Ana, dea della morte
[Ci sono libri come questo che non ha importanza che siano belli o brutti, ma che facciano male. Questo libro mi ha fatto soffrire. L’autore ha deciso di rimanere anonimo perché non cerca una gloria personale, semmai uno sguardo verso un mondo a noi vicino eppure sconosciuto. Ho chiesto a lui e al suo editore, Leonardo Pelo di Noreply, di scrivere due note attorno a questo libro. Ve le porgo. G.B.]
di Andrea e Leonardo Pelo
Andrea: “E ora? “
Leonardo: “Lo pubblichiamo.”
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Un problema lo riconosci quando ti smuove dentro un insieme di sensazioni talmente aggrovigliate e brucianti da non poter essere digerite a freddo. I problemi sono nervi scoperti, richiedono pazienza, attenzione, riflessione, tempo. Dolore. Dovevo scrivere quanto avevo vissuto e visto.
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20 mesi di ricerche. Scritto in un mese. Rielaborato in quattro.
E quasi altrettanto per decidermi se mandarlo in stampa. A convincermi credo siano state le parole di “Fatina dei Muffin” (una ex anoressica di 14 anni la cui testimonianza fa da prefazione al libro).
“Tutti ci guardano nessuno ci vede. Siamo in tante urliamo urliamo e anche se spuntano le ossa non capiscono.”
Per la prima volta in 10 anni che uso parola “pubblichiamo” capisco il significato: rendere pubblico.
Mostrare e capire un mondo. E per capire bisogna ascoltare.
La testa di chi vive in un mondo parallelo in cui si cerca la perfezione fino a scomparire è una strada contorta e piena di svincoli e bivi in cui è facile perdersi e difficile capire dove si è.
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Sempre meno si ascolta. La gente sembra innamorata delle proprie parole dimenticando, non solo in confronto, ma anche l’ascolto. Il processo che porta a comprendere gli altri.
Non a giustificare, ma capire.
Persino qui, dentro Nazione Indiana, alcuni commenti sono di persone che parlano sopra, litigano.
Un vociare sopra, inutile. Asincrono dal contesto.
Il mondo di Ana è strano, sai? è un mondo che ti distrugge… ma chi l’ha vissuto sulla sua pelle difficilmente lo accetta. Ana è come un’amica… è l’amica!!!
L’anoressia tutti dicono sapere che cos’è. Ma quanti conoscono Ana?
Ana è la personificazione dell’anoressia. È una dea potente. Ci sono ragazze che la invocano e ci fanno i riti. Ci sono i blog con i dieci comandamenti.
Perdere peso è bene. Fai di tutto per essere magra.
Essere magri è più importante che essere sani.
Quod me nutrit me destruit.
Sono pazze? Sono vittime? Sono ribelli?
Ma tu che adesso ci stai leggendo sai quanto è diffuso questo inferno?
Mi pesa dirlo, ma penso che tu possa capirmi un bel po’… A certi problemi non è dedicata la giusta attenzione… non è una questione di quantità ma di qualità… se ne parla tanto, ma a vuoto…
Ci sono oltre 300.000 indirizzi internet pro Ana, dicono le ricerche. Oltre ai siti, i blog, in Italia, anche qualche forum, più o meno nascosto. Il più famoso è stato censurato da poco. Di certo ci sono 9.000 nuovi casi d’anoressia l’anno. E per ogni ragazza che cade nella patologia, tantissime altre sono a un passo dal diventarlo e non puoi mai sapere dove dal disagio si passa alla malattia.
Il dolore è profondo e per esplorarne i confini bisogna anche mettere in conto di sentirlo, farcelo entrare dentro. Fare da tramite. Siamo ancora in grado di concedercelo?
Quegli stralci qua e là che ho trovato mi hanno interessata… e perché no, anche pugnalata, ma in senso assolutamente positivo e liberatorio… finalmente qualcuno che parla di noi e di Lei.
Così ti trovi per l’ennesima volta a chattare su MSN alle tre di notte, con gli occhi che bruciano.
Chi hai virtualmente davanti dice che vuole vivere, quindi essere perfetta, quindi sparire.
Come si fa a raccontare l’anoressia e chi la sua malattia la difende, la rivendica?
