L’Horror di Napoli- II
Scheletri della Cappella San Severo
I critici, soprattutto in Francia, sono fin troppo vanitosi per non parlare mai di null’altro che non sia il loro magnifico se stesso. Mai del tema. Tanto per cominciare, sono troppo coglioni. Non sanno nemmeno di che cosa si tratti. E’ uno spettacolo di grande vigliaccheria vederli, questi stomachevoli, sbattersi, offrirsi una stretta di mano subdola alla vostra buona salute, approfittare della vostra povera opera, per fare gli splendidi, pavoneggiarsi per l’uditorio, camuffati, sedicenti “critici”.
Louis Ferdinad Céline, Bagatelles pour un massacre
Perché introdurre con queste parole di Monsieur Destouches la lettura che sto per proporvi? Perché aver tradotto un brano del genere tratto dal più odioso libro mai scritto, dalla voce tra le più autentiche del Novecento, per parlare di Acqua Storta, di L.R.Carrino? Forse per alludere al marcio del sistema delle lettere italiche, tutto cronometrato sui rinvii d’ascensore dei critici / autori, autori /critici?
Può darsi, o ancora per l’incazzatura che mi è venuta dalla lettura di alcuni articoli – non tutti per fortuna- della rassegna stampa disponibile sul sito dove si riassumeva l’opera in tre segmenti: camorristi ricchioni, Napoli e la monnezza, pagine di ringraziamento finali?
Vi confesserò che è la prima volta, del resto, che mi capita di leggere più di una recensione con un’attenzione “particolare” ai ringraziamenti, ovvero a quelle pagine che, almeno nelle intenzioni dell’autore, costituiscono la parte più personale, intima, privata di un libro. Cosa volete che gliene freghi ad un lettore anonimo, della mamma, del papà, che normalmente i romanzieri italiani ringraziano e allora figuriamoci cosa potrà fottergliene se ad essere ringraziati siano altri autori…
E invece no. Nel sistema letteratura italiana, che per fortuna nostra e vostra non significa la letteratura italiana, le dinamiche di una diffusa critica, di molti giornalisti letterari è tutta imperniata sul dispositivo delle affiliazioni. E se L.R. Carrino si affilia a una certa letteratura una ragione c’è ed è compito del bravo media inquisitore scoprire perché.
A noi invece, più modestamente interessa il libro.
Nelle varie recensioni si legge, ma va detto che è lo stesso autore a suggerirlo in un’intervista, di Napoli come location del noir.
Location come molti di voi sanno è il termine cinematografico che sta ad indicare il luogo dove avverranno le riprese del film. Lo stesso termine si usa anche per gli eventi, convention, concerti, e non sta a significare assolutamente l’appartenenza di un’azione al luogo. Tanto per fare un esempio, nel suo ultimo film, Il divo, Sorrentino ha identificato la location dell’impiccagione di Calvi sotto un ponte torinese, laddove, come molti sanno, il suicidio (omicidio?) avvenne a Londra. Diciamo che la location è allora un luogo che allo spettatore appare verosimilmente lo stesso in cui la storia accadde, veramente. E così, la storia di camorra montata da Carrino, come da intenzioni dell’autore, non è una storia vera ma verosimile. Non è un reportage ma un romanzo. Sempre che abbia ancora senso parlare di letteratura per generi.
Ma quando luogo e storia del luogo sono indissolubilmente legati, ha ancora senso parlare di location? E ancora, perché attardarsi sui luoghi? Perché Acqua Storta, al pari di poche altre narrazioni – citerei a tal proposito Moremò di Davide Morganti- interpreta, realizza una possibilità narrativa molto napoletana dell’abbandono della via maestra per inoltrarsi nelle budella della città, strategia che definirei dello scarto.
La parola scarto, come molti sanno contiene differenti significati, eppure mai come in questo caso, i due significati più correnti, degli scarti, come i messi da parte, i non eletti e dello scarto, come improvviso movimento laterale, deviazione, coincidono.
