
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Amo questo mare che invada nella guerra liquida la chiesa, il corpo, l’isola, il mondo. E’ una magia santa dell’acqua che fà della regione sacra di Napoli, un universo di demonio marino.
Amo questo brano, lembo di pittura blu che invada.
Questa lingua nuda, di nu’, napolitanea che si fa acqua.
Ma dai corpi, si rintraccia il mare, anche se il mare prosciuga il seno della madre. I corpi si coprono di sale come questi oggetti bianchi, divorati del mare dimenticando;
la lezione di K si sente, anche senza risvolto (ma Fritz avrebbe staccato dal punto. Per il resto…)
La democratizzazione a oltranza delle lettere posta in atto dal web fa sì che siano in troppi a definirsi (e ad essere definiti) “scrittori”. Davide Morganti è un vero scrittore, dalla pagina densa, dal tono fluido e spesso al contempo, dalla narrazione irrinunciabile. Morganti non possiede alcuno dei requisiti che interessano le grandi case editrici: rifugge dall’attualità, dalle strutturazioni di moda, dai manierismi minimalistici. La sua non è una prosa “secca, asciutta e senza fronzoli”, come impone il canone editoriale vigente, bensì cupa, grondante di recessi, di putredine esteriore e interiore. Cronache di storia bassa, di credulità e crudeltà popolaresche, che raffigurano un medio evo dell’anima cui ogni speranza è sottratta. Racconti storici quanto a collocazione temporale, ma certo non storiografici, dominati da forze oscure e cieche che padroneggiano una natura umana sottomessa. Scenari desolati in cui brancolano ombre mosse dalla superstizione e dalla miseria, paesaggi spirituali violentati dall’ignoranza e dal peccato. Sono frammenti d’orrore le storie di Morganti, molto più che i grand guignol ipervenduti, perché perfettamente conformi all’ancestrale estraneità dell’uomo a se stesso. Leggere il “Cedolario dei fuochi di Amerigo Vargas” è un’esperienza che turba. Sono stato sul punto di conoscere Morganti presso l’editore Graus, ma poi non ne ho avuto modo. Avrei voluto verificare quanto viva immerso nelle vicende che narra, e quanto queste differiscano dalla realtà che ci è dato oggi di vivere.
sono davvero contento di incontrare ancora una volta la splendida, metamorfica prosa di davide. in bocca al lupo!
no alle passioni contronatura o contro la chiesa. Per il resto…
Dario, non ho capito il commento: potresti sciogliere un po’ il discorso?
*passioni contronatura o contro la chiesa.Per il resto*
db dice che k dice che dopo il . ci va 1 spazio
Preziosa Korrektur rifratta in K. Altre difficiles nugae sussurrate dagli spiriti, vecchio proto?
leggo su wikipedia questa definizione
Il bradisismo (o anche “bradisisma”; dal greco “bradýs – lento” e “seismós – scossa”) è un fenomeno legato al vulcanismo secondario non molto diffuso nel Mar Mediterraneo, ma comunque presente nell’area dei Campi Flegrei (ad esempio nel golfo di Pozzuoli, dove interessa la zona che va da Capo Miseno e Baia fino a Posillipo).
Esso consiste in un periodico abbassamento (bradisismo positivo) o innalzamento (bradisismo negativo) del livello del suolo, relativamente lento sulla scala dei tempi umani (normalmente è nell’ordine di 1 cm per anno) ma molto veloce rispetto ai tempi geologici. Esso non è avvertibile in se stesso, ma riconoscibile visivamente lungo la riva del mare, mostrando la progressiva emersione o sommersione di edifici, coste, territori.
Generalmente tale fenomeno è dovuto a variazioni di volume di una camera magmatica vicina alla superficie che si svuota e si riempie, o anche a variazioni di calore che influiscono sul volume dell’acqua contenuta nel sottosuolo molto poroso.
Un’altra teoria parla di onde magmatiche che al loro passaggio porterebbero prima ad un innalzamento e poi ad un abbassamento della crosta terrestre nei punti dove questa risultasse più sottile.
Così la prosa – e le magiche invenzioni- del Morganti.
effeffe
ps
per gli altri – di cui scrive mimmo pinto- valgano soltanto i moti sussultori – e ondulatori, all’occorrenza.
xché dite me *vecchio porco sussultorio*?
io solo Procolo Sartorio!
Il bradisismo si vede nella scrittura, si apparenta al movimento poetico, vulcanico, onda magmatica: mondo instabile dentr e fuori. Quando tu leggi il brano di Davide Morganti, entri nella parola sacra.
ho letto tutti i libri di morganti…tutti meravigliosi con una scrittura vera forte..questo mi avvicina ancora di più alla terra che più amo:la campania