Abbiamo scelto le parole da dentro, le centinaia di pagine di blog, le chat, gli incontri in carne e ossa. Il reale e il virtuale mischiati. Ecco perché queste tre storie, queste tre ragazze che non esistono singolarmente, ma vivono dietro al volto insospettabile di migliaia di coetanee.
Non ci possono lasciare indifferenti, perché, come cantava Fabrizio De André: “Anche se voi vi credete assolti siete lo stesso coinvolti.”
Per me le ragazze anoressiche dovrebbero solo essere ascoltate. Lo so perché per qualche mese nella mia vita mi sono comportata esattamente così… e ne vedo le conseguenze.
“Sul forum le altre non ci volevano credere che i miei genitori hanno scambiato il fatto che sono collassata sul banco per non mangiavo con un attacco da stress da troppo studio. E che hanno pensato bene di offrirmi una cena per farmi rilassare.”
Questo lo dice Kiara in Beautiful. È invenzione letteraria.
È la realtà. Figli anoressici. Genitori anoressici emotivi.
Abbiamo in questo momento una speranza. Anzi una ambizione. Folle.
Che questo libro aiuti ad ascoltare e a capire chi soffre di anoressia.
Se è così, allora è un libro utile.
Questo libro mi ha permesso di ripercorrere quei momenti difficili, di riviverli quasi, tanto che temevo di ricascarci un’altra volta, sono stati giorni duri.
Ma poi è passata, sono riuscita in qualche modo a metabolizzare tutta quella realtà e a superarla più o meno illesa, forse questa volta per sempre.
È un documento importante, grazie per esserti messo da parte e non aver giudicato, per essere stato fedele alle realtà con cui sei venuto a contatto.
Il 9 febbraio una ragazza dopo aver letto Beautiful ha detto addio all’anoressia.
Del resto davvero oggi non ci importa.
Le parti in corsivo sono estratti dei commenti e dei messaggi ricevuti qui
giovedì 6 marzo ore 18.00 a MILANO
Libreria Porta Romana (corso Porta Romana, 51)
Presentazione del libro con Pierluigi Panza. Moderano Alessandro Beretta e Gaia Giordani
3 di 3 (1 di 3 in “840266” – 2 di 3 in “Un viaggio con Francis Bacon n.4”): “Sempre meno si ascolta. La gente sembra innamorata delle proprie parole dimenticando, non solo in confronto, ma anche l’ascolto. Il processo che porta a comprendere gli altri. Non a giustificare, ma capire.
Persino qui, dentro Nazione Indiana, alcuni commenti sono di persone che parlano sopra, litigano. Un vociare sopra, inutile. Asincrono dal contesto”
Così doveva finire. Ferma nel letto, sola, con l’anima pure immobilizzata… Eros non ho potuto vederlo ma l’ho riconosciuto dal timbro, “Caterina…” chiamava, con quel tono che è già come una sberla. Stava con me ma non diceva “Ti amo”. Mi faceva male ogni sera, ogni giorno che veniva al supermercato per prendermi. Mi faceva male con la voce, col suo corpo grosso, pure con il silenzio… Chissà perché si è presentato stasera, devono avere rimandato il poker. Un poco prima era venuto un altro, diverso da Eros, però anche lui mi gridava nelle orecchie, nella gola… Era quello del telefono, l’ho capito perché ripeteva di continuo quella cosa. Da giorni mi chiamava a tutte le ore, “Che vuoi da me? Finiscila o ti faccio picchiare da Eros” lo minacciavo. Ma niente. Allora è venuto a gridarmelo in faccia: “Caterina, otto-quattro-zero-due-sei-sei, otto-quattro-zero-due-sei-sei, Caterina”. Ma che voleva? Per un pò ho pensato che forse era innamorato, invece continuava con quella lagna di numeri. Non sento più niente adesso, se non lontanissimo lo squillo di un telefono. Otto-quattro-zero-due-sei-sei sta urlando, nemmeno se ne avessi la forza saprei cosa rispondere…
“Il 9 febbraio una ragazza dopo aver letto Beautiful ha detto addio all’anoressia”.
Questo mi sembra il massimo successo cui si può aspirare – grazie a tutti voi.
