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Ancora sulla Fiera del Libro di Torino

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Una proposta, nel nome dell’onestà intellettuale, di Diego Ianiro

Cari amici di Nazione Indiana,
chi vi scrive ha sostenuto, e sostiene, una posizione nettamente critica nei confronti della politica dello Stato d’Israele da quando ha avuto modo, per brevissimo tempo, di toccare (sfiorare?) con mano i suoi effetti nella West Bank nel 2005. Ne ha parlato proprio qui come altrove.
Chi vi scrive sa che il governo italiano, indipendentemente dal colore sbiadito che possa assumere, è un fedele alleato di quello israeliano, con il quale ha – per esempio – stipulato un accordo di cooperazione militare (legge 17 maggio 2005 n°94).
Chi vi scrive, ovvero io signor nessuno, crede di essere abbastanza in grado di riconoscere la cruda realtà dei fatti e le ragioni delle parti in causa nell’affaire della grande esposizione torinese.
Riconosco la non casualità della scelta di Israele come Paese ospite nell’edizione 2008 della Fiera del Libro di Torino e le ragioni del boicottaggio da parte dei ragazzi di forumpalestina.
Riconosco però anche la possibilità che esista una comunità di “puri” che, “nel nome della letteratura“, vede nel boicottaggio il pericolo di oscurantismo e il rischio concreto di una deriva che porti ad “includere nell’esclusione” anche le voci che, al di là della politica (ammesso che questo aldilà esista davvero), si distinguono per merito non solo critico ma anche per indubbio valore “estetico” e culturale.
Partendo da questo secondo punto, e in seguito al dibattito che si è venuto a creare tra filoboicottatori e firmatari, non-firmatari, firmatari pentiti/dubbiosi/con distinguo dell’appello stilato da Raul Montanari il 6 febbraio, ho proposto a Gianni Biondillo, un po’ provocatoriamente un po’ seriamente, di concentrare gli sforzi non sulle parole, o le adesioni delegate per firma, ma sull’azione concreta.
La proposta è, in primo luogo, mettere per un attimo da parte (nessuna pretesa di “eliminarle” perchè mi rendo conto della non fattibilità della cosa, anche da parte mia) quelle idiosincrasie che, volenti o nolenti, molti di noi provano nei confronti di altri, al fine di coordinarci per un’azione costruttiva all’interno del contesto che, a conti fatti, è stato definito e verrà comunque portato avanti. Mi riferisco alla Fiera e al Paese che ospita quest’anno.
Non credo sia più possibile tornare indietro, ammesso che la cosa abbia mai avuto un senso, essendo la fiera il principale prodotto della “Fondazione per il libro, la musica e la cultura” che è comunque un ente privato le cui scelte finali immagino non possano essere influenzate da soggetti esterni ai propri interessi. Allo stesso tempo sarebbe prendersi in giro se non riconoscessimo il valore di principale “vetrina” nazionale per tutto il nostro parco editoriale, e quindi insindacabilmente “culturale”, che la Fiera rappresenta a livello internazionale; ovvero sarebbe ipocrita non ammettere come la fiera sia, per noi e per chi ci guarda da fuori, la punta emersa e scintillante di tutta la nostra intelligencija.
Non si può dunque sindacare sulla legittimità della presenza di Israele – nonostante lo “scippo” all’Egitto – come “ospite” ufficiale così come non si può far finta di non vedere quanto profonda e lunga sia la portata di quest’invito, caduto non certo per pura coincidenza nell’anno del sessantesimo anniversario dalla “nascita” dello stato ebraico, che è di riflesso sessantesimo anniversario dalla Nakba. Se prendiamo tutti pacificamente atto di questa situazione si può, chi vuole farlo, passare alla “rinuncia” momentanea alle proprie antipatie/simpatie di cui sopra, e comprendere che la Fiera stessa può trasformarsi in opportunità. Come?

