Dal basso e altre poesie
di Jacopo Galimberti
La ferrovia
Appare dietro una scuola, poi fa perdere le proprie tracce
rintanandosi tra due orti. Sbuca oltre il ponte
e sotto i tralicci il ventre bianco balena per un istante,
subito la massicciata lo spinge in un tunnel.
La corsia d’acciaio incide in città una striscia gremita,
battuta da un vento di sguardi.
La notte
l’ospite ausculta le unghie dei freni limarsi sulla ghisa,
nel cranio. Il cucciolo non si è abituato, ogni nove minuti
latra e morsica la lamiera. Qualcuno sotto gli occhi di tutti
ha rubato un metro al demanio e vi strappa una zucca [arrugginita
o un tubero. Il pietrame pare però fertile, i rovi cigolanti si [riabbracciano
appena oltre il muro del pericolo di morte.
I convogli schiudono le tende polverose.
Sul balcone le biciclette cromate lentamente
si spengono. Delle donne altissime si allungano nude
su un muro calcinato, una tartaruga incatenata
si è addormentata sulla poltrona.
Tre bambini con pupille di sauro giocano in camera.
Un mattino il treno si presenterà deserto.
Chi abita a ridosso della ferrovia ne riempirà le viscere
per sprofondare avvinghiarsi
a una terra più lieve.
****
Tentativo pacato di avvicinamento
Sono un catino chiaro che freme, sono la tua urina,
sono i semi nelle tue feci, sono il tuo sonno tra molli bicipiti.
Sono l’areola, sono i tuoi polpastrelli
sul perineo. Sono il pus tumulato nei tuoi brufoli,
sono la polla che culli nel ventre, sono il tuo moncherino,
il tuo gomito.
Sono l’arco sopraccigliare, lo sfogo di macchie
sulla mano, sono il velo di sale sull’ano,
sono la clavicola nella sua nicchia. Sono la pelle del callo,
sono la tavolozza che è il tallone, sono l’inguine e i suoi bulbi,
sono la lingua.
Sono il peso della cupola, sono il diametro della terra,
il ritmo della polvere che plana nel vano. Sono la trama della [lana,
la traiettoria del missile, sono Pan a Maratona.
E poi hai preso il giornale e non era male, in quel momento,
informarsi.
****
La paura del buio
Tu mi dici che hai paura del buio.
Anch’io ne ho…anche i grandi, ma certo,
prossima volta corro qui nel tuo letto,
vedrai…ma sì che ci stiamo, non rompere…
Sai, il buio dice tante cose, solo
s’esprime in una lingua senza lettere,
sì, un po’ come gli animali, che spiegano
le loro cose o ti fanno spavento
graffiando, abbaiando, o con tanti barriti
(che è il verso dell’elefante lo sai…).
Certo, il buio ci dice un sacco di cose.
Se spengo in bagno ad esempio…subito
senti l’orologio che non vede l’ora
che le pile finiscano, per smetterla
di ticchettare. Due al piano di sotto
litigano. Ignorano che aiutano
altri due, qui, a non temere più il buio.
Poi c’è il lampione, vedi, è come se
il buio dicesse, hai mai visto il lampione?
gli hai prestato attenzione? anche se no,
lui ti aiuta lo stesso adesso…ma tu
lo sai chi l’ha costruito il lampione?
Con che soldi l’hanno costruito?…sì,
per forza, tutto costa, anche il lampione.
Giù da basso hanno smesso di litigare,
ma per noi era meglio continuassero,
vero?…ascolta…sembra una lavatrice.
O magari una lavapiatti, magari
uno lava i piatti insieme ai vestiti…
non scherzo…guarda che è davvero possibile…
Ma tu lo sai che tanto tempo fa
le persone dicevano che i pianeti
emettevano un suono, anzi, una musica…
si, forse avevano paura del buio,
hai ragione, non c’avevo pensato,
può darsi…e se invece però questa musica
ci fosse davvero e in un posto buio,
come in alta montagna o in mare, si sentisse?
magari le balene fanno spruzzi
per dire che questo chiasso toglie loro
il sonno…o i capodogli, certamente…
Le macchine si sentono così sempre
che non ci si accorge più. Hai ragione.
Quando proprio vedo che non ce la faccio
perché ho troppa paura sai che faccio?
aspetto che un mobile sibili, scricchioli,
faccia una scoreggina e penso che anche
l’armadio ci vuole bene e bada a noi,
nel buio. Poi immagino i suoni
nella pancia della terra, i sassolini,
i liquidi bollenti che ci sono,
gli animali che non vengono mai su
in superficie e restano nascosti
fino a quando non erutterà un vulcano.