Uhm…
Questa è una cosa importante…
alla quale, pur provandoci, non sono mai riuscito a mettere mano. Scivola via, nel limite tutto privato della volontà e responsabilità individuale. Là dove non si deve toccare, mi insegnarono.
Però quello che ricordo, delle mie frequentazioni anoressiche, era una situazione tutta intima, fuori da un gruppo o da codici definiti (non c’erano i blog, non c’era internet). Né alcuna volontà di parlarne. Rendere partecipi sì, proprio con il corpo e dentro il corpo però, i gesti secchi e la sola presenza delle ossa, degli spigoli “una donna dovrebbe essere solo spigoli, e ombre”. O qualcosa del genere disse una volta. Tra tremori suoi, e anche miei. Il grosso guaio è che a me piaceva proprio così.
Leggo sul sito:
“Mi sto migliorando con la mia sola forza di volontà. Sto modellando il mio corpo.
Sono orgogliosa di sentire la testa girare, di fare addominali per terra finché la schiena non fa troppo male, di riuscire a incassare gli schiaffi della fame senza abbassare lo sguardo”. Ecco è questo. Ma leggerlo, vederlo verbalizzato, è così strano… credevo fosse una sfida solo privata, inesprimibile.
Scopro invece una comunità che si definisce, si regolamenta, si riconosce.
Sono la stessa cosa? Nel senso, quelle di Ana e quelle di prima che Ana esistesse, prima di internet… lo stesso fenomeno?
Non lo so. Onestamente non credo.
L’anoressia è amore del vuoto, il corpo non ha più vincolo con la terra.
La mente occupa tutto, il corpo scompare, ma la ragazza nell’anoressia vede il corpo troppo presente, un confronto impossibile con il sesso.
Il corpo diventa il segno dell’assenza, invece la mente è presente, vigilante.
E’ difficile aiutare una ragazza nell’anoressia: cammina verso la morte senza potere fermare lo slancio. Quando ero adolescente, ho letto “Le pavillo des fous” de Valérie Valère. Oggi Valérie Valère è dimenticata: è la prima voce a parlare dell’esperienza dell’anoressia, della rivolta verso la famiglia.
Ma non deve confondere angoscia che dà impossibilità di mangiare, e anoressia, slancio verso la morte.
Non si puo guardare un corpo nell’anoressia, perché vengono in mente immagini des camps de concentration, corpi che sono al confine vita e morte: la vista di uno scheletro nella vita: non si puo guardare.
Essere anoressica è incarnare un fantasma, compiere l’impossibile.
Il corpo è allora il luogo del manco. Il manco è visto da tutti: l’anoressia è forse: faccio apparire il manco. Non potete dimenticare la morte.
Devo aggiugere che non sono anoressica, ma questo malattia mi preoccupa.
Il cibo è un sintomo della nostra società ammalata.
Il cibo è il campo di guerra della solitudine, della violenza fatta al corpo femminile.
Aggiungo che si deve salutare il coraggio di un libro che affronta la malattia.
Condivido Mauro Baldrati
Un tempo c’era la (sana) malinconia. Oggi è stata sostituita dalla (malattia) depressione. Un tempo c’era il (sacro) digiuno. Oggi c’è (la mondana) anoressia. Un tempo c’era l’avvicinamento, come lo chiami Junger, ai mondi paralleli, a Dioniso facendo uso delle droghe. Oggi c’è la droga come via di non-ritorno.
La secolarizzazione, il laicismo radicale, l’ateismo, l’illuminismo privati di una dimensone sacro-religiosa della vita hanno capovolto il quadro degli accadimenti. Come se l’occhio che osserva, osservando in un altro modo, diverso da prima, modificasse la cosa osservata. Siamo già in un mondo (socialmente) quantistico. La realtà si adatta alla nostra pelle con una precisione che è pari al nostro mutato modo di credere cosa essa sia.
Più nello specifico, mi sento di dire che la teoria psicodinamica dell’anoressia/bulimia, al pari di altri concetti diagnostici propri della psichiatri moderna, è al tempo stesso riduzionista e individualista nel suo approccio al problema della causalità.