1- Accettando Israele come paese ospite
2- Motivando e proponendo “nel nome della letteratura”, come da appello, l’inclusione di tutte le voci e le penne nate, cresciute o residenti in Israele.
Per i firmatari dell’appello non dovrebbe essere difficile aderire a questi due punti, pena la disonestà intellettuale.
Per i non firmatari o i filoboicottatori, categoria nella quale mi inserisco, è ovviamente più problematico. Però ci si può incontrare proprio su questo terreno: ecco l’opportunità da mettere in pratica.
I firmatari propongono a forumpalestina di contattare quegli scrittori esclusivamente israeliani in linea con le loro posizioni (mi riferisco ad Atzmon, Pappe, Halper, Laor, Shabtai e tutti gli altri che i ragazzi del forum possono essere in grado di reclutare) per un evento speciale all’interno della fiera quale potrebbe essere una o più giornate di dibattito/confronto sul tema della democrazia israeliana (provvisoriamente intitolato “Israele sessant’anni dopo: affinità/divergenze tra lo Stato Ebraico e noi [ebrei]”). Le modalità e i tempi di questo “evento” devono essere coordinati insieme al forum e, ovviamente, all’organizzazione della fiera. La cosa però ha un senso solo se

A- L’evento viene realizzato all’interno del calendario e dell’area della fiera;
B- All’evento partecipano sia il gruppo scelto dal forum che le voci più note e autorevoli della letteratura israeliana (Oz, Grossman e Yehoshua per esempio) al fine di garantirne anche una maggiore visibilità;
C- Le modalità e i tempi di discussione vengano calibrati in maniera equanime secondo una antipatica e noiosa, ma tuttavia necessaria, par-condicio;
D- Il divieto di usare impropriamente il termine “antisemitismo”, essendo tutti adulti e vaccinati alla retorica della propaganda.

Chi ci guadagna?
– In primo luogo gli scrittori: nessuno di loro (a parte, forse, Pappe) viene pubblicato in Italia; la fiera sarebbe un’ottima occasione per far conoscere la propria voce ad una utenza enormemente più ampia.
– Chi ha firmato l’appello “nel nome della letteratura”: in questo modo sarà loro garantita la presenza vera e senza omissioni – la più insidiosa delle censure, l’omissione – di una rappresentanza di tutte le voci di Israele.
– Il forumpalestina, che avrà così l’opportunità di far entrare alla Fiera, e di far conoscere al paese di cui è specchio, chi dall’interno – e con assoluta cognizione di causa – combatte la politica del governo israeliano e perché.
– Gli organizzatori della fiera, che possono rivendersi l’evento come esempio di pluralismo ed equidistanza, altri termini orrendi ma ahimè necessari.

So che qualcuno dirà “e i palestinesi?”. I palestinesi (che io personalmente vorrei fossero israeliani, e viceversa) hanno bisogno anche di questo tipo di cose, ovvero di efficacia, ché il boicottaggio da solo non basta. Troia è stata espugnata con un dono, per usare una metafora infelice.
Come iniziare?
Con una conta, qui su Nazione Indiana, vedere in quanti si è d’accordo a costituire un primo nucleo che proponga la cosa al forumpalestina e alla Fiera. Inserendo nei commenti a questo post il proprio nome e l’email. Utilizzando in seguito proprio NI per fare pubblicamente, di volta in volta, il punto della situazione.
Nella speranza di essere stato, entro i miei limiti, chiaro ed onesto pur in quella che, nella sua semplicità, potrebbe sembrare a molti una pretesa assurda.

[fonte della foto di Amira Hass, qui.]

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51 Commenti

  1. Qualcuno sa qualcosa di Siham Dawud?
    è una scrittrice e poetessa arabo israeliana (nata nel 1953) vive a tel aviv dove lavora per la casa editrice Arabesque.
    In rete c’è pochissimo anzi nulla, neppure la foto.
    Qualcuno sa cercare meglio di me?
    ci sono alcune sue poesie nell’Antologia di poetesse arabe contemporanee (oscar mondandori)
    geo

  2. ma come, Georgia, e a me neppure un complimentino? Lo sai che poi ci resto male… ;-)

    Inutile dire che – essendo quello che ha voluto, discusso con Diego, e pubblicato questo post – sono fra quelli che caldeggiano l’iniziativa.

