Articolo precedente
Articolo successivo

Perché ho firmato l’appello

band1.jpg di Gianni Biondillo

Innanzitutto una premessa necessaria: in questi giorni ero fuori Milano, senza alcun accesso ad internet. Se non ho risposto nei commenti ciò è dovuto alla mia assenza forzata.
Solo ora riesco ad accendere il computer e solo ora vedo quanto l’appello da me postato abbia avuto centinaia di commenti. Così come ho solo ora visto la serie di post, altrettanto commentati, che fanno da corollario a quell’appello. Scrivo queste note di getto, prima ancora di leggere tutto quel materiale, come faccio sempre con tutta l’attenzione che merita. Laddove si trovassero ridondanze o argomentazioni già superate nel dibattito me ne scuso da subito.

Martedì pomeriggio scorso, sul tardi, ho ricevuto via email il testo dell’appello in questione a firma di Raul Montanari, scrittore che rispetto e persona che mi fregio di avere come amica. Non è la prima volta che firmo una appello, non sarà l’ultima. Sergio Garufi, come è nel suo stile, ci rammenta con le (a me) note pagine di Manganelli del vizio italico dell’apporre firme ad ogni pie’ sospinto. Sapevo, e so, del pericolo della deriva firmaiola. Ma sinceramente me ne impipo.
Non sono fra quelli che salta sul carro del vincitore, che firma convenientemente, che appone in calce il suo nome e poi torna a bersi un aperitivo sul bordo della piscina di casa. Non posseggo la piscina, non posseggo la casa (è in affitto) e soprattutto so che in ogni caso, per scelta professionale, ho deciso di espormi agli sputi. Qui su Nazione Indiana, e più in generale con tutto quello che faccio di pubblico, inevitabilmente ogni volta che licenzio un articolo, un saggio, un romanzo, una intervista, appongo la mia firma. E ogni volta mi prendo la mia dose di sputi. Ho aderito ad appelli su personaggi – per la maggioranza benpensante – indifendibili, e l’ho fatto a mio discapito. Mi conveniva il silenzio, sarebbe stato più furbo. Ma io non sono furbo.
Non “nannimoretteggio”. Non faccio come papa Ratzinger (“mi si nota di più se vado all’inaugurazione dell’anno accademico o se non ci vado?”). Non ci guadagno nulla, neppure in autostima. Quando stilammo l’appello del triangolo nero ci fu in mailing list, una lunga discussione sui termini, sui concetti da esporre. Siamo scrittori, si disse a ragione, non dobbiamo “sbagliare” le parole. Forse in una situazione differente avrei fatto lo stesso con Raul. Ma la mattina appresso dovevo partire e sapevo che prima di tre giorni non avremmo potuto iniziato una eventuale “revisione condivisa” del testo, con tutti i distinguo, le postille, le precisazioni del caso. In quel momento, per me, era decidere se esserci, anche in modo istintivo, irrazionale, o strategicamente, non esserci.
Esserci come hanno voluto esserci quegli scrittori veneti, a Treviso; a prescindere dalla organizzazione naif dell’appuntamento o della eventuale strumentalizzazione mediatica o politica.
Più furbo era declinare l’invito di Raul, attaccarsi agli impegni personali, vedere “che aria tirava” e nel caso apporre in calce o meno. Ma, insisto, io non sono furbo.
In un blog chiaramente di sinistra come Nazione Indiana, con posizioni spesso radicali, che non ha mai avuto problemi a dichiararsi in opposizione critica con molta della politica “moderata” e “riformista”, può apparire addirittura autolesionista ritrovarsi in compagnia con firmatari che al meglio rappresentano quel mondo di idee spesso criticato. Ma, per quanto ritrovarmi in disaccordo con intellettuali e amici qui di Nazione Indiana lo preferirò sempre al trovarmi in accordo con persone che poco digerisco – e che non è improbabile stiano usando l’elenco di firmatari a proprio vantaggio -, in questo caso l’adesione è stata, come sempre, istintiva, non mediata da nessun opportunismo di sorta.
Perché ho firmato?
Potrei darvi molte particolari e analitiche ragioni. Potrei mettervi di fronte allo smarrimento che provo sempre più nei confronti di una sinistra italiana che ha espulso autolesionisticamente dal suo patrimonio costitutivo tutta la cultura ebraica – nazionale e non – regalandola, con uno spreco ideologico, ad una nuova destra straordinariamente opportunista che ne ha fatto una vuota vetrina di verginità morale. Non a caso la vecchia farraginosa frangia fascista (basta girare per Roma e leggere i loro deliranti manifesti per capirlo), ancora radicata nel Novecento appena trascorso, continua, coerentemente, a combattere una battaglia di retrovia antisemita abbracciando la causa palestinese, altrettanto opportunisticamente. Un abbraccio mortale e asfissiante. Ma chi, come me, ha davvero a cuore quella causa, sa fare la tara, il distinguo. E non fa il triste gioco, tutto italiano, di uno schierarsi acriticamente o da una o dall’altra parte della barricata. A prescindere, tipo Milan – Inter. (Non ne posso più del “Milan – Inter”, non ne posso più del trasformare tutto in una discussione sul derby il lunedì mattina al bar.)
Potrei fornirvi molte ragioni, vi dicevo. Ma la più semplice, la prima che m’è venuta in mente, d’istinto, leggendo l’appello di Raul, ha a che fare con una cosa accaduta molti anni fa (non so neppure dirvi quando, quasi un quarto di secolo, dovrei fare una ricerca su internet, che ora non ho voglia e tempo di fare).
Ha a che fare con una cosa accaduta in Sud Africa, quando ancora c’era l’apartheid. Il gotha del rock mondiale, progressista e antirazzista, decise (erano i tempi del buonismo stucchevole di Usa for Africa) di fare un concerto di protesta anti-apartheid. Il meglio del meglio della musica mondiale a rappresentare un duro NO nei confronti della politica sudafricana. Un concerto che chiedeva di boicottare quel governo, la sua economia, la sua politica sociale. In quegli anni suonava in Sudafrica un rocker bianco che si faceva accompagnare da un gruppo di etnia zulu. Insieme formavano i Johnny Clegg and Savuka. Al di là della resa artistica (alcuni pezzi erano decisamente di buona fattura), un bianco che suonava con dei neri, in quel posto, con quelle condizioni ambientali (spesso gli annullavano i concerti, o quando li faceva veniva pesantemente contestato dagli afrikaner) era addirittura dirompente.
Ebbene, in quanto cittadini sudafricani ai Johnny Clegg and Savuka, dato il boicottaggio, fu proibito suonare al mega concerto anti-apartheid.
Ecco. Questo essere più realisti del re, questo eccesso di coerenza ideologica, che rasenta il fanatismo, fu per me un insegnamento indimenticabile. L’unica voce che nei fatti si dimostrava critica e portava un esempio di alternativa artistica in quel paese, la prima forse che doveva essere invitata, fu messa alla porta.
Questo m’è parso di vedere quando in questi giorni si è parlato di boicottare Israele alla Fiera del libro di Torino.
Certo, dovrei fare tutti i distinguo del caso. Distinguo necessari, doverosi. Precisazioni, chiose, cavilli, puntualizzazioni, postille, sottigliezze, sofismi. Vero. Tutto vero.
Ma sgrossando d’impeto il macigno della questione ciò che vedo di primo acchito è un colossale autogol. Se esiste una voce davvero critica che viene dal cuore di Israele, una critica alla sua politica insediativa, colonialista, guerrafondaia, viene proprio da quegli scrittori che vogliamo boicottare. (scrittori, detto a margine, di una tale qualità letteraria, in un paese in fondo così piccolo, che noi italiani semplicemente ce la sogniamo). Proprio ieri, sotto il sole di Roma, Emanuele Trevi mi diceva che in fondo il nostro antiamericanismo critico ci viene proprio da molti di quegli intellettuali americani che sono stati per noi maestri.
Ed è inutile dire che noi non vogliamo boicottare gli scrittori israeliani, ma il loro governo. Mi pare una foglia di fico. Alla Fiera del libro di Francoforte, quando fu ospite d’onore la Russia del Putin che sta facendo strame della popolazione cecena, nessuna voce critica s’è alzata a chiedere di boicottarlo. O forse i ceceni sono meno frendly? (“mi si nota di più se firmo un appello contro la politica in Cecenia, o se non lo firmo?”). All’Italia ospite d’onore in Francia qualcuno chiese di boicottarci dato che avevamo come capo del governo Silvio Berlusconi (“questo lo firmo. Essere antiberlusconiani è decisamente trendy”).
Tutto questo mi fa ricordare la storiella di quel marito cornificato che per fare un dispetto alla moglie decide di evirarsi. Di tutte le possibili forme di boicottaggio nei confronti di Israele che si potevano pensare, l’unica che ci è venuta in mente è quella di boicottarne la cultura. Questa, per come la vedo, è una evirazione bella e buona. A quando un bel rogo di libri israeliani? (“ma mica per antisemitismo, nooo. Per protesta nei confronti del governo…”)
Non mi interessa se la Fiera del libro stia invitando Israele in modo ufficiale (probabilmente c’è una procedura che non conosco, non lo so; e se è per questo non mi interessa neppure la Fiera in sé, luogo che mi annoia mortalmente). E mi interessa ancora meno se firmando quell’appello mi sono ritrovato in una compagnia fatta sia di persone che condividono col cuore quello che dico, sia di gente che sfrutta il casus belli ad uso improprio (“mi si vede? Mi vedete se firmo? Sono abbastanza moderato-filo-occidentale?”), quasi si dovesse rinserrare le fila e farne la conta (“dove si vince? Di là? Tutti sul carro!”).
La mia storia privata mi ha fatto conoscere e attraversare, fin dall’infanzia, la cultura mediorientale come fosse mia, personale, domestica. I conti li so fare anch’io. Per ogni ebreo che piango, morto ucciso da un’autobomba sull’autobus che lo portava al lavoro, so perfettamente che dovrò piangere i quattro palestinesi uccisi dalla ritorsione dell’esercito israeliano.
I conti li so fare e, a riguardo della compagnia che oggi mi ritrovo, ho la mia scientifica prova del nove. Così come difendo l’invito di Israele come paese ospite, sono pronto a proporre da subito che il prossimo anno la Fiera del Libro di Torino inviti ufficialmente l’Autorità Palestinese come ospite d’onore. Non genericamente i loro scrittori, ma proprio l’istituzione politica. Questa sarebbe davvero deflagrante, dal punto di vista politico e culturale, come mossa.
Quando faremo la conta di chi ci sta, di chi aderisce a questa proposta, faremo inevitabilmente la cernita. Il grano di qua, il loglio, dall’altra parte. Come rancio per i porci.

Print Friendly, PDF & Email

98 Commenti

  1. Sono pronto a scommettere che la Fiera del libro di Torino non inviterebbe l’anno prossimo l’istituzione politica palestinese.
    Quello che accade a francoforte ha ben altra fondamenta.
    Mi ha fatto piacere leggere su lipperatura l’opinione di Golinelli sul nulla culturale che rappresenta la Fiera di Torino in quanto a panorama editoriale che è di un ridicolo vergognoso ormai da molti anni.
    Non boicotto nulla, almeno per quanto mi riguarda, perché ho già boicottato la Fiera di Torino per la sua mediocrità

  2. Mi sembra un’onesta proposta. Stavo davvero cominciando a pensare che fosse stata una perdita di tempo firmare. Ma sarebbe importante fare in modo che gli scrittori di Palestina potessero essere invitati (se spesso non vengono da nessuna parte è perchè uscire da quei territori è difficilissimo).

    Più che un appello, questo è un “contrappello”. Un’adunata, anzi, certo non oceanica, contro i soliti radicali che mettono tutto in conto, che non separano mai il grano dal loglio, che fanno di tutta l’erba un fascio. Che si inventano i grandi scrittori israeliani spie del Mossad, che s’inventerebbero qualsiasi cosa, che l’importante è dar contro per il principio di continua contraddizione.