Così come dalle recenti definizioni biochimiche dell’anoressia/bulimia traspare la moderna tendenza occidentale a ridurre l’esperienza mentale ed emotiva a fenomeni di tipo fisiologico, nello stesso modo le definizioni psicodinamiche tendono a ridurla a dinamiche psichiche o a vicende psichiche personali. Simili definizioni presuppongono che l’interpretazione che un soggetto dà al proprio comportamento sia un epifenomeno: ciò che una ragazza o una donna dice circa il proprio comportamento alimentare viene perciò etichettato come “razionalizzazione” o “sintomo”.
La modernità vede il cibo e il corpo come risorse da sottoporre a controllo. Il corpo e il cibo assumono così il significato di ciò che minaccia il dominio umano. Significano il non domato, il ribelle, l’eccessivo, il proliferante. I messaggi che le donne moderne assimilano dalla cultura popolare della pubblicità cartacea e televisiva le incitano a controllare i propri corpi mediante deodoranti, tranquillanti, analgesici, diete. Il seno non è, per noi moderni, un simbolo del cibo. L’avvento della pubertà non è occasione di giubilo da parte di una giovane né dei suoi genitori. Le mestruazioni sono assai meno un preludio alla creatività e all’affettività che non un segno pauroso di vulnerabilità.
Corpo e cibo sono oggi simboli del fallimento dei nostri sforzi di controllare il nostro essere. Non vorrei però che si leggesse quanto ho scritto come un invito a un ritorno verso, ad esempio, la soluzione del simbolismo medioevale, adottata per le afflizioni. Non possiamo adottare quei simboli come risposta all’impoverimento dell’immaginario moderno. Abbiamo bisogno di immagini e risposte più ricche.
Concordo con Luminanamenti. L’anoressia puo essere vista come anche una violenza fatta al corpo, davanti un mondo di consumo: una rivolta. La spiritualità manca, il corpo diventa il simbolo.
L’anoressica fa morire il corpo, affinché se vede l’anima. Penso che controllare il bisogno del corpo assomiglia alla spiritualità.
Il problema è che l’anoressica cerca la morte per trovare un senso alla vita. E’ una cosa orribile.
Credo che per un’anoressica, raggiungere un grupo di parole è molto importante: l’ascolto dalla parte d’altre ragazze in anoressia puo aiutare.
Volevo dire che invece, credo che la prima mestruazione è stata un dolore, un confronto violente con il sesso, l’abbandono della libertà piena.
Perché ascoltare un’anoressica?
Perché una persona che non ha vissuto l’anoressia dice:
” Bisogno mangiare!”, non capisce il rifiuto del cibo.
L’anoressica cerca amore, comprensione. Non incoraggiare l’anoressia, ma ascoltare, accettare l’opinione della persona anoressica.
Perché giudicare è mantenere l’anoressica nella prigione del corpo.
In ogni caso non lasciare una persona anoressica sola con il suo problema.
Credo sia un libro importante. E comunque questa presentazione è molto efficace. Chi sta come me nella scuola sa quanto il fenomeno sia diffuso, ma la mitologia di Ana mi ha lasciato di sasso. Io ne ho letto per la prima volta su “Ancora dalla parte delle bambine” della Lipperini, dove ci sono molte informazioni in proposito.
Premesso che attendo ancora il libro dalle mani dell’autore – quando mi espose il progetto per dare pagine [e voce] alle parole – che non è facile scrivere/dire fu confronto e conforto. I Disturbi del Comportamento Alimentare sono sempre esisiti [ e senza distinzioni sessuali] – fortunatamente *post phonema* sono stati *riconosciuti*, eliminando barbarie varie [elettroshock] e sia Aiuto (f)attivo anche l’Arte,
Un abbraccio
Chiara
che altro aggiungere: vedo quotidianamente ragazze e giovani donne usare il corpo come mezzo per comunicare il proprio stare al mondo. spesso l’autolesionismo è il modo per dirsi e dire che questo corrisponde allo stare male, al non saper stare, alla paura della confusione e dello smarrimento che gli provoca.
credo che fino a quando c’è un sintomo, ci sia ancora lo spazio per fare qualcosa.
con qualcosa, intendo impedire la morte, e magari ricominciare imparando a convivere con la causa.
il che, forse, assomiglia alla sopravvivenza ma del resto, come insegna lumina, il vivere moderno ha sostituito la spiritualità con il libero mercato, rendendoci tutti più liberi di scegliere quale sofferenza comprare.