A Napoli più che in altre città, puoi liberamente percorrere una delle vie più di passeggio che è via Chiaia costeggiando i quartieri spagnoli, o la stessa Montedidio che è a ridosso del Palazzo Reale e dove via Serra di Cassano, elegantissima e sede di palazzi nobiliari delimita il Pallonetto altro quartiere altamente sconsigliato ai turisti. Come narratore allora io posso sicuramente scegliere di restare sulle strade maestre – e di maestri lì se ne incontrano davvero- o al contrario virare e abbandonarsi totalmente alla legge/non legge dell’imprevisto. A meno che non si trovi, come ha fatto Erri de Luca nella sua splendida favola Montedidio, un artificio, ovvero addentrarsi sì nel pallonetto ma scegliere la terrazza come Topos co-protagonista della narrazione.
In Acqua Storta ricorrono a più riprese gli attraversamenti della città come quando L.R. Carrino, descrive il ritorno in città del figlio del boss, appena uscito dal carcere minorile.
Passo davanti al Policlinico e scendo per dietro la Cappella san Severo: esco di fianco a piazza San Domenico. Mi butto per Mezzocannone, lascio la macchina davanti all’officina di Stefano (…) risalgo a piedi un poco di Via Mezzocannone (…) come appena svolto l’angolo li vedo(…) un altro sale da via croce come una scheggia (…) un altro ancora che sta appoggiato al muro proprio a Piazzetta Nilo (…) uno strafatto di eroina all’ultimo stadio si squaglia giù verso via Paladino.
Gli estratti che vi ho proposto tengono tutti su una sola pagina. I movimenti sono rapidi, ci si butta, si squaglia, si scende per dietro. E così a fronte di un plot narrativo che sicuramente avrà reso felici molti giornalisti, – me li vedo esclamare, ah una storia omosessuale tra camorristi, pare perfino facile la provocazione, in un paese bigotto come il nostro. Eppure, l’autore da vero narratore, non “compone” i fatti e le psicologie dei personaggi allineandoli alla tesi di partenza ma utilizzando ogni tipo di materiale di scarto, dalla Bibbia del padre, alle canzoni dei neomelodici, per innalzare la storia d’amore “irregolare”, “lasciarla parlare” “dire”, “fare”, attraverso un linguaggio sobrio e violentissimo, senza maniera.
Ed è proprio in nome dell’amore che nonostante tutto , Acqua Storta si anima rivelando le sue pagine più belle, dove il linguaggio diventa perfino poetico.
Stanotte ’o mare è senza sale, è morto con un’onda sola. Pure l’acqua è storta, storta come certe volte è ’o bbene. Le onde sugli scogli stanno nervose. Ma che tiene ’sto mare da stare così incazzato? Che gli abbiamo fatto a questo mare?
Dalle ombre dei vicoli si sale allora per impervie scale, ancora una volta, in uno spazio- e non diciamo location vi prego!- che non pone più ostacoli tra camorristi e cielo. Quando questi muoiono ammazzati.
Nota
oggi alle 18, alle Feltrinelli di Torino, Enrico Remmert presenta Acqua Storta
I commenti a questo post sono chiusi
solamente per autocitarmi,
qui
http://scritture.blog.kataweb.it/francescamazzucato/2008/01/21/acqua-storta/
solo la mia lettura
b!
Nunzio Festa
p.s. nota / scritto di diversi ma diversi ormai quasi tanti giorni fa, che il libro stava ancora per uscire in libreria…
ottimo articolo il tuo, caro Nunzio, per fortuna
effeffe
La lettura imbocca un cammino segreto, penetra nel vicolo scuro della scrittura, copia della città Napoli, attraversa il buio, illuminato dal libro magnifico di Maria Ortese, comme una fiamma magica.
Allora la scrittura diventa il labirinto, la notte di fuoco, quando scalando i piani di un palazzo napoletano, ti sfiori i spiriti e vidi la figura dell’amore.
Sei alla terrazza, leggendo Montedidio, ti vengono ali dell’angelo: la città esplode nel rosso della notte di capodanno.
Perché della citta se ne sfugge solo con il volo attraverso il cielo e la luce del amore.
Non ho letto acqua storta, mi sembra un libro essenziale perché parla dell’omosessualità tanta criticata dalla chiesa bigotta.
Mi dispiace essere partita di Torino, sarei venuta ascoltare l’autore.
Un autore straordinario, capace di “meticciare” la lingua come nessuno, in grado di costruire il romanzo con una serie di sequenze al contrario dal forte sapore cinematografico, una scrittura ammantata di poesia e lirismo…un libro da avere
Ringrazio infinitamente Francesco per queste sue belle parole.
Grazie agli intervenuti.
lrc
bell’articolo.
grande Gino!