  3. Abbiamo sempre creduto e, quindi, caldeggiato pensieri ed azioni da “guerriglia”: non scendere mai sul piano voluto da “avversari”.
    Questa proposta ricalca in pieno l’assunto.
    Accogliamo in pieno e rilanceremo l’idea.
    Hawiyya

  4. una saggia proposta.

    Risparmiando i commenti (ovvii e banali) sulle capre ed i cavoli
    e anche quelle meno ovvie sui 106 palestinesi uccisi negli ultimi 40 giorni…
    sottoscrivo e pubblico sul blog questa saggia proposta sebbene dubiti fortemente che venga accolta.

    in caso di buon esito, sono disponibile anche a fornire il contatto mail con Aharon Shabtai

  5. Qui siamo tutti d’accordo con la proposta, sia chi sostiene il boicottaggio, sia chi ha firmato senza ritrattare, finora, l’appello di Montanari che solidarizzava “senza riserve” all’operato della fiera.
    Diciamo pure che siamo un po’ in contradizione con noi stessi, siamo venuti a patto con le rispettive posizioni, per trovarci qui.

    Però….la domanda è: se davvero si riuscisse a convincere uno o più israeliani dissidenti a venire a Torino, e poi la fiera non accettasse i termini del confronto proposti da diego, magari adducendo problemi logistici, cosa accadrebbe?
    i firmatari l’appello di Montanari, avrebbero sempre solidarietà senza riserve?

    è presto per la domanda?
    può darsi però la curiosità viene, leggendo l’articolo…

    (nel caso dei boicottatori, invece, se la fiera accettasse, il problema non si porrebbe tanto, sulla coerenza con la propria posizione: si è cmq contrari all’invito al solo Israele senza Palestina, e ai modi con cui si è arrivati all’accordo, e ai tempi (il sessantesimo).)

  6. ma come, Georgia, e a me neppure un complimentino? Lo sai che poi ci resto male

    Ma certo che ti faccio i complimenti, gianni, mi sembrava scontato :-).
    Anche se a me la proposta non basta. Io voglio anche i palestinesi (per lo meno quelli di cittadinanza israeliana e quelli nati nel territorio dove è nato lo stato di israele (ancor meglio anche gli altri). La cultura non è fatta solo di carte d’identità legali e passaporti, ma di qualcosa di più profondo, la cultura ha altri confini che superano odi, occupazioni, muri e guerre, e quindi le due culture, israeliana e palestinese, sono così intrecciate fra loro, che eliminarne a forza una componente importante non è un atto culturale.
    Gli israeliani quando erano ancora umani come Dayan, grande lettore di Fadwa Tuqan, amavano poeti e poetesse palestinesi anche se da bravo generale, Dayan, ne aveva capito il “pericolo”. Di Fadwa Tuqan aveva detto: “”arreca più danno ad Israele una poesia di Fadwa Tuqan che dieci attentati” e … forse gli organizzatori israeliani della fiera prendono troppo sul serio questo pericolo ;-)
    geo

  7. io penso che un compromesso sia preferibile all’intransigenza.

    però sono d’accordo con georgia e mi domando se sia davvero così impensabile, improponibile, assurdo prendere in considerazione, dopo aver fatto un passo avanti, la proposta di farne due?
    quella sarebbe la cultura come la desideriamo e la immaginiamo noi, quella che tira giù i muri, quelli radicati nella testa, prima di ogni altra geografia.
    biondillo e diego, avete avuto il coraggio, la forza, la capacità di avanzare una richiesta, in direzione di un compromesso…ma perché non provare invece ad osare di più, il vecchio sogno di cui parlava biondillo, quello del concerto che non si è mai tenuto?

    non so alla fiera, ma qui, sono sicura che una proposta così, otterrebbe, stavolta, finalmente l’unanimità.

  8. geo, ti ringrazio della segnalazione, leggo disponibilità ma ancora contrasti.
    è inutile dire, secondo me, che tutti sono invitati a partecipare, senza esclusioni.
    il fatto è che l’ospite d’onore è uno ed è un paese che vive attualmente un enorme, drammatico conflitto, allora io sono tra quei pazzi che propongono, in nome della pace, un trono a due piazze, una lettiga matrimoniale.
    io voglio il concerto!