Questa è la cosa che mi consola e calma,
tu poi lo vedrai tu quello che ti aiuta
a non avere paura del buio.
***
Non era facile vent’anni fa
in Irlanda, abitavamo in campagna,
il segnale della tele faceva
schifo allora ascoltavamo sempre musica.
Un pomeriggio pensai che dovevo
fare ascoltare musica a tutto ciò
con cui vivevamo. Ero un bambino…
Presi gli altoparlanti di alcuni amici,
li collegai allo stereo. Il suono
non usciva, al contrario s’alzò una brezza
che puzzava di plastica. Lo stereo
lo buttammo la sera stessa. Mi odiarono
per mesi, e per due anni ascoltai
da solo il suono che si sprigiona fragile
dalla puntina. Se spegni lo senti.
Quando mia madre riniziò a lavorare
ci comprò subito uno stereo nuovo
dicendomi –già non sei alto, se poi
mi diventi anche gobbo…
Lo ascoltavo
e raccontava ogni cosa a bassa voce,
perché c’era musica. Alle sue
spalle incombevano i ripiani stracolmi,
ma finivano per sembrar leggeri,
come un ovile e un campo verde solcati
da migliaia e migliaia
di vinili.
***
Credevo di essere in cinta, faccio il test
niente. Resta il fatto che vado al cesso ogni
venti minuti. Faccio tre gocce lente.
Il ventre dopo quattro giorni mi scoppia
come se fossi al sesto mese. Il medico
mi spedisce in tutta fretta all’ospedale.
Non faceva male. Ho aspettato troppo,
ma ne sono perfettamente cosciente,
capisci? All’ospedale un altro test,
niente, ma almeno mi danno un pannolino.
Sono in cinta. Di una ciste di diametro
venticinque centimetri, tutta infetta.
Mi spiaccica la vescica, m’ha spezzato
un’ovaia e si dirigeva sull’altra.
Se si aprisse forse crepo: operazione.
Il mattino ricompaio nelle braccia
della morfina. Ho delle fitte atroci,
ma sono sul gioviale. Scherzo con uno,
non so nemmeno se fosse un infermiere,
m’asciuga la fronte, m’aggiunge un cuscino
poi mi fa una smorfia ‘sto pezzo di merda
e mi fa: “Te le sei volute distruggere,
pensa, ce l’avevi pure quasi fatta
***
La strada
La strada arriva dopo una brutta notizia
dopo una battuta a un pranzo.
La strada ha una tagliola in ufficio
o sul tavolo verde. La strada rivolge minacce
in un brusio che all’udito
si perde. La strada sorveglia i gesti immondi,
i gesti timidi, le croste sul collo, la balbuzie,
la strada non tollera che una palpebra
pulsi.
Alla stazione le persone aspettano i treni.
Nel gabbiotto delle fototessere si fanno
le foto. Sotto il ponte è pieno di rifiuti,
c’è anche una tenda. Nel parco, certo,
la notte ci trovi le coppiette. Questa puzza
tremenda di vomito, io, non la sento.
È uno zoppo. Ti do un euro,
ma non bertelo.
La strada è sulle banconote, la strada
è nell’ostia, la strada a piè di pagina nella pausa
dello spartito nei compiti per le vacanze.
La strada è nel quarzo ingrandito,
è nel gorgo del lavandino, nella pelata
del bambino. Come un brusio
sovrano, la strada
non è qui.
(L’Ebook di Jacopo Galimberti è scaricabile sul sito di Biagio Cepollaro qui.)
:)
questa poesia è come un dialogo lungo che si snoda in vari percorsi e
una volta che ci entri ti lasci irretire…
mi piace molto: La paura del buio.
ciao
Jacopo, queste parole risuonano dentro. Bell’alchimia costantemente vibrante. Vado a scaricarmi l’ebook.
Garimberti é l’incarnazione dello sporco che da adolescenti avevamo dentro (ma eravamo privi dei mezzi per esprimerlo), del nostro essere roditori, cani piccoli e tignosi, ragazzotti di provincia luridi, su una bmx. Fatte le debite proporzioni, la paura del buio a me ricorda Eliot, e non é poco, credo.
Ti ringrazio molto Maria Luisa, é troppo che non ci vediamo.
Ovviamente in cinta si scrive incinta ma, dopotutto, qualche sgrammaticatura in luridisce.