    Sono il primo a criticare Israele, nazione che rispetto ed ammiro per molte cose ma che a mio modo di vedere è stato un errore politico far nascere. Ma ora cosa dobbiamo fare, distruggerla?

    Perchè è questo che parte del mondo arabo vorrebbe fare. Mettetela come volete, giratela da tutte le parti, è così.

    Amo gli ebrei moderati, amo gli arabi moderati. Ma con le idee chiare e con la volontà di combattere per la libertà con mezzi leciti e pacifici. Abbiamo dei grandissimi scrittori che vivono criticamente il loro rapporto col loro paese: e di fronte a una bandiera che non piace e che li rappresenta soltanto come normali cittadini li dobbiamo rispedire al mittente?

  3. strano che qui si parli molto di palestina/palestinesi, mentre nel testo dell’appello queste parole non compaiono.
    appello non necessario, firme frettolose, lenzuolate di precisazioni, eccetera.
    peggio del boicottaggio.

  4. ecco cosa si diventa. Meccanismi di complicazione. La questione sarebbe molto semplice… sarebbe. A nessuno dovrebbe essere negata alcuna forma di espressione. E’ la nostra costituzione che ce lo suggerisce… articolo 21 eccetera eccetera… Al di là del testo di Raul, se domani l’Iran dovesse lanciare una bomba atomica su uno stato vicino e dopodomani alla feltrinelli arrivasse Abdolkarim Soroush io l’andrei a sentire. Tutto qui.

  5. Ma sarebbe importante fare in modo che gli scrittori di Palestina potessero essere invitati (se spesso non vengono da nessuna parte è perchè uscire da quei territori è difficilissimo).

    intanto il prossimo anno ci dovrebbe essere l’egitto che già è stato scalzato quest’anno per date nazionalistiche irrimandabili :-).
    E poi ti faccio presente che se gli scrittori della palestina non possono venire è perchè non gli viene permesso.
    Intanto si potrebbe fare un appello all’ambasciata israeliana e al ministero degli esteri perchè, di diritto, e con gli stessi diritti, al salone del libro quest’anno siano presenti, non un numero pari e bla bla, ma tutti gli scrittori palestinesi nati nel territorio israeliano, sia quelli oggi cittadini israeliani, sia quelli esiliati come mahmud darwish. Potrebbe essere un segno di vera libertà *culturale* e non solo di propaganda nazionalista come per ora appare.
    geo

  6. L’equidistanza culturale (che vengano scrittori israeliani e scrittori palestinesi) è talmente scontata che non si discute nemmeno.
    Ma quando essa viene dopo un’iniziativa come quella di Torino ( una dedica a uno Stato che non solo è nato dal sopruso, ma ostinatamente mantiene una politica segregazionista che a nessun altro sarebbe consentita), a me sa troppo di ipocrisia. Biondillo ne ha abbastanza del tifo calcistico.
    Io detesto i gol fatti con la mano, fosse anche di Maradona.

  7. A Roma, Tash, ho ricevuto una telefonata accorata che mi chiedeva come mai non commentassi la messe di commenti all’appello. Mettere una firma non basta, “dovevo” dire la mia, altrimenti sembravo uno snob firmaiolo. Ora che la dico, diventa per te una lenzuolata dove si parla molto di palestinesi (questa è la mentalità da milan-inter. Qui si parla di sudafrica, di israele, di palestina, e molto altro. Tu vedi solo quello che vuoi). Ecco, appunto, gli sputi.

    Sottoscrivo (Cosimo) Argentina.

  8. Amo gli ebrei moderati, amo gli arabi moderati
    Come diceva hannah arendt si amano solo gli individui, i propri amici, non si amano i popoli o le categorie :-).
    In politica l’amore è un sentimento deleterio che non dovrebbe mai aver posto altrimenti provoca solo guai.
    geo

  9. “I consigli comunali delle Apuane dove ventitre anni fa Reder e i suoi ammazzarono centinaia di persone si pronunciano contro la richiesta di grazia, dopo il comune di Marzabotto. Ieri ha votato il consiglio comunale di Carrara, all’unanimità meno uno, un avvocato democristiano. Non so come costui abbia motivato il suo voto. Fosse una motivazione politica, forse potrei anche approvarla. Sarà invece, come m’è occorso di leggerne, una motivazione religiosa o morale che maschera una scelta politica inconfessabile. Cerimonie come queste, comprensibili per i superstiti. Ma, da un più serio punto di vista, peggio che stoltezze, ipocrisie; e peggio che ipocrisie, aiuti al peggio. C’è stato un modo molto reale di dimenticare quegli uccisi: il modo tenuto dalle classi dirigenti italiane nei primi dieci anni del dopoguerra. Oggi si preferisce parlare delle stragi naziste per non guardare la verità di Indonesia, Vietnam, America Latina, Congo… Ma no, sto ancora sbagliando! Ancora una volta m’avvedo di ragionare nei vecchi, ormai falsi, termini: si parla del Vietnam, eccome, se ne parla come dei crimini nazisti, di questi come della guerra israeliana e della guerra israeliana come d’una carestia in India. Al fondo c’è una sola e dura notizia: «Voi non siete dove accade quel che decide del vostro destino. Voi non avete destino. Voi non avete e non siete. In cambio della realtà v’è stata data una apparenza perfetta, una vita ben imitata. Così ben distratti dalla vostra morte da godere una sorta di immortalità. La recitazione della vita non avrà mai fine, felici».

    F.F., I cani del Sinai

    «Fare il cane del Sinai» pare sia una locuzione dialettale dei nomadi che un tempo percorsero il deserto altopiano di El Tih, a nord del monte Sinai. Variamente interpretata dagli studiosi, il suo significato oscilla tra «correre in aiuto del vincitore», «stare dalla parte del padrone», «esibire nobili sentimenti».

    Sul Sinai non ci sono cani.

  10. Penso che una tavola rotonda con artisti di Israel e di Palestina sarebbe una belle iniziativa, per esempio, con tema l’identità femminile in una terra che è di dolore. Fare incontrare parole, messaggio, lettera.
    Boicottare un paese dove è accaduto IL Libro mi sembra assurdo.

  11. >Ma sgrossando d’impeto il macigno della questione ciò che vedo di primo acchito è un colossale autogol. Se esiste una voce davvero critica che viene dal cuore di Israele, una critica alla sua politica insediativa, colonialista, guerrafondaia, viene proprio da quegli scrittori che vogliamo boicottare.

    Ok Biondillo, ma siamo sicuri che proprio quegli scrittori saranno presenti alla mascherata del libro di Torino? Sicurisicuri?
    Per esserne assolutamente certi, nel nome della letteratura of course, prima di correre all'”allarme” (tag con cui l’appello è stato indicizzato) avrei verificato quella presenza. E’ stata fatta questa verifica prima di dare l’allarme? Non credo. E visto che questa situazione grottesca richiederebbe, per non perderci ulteriormente la faccia, una propositività – che è nelle vostre (ma, volendo davvero, anche nostre) possibilità, rilancio qui una letterina che ho messo in coda al thread dell’appello. Ovviamente ignorata.

    Cari amici di Nazione Indiana, aderenti all’appello.
    La fiera del libro a Israele? Va bene.
    L’azione di boicottaggio stupida e/o incivile e/o inefficace? Bene (!) anche questo.
    Ma se vi sta tanto a cuore la questione “nel nome della letteratura” non vi sembra in effetti un po’ pochino la raccolta di firme?
    Fossi stato in voi, in qualità di “gruppo” comunque riconoscibile e in qualche modo vicino al mercato editoriale e culturale certamente più di noi comuni mortali, avrei proposto un’azione vera, anche per dare uno schiaffo morale a quelli che, come me, in un appello simile hanno letto solo un po’ di malafede o, nel migliore dei casi, un po’ di ingenuità.
    E visto che è la “letteratura”, in questo caso specifico, a correre il rischio di censura, avrei per esempio contattato Gilad Atzmon, ebreo israeliano autoesiliatosi a Londra, apertamente antisionista, autore di due libri dal discreto successo ma sconosciuti in Italia;
    avrei contattato Aharon Shabtai, approfittando proprio del fatto che ha rinunciato alla vetrina parigina, in modo tale da far capire che in Italia – dove non è tradotto – sarà diverso;
    avrei contattato Ilan Pappe, famoso storico israeliano “costretto” a lasciare il paese l’anno scorso;
    avrei contattato Jeff Halper, antroplogo israeliano attivista dell’ichad, autore del quale uscirà questo aprile un libro importante “An Israeli in Palestine: Resisting Dispossession, Redeeming Israel” che chissà se vedrà la luce anche qui;
    avrei contattato Yitzhak Laor poeta israeliano mai pubblicato in italiano.
    E, visto che per essere “ospite” un Paese deve essere ospitato da qualcuno, noi in questo caso, avrei contattato anche qualche italiano, come ad esempio Ariel Levi di Gualdo, autore l’anno scorso di “Erbe amare” uscito per la minuscola Bonanno, e perchè no anche Ariel Toaff. Ma forse c’entra poco.
    Avrei scritto loro qualcosa tipo “Gentile Signore, poichè “nel nome della letteratura” noi vogliamo che tutte le voci possano esprimersi, e visto il paese presente quest’anno, ospitato per la decisiva caratura letteraria della sua cultura, vorremmo invitarLa a partecipare al dibattito “Israele sessant’anni dopo – due punti – affinità/divergenze tra lo Stato Ebraico e noi (ebrei)” [poi il titolo ve lo scegliete voi, sia chiaro] che si terrà il giorno tot nella famosa e grande fiera. Distinti saluti. PS: ovviamente al dibattito parteciperà anche la sacra triade Oz-Grossman-Yheoshua, ma ad ognuno saranno garantiti gli stessi tempi e le stesse modalità di dialogo ecc…”.
    Poi presenterei lo stesso pacchetto agli organizzatori della fiera, avendo l’opportunità di farlo in quanto unione super partes di autori “nel nome della lettaratura”, e aspetterei un nulla osta. Forse per sempre.
    Ma forse anche no… perché non provarci?

    Aggiungerei or anche un PS: sono questi autori a non voler partecipare? Ebbene, sarà un successo proprio nel momento in cui riuscirete a convincerli che la presenza di Israele è davvero solo un pretesto per presentare tutte le sue voci, sullo stesso piano.

  12. A me pare che la proposta di Diego sarebbe un’ottima “piattaforma” per tutti – per quelli che all’appello hanno aderito come per quelli che come me non lo hanno fatto.

  13. Ho già detto la mia nella commedia “MOLTO RUMORE PER NULLA” (“Much ado about nothing”, come farfugliano dalle mie parti).

  14. il post di carla benedetti è la cosa più intelligente (fra quelle da me lette in questi giorni) scritta sull’argomento e l’unica che condivido.
    Un grazie dunque a chi l’ha scritto
    geo

  15. “una sinistra italiana che ha espulso autolesionisticamente dal suo patrimonio costitutivo tutta la cultura ebraica – nazionale e non – regalandola, con uno spreco ideologico, ad una nuova destra straordinariamente opportunista che ne ha fatto una vuota vetrina di verginità morale”.

    Non ho capito questo passaggio. Dove sta l’espulsione?

  16. @biondillo
    mi è saltato un commento un po’ articolato.
    ora posso solo precisare che è sbagliato e anche un po’ falsificante definire le mie obiezioni, come quelle di altri, “sputi”.
    fatto sta che nel vostro appello i palestinesi non sono nominati manco di sguincio.
    sarebbe bastata un po’ di attenzione per costruire un documento un po’ meno rozzo, un po’ più problematico e dunque più condivisibile.
    in fondo scrivere testi è il mestiere dei sotto-scrittori.
    la questione di israele – cultura compresa – è cruciale per l’auto-identificazione dell’occidente, è un punto delicato, dolente, sensibile, che va toccato con abilità e delicatezza.
    il contrario di come avete fatto voi.