  9. Ancorchè come molti trovo che la mossa degli organizzatori sia stata “elefantiaca” nella propria mancanza di delicatezza, sottoscrivo in pieno l’appello… infondo il carisma e l’onestà intellettuale si vedono proprio in queste occasioni, o meglio nella capacità di trasformare un possibile territorio di scontro e separazione, in un ponte…
    JJ

  10. Sono contento di questa proposta di Diego. Non riesco a vederla in continuità con l’appello “in nome della letteratura”, ma poco importa. Mi sembra invece un modo più efficace e condivisibile del boicottaggio, di ricordare che la letteratura israeliana è attraversata da un enorme conflitto politico ed etico che è la colonizzazione della Palestina. A questo punto varebbbe la pena di incentrare un incontro proprio sul tema “Politica e letteratura in Israele”.

    Nonostante nutra dei dubbi, ora, sulle capacità di un lavoro collettivo in NI su progetti simili, offro la mia disponibilità.

  11. Sono sempre più perplesso di fronte al termine “cultura” che qui e altrove e quasi dappertutto significa “libri” libri e libri e parole e discorsi e caratteri tipografici e via dicendo….
    E vi assicuro che ne ho una barba quanto Melchisedecco, per restare in Giudea o presso Samaria o Sichem.
    Una cosa mi farebbe un po’ contento, ma poco, che dal prossimo anno alla Fiera:
    che la piantassero di invitare stati nazionali, ma “culture”, il che è un’altra cosa.
    Per modo di dire: e se invitassero la cultura curda, che non ha Stato alcuno e la nazione Navajo, o un po’ di armeni sparsi qua e là, e via dicendo?
    Si capisce che ciò non giova agli editori, o meglio, a certe case editrici,
    e le mie parole sono vane stupidaggini.
    MarioB.

  12. E’ solo da oggi che vi leggo. La proposta di Diego mi sembra assolutamente saggia. Spero di riuscire a diffondere il più possibile!
    grazie

  13. come sospettavo e con ostinato ottimismo non volevo credere:

    – assolto il compito (poco impegnativo e facilissimo) di battersi per il “diritto di parola”…
    – trovata l’occasione per fornire un supporto moralmente compatibile all’occidente della scrittura e del business (on ne sait jamais)…
    – testimoniata la propria ‘non pericolosità sociale’ ai vigilantes (salone, politica, ecc…)…
    – urlata la propria ‘democrazia’ dalle retrovie di un esercito già schierato e ben equipaggiato, sicuramente vincente…

    missione compiuta: fatti di nebbia… spariti o persi nella valutazione delle opportunità… ma pochi pochi pochi hanno sostenuto la proposta di Diego

    a Lello Voce:
    caro, ogni tanto tocca rimettere i piedi per terra, ma la poesia è da sempre altrove… e sempre meno nella ‘scrittura’. Andiamo avanti.

  14. All’interno della redazione della nostra rivista si è aperto un dibattito molto acceso, dopo che ci è stato inoltrato l’appello di Diego Ianiro. Ne stiamo discutendo, ma vorrei capire se l’appello non abbia già sortito l’effetto voluto. Leggo infatti da Repubblica del 13 febbraio scorso:
    “Alla Fiera saranno invitati anche alcuni scrittori palestinesi di nazionalità
    israeliana. Una mediazione? «Nessuna mediazione [risponde il presidente della Fondazione per il Libro, Picchioni]. Una
    decisione che avevamo già preso tempo fa, non certo un
    cedimento di fronte alle polemiche. La Fiera è sempre
    stata un luogo di discussione con tutti gli interlocutori.
    Nell’ edizione del 2007 abbiamo organizzato 769 dibattiti.
    Come si sa non abbiamo preclusioni nei confronti di nessuno
    che sia disponibile a mettere in discussione il suo punto di
    vista confrontandolo con quello degli altri»”
    Qualcuno ne sa di più? Grazie

  15. >Leggo infatti da Repubblica del 13 febbraio scorso: […]

    Onestamente non credo sia “effetto” della nostra proposta, e comunque non era questo (“invitare anche alcuni scrittori palestinesi di nazionalità
    israeliana)” l’obiettivo della proposta.
    “Come si sa non abbiamo preclusioni nei confronti di nessuno
    che sia disponibile a mettere in discussione il suo punto di
    vista confrontandolo con quello degli altri”.
    Se è proprio così lo vedremo (forse) nei prossimi giorni.

  16. se i palestinesi di cittadinanza israeliana sono tutti come l’unico invitato al salone del libro di parigi … beh non credo sia poi una grande conquista.
    L’elenco degli scirttori presenti a torino non è ancora in circolazione, mentre quello dei francesi può essere letto QUI, link gentilmente postato, nei commenti del mio blog, da gabrilu. Lo scrittore palestinese che scrive in lingua ebraica e Sayed Kashua.
    geo

  17. la proposta di mediazione è un passo avanti: io personalmente sono contraria al boicottaggio della Fiera del Libro: un precedente pericoloso per chi non vuole per esempio sentir parlare di letteratura palestinese, iraniana ecc. ecc. Non sono così convinta che alla destra nazionalista ( quella che per finalità politiche svende ed ha svenduto termini come antisionismo e antisemita,,,mi meraviglia che qualcuno dia loro ancora credito e spazio ) faccia così piacere la presenza di autori come Grossman ecc che si sono schierati contro l’occupazione e l’assedio di Gaza. Credo che sarebbe ora, indipendentemente dall’evento in oggetto, far conoscere le organizzazioni , israeliane e palestinesi che lottano insieme contro l’occupazione, che creano insieme piccoli frammenti di realtàecc. Se c’è qualcosa che dà fastidio ai “duri e puri” di entrambe le parti è far conoscere queste realtà. Ecco il punto è proprio questo: dare spazio ai frammenti di luce,io li chiamo così, che stanno tessendo spazi cuturali nuovi e dirompenti…per questo fanno paura . Una mostra che dia spazio alle loro voci sarebbe più dirompente di qualunque boicottaggio: romperebbe la mistificazione della propaganda e soprattutto creerebbe ponti con loro senza schematizzazioni. Ciao e buon lavoro

  18. Ti ringrazio molto arial.
    Seguo il tuo blog da almeno un anno e apprezzo come “selezioni”: per questo ti ho segnalato la proposta, e la tua approvazione mi è particolarmente gradita. Anche se apparentemente osserviamo la situazione da posizioni diverse so che i nostri obiettivi (chiamiamole speranze va) sono, se non proprio le stesse, molto simili.
    Ma perché non ti unisci a noi? Una tua consulenza potrebbe esserci molto utile.

  19. Diego, sei molto gentile e appassionato: ,ho postato la tua proposta nel mio blog, io vorrei che nella Fiera del Libro, come ho spiegato nel mio blog, risuonassero anche le parole di quegli ebrei,musulmani israeliani e palestinesi che stanno lavorando insieme per costruire una nuova cultura: Penso ,per esempio, ai combattenti per la pace..così coraggiosamente frammenti di luce. Ciao, cmq grazie ,sai che puoi utilizzare il materiale che posto e ritieni utile per porre fine a questa infinita catena di dolore e di morte

  20. Ciao, piacere di conoscervi, vi do anch’io il mio appoggio; ho scoperto questa proposta attraverso il sito di Arial.
    Credo che la versione delle cose proposta da Sherif El Sebaie sia la più verosimile, peraltro il boicottaggio ad una fiera culturale mi ha sempre trovato diffidente; tuttavia, dato il clamore che si è venuto a creare ritengo che sarebbe buona cosa ospitare qualche rappresentante palestinese alla Fiera. Sarebbe davvero una bella occasione se si potesse assistere ad un dialogo costruttivo tra le due parti che permetta di conoscere meglio la loro realtà, aldilà degli schematismi e delle strumentalizzazioni politiche che spesso, purtroppo, troviamo sui giornali.