  17. @Georgia.

    Se avessi scritto “odio tutti, anche i negri, naturalmente”, sarebbe stato più politico, ne convengo.

    L’amore per un popolo è anche amore per una cultura, credo. All’amore non si comanda, credo. E credo che per ora basta.

  18. A gianni Biondillo, che scrive
    “Così come ho solo ora visto la serie di post, altrettanto commentati, che fanno da corollario a quell’appello”

    Ora, Gianni se hai nozione del termine “corollario”, ti rendi conto che l’unico eventuale corollario all’appello che hai postato è questa lunga precisazione. Io parlo evidentemente per i miei due post. Non sono corollari all’appello, sono una riflessione critica su quell’appello e documenti che appoggiano quella riflessione. Siccome a me l’appello non convinceva non solo non l’ho firmato, ma ho anche detto perché non lo firmavo e sopratutto ho proposto di aprire una discussion su una serie di temi.

    Infine, detto molto chiaramente: un appello è un appello, o lo sottoscrivi per quello che dice e per come lo dice, oppure stili un appello alternativo, oppure non firmi e basta, oppure offri le ragioni sul perché non condividi quell’appello.
    Se ogni appello dovesse essere seguito dai corollari precisanti di ogni individuo che lo ha firmato, gli appelli perderebbero di senso.
    Dopo di ché ho letto con interesse le cose che hai scritto.

  19. non ho firmato per le ragioni esposte ad esempio da Carla Benedetti nel link nominato nel suo commento qua sopra, per quelle esposte da Aharon Shabtai nel suo articolo pure ampiamente linkato in rete e aggiungo per Gianni, al quale concedo senza alcun dubbio la sacrosanta generosità dell’impeto iniziale, e che per l’appunto scrive “Certo, dovrei fare tutti i distinguo del caso. Distinguo necessari, doverosi. Precisazioni, chiose, cavilli, puntualizzazioni, postille, sottigliezze, sofismi. Vero. Tutto vero.
    Ma sgrossando d’impeto il macigno…
    ” che qualche volta i distinguo non sono cavilli (parola che li connota negativamente) e quindi tenerne conto fa tutta la differenza. E questo è un caso di quelli.

  20. e scusa Gianni, un’ultima domanda, scrivi che:
    “Potrei mettervi di fronte allo smarrimento che provo sempre più nei confronti di una sinistra italiana che ha espulso autolesionisticamente dal suo patrimonio costitutivo tutta la cultura ebraica – nazionale e non – regalandola, con uno spreco ideologico, ad una nuova destra straordinariamente opportunista che ne ha fatto una vuota vetrina di verginità morale.”
    La mia libreria si accresce negli anni, ma non è molto cambiata. Sono troppo vecchio per aver comprato tutti i Lenin, da infilare in cima alla libreria, da Marx a Freud a Chomsky a Bellow a Kis a P. Roth, ecc., c’è tutto cio’ che avevo dieci anni fa.
    Potresti fare qualche esempio concreto che giustificasse questa “espulsione” massiva della “cultura ebraica”, concetto per altro assai ampio?

  21. @gianni biondillo

    cominciamo col dire che apprezzo che finalmente un indiano anziché firmare e basta un appello a mio avviso assai brutto (nel senso proprio di scritto male e con contenuti pessimi: se ne potevano trovare di migliori, a sostegno della causa di chi vuol sostenere lo sciagurato modo di agire politico di Ferrero e Picchioni: potevano arrivare alla scelta di Israele in altro modo) scriva qualcosa di suo, a livello personale per giustificare in qualche modo la sua firma,

    e apprezzo anche che in questo modo Gianni possa un po’ riscattarsi dagli attacchi personali decisamente gratuiti e frettolosi nei mie confronti,
    pubblicati frettolosamente sul post di marco rovelli con la bandiera palestinese, questi:

    @gianni biondillo
    Lorenzo,
    io sto contro il governo israeliano e con la letteratura israeliana. Trovo demenziale non invitare non solo dei geni della letteratura, ma alcune delle vere voci di dissenso all’interno di quel paese.
    E sono perché l’anno prossimo venga invitata la Palestina. Proprio così. Sarebbe, politicamente, enorme come mossa.

    marco rovelli
    Pubblicato 5 Febbraio 2008 alle 23:39 | Permalink
    In subordine (sapendo appunto che oggi come oggi è troppo pensare di chiedere alle Istituzioni di far proprie logiche a-Istituzionali), faccio mia l’idea di Gianni.

    Lorenzo Galbiati
    Pubblicato 5 Febbraio 2008 alle 23:41 | Permalink
    marco e gianni
    voi sognate su come rimediare in futuro, io mi confronto con il presente.

    gianni biondillo
    Pubblicato 5 Febbraio 2008 alle 23:48 | Permalink
    Come io mi confronti col presente (e col passato, e per me, per ragioni familiari, che coinvolge addirittura la mia infanzia), caro Lorenzo, è cosa che so fin troppo bene e non devo venire a spiegarlo a te. Smettila di farti portatore del vero e del giusto, è cosa poco scientifica.
    Vado a dormire, non leggerò, in modo coerente, fino a dopodomani.

    mario Pandiani
    …,

    Lorenzo Galbiati
    Pubblicato 5 Febbraio 2008 alle 23:57 | Permalink
    mah, gianni, se io dico la mia posizione esprimo verità assolute?
    io son d’accordo con te sull’invitare la Palestine nel2009 (ma c’è già l’Egitto) e con Marco sul non invitare più gli stati – cosa che peraltro se non erro non avviene tutti gli anni.
    Sta di fatto che la Palestina non sarà invitata e che probabilmente ogni tanto saranno ancora invitati altri stati.
    E quindi non faccio altro che espormi e dire come la penso io sui fatti di oggi e non sui sogni di domani.

    Lorenzo Galbiati
    Pubblicato 6 Febbraio 2008 alle 00:22 | Permalink
    …sui (vostri e miei) sogni di domani.

    bene, detto questo, dato che a Gianni evidentemente non interessa nulla del come si sia arrivati alla scelta di Israele né dell’efficacia storica del boicottaggio come operazione politica nei confronti di uno stato come il Sud Africa, e quindi eventualmente anche nei confronti di Israele che cmq non è boicottato da tutti quelli che boicotteranno la fiera
    (serve ricordare che boicottare la fiera del libro torinese del 2008 è cosa diversa dal boicottare la letteratura israeliana o Israele come stato?), e nemmeno suppongo delle posizioni degli intellettuali palestinesi e israeliani come Aaron Shabtai che invocano il boicottaggio,

    non mi resta che dirti, Gianni, che sono curioso di vedere cosa dirai l’anno prossimo, o nel 2010 – dato che per l’anno prossimo c’è già l’Egitto come ospite d’onore, doveva già esserlo quest’anno prima che gli preferiessero Israele – quando meritevolmente, chiederai di avere l’Autorità palestinese come ospite d’onore, e ti sentirai dire che non è possibile.
    Ecco, sono davvero curioso. E senza nessuna ironia.
    E ovviamente sperando di sbagliare profezia.
    Ci sarà tempo intanto di discutere d’altro, spero in modo civile e anche amichevole.
    Lorenzo

  22. Luminamenti: volevo dire con parole maldestre che la cultura ebraica si fonda sulla scrittura: c’è un amore per il testo e la sua interpretazione.
    Devo dire che apprezzo molto i commenti di Luminamenti e di Georgia per l’intelligenza di opinione.
    Ma mi sento del lato dei firmatori dell’appello, perché condannare artisti al nome del governo non è giusto.
    Dare espressione agli scrittori invita appunto alla tolleranza e al dialogo.

  23. Andrea I.,
    ora che finalmente ho letto tutto so che i tuoi non erano corollari. ma potevi anche farmelo passare il termine, no? Non capisco il puntuto commento, avevo preventivamente detto che non avevo letto, e che me ne dispiacevo.

    Tash,
    è che m’era apparso fin troppo liquidatorio il tuo commento, dopo che tornato da un viaggio mi sono messo di notte a cercare di dare una risposta articolata a una richiesta telefonica. Il web fa male, comunque. Almeno a me.

    Diego,
    eccomi. Sono d’accordissimo con te. Vuoi che si contattino gli autori che citi? Sono qui. Ma, ti prego, dato che mi succede di continuo, non si tira il sasso e si nasconde la mano. Le cose se si propongono si fanno. Se c’è bisogno di me io mi offro, ma non far fare ad altri quello che tu proponi. Che qui è facile appuntare con la penna rossa e poi, italianamente pontificare l’ “armiamoci e partite”. Mettici la faccia pure tu. E le gambe, il cervello, il tempo, la volontà. E tutto, inutile dirlo, a gratis.

    Lorenzo,
    insisto a pensare che dire: “voi sognate su come rimediare in futuro, io mi confronto con il presente” significa che io col presente non mi confronto. Che lo fai solo tu. E, perdonami, dissento.

  24. @véronique vergé

    scusa tu, avevo allora interpretato male e concordo sull’importanza della scrittura nella cultura ebraica e sulla grandezza dei scrittori israeliani.

    Un grande evento sarebbe, non so, che un festival della letteratura, come quello di Mantova fosse dedicato a scrittori israeliani e palestinesi insieme a discutere di letteratura, di politica e dei rapporti tra letteratura e politica.

    Purtroppo mi sono fatto da diversi anni una cattiva idea del salone di Torino che fu prestigioso.

    Mi sembra questa celebrazione a Torino viziata da giochi sotterranei sospetti. Non ho una opinione precisa, a parte il fatto che certamente molto di coloro che su NI si schierano ora da una parte o dall’altra, non hanno certo atteggiamenti e idee reazionarie né contro gli israeliani né contro gli arabi

  25. Caro Gianni,

    hai ragione, quella frase era infelice.
    Entrambi ci confrontiamo con il presente.
    Io sono favorevole al boicottaggio, inteso come non andare alla fiera e invitare altri a non andarci, spiegando loro le mie e altrui opinioni in proposito.
    Tu hai firmato l’appello di Montanari e poi hai scritto questo articolo.
    In cui dici: “Così come difendo l’invito di Israele come paese ospite, sono pronto a proporre da subito che il prossimo anno la Fiera del Libro di Torino inviti ufficialmente l’Autorità Palestinese come ospite d’onore. Non genericamente i loro scrittori, ma proprio l’istituzione politica.”
    E io ti rispondo: Israele ci sarà a Torino, mentre l’autorità palestinese che tu proporrai come ospite per il 2009 a Ferrero e Pinchioni non ci sarà: cosa farai allora?
    Rivedrai la tua posizione di quest’anno? Proporrai il boicottaggio per il futuro? Altro? Immagino che farai altro e non so che cosa.
    Staremo a vedere.
    Io non riesco a concepire un modo diverso per confrontarmi con il presente se non quello di confrontarmi con i fatti presenti, non con ciò che uno si augura per il futuro mentre fa altro al presente (scrive o sottoscrive, nel nostro caso).

    Ora dici che sostieni l’ipotesi di Diego, che, a mio avviso, è incompatibile con l’aver firmato un appello a sostegno della fiera che dice in modo chiaro che si solidarizza “senza riserve” con gli organizzatori della stessa, quindi con il loro operato.
    Mi sembra già tu stia compiendo un passo indietro, ti pare?
    Non è il caso di ritirare la tua firma?

    Inoltre, mi chiedo se hai colto la sfida contenuta nel finale, specialmente nel PS, del commento di Diego che, detto in parole povere, vi invita a confrontarvi con le ragioni degli israeliani che vogliono boicottare la fiera, sfidandovi a fargli cambiare idea… forse conta più questo che sottoscrivere appelli che ostracizzano ogni azione di boicottaggio.

    Quindi, per quel che vale, anche qui sono curioso di sapere cosa farai tu, a partire dal fatto di ritirare o meno la tua firma, e cosa farà diego, e magari anche marco… e mi ci metto pure io, ecco, diamoci da fare, ognuno in base alle proprie forze e vediamo che ne ricaviamo e aspettiamo la fine prima di prendere posizione rispetto a questa fiera.
    il mio email l’avete, tu e marco.

    ps e se non ne ricaviamo nulla, pazienza, ognuno tornerà alla proprie posizioni iniziali, suppongo.

  26. Biondill,
    sotto cito un intervento su Lipperatura che mi ha suggerito la seguente domanda: non è che avete firmato perchè in Italia nessuno vi ha informato (o: non vi siete informati) che da anni esiste un dichiarato boicottaggio verso Israele che comprende anche sue università e i centri del ‘Sapere’? a boicottare non sono semplici cittadini, ma Famose università Internazionali (l’Italia è la solita provincia) http://www.ilanpappe.org/Articles/Boycott%20Israel.html http://www.infopal.it/testidet.php?id=5327. Non è facile passare sopra al solito ‘il Sapere è al di sopra delle parti’, anche se dovrebbe essere chiaro che la forma astratta (lunare, platonica) forse sì, ma le istituzioni che pretendono rappresentarlo no.
    A te nello specifico, per dare risposta all’aneddoto sull’evento musicale in Sudafrica, consiglio Omar Barguti http://www.forumpalestina.org/news/2008/Gennaio08/DibattitoFieraLibro/DibattitoFieraLibro_OmarBarghouti.htm che spiega perchè le vittime non vogliono sminuire le colpe del carnefice partecipando a eventi di collaborazione (usati dalla propaganda dei governi aggressori di ogni latitudine per il solito: vedete, esistono oppressi buoni, gli permettiamo di unirsi a noi, se tutti fossero come loro non saremmo costretti a essere così cattivi) anche quando, può sembrare a prima vista una cosa assurda. In questo caso da musicista bianco anti apartheid, per non mettere in difficoltà con qualsiasi tipo di fraintendimento (quanti ne vediamo quotidianmente sui media?) per una volta sarei rimasto in platea a ballare nel mucchio, per intenderci. Senza fare polemiche.
    Per quanto riguarda la capacità ‘critica’ che esprimono i più importanti scrittori israeliani OZ, Grossman e Yehoshua, ti rimando al link di Carmilla indicato sotto. A prima vista non sembra pertinente, ma arrivati a metà riporta alla memoria il loro l’atteggiamento sull’ultima aggressione al Libano e ti assicuro che non è molto edificante. Ti risparmio l’appoggio espresso da Yehshua sul muro.
    In tutta questa faccenda oltre a convincermi della necessità di informare (anche i nostrani scrittori affinchè la prossima volta non si stupiscano) dell’esistenza, dei perchè e dei fini del boicottaggio ho avuto modo di innalzare un enorme ringraziamento al coraggio e alla lucidità di Aharon Shabtai.

    da lipperatura http://loredanalipperini.blog.kataweb.it/lipperatura/2008/02/07/ma/#comments

    Il boicottaggio è una forma pacifica non solo di rifiuto, ma anche di informazione e analisi. Promovuono, da anni, questa campagna
    intellettuali ebrei e palestinesi (Ilan Pappe, Oren Ben Dor, Barguti, Atzmon e molti altri) supportati da organizzazioni per la pace in Palestina tra cui molte già schierate contro l’apartheid in Sudafrica (Desmond Tutu è tra i promotori). Boicottiamo le merci, ma anche gli atenei. Perchè? per costringere gli israeliani a ripensare le politiche del loro paese e per spingere Israele verso l’abolizione del regime di aparthed e la fine della politica coloniale. Sia gli ebrei che i palestinesi che promuovono questa campagna vogliono un unico Stato in cui sia
    possibile vivere alla pari (spero che tutti siate al corrente che i
    palestinesi israeliani non godono degli stessi diritti degli ebrei, se sposano la persona sbagliata, dei territori per es., possono perdere la cittadinanza)e con i medesimi diritti. La fiera di Torino, oltre a essere uno scippo nei confronti dell’Egitto (se sbaglio correggete) in celebrazione dell’anniversario dello Stato d’Israele che cade quest’anno, non prevede voci di palestinesi, ma molti scrittori (Grossman, Oz, Yehoshua http://www.carmillaonline.com/archives/2006/12/002049.html#_ftn32) palesemente schierati con le scelte del
    governo o blandamente critici. Noi la boicottiamo e prendiamo spunto
    dalle polemiche sorte in questi giorni per diffondere anche in Italia (disinformata in questo senso) le ragioni del boicottaggio internazionale. Forse Israele con la sua abilità comunicativa riuscirà comunque a guadagnare immagine e consensi, a noi interessa riuscire a parlare delle nostre motivazioni (anche con gesti clamorosi, ma sempre non violenti) e instillare dubbi e domande. Chiudo con un sincero affetto rivolto a tutte le popolazioni oppresse e a quegli Umani (compresi scrittori e intellettuali) che stanno pagando con l’ostracismo del loro Paese il coraggio delle proprie scelte. Ricordo che Pappe, Oren Beb Dor, Atzmon hanno dovuto lasciare Israele, Tanya Reinhart nei suoi ultimi anni insegnava solo all’estero, suo marito Aharon Shabtai non credo che abbia avuto vita facile e non la avrà certo dopo il suo rifiuto a partecipare alla Fiera di Parigi. Un saluto particolare agli anarchici contro il muro che, non essendo scrittori continueranno a combattere la battaglia contro l’occupazione a Bil’in insieme ai palestinesi.
    le ragioni di Shabtai : http://www.ilmanifesto.it/Quotidiano-archivio
    /05-Febbraio-2008/art24.html
    Io non ritengo che uno Stato che mantiene un’occupazione, commettendo giornalmente crimini contro civili, meriti di essere invitato ad una qualsivoglia settimana culturale. Ciò è anti-culturale; è un atto barbaro mascherato da cultura in maniera cinica. Manifesta un sostegno ad Israele, e forse anche alla Francia che appoggia l’occupazione. Ed io non vi voglio partecipare.
    Cordiali saluti,
    Aharon Shabtai”
    Pappe e Ben Dor spiegano perchè si deve boicottare
    http://www.assopace.org/news.php?id=94
    http://electronicintifada.net/v2/article3880.shtml

  27. commento di F. Marotta tratto dal tread di Inglese. Ottimi consigli per chi si appresta a firmare una qualsiasi petizione e ottima analisi.

    Francesco Marotta
    Pubblicato 8 Febbraio 2008 alle 19:08 | Permalink
    Io posso scrivere tutti gli appelli che voglio.
    Ma.
    Dopo che li ho scritti, li rileggo con attenzione, parola per parola.
    E se solo mi sorge il sospetto, in corso di lettura o anche dopo, che l’appello che ho in mano potrebbe essere firmato, in ogni momento, anche da fini, calderoli e bondi, ebbene, non mi resta che una cosa da fare.
    Cestinarlo.
    E ripensare con attenzione alle ragioni vere che me lo hanno dettato.
    Oppure riscriverlo, in modo che il pensiero che voglio esprimere sia chiaro, e non lasci zone d’ombre, quelle stesse nelle quali, come è successo in questo caso, si intruppano anche, e soprattutto, coloro che non vorrei mai sulla mia barca (basta leggere le “motivazioni” di alcune adesioni nell’altro thread).

    Qui non c’entrano niente (o c’entrano veramente poco), a mio modo di vedere, tante delle ragioni addotte a sostegno dell’appello.
    Qui si è in presenza di fatti incontestabili, che ben conoscono anche coloro che materialmente l’hanno ideato e prodotto:

    – L’invito è pura propaganda, con una regia ben precisa italo-israeliana, per celebrare l’anniversario della nascita di quello stato e avvalorarne all’estero l’immagine, con l’ausilio di un gruppo di scrittori di nome (che Shabati definisce giustamente di regime, o, nella migliore delle ipotesi, innocui), di paese colto, democratico e rispettoso del dissenso (perché qualche discorsetto critico, vedrete, qualcuno della triade dei “grandi” invitati pure lo farà).

    – L’invito è uno schiaffo all’Egitto (*), già da tempo invitato per quest’anno, e alla cultura araba in genere. (*)
    Siamo non siamo in pieno scontro di civiltà?

    – L’invito è uno schiaffo a tutta la cultura ebraica dissidente, e a quella parte della società civile di quel paese che, zittita e oscurata da sempre, non ci sta a vedersi accomunata a un regime che pratica l’apartheid e la violazione di tutti i più elementari diritti umani (a iniziare dal controllo totale delle fonti idriche: la più oscena delle aberrazioni): con la benedizione della comunità “civile” internazionale.

    – Non c’è letteratura, non c’è cultura che tenga, né ora né mai, quando ci si trova di fronte a uno stato fondamentalista, profondamente clerico-fascista, coinvolto in un genocidio in atto, quotidianamente, sotto i nostri occhi: quello che si sta consumando nei territori e nella striscia di Gaza: non mi sembra che gli intellettuali dell’appello si siano mossi, in modo così pubblico e solerte, per dire “basta”, per far pressione su quel governo che noi (purtroppo!: parlo per me) abbiamo votato, affinché si adoperasse con tutti i mezzi per porre fine a quell’orrore.

    – L’invito avalla, oltretutto (non so se chi l’ha scritto se ne rende conto) l’accusa di antisemitismo, strumentalmente usata, in puro stile fascista, nei confronti di coloro che dissentono dall’invito e dalle ragioni (strumentali) di coloro che lo difendono.
    Quindi avalla la fine di ogni espressione politica critica e alternativa a chi, in grande, ma anche in piccolo, detta, o crede di dettare, le regole dell’esercizio “democratico”.
    Quale?
    Di chi?
    Per caso di una cultura (quasi) totalmente asservita agli interessi della grande industria del settore, e al padronato politico con cui gestisce il potere?

    E si potrebbe continuare a lungo…

    Dire poi che il manifesto/appello sia carente sul piano “formale”, fa un po’ sorridere.

    Dire che il dissenso poteva essere benissimo portato nei saloni della fiera, fa ridere fino a star male.
    Non mi addentro, ma mi sembra lo stesso ragionamento di quanti, a fronte della mancata (sic!) visita (sic!!) del papa alla Sapienza, se ne sono usciti dicendo: sì, bisognava farlo parlare, e poi intervenire per esprimere un opposto punto di vista critico.
    “Intervenire”????
    “Punto di vista critico”???
    Ma dove?
    Ma quando mai?
    Se è bastato innalzare quattro cartelli all’università perché gli studenti fossero accusati di terrorismo! Da calderoli e zozzìmma similare? Sì. Unitamente alla sinistrina in odore di santità: che potrebbe adottare questo appello come manifesto per le prossime elezioni.

    Firmare?

    Principe De Curtis, dov’è? Venga, che gridiamo in coro: ma ci fàccino il piacere…

    p.s.

    (*)
    Avrei chiesto il boicottaggio anche dell’Egitto e dell’osceno regime omofobo e fascista che lo governa.

  28. Allora Biondillo. Premetto, se non fosse ancora chiaro, che per me aver chiamato proprio ora Israele come paese ospite è una gran porcata. Ma tant’è. La cosa potrebbe avere il suo risvolto positivo, se non altro per i motivi esposti in quella lettera che non a caso contiene una proposta fatta al gruppo dei promotori dell’appello, un gruppo di persone che pubblica e che potrebbe avere voce in capitolo facendo parte, in misura certamente maggiore di quanto possa farne parte io (ovvero nulla), del mondo editoriale. Un gruppo di persone alle quali pare stia a cuore la “letteratura”, e nel caso specifico il fatto che a tutte le componenti letterarie del controverso “ospite” sia permesso di esprimersi senza censure. Un gruppo di persone che però dice riferendosi ai boicottatori (in qualche commento) “perchè non si è scelta la linea del dialogo”, un’esternazione abbastanza miope. E ti spiego perchè.
    Metti per esempio che io riesca a trovare la porta della fiera del libro.
    Busso: “toc toc!” “chi è?” “salve sono diego ianiro vorrei proporvi di invitare atzmon laor halper sabtai a confrontarsi con oz grossman yeoshua sul tema di israele, e magari pure sulla sua presunta democrazia. ovviamente sarebbe bello poter trovare anche un editore ai primi quattro, far venire la stampa e trovare i finanziamenti per l’evento nell’evento” “e cacaci il cazzo” sarebbe stato il massimo auspicabile come risposta, ammessa una risposta. Ci ho rinunciato in partenza? Forse.
    Metti che ci avesse provato forumpalestina, senza boicotaggio: sai bene – senza che ci pigliamo per il culo – che con quel nome il paese ospite e le sue “condizioni” imposte (vedi articolo corriere della sera che ho riportato altrove) non li avrebbe neanche fatti avvicinare.
    Allora capisci perchè la “via del dialogo” è preclusa, e che servireste – per esempio – voi come cavallo di troia, per fare una metafora infelice, nel “nome della letteratura” e della libertà di parola?
    Quindi, tu dici “eccomi sono d’accordissimo”. a me fa molto piacere. io non nascondo la manella, anche se sarei dovuto essere io, e chi la pensa come me in merito all’appello, a ricevere il famoso schiaffo morale da una simile azione. allora ti dico conta su di me, nonostante tutto, prendo per buona la possibilità dell’azione. ma poi? che aiuto posso darti? sono io che devo aiutare te?
    Il problema non sono io. C’è questo blog, lo si sfrutta, si apre un thread “chi dei firmatari dell’appello è d’accordo a chiamare quei cinque/sei/n autori indicati e a proporli alla fiera in un pacchetto “critico”?” per esempio. Si fa la conta, si vede quanto si può essere incisivi in base al gruppetto. Rovelli per esempio sembra d’accordo, Inglese pure credo. Potrebbero aggiunsersene altri, più “pesanti” di me.
    Se ci sono gli estremi per un gruppo che agisca e non per le chiacchiere, si passa al punto 2.
    Si contatta forumpalestina – propruio lui – e si propone la cosa, a una condizione: nessun autore palestinese – proprio per scelta strategica: è la piazza di israele? e allora si gioca con squadra israeliana.
    Si espone al forum la piattaforma e il paccheto del convegno “critico”, si chiede loro fiducia, e si fa in modo da poterla garantire con la serietà degli intetni, ovvero far parlare tutte le voci di Israele, in particolare quelle critiche; si chiede al forum supporto per il contatto di tutti quegli autori israeliani indicati, ed altri indicati da loro stessi. In cambio, il gruppo di “Nazione Indiana” farà in modo da entrare in contatto con gli editori della fiera, la stampa, e l’organizzazione stessa, per avere degli spazi e dei tempi definiti nei giorni della manifestazione.
    Se in una o piò fasi di questo processo io posso essere utile, a disposizione. La mail è quella.

    Scusa la forma del post ma quando arrivo a questora non ce la faccio manco a morire.

  29. Rivolgo qui qualche domanda a Carla Benedetti, visto che il sito http://www.ilprimoamore.com non è un blog che permetta discussioni online.

    Carla, lei scrive:

    “Tra l’altro lo sanno o non lo sanno, questi che scomodano l’antisemitismo, che il primo boicotaggio viene dal poeta israeliano Aharon Shabtai che in questi giorni ha rifiutato l’invito a partecipare al Salone del libro di Parigi con queste parole: “Ritengo che si tratti di un’occasione di propaganda, in cui Israele si metterà in mostra come uno Stato con una cultura, dei poeti, ma nascondendo che in questo momento sta compiendo dei terribili crimini contro l’umanità”.

    Io ho sempre pensato che le semplificazioni siano nocive. E che a volte vengano fatte ad arte per mettere a tacere altri modi di pensare, soprattutto altri modi di immaginare e di creare vie alternative all’esistente. E che esse funzionino come un ricatto. Lo si è visto tante volte. Ricordo che all’indomani dell’11 settembre Shimon Peres, considerato responsabile del massacro di Kfar Kana”

    In queste righe leggo, forse sbagliandomi, una più che condivisibile dichiarazione di diffidenza nei confronti delle semplificazioni incastrata purtroppo tra due semplficazioni.

    La prima riguarda l’affermazione di Aharon Shabtai. Non le pare, Carla, che sposare una affermazione di un poeta israeliano contro la partecipazione al salone del libro di Parigi senza perlomeno verificarla con le affermazioni di altri sia una semplificazione? In linea di principio non sono né a favore né contro l’autorevolezza di Shabtai o quella di Yehoshua, che ha in proposito opinioni credo differenti, diffido dall’accettazione acritica dell’ipse dixit sia nei confronti di chi esprime opinioni che condivido sia nei confronti di chi esprime opinioni da cui sono lontano.

    La seconda semplificazione riguarda l’imputare il massacro di Kfar Kana a Shimon Peres. Per il poco che conosco in proposito la questione Kfar Kana è perlomeno controversa e ritengo una semplificazione veramente eccessiva farne apoditticamente di Peres il responsabile e il riassumere lo stesso Peres in questa imputazione.

    In favore di Peres potrei invocare secondo le categoria il Comitato per il Premio Nobel per la Pace (mi dica se questo non appaia un testimone a favore credibile), che lo onorò di tale premio nel 1994, ma avendo lo stesso comitato premiato anche personaggi come Henry Kissinger, il padrino dimostrato dei piani condor e dei dittatori fascisti sudamericani, me ne prudentemente astengo e mi tengo la diffidenza.

  30. Domanda di spirito calcistico.

    Il commissario tecnico ha già diramato le convocazioni? E’ già nota la lista dei scrittori israeliani invitati dai ct venduti del Salone di Torino o sponsorizzati dagli uffici di propaganda che tramano nell’ombra a Tel Aviv e Gerusalemme? In caso positivo, vediamo chi c’è nella lista
    – i reclutatori per lo Shin Bet e per Tsaal
    – gli organici di Ariel Sharon e Ehud Olmert
    – i rabbini ortodossi
    – i rabbini progressisti
    – i cabalisti
    – la banda dei tre pompati dall’editoria internazionale e fintamente alternativi (grossmanyehoshuaoz)
    – gli alternativi doc con tanto di garanzia del manifesto
    – i fascisti ebrei di fresca immigrazione dalla ex CCCP

    Se la lista ancora non è pronta, allora
    – parliamo di esclusioni a lista pubblicata
    – diamo suggerimenti, siamo o no il popolo di 50 milioni di commissari tecnici?

    Ultima osservazione. Non conosco Francesco Marotta e mi risparmio l’ipocrisia della ricerca con google per saperne di più, mi pare comunque che soffra di confusione lessicale trattando come “fatti incontestabili” alcune sue ipotesi indimostrate.

  31. Sebastian, purtroppo quella lessicale è l’unica “confusione” di cui non soffro (ti risparmio l’elenco di quelle che mi trascino davvero): non in questo caso, almeno. Avresti potuto, e avresti fatto meglio, indicare qualche refuso nel testo, ma stavo preparando la cena per i miei figli e non mi sembrava il caso di leggere e rileggere: quello che avevo da dire, si capiva benissimo.

    La sostanza:

    1) “L’invito è pura propaganda…”: leggi le dichiarazioni degli organizzatori della fiera (delle vanità letterarie, e degli interessi politico-industriali: o trova tu un “lessico” più adatto).
    I quattro o cinque post che viaggiano qui nella home sull’argomento sono pieni di link: basta una cliccatina e, ops!, si è sul luogo del delitto.

    2) “L’invito è uno schiaffo all’Egitto…”: cfr. punto 1)

    3) “L’invito è uno schiaffo a tutta la cultura ebraica dissidente…”: non ti risulta? O una dissidenza ebraica, araba e israeliana, culturale e della società civile, per te semplicemente non esiste? Informati: basta un clic, come l’interruttore di casa, e ti si accendono tante lampadine; oppure cerca fonti di informazione leggeremente “alternative” (perdona il lessico, ti prego) alla quadruplice libero-giornale-foglio-padania.

    4) “Non c’è letteratura, non c’è cultura che tenga…”: è una mia convinzione (e, ti assicuro, anche di tanti firmatari dell’appello: solo che, in questo caso, se ne sono dimenticati…), posso tenermela, continuare a credere che un essere umano, sempre e comunque, valga più di qualsiasi opera letteraria?
    Però, toglimi una curiosità, se ti va: in confidenza, qual è il termine, nella mia definizione dello stato di Israele, che ti ha dato più fastidio: integralista? clericale? fascista?
    O apartheid, genocidio…?

    Per il resto, fa un po’ tu.
    Magari è solo il fatto che non ti piace il mio filosofo di riferimento: Totò.

    p.s.

    @ ops

    Grazie.

  32. Intanto appare su un blog una “lista di proscrizione” di 160 professori ebrei presenti nelle università italiane, come denuncia della presenza di una presunta lobby baronale ebraica. Il sito è stato prontamente oscurato dalla Polizia postale su denuncia della comunità ebraica. E il rabbino capo di Roma Riccardo Di Segni ha collegato l’episodio proprio con la polemica sulla presenza onoraria di Israele alla fiera del libro di Torino, sostenendo che certe idee antisioniste trovano il loro “posto di maturazione naturale nei blog”.

    Piove sul bagnato…

  33. caro gianni, ho apprezzato il tuo articolo. vorrei essere meno pigro e scrivere per argomentare la mia adesione a quell’appello il cui testo è evidentememente incompleto e ricco di omissioni, ma tant’è, era importante anche per me pronunciarsi. su lipperatura ho parlato senza precisare i nessi (ehh, farlo assomiglia davvero a un lavoro) di antisemitismo, dando per implicite una serie di elaborazioni che a me sembrano, purtroppo, evidenti, e che affiorano anche in discorsi di persone che stimo, con mia angoscia. mi riprometto, appena ho tempo, anche in questo we, di scrivere questo intervento (amici del nostro appello su “nessun popolo è illegale”, o “il triangolo nero”), me lo hanno pure chiesto per telefono). ok. ma il punto rimane che ormai da molto tempo l’antisemitismo non è più quello di una volta, ma si chiama antisionismo, con quella dfomanda davvero impudente sulla legittimità dello stato di israele. qualcuno c’è mai stato? sembra l’italia di alcuni decenni fa. ma la domanda è: dove comincia la Storia? chi ne detiene la legittimità? forse che l’Italia ha più diritto di esistere come Stato? e chi l’ha detto? c’è un punto a partitre dal quale si può evitare di mettere in discussione fatti di questa portata? se si fossero invitati gli USa – che tu dici giustamente ci hanno nutrito (aggiungo colonizzato) nell’immaginario e nell’inconscio, qualcuno avrebbe tentato di boicottarne gli scrittori invitati, e questo perché non c’è male o sciagura mondiale che non sia dipesa on questi lunghi uiltimi decenni dagli Usa? (ed è buonmo anche l’esempio della Russia di Putini, il cui volto minaccioso oggi troneggia su alcuni giornali, con la didascalia della corsa al riarmo). Credo di avere speso in questi anni molte parole contro la politica di Israele, il terrorismo simmetrico tra Iasrele e Palestinesi, e mi ricordo che è anche l’unico Paese di quella regione (oltre che l’unica vera democrazia, se questo è ancora un valore per qualcuno) ad avere avuto un primo ministro assassinato mentre stava firmando una probabile pace. Ci sono fascisti in Israele, non è uno statodimarziani, e ci sono pacifisti, anarchici, una sinistra, ecc. ecc. Ma c’è anche tanto, troppo da aggiungere per un post improvvisato come il mio, sull’assedio e le minacce costanti a un popolo (non solo a uno stato), che non si spengono. Siamo così’ ostinatamente sordi sull’antisionismo (avatar dell’antisemitismo) mondiale e italiano che non ci turbiamo più di tanto che un altro stato, membro dell’Onu, abbia giiurato di voler distruggere Israele, e ne nega la legittimità. L’Iran, certo. Ma non ci rendiamo conto quanto è pazzesco tutto questo? Vorrei dire le stesse cose per quanto riguarda i palestinesi,ma alla loro lotta, ai loro diritti derubati, alla loro necessità non rimandabile di uno stato, ho dedicato nel tempo tanto di quel fiancheggiamento che spesso mi sembra scontato. Ok, mi rirpromettio di scrivere un intervento. Chissàò quanti errori ci saranno qui, perché scrivo senza rileggere. Grazie. Ciao.

  34. biondillo, io credo nelle sue motivazioni, così come credo in quelle degli oppositori, in rovelli, in tashtego, in iglese, e altri…
    ma appunto, lo dice che anche lei che della tifoseria di calcio non se ne può più: “quanti sono i tuoi morti, quanti i miei”… come se il diritto di parola, la presenza legittima alla fiera, dipendesse dal macabro conteggio dei morti.

    io non sto con nessuno.
    e non sto con la fiera del libro di torino.

    non aderisco ad una iniziativa che invece di unire e favorire il dialogo, divide e insaprisce gli animi e irrigidisce le posizioni.
    non sto con la fiera del libro se mi obbliga a scegliere tra la libertà di parola e adesione incondizionata ad uno stato insanguinato che si autocelebra.

    non sto con la fiera del libro perché si fonda su un’equazione sbagliata che non può obbligarmi a firmare

  35. Il sionismo è una ideologia (per di più razzista, essendo basata sulla inferiorità dell’arabo).

    Il semitismo è una categoria linguistica e geografica (che comprende, tra l’altro, anche gli arabi).

    Che compie l’equazione antisionismo = antisemitismo fa vuota e volgare demagogia.

    Nevio Gambula

  36. Premessa: nulla di personale sull’affermare di conoscere e non conoscere, so di essere molto ignorante ma evito di millantare conoscenza applicando toppe internet dell’ultimo secondo.

    Smarchiamo poi il filosofo di riferimento. Sono di origine torinese (anche se faccio il progettista a Los Angeles per la Tyrell Corporation) e il mio filosofo di riferimento è Erminio Macario, quello del “ma vaaa laaaa”, con la “a” strascicata e molto aperta. Un ampio gesto circolare del braccio, mosso dal basso in alto, accompagna la frase. Passando ai tuoi punti:

    1) l’invito è pura propaganda: dal 1997 la Fiera del Libro invita una nazione ospite, dalla Francia, il che si può portare dietro propaganda ma anche principalmente la cultura che nel paese ci sta. Credo che nessuno sia uscito dall’edizione del salone del 2007 nel quale fu paese ospite la Lituania condividendo le politiche discriminatorie dei governi dei paesi baltici nei confronti delle popolazioni di origine russa o le riabilitazioni dei collaborazionisti lituani arruolatesi volontari nelle SS a partire dal 1942. Per certo molti ne sono usciti conoscendo meglio o con qualche curiosità in più su Nekrosius.

    2) lo schiaffo all’Egitto è indimostrato. La Fiera del Libro ha cambiato idea durante la fase organizzativa, io non so (forse tu hai qualche informazioni in più) se l’invito all’Egitto fosse già stato formalizzato. L’Egitto dicono sarà paese ospite l’anno prossimo in concomitanza con una mostra che dicono grande a Venaria e a me non risultano lamentele in proposito da parte degli Egiziani

    3) non essendo (di nuovo che io sappia) ancora diramate le convocazioni e gli inviti, è difficile dire chi c’è, chi manca, chi è escluso per demerito, chi per sua scelta e chi per veto di qualcuno. La cultura alternativa alternativa israeliana quindi non è esclusa, o forse non è ancora esclusa, o forse ha uno spessore letterario inferiore ad altre espressioni della cultura israeliana o forse godrà di uno spazio significativo. Vedremo.

    4) fuori discussione, una persona vale più della cultura e mi incazzo come una biscia con quelli che si ergono paladini in Italia come in Francia di un assassino romanziere come Cesare Battisti. Passata la fase acuta di incazzatura leggo i loro libri e spesso li apprezzo.

    5) passando all’ultima lista:
    – integralista
    Israele è una nazione democratica che riconosce le libertà religiose ai suoi cittadini, ivi compresi il 15% circa di Mussulmani. Non esiste una costituzione scritta ispirata a principi religiosi e la applicazione dei principi religiosi è limitata alle scelte individuali, anche se spesso la parte più ortodossa della comunità rabbinica cerca di imporre i suoi principi alla società israeliana, di fatto ampiamente secolarizzata (vedi le infinite discussioni se gli aerei El Al possano o meno volare il giorno di sabato), o anche alla politca israeliana (vedi i fautori della Grande Israele così come i coloni di Hebron e consimili). Non esistono discriminazioni in base al sesso o alle inclinazioni sessuali.

    – clericale
    Vedi sopra

    – fascista
    Se per fascista intendi nazionalista, allora sì, ma la cosa è valida per tutti i nazionalismi degli ultimi due secoli seguti alla distruzione degli imperi sovrannazionali, ivi compresi i nazionalismi irrisolti, come quelli dei curdi, degli armeni, dei palestinesi, degli albanesi del Kossovo, dei baschi, degli sciti e sunniti iracheni, dei Tamil, di tutte le polveriere africane innescate da confini tracciati a tavolini che tagliano e aggregano a caso tribù ed etnie. Una estrema minoranza dichiaratamente fascista esiste in Israele, ma Storace non fa di tutti gli italiani dei fascisti. Ho comunque la sensazione che i nostri personali dizionari divergano sulla parola fascista, credo che il tuo campo di applicazione sia ben più vasto del mio.

    – apartheid
    ebrei, arabi israeliani, drusi, cristiani godono dei diritti di piena cittadinanza in Israele.

    – genocidio
    una condizione di guerra dichiarata o strisciante che perdura dal 1947 ha portato a numerose vittime da parte araba e israeliana. La contabilità di madama Morte annovera più vittime di parte araba, ma le strategie politiche e militari israeliane non sono mai state finalizzate allo sterminio delle popolazioni arabe. Si tratta di una delle infinite guerre per la terra in cui la popolazione della nazione opposta viene inglobata o scacciata o si lascia che fugga. In parte è pulizia etnica, non comunque sterminio, simmetrica a quella esercitata nei paesi arabi, che esplusero nel 1948 antichissime comunità ebraiche dall’Egitto, Siria, Giordania, Libano e i coloni ebrei da tutte le zone della Palestina da loro conquistate, così come non rimangono ebrei o israeliani nei territori ex-occupati da cui Israele si è ritirata. Gli stermini per me son Grozny, dove i Russi spianano tutto, sono Srebrenica, è il Settembre Nero, quando i Giordani massacrano 4000 civili palestinesi, è la guerra civile libanese con le stragi di Tal El-Za`tar e di Damour del 1976 . Nella guerra per la terra (e per la sicurezza) Israele si è macchiata di gravi colpe, così come chi gli sta contro, ma non di sterminio.

  37. Il sionismo è una delle espressioni dei nazionalismi nati nell’800 soprattutto nei grandi imperi sovranazionali volti alla costruzione di stati nazionali basati su identità ora etniche ora geografiche ora culturali ora geologiche. Se ne possono contare a diecine, alcuni conclusi altri irrisolti, certi mascherati da invenzioni statuali coloniali (gli Inglesi inventarono l’Arabia Saudita, l’Iraq, la Giordania, la Palestina, promettendo quest’ultima sia agli arabi che agli ebrei, i Francesi inventarono il Libano e la Siria). La faccenda dei nazionalismi non si è ancora conclusa e pretenderà ancora tremendi tributi di sangue.

    I semiti sono coloro che parlano un insieme di lingue che condivono un comune remoto ceppo detto semitico.

    Il termine antisemitismo storicamente è stato applicato a movimenti e culture avverse agli ebrei e alla tradizione ebrea e non a tutti i popoli che parlano lingue di ceppo semitico. Ad esempio nessuno ha mai usato il termine di antisemitismo alle Crociate o alle guerre dell’Impero Ottomano e al suo dominio sui paesi arabi di lingua semitica.

    Una ventina di righe di ovveità, ma c’è chi gioca con le parole

  38. Noi viviamo nella Storia, che ha l’obbligo di riportarci a un indirizzo trasfuso all’idea medesima di letteratura; alle testimonianze di popolazioni vessate e perseguitate, dall’incubo del passato alla sempiterna crudezza della Storia contemporanea. Sì, urge parlare: e infondere possibilità di espressione ai nominati senza nome, le creature assenti. Onorare la solidarietà tra popoli ed etnie minoritarie, un preciso adempimento nella vastità della materia umana di ordine nullo.
    La Palestina rappresenta quest’ordine nullo. Non ha una terra, geograficamente è inesistente. Eppure è lì. Noi tutti lo sappiamo; lo sa l’Europa; lo sa l’ONU.
    La Palestina è divenuta l’estetica del reale, “la repulsa della Colpa”, il dolore innocente. Il governo israeliano, lo stato di Israele il cui diritto di esistere gli è stato conferito 60 anni fa, dopo l’orrendo Olocausto, sta compiendo pogrom sui fratelli musulmani, una politica espansionistica di cui siamo a conoscenza. Ma è il popolo israeliano, soprattutto gli scrittori di questo paese, che non possono eludere quella “repulsa della Colpa” che ben conoscono, poiché l’hanno vissuta in termini generazionali e, credo, siano destinati a conviverci per sempre. I vari Oz, Grossman se la portano dentro come un debito inestinguibile.
    Ma sono scrittori, non servitori dello Stato. Perché non accettarli alla Fiera? E perché, con atto umile, non garantiscono loro stessi di esserci solo in presenza di poeti palestinesi e intellettuali dissidenti israeliani?
    Perché, organizzatori della Fiera, non vi prodigate affinché ciò avvenga?
    Penso che esista un desiderio di affratellamento che non diventi materia posticcia, o mortifichi l’uomo rendendolo sempre più prossimo ad una concimazione della solitudine.
    Io resto dilaniata, dolente, divisa fra chi mi chiede di aderire o non aderire ad un appello definito più volte “infelice” per la sua cruda, parziale esposizione.
    E le vostre convinzioni, cari amici, così certe e inderogabili, mi spaventano anch’esse: mancano di dubbi o d’argomentazioni valide. Troppe certezze scontate, mancanti di alternative.
    Potreste rispondermi: “Tu tieniti i tuoi dubbi, e lascia a noi le nostre certezze”.
    Non fa una piega. Ne prenderei atto. Ma è una visione che ci vuole passivi, in fase d’un ritorno forzato, quando manca l’andare.
    Mi rivolgo a tutti voi, scrittori italiani – di cui elitariamente faccio parte, seppure abitante del sottosuolo – ai non scrittori, a lei, Raul Montanari, ai responsabili dell’organigramma della Fiera, ai firmatari e non dell’appello: troviamo una soluzione, senza l’insidia della strumentalizzazione che già va nascendo. Proprio per quelle creature disabitate, uccise, avvilite nelle stazioni d’un deserto animale.
    Portiamo i poeti palestinesi a Torino. Lasciamo che insieme agli scrittori israeliani e ai dissidenti si confrontino. In questo momento occorre poesia, letteratura, bellezza. Né propaganda, né politica.
    Dedico a voi tutti questa bellissima poesia di Bulat Okudžava.

    Bulat Šalvovič Okudžava

    Abbiate cura di noi poeti, abbiate cura.
    Resta solo un secolo, mezzo secolo, un anno, una settimana,
    un’ora, tre minuti, due minuti, più niente…
    Abbiate cura di noi, ma così come siamo.

    Abbiate cura di noi con i peccati, con la gioia e senza…
    C’è dove vaga, giovane e bello, il nostro D’Anthès.
    Non ha più dimenticato la maledizione passata,
    Ma la vocazione gli ordina di tirare ancora.

    C’è dove piange Martynov: ricorda il sangue.
    Ha già ucciso una volta, non vuole più;
    Ma tale il suo destino: è fuso il piombo.
    E il ventesimo secolo questo gli comanda.

    Abbiate cura di noi finché ancora è possibile.
    Però non così da farci giacere come ossa morte,
    però non come i guardiacaccia curavano i cani,
    però non come gli zar curavano i guardiacaccia.

    Prendete cura di noi poeti contro le mani stolte,
    contro le pazze condanne, le amiche cieche.
    Ne avrete poesie e canzoni, e più d’una volta!
    Però abbiate cura, abbiate cura.

  39. Sebastian wrote
    – apartheid
    ebrei, arabi israeliani, drusi, cristiani godono dei diritti di piena cittadinanza in Israele.

    BALLE!!!!

    Non c’è posto nella fortezza Israele per i non-ebrei
    Un bando israeliano ai matrimoni chiude le porte ai palestinesi
    Jonathan Cook
    Counterpunch, 19 Maggio 2006
    Approvando un efficace bando ai matrimoni tra israeliani e palestinesi questa settimana, la Suprema Corte di Israele ha chiuso ancora di più le porte di quella fortezza ebraica che lo stato di Israele sta rapidamente diventando. La decisione dei giudici, secondo le parole del solitamente moderato quotidiano del paese, Haaretz, è stata «vergognosa». La più alta corte del paese ha stabilito, con una sottilissima maggioranza, che un emendamento alla Legge sulla Nazionalità, approvato nel 2003, il quale impedisce a palestinesi di vivere in Israele con un marito o una moglie israeliani – ciò che in linguaggio legale è definito «ricongiungimento familiare» — non viola i diritti inscritti nelle Leggi Fondamentali del paese.

    Ed anche se lo facesse, ha aggiunto la corte, il danno causato alle famiglie separate è inferiore ai benefici di una maggiore «sicurezza». Israele, concludono i giudici, ha sufficienti giustificazioni per chiudere le porte della residenza a tutti i palestinesi in modo da bloccare l’entrata a quei pochi che potrebbero usare il matrimonio come mezzo per lanciare attacchi terroristici. Le richieste di ricongiungimento familiare in Israele vengono immancabilmente da palestinesi dei territori occupati che sposano palestinesi, spesso amici o parenti, con cittadinanza israeliana. Un cittadino di Israele su cinque è di origine palestinese, una minoranza che riuscì a restare all’interno dello Stato ebraico durante la guerra del 1948 dalla quale nacque Israele e a cui ci si riferisce di solito col termine di arabi israeliani.

    Siccome non c’è principio di uguaglianza nella legge di Israele, i gruppi per i diritti umani che sfidarono l’emendamento del governo del 2003 furono costretti a sostenere che esso violava la dignità delle famiglie. Coppie miste di israeliani e palestinesi non solo non hanno la possibilità di vivere insieme in Israele, ma viene loro negata anche una vita coniugale nei territori occupati, dai quali i cittadini israeliani sono banditi dai regolamenti militari. La maggior parte dei giudici, comunque, è sembrata incapace di afferrare questo semplice questione. In una delle prime udienze, il giudice Michael Cheshin pretese che le coppie miste che volevano mettere su famiglia “avrebbero dovuto andare a vivere a Jenin”, città palestinese nella West Bank, assediata dai mezzi corazzati israeliani. Lo stesso Cheshin ha dimostrato ancora una volta, la settimana scorsa, di avere una logica degna di un altro mondo, quando ha giustificato il punto di vista di maggioranza dei suoi colleghi: “A fondamento di questo provvedimento c’è il diritto dello Stato di non permettere ai residenti in un paese nemico di entrare nel suo territorio in tempo di guerra”. Il problema è però che i palestinesi non sono un’altro «paese», sia esso nemico o non; sono invece un popolo che ha vissuto sotto occupazione militare israeliana per quasi quattro decenni. Quale forza occupante, Israele è responsabile del loro benessere, sebbene esso sia riuscito a scaricare felicemente questo fardello su attori internazionali con tasche più capaci. E l’idea che i palestinesi, che non hanno esercito, stiano conducendo una guerra contro Israele, una delle potenze militari più forti del mondo, porta il senso della parola guerra nel regno del doublespeak [1]. I palestinesi stanno resistendo all’occupazione israeliana — alcuni con la violenza, altri senza — come hanno il diritto di fare in base al diritto internazionale. Pochi osservatori in Israele, comunque, credono che il governo abbia approvato la Legge del 2003 per ragioni di sicurezza. Dei 6.000 palestinesi a cui è stato accordato il diritto di residenza in Israele durante il periodo di Oslo, a un piccolissimo numero – a solo 25 di essi — è stato contestato il suddetto diritto per motivi di sicurezza; questo risulta dalle cifre che il governo ha accettato, con riluttanza, di pubblicare durante l’esame della questione. Quante di queste 25 persone siano effettivamente risultate implicate in attacchi non è dato sapere. La vera ragione della legge deve essere cercata altrove. Essa nasce dallo stesso impulso che ha portato Israele al «disimpegno» dal milione e 300.000 abitanti palestinesi di Gaza lo scorso anno e che ora spinge il governo a «consolidare» i grossi blocchi delle sue colonie in Cisgiordania dietro il muro il cui unico scopo è di annettere terra palestinese ma non i palestinesi.

    Il bando ai matrimoni e la fissazione delle frontiere finali sono frutto di un’unica visione di principio: la conservazione di Israele come stato ebraico con una “massiccia maggioranza ebraica”, secondo la sintetica formula che l’ex primo ministro Ariel Sharon pronunciò prima del ritiro da Gaza. Anteriormente alla sua modifica, il provvedimento riguardante il ricongiungimento familiare della Legge sulla Nazionalità, offriva ai palestinesi dei territori occupati l’unico modo per diventare cittadini israeliani. Ma se Israele sta costruendo i suoi muri per edificare uno Stato ebraico più grande, una vera e propria fortezza etnica, è difficile che lasci socchiusa la porta sul retro in modo che i palestinesi conseguano ciò che gli israeliani vedono come un «diritto al ritorno» in Israele, attraverso il matrimonio. Il ministro degli interni si è impegnato al massimo per alimentare una isteria razzista e demografica e ha gonfiato le cifre per suggerire che, nel decennio trascorso, più di 100.000 palestinesi dei territori occupati hanno ottenuto la cittadinanza israeliana attraverso il matrimonio. In verità, il numero reale corrisponde a poche migliaia. Se però i giudici si sono sentiti troppo imbarazzati nell’ammettere che alla base della modifica della Legge sulla Nazionalità vi erano preoccupazioni di tipo demografico, non è stato così per tanti altri in Israele. Un editoriale del Jerusalem Post di questa settimana ha ammesso che gli argomenti fondati sulla sicurezza a cui è ricorso il governo sono “deboli”, osservando invece: “Israele è apertamente minacciato di distruzione — non solo fisicamente, da una potenziale capacità nucleare iraniana, ma anche demograficamente, dalla rivendicazione palestinese del loro «diritto al ritorno»”. Yoel Hasson appartenente al partito di governo Kadima ha salutato la decisione della corte come “una vittoria per coloro che credono in Israele come stato ebraico”, mentre il ministro incaricato dell’assorbimento dell’immigrazione, Zeev Boim, ha aggiunto: “Dobbiamo mantenere la natura democratica dello stato, ma anche la sua natura ebraica. Il numero di palestinesi che entrano in Israele [col ricongiungimento familiare] è intollerabile”. Il divieto del governo riguardo al ricongiungimento familiare tra palestinesi e israeliani/e rimane per il momento una misura temporanea (della durata di tre anni) ma è probabile che diventi definitiva dato che la corte gli ha dato la sua benedizione.

    Questa settimana il ministro della giustizia Haim Ramon ha dichiarato di voler fare approvare una nuova Legge Fondamentale in modo da bloccare per sempre l’acquisizione della nazionalità israeliana ai palestinesi, e possibilmente anche ad altri non-ebrei. Questa politica è in linea con le raccomandazioni della commissione Rubinstein, nominata dal governo e presieduta dal maggiore esperto costituzionalista israeliano, Amnon Rubinstein,, la quale ha elaborato una proposta politica riguardante l’immigrazione dei non-ebrei. Nel suo rapporto, pubblicato nel mese di febbraio, la commissione ha proposto limitazioni draconiane al diritto di acquisizione della cittadinanza israeliana attraverso il matrimonio. (Tutti gli Ebrei, nel frattempo, continueranno ad avere pieno titolo alla cittadinanza, per merito di un’altro gruppo di provvedimenti, quelli che costituiscono la famosa Legge del Ritorno, una legge apertamente discriminatoria). Secondo le raccomandazioni di Rubinstein, i palestinesi e i residenti di Stati «ostili» (leggi arabi) che sposano israeliani/e (leggi cittadini/e palestinesi di Israele) saranno privati del diritto di residenza e di cittadinanza in Israele. Altri coniugi non-ebrei (leggi principalmente Europei e Americani) dovranno possedere requisiti di età e di reddito e dovranno fare un giuramento di fedeltà — non ad Israele si badi bene, ma ad Israele come stato ebraico e democratico. Secondo l’attuale politica israeliana, è assai improbabile che i non-ebrei possano ricevere la cittadinanza ma possono vedersi riconosciuto diritto di residenza in Israele. Come ha commentato su Ha’aretz un navigato osservatore israeliano, Shahar Ilan: “Non ci sono, indubbiamente, altri argomenti intorno a cui si coaguli il consenso del sistema politico [israeliano] come intorno alla chiusura delle porte al ricongiungimento familiare [dei non-ebrei]”. Simili cambiamenti trasformeranno Israele in qualcosa di diverso da qualsiasi altro Stato moderno. Nel 1980, al culmine dell’apartheid in Sud Africa, i tribunali del paese rifiutavano di approvare leggi molto simili a quella che nega in Israele i ricongiungimenti familiari, sostenendo che esse negavano il diritto ad una normale vita familiare. In Israele, invece, con la prospettiva dell’approvazione di una nuova ondata di leggi razziste, nessuno — nemmeno la «liberale» Corte Suprema della nazione — è disposta a salvaguardare i più fondamentali diritti della gente nativa del paese.

    [1] Termine inventato da George Orwell nel suo romanzo 1984 per indicare il linguaggio della doppiezza della dittatura, per cui si ricorre ad ossimori per confondere le idee. Un esempio usato da Orwell è il famoso “guerra è pace e pace è guerra”, ndt) [indietro]

  40. – apartheid
    ebrei, arabi israeliani, drusi, cristiani godono dei diritti di piena cittadinanza in Israele.

    BALLE!!!!
    Diritti umani
    Persino il ministro degli interni israeliano, Ophir Pines-Paz, ha dichiarato nel 2005 che la politica verso i cittadini arabi è una di ‘discriminazione istituzionale’ [[8]].
    Molto del terreno intorno ai paesi ed ai villaggi arabi israeliani è stato confiscato o dichiarato ‘zona verde’, in cui è vietato costruire; le case costruite senza permesso vengono distrutte (questo non avviene invece nel settore ebraico del Paese).
    Da quando lo stato di Israele è sorto, sono stati istituiti 700 paesi e villaggi per ebrei; non uno per i cittadini arabi. Decine di villaggi arabi, che già esistevano nel 1948, non sono riconosciuti dallo stato di Israele; non ricevono quindi acqua, elettricità, fognature, non sono collegati alla rete fognaria e a quella stradale [[9]], e sono sotto la continua minaccia di essere demoliti. Questa minaccia è particolarmente concreta per i beduini del Negev [[10]], le cui coltivazioni sono state distrutte con prodotti chimici nel 2003.

    I fondi destinati alle scuole per bambini arabi sono, in rapporto alla popolazione, molto inferiori a quelli destinati alle scuole per bambini ebrei [[11]].

    Molto peggiore è la situazione dei palestinesi dei Territori Occupati. Israele accorda un trattamento preferenziale agli abitanti ebrei delle colonie in Cisgiordania e a Gerusalemme Est per quanto riguarda la costruzione di case ed i servizi municipali. A Gerusalemme Est, questo avviene malgrado che i palestinesi paghino le medesime imposte [[12]].

    Per ammissione stessa della municipalità, molte delle politiche attuate a Gerusalemme, fin dal 1967, hanno lo scopo di ridurre la popolazione non ebraica; come mostrano le organizzazioni per i diritti umani, palestinesi e israeliane, ciò avviene riducendo le zone in cui ai palestinesi è permesso costruire, confiscando loro terreni e demolendo loro le case [[13]].

    In Cisgiordania, utilizzando leggi diverse, in particolare ottomane, Israele ha ottenuto il controllo di più del 50% dei terreni, che usa per costruire ed ampliare colonie [[14]].

    Nei primi tre anni della seconda intifada, Israele ha distrutto più di 3.000 case e centinaia di edifici pubblici e di negozi palestinesi, oltre a vaste aree di terreno agricolo. Decine di migliaia di palestinesi sono rimasti senza casa o privi di una fonte di reddito. Molte distruzioni sono causate dal costruire, la cosiddetta ‘barriera di separazione’, sita per il 90% in territorio palestinese, onde facilitare il facilitare il passaggio tra Israele e le colonie (illegali, in base alla legge internazionale).
    Nei Territori Occupati, i palestinesi non possono costruire su terra dichiarata ‘statale’; nessuna restrizione, viceversa, è imposta ai coloni israeliani [[15]]

    Nei Territori Occupati valgono leggi diverse per i coloni e per i palestinesi. L’uso di sistemi legali differenti, a seconda della nazionalità, ricorda il sistema dell’apartheid sudafricano. Se i coloni commettono reati sono sottoposti alla legge penale israeliana per i civili; se li commettono i palestinesi, i tribunali di Israele applicano la legge penale giordana o quella militare israeliana [[16]].

    Dal 2003, Israele vieta l’unificazione famigliare agli israeliani (in grandissima maggioranza cittadini arabi dello stato), e ai palestinesi che abitano a Gerusalemme Est, se il coniuge risiede in Cisgiordania o nella Striscia di Gaza [[17]].

    Un rapporto ufficiale ha ammesso che i servizi segreti israeliani hanno torturato detenuti palestinesi durante la prima intifada, fra il 1988 e il 1992 [[18]]. Uno dei metodi è lo scuotimento, che nel 1995 ha causato la morte di un detenuto. Secondo Yitzhak Rabin, questo metodo è stato usato contro 8.000 prigionieri [[19]].
    Nel 1999 la Corte Suprema israeliana ha vietato l’uso della forza fisica negli interrogatori. Secondo il Public Committee Against Torture in Israel (PCATI), un’organizzazione israeliana per i diritti umani, l’uso della tortura è tuttavia continuato anche negli anni successivi [[20]], [[21]].

    Nei Territori Occupati i soldati israeliani hanno ripetutamente usato civili palestinesi, minori compresi [[22]], come scudi umani [[23]], ciò che è esplicitamente vietato dall’articolo 28 della Quarta Convenzione di Ginevra [[24]].

    Con le uccisioni e le distruzioni di case compiute a Gaza durante la seconda intifada, secondo l’organizzazione israeliana per i diritti umani Adalah l’esercito israeliano ha compiuto crimini di guerra. Distruggere case viola l’articolo 147 della Quarta Convenzione di Ginevra [[25]], [[26]].

    Ci sono migliaia di detenuti politici palestinesi nelle carceri israeliane; in parte sono in regime di ‘detenzione amministrativa’, vale a dire senza processo [[27]]. Detenere i palestinesi in carceri site in Israele, anziché nei Territori Occupati, viola l’articolo 49 della Quarta Convenzione di Ginevra.

    In Cisgiordania ci sono ora più di 500 posti di blocco. Sono costrette ad attendere anche le ambulanze: dal 2000 al 2005 più di 60 donne hanno partorito a posti di blocco, ciò che ha causato la morte di 36 neonati [[28]]. Occorre dire che le ambulanze sono state utilizzate per trasportare esplovisi e terroristi suicidi in territorio israeliano.
    http://it.wikipedia.org/wiki/Israele#Diritti_umani

  41. Sebastian wrote
    – apartheid
    ebrei, arabi israeliani, drusi, cristiani godono dei diritti di piena cittadinanza in Israele.

    BALLE!!!!
    Israele e Territori Occupati
    http://www.amnesty.it/pressroom/ra2007/israele.html?page=ra2007
    Stato d’ Israele
    Capo di Stato: Moshe Katzav
    Capo del governo: Ehud Olmert (subentrato ad Ariel Sharon ad aprile)
    Pena di morte: abolizionista per i reati ordinari
    Statuto di Roma della Corte penale internazionale: firmato, tuttavia senza intenzione di ratifica

    L’incremento della violenza tra israeliani e palestinesi ha determinato il triplicarsi del numero di uccisioni di palestinesi da parte delle forze israeliane. Il numero di israeliani uccisi da gruppi armati palestinesi è diminuito della metà. Più di 650 palestinesi, tra cui circa 120 bambini, e 27 israeliani sono rimasti uccisi. Le forze israeliane hanno effettuato bombardamenti aerei e di artiglieria nella Striscia di Gaza, e Israele ha continuato a espandere gli insediamenti illegali e la costruzione del muro/barriera di 700 km su terre palestinesi nei Territori Occupati. I blocchi militari e le sempre maggiori restrizioni imposte da Israele ai movimenti dei palestinesi unitamente alla confisca da parte di Israele delle tasse doganali palestinesi hanno causato un significativo deterioramento delle condizioni della vita degli abitanti palestinesi nei Territori Occupati, dove povertà, dipendenza dagli aiuti umanitari nell’accesso al cibo, problemi sanitari e disoccupazione hanno raggiunto livelli critici. I soldati israeliani e i coloni hanno commesso numerose violazioni dei diritti umani contro i palestinesi, comprese uccisioni illegali, rimanendo nella maggior parte dei casi impuniti. Migliaia di palestinesi sono stati arrestati dalle forze israeliane nei Territori Occupati perché sospettati di delitti contro la sicurezza e centinaia sono stati trattenuti in detenzione amministrativa. Gli obiettori di coscienza israeliani hanno continuato a essere imprigionati per essersi rifiutati di prestare servizio nell’esercito. Durante il conflitto di 34 giorni contro Hezbollah e il Libano di luglio-agosto, le forze israeliane hanno commesso gravi violazioni del diritto internazionale umanitario, compresi crimini di guerra. I bombardamenti israeliani hanno ucciso circa 1.200 persone e hanno distrutto o danneggiato decine di migliaia di case e di altre infrastrutture civili. Le forze israeliane hanno anche ricoperto il sud del Libano con circa un milione di bombe a grappolo inesplose che hanno continuato a uccidere e mutilare i civili dopo il conflitto.

    Contesto

    Ehud Olmert è diventato primo ministro ad aprile dopo avere esercitato il ruolo ad interim, in seguito al grave ictus che ha colpito il primo ministro Ariel Sharon. In anticipo rispetto alle elezioni legislative di marzo, il primo ministro Ehud Olmert ha annunciato l’intenzione di dare attuazione unilateralmente al piano di “convergenza”, secondo il quale Israele annetterebbe il territorio palestinese che si trova a ovest della muro/barriera che Israele sta costruendo nella Cisgiordania occupata, compresa la zona di Gerusalemme est, mantenendo il controllo della Valle del Giordano e del confine tra la Cisgiordania e la Giordania. Secondo tale piano, Israele annetterebbe più dell’80 % della Cisgiordania occupata, comprese le zone dove sorgono tutti i maggiori insediamenti israeliani, dove risiede più dell’80% dei coloni israeliani.

    Le relazioni tra il governo israeliano e l’Autorità Palestinese (AP) si sono deteriorate dopo che il Movimento di resistenza islamica (Hamas) ha vinto le elezioni parlamentari tenutesi a gennaio nei Territori Occupati. Il governo israeliano non ha stabilito relazioni ufficiali con l’amministrazione di Hamas, sebbene abbia mantenuto relazioni con il presidente dell’AP Mahmoud Abbas e il suo partito Fatah.

    Guerra tra Hezbollah e Israele

    Nella guerra di 34 giorni scoppiata il 12 luglio dopo che l’ala militare di Hezbollah aveva attraversato la frontiera israeliana e attaccato una pattuglia israeliana, uccidendo tre soldati e catturandone due, le forze israeliane hanno effettuato bombardamenti aerei e di artiglieria contro il Libano, uccidendo circa 1.200 persone, compresi centinaia di bambini. Le forze israeliane hanno distrutto anche decine di migliaia di abitazioni e proprietà commerciali, in maggioranza nel sud del Libano e nei sobborghi di Beirut; e hanno colpito e danneggiato strade principali e ponti in tutto il paese. I missili lanciati da Hezbollah contro il nord di Israele hanno causato la morte di 43 civili e danneggiato centinaia di edifici.

    Nel corso del conflitto, le forze israeliane hanno commesso gravi violazioni dei diritti umani e del diritto internazionale umanitario, compresi crimini di guerra. In particolare, le forze israeliane hanno effettuato attacchi indiscriminati e sproporzionati su vasta scala. Si ritiene che le forze israeliane abbiano effettuato attacchi diretti contro le infrastrutture civili, con l’intento di infliggere alla popolazione libanese una punizione collettiva, per indurla a rivoltarsi contro Hezbollah, e per danneggiarne la capacità militare.

    A fine anno almeno sei cittadini libanesi, la maggior parte dei quali guerriglieri di Hezbollah, o presunti tali, rimanevano detenuti nelle prigioni israeliane, mentre Hezbollah non ha rivelato alcuna informazione sulla sorte o le condizioni dei due soldati israeliani che aveva catturato. Sono stati avviati negoziati indiretti tramite intermediari tra la due parti. Israele ha rifiutato l’accesso ai prigionieri al Comitato Internazionale della Croce Rossa (ICRC), dopo che Hezbollah si era rifiutato di garantire tale accesso ai due soldati israeliani.

    Durante gli ultimi giorni del conflitto, dopo che erano stati concordati i termini del cessate il fuoco, le forze israeliane hanno lanciato nel sud del Libano centinaia di migliaia di bombe a grappolo contenenti fino a 4 milioni di piccoli ordigni. Il milione o più di piccoli ordigni inesplosi rimasti sul terreno hanno continuato a uccidere e mutilare civili molto dopo la fine della guerra. A fine anno, circa 200 persone, comprese decine di bambini, erano rimaste uccise o ferite da questi piccoli ordigni e da mine terrestri appena collocate. Nonostante le ripetute richieste, Israele non ha fornito agli organismi delle Nazioni Unite con mandato di bonificare il terreno dagli ordigni inesplosi alcuna mappa dettagliata della esatta collocazione in cui le proprie forze armate avevano lanciato le bombe a grappolo.

    Uccisioni di palestinesi

    Le forze israeliane hanno effettuato frequenti bombardamenti aerei e di artiglieria contro la Striscia di Gaza, spesso in campi profughi e aree residenziali densamente popolate. Circa 650 palestinesi, la metà dei quali civili, tra cui circa 120 bambini, sono