  21. Volevo chiedere scusa a Diego e a tutti i sostenitori della sua proposta per “l’aggressività” del mio primo commento sull’ultimo post di Guerrilla Radio.

    Proposta che, seppur nelle intenzioni rispettabile, comunque non riesco proprio a sostenere, e che non penso verrà fatta passare dagli organizzatori… sarebbe come chiedere ai nazisti di ospitare all’interno di un evento autoreferenziale degli antinazisti… piuttosto irreale… e poi proprio non riesco a mandare giù quella frase nella lettera-appello che dice “I palestinesi (che io personalmente vorrei fossero israeliani, e viceversa)” in quanto Israele è un nome che etimologicamente prevede necessariamente un’appartenenza religiosa e già dall’assunzione di un vocabolario prestabilito dai sionisti verrebbe a togliere una cosa a cui i palestinesi non possono rinunciare.

    Piuttosto negli stessi giorni potrebbe essere messa in piedi una fiera dedicata a Palestina (perchè israele è l’unico stato a cui non viene preposto l’articolo determinativo, così come ai nomi di persona? Già, perchè Giacobbe, cioè Israele, era una persona… piccolo excursus), e a questa credo che i vari Ilan Pappe (del resto il suo libro più famoso s’intitola “Storia della Palestina moderna” e non d’Israele… altro excursus) e tutti gli antisionisti sarebbero ben felici di presentarsi…

    Uff, non so. Comunque se ci credete fate bene a provarci, e se questa vostra proposta si realizzasse e poi servisse davvero all’inizio di un cambiamento reale a favore dei palestinesi, a cominciare dal togliere l’embargo verso Gaza (che se fosse per me l’embargo l’imporrei a israele)… perchè no… del resto si lotta tutti per la stessa causa no?

  22. Caro Diego,
    ti ringrazio per la pronta e generosa risposta.

    Ora riesco a comprenderti meglio,
    il motore che ha generato il moto della tua offerta.

    Una cravatta in alta definizione buca sicuramente di più le coscienze malleabili della parte meno informata dell’opinione pubblica, la stragrande maggioranza.
    Tantopiù che le nostre kefieh sono piuttosto sgualcite, troppe manifestazioni e trasudano lacrimogeni.

    I grandi imbonitori avranno sempre il coltello dell’informazione massmediatica dalla parte del manico, indi noi dovremo sempre arrovellarci per trovare il modo di controbattere con i nostri arnesi artigianali. Io pongo molta fiducia nelle enormi potenzialità della rete (Beppe Grillo insegna).
    E’ quindi un bene che sempre più persone stiano aprendo un confronto critico e costruttivo qui sul web, dapprima contro l’opportunità di svolgere una fiera del libro per come inizialmente è stato organizzata, e ora per individuare la miglior controffensiva a questo scandalo travestito da evento culturale.

    Fatti un giro sul google e cerca “fiera del libro di Torino”, scoprirai che non sono solo i dictate degli organizzatori in primo piano, ma anche diverse opinioni non dissimili alla nostra ( se non proprio le personali nostre).
    Non raggiungeremo certo gli audience di Mimun e Riotta , ma almeno internet è un campo di conflitto ancora aperto, quasi imprevedibile.

    Dicevo che riesco a comprenderti,
    quando parli di scelta dettata dalla principalmente dalla strategia piuttosto che da un nostro comune sentire.
    Lorenz, che ci ha scommesso, rileva comunque intuitivamente che non è detto che “l’effetto boomerang di questa scelta (far passare l’invito a Israele come normale e pluralista) possa essere minore di quello del boicottaggio”, io condivido e vi consiglio di rifletterci su.

    Ho dato una scorsa alla lista dei nomi degli autori che avreste intenzione di invitare,
    e ammetto di non conoscerne diversi, anche perchè come sappiano non vengono tradotti nel nostro idioma.
    Mi fa piacere però di trovarvi Uri Davis, con il quale scambiai un paio di missive appena dopo il mio rilascio da Tel Aviv.
    Mi aprì un mondo di dissidenza interna a Israele oltre, ben oltre i pacifisti tiepidi di Peace Now.

    Ho un ulteriore dubbio rispetto alla tua proposta Diego,
    il fatto che ci sia qualche possibilità che la fiera possa prendere in considerazione questi nominativi da voi vagliati.
    Perchè sono convinto del fatto che Israele in quanto governo ha l’ultima parola su tutto quanto avverrà a Torino,
    piuttosto che fungere da semplice consulto. E Israele non vorrà mai vedere su di un stesso tavolo le sue punte di diamante dalle letteratura da sfoggiare con vanto,
    con chi ricorda ad ogni passo che quel diamante è tagliato nel sangue di un popolo occupato.

    Perchè di questi gravi fatti d’ingerenza già in un recente passato ci sono state prove:

    “Un paio di anni fa, il Comune di Torino aveva fatto sì che diverse organizzazioni scrivessero un testo per insegnanti («Israele/Palestina. Palestina/Israele». Sussidio Informativo, edito dalla Città di Torino e dal Coordinamento di Comuni per la Pace). Del libretto, dichiaratamente per la non violenza, avevo preparato il capitolo sui movimenti pacifisti israeliani. Quando lo presentammo, nel settembre 2006, il presidente della comunità ebraica insorse. Ad un incontro successivo, invece, non sono stata invitata. Mi dicono che è andato dal sindaco l’ambasciatore israeliano, per spiegargli l’«inopportunità» del testo, perché «non equidistante». Risultato: il librino è sparito. Nemmeno chi ha scritto il libro sa se il Comune l’ha mandato al macero, o se ne ha sepolto le copie in un ripostiglio, scelto fra quelli più abitato dai topi.”
    (ebrei contro l’occupazione.)

    Ma non è nemmeno questo mi impedisce di cambiare idea,
    è il mio originale tabù che rimane, il mio motivo di vero veto.
    Perchè in virtù del totale rispetto verso i palestinesi depredati di terra, vita e speranza, non posso permettermi di depredarli anche della scelta di come sopravvivere, di come resistere al loro nemico oppressore.
    Ho sempre offerto supporto e consiglio, mai obbligato a soluzioni.

    Così quando andavo a scortare i bambini sulla via per la scuola dinnanzi ai mezzi militari israeliani che li cecchinavano,
    e qualche bimbetto tirava su delle pietre da lanciare ai carriarmati, io mi interponevo, ma certo non glielo impedivo,
    perchè quello al momento era la scelta di resistenza e sopravvivenza palestinese. Sebbene suicida.
    Ora è lo stesso, non posso scegliere per i palestinesi.
    Quindi Diego ti chiedo,
    rispondendo anche a Lorenz,
    prima di andare a domandare agli scrittori dissidenti israeliani se sono d’accordo a questo confronto in questo modo e in questo luogo,

    domandate ai palestinesi come considererebbero una fiera del libro svolta in questi termini.
    Ci fosse il loro beneplacito ne sarei sorpreso,
    ma immediatamente dei vostri.

    Perchè è indispensabile un parere di chi l’inferno da scongiurare lo vive istante per istante,
    mentre io sono qui a ticchettare su questi tasti con il sottofondo solo della mia musica e del mio vicino di casa che canticchia la lirica anche a quest’ora
    e altrove il rumore dei cingoli anche stanotte stringeranno d’assedio ogni incubo palestinese.

    stay human
    Vittorio.

    ps.
    Intanto,
    sto cercando di far correre voce anche all’estero, (vi consiglio di fare altrettanto) e qualche amico blogger ha già raccolto:
    http://peoplesgeography.com/2008/02/24/shroud-over-turin/

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GIANNI BIONDILLO (Milano, 1966), camminatore, scrittore e architetto pubblica per Guanda dal 2004. Come autore e saggista s’è occupato di narrativa di genere, psicogeografia, architettura, viaggi, eros, fiabe. Ha vinto il Premio Scerbanenco (2011), il Premio Bergamo (2018) e il Premio Bagutta (2024). Scrive per il cinema, il teatro e la televisione. È tradotto in varie lingue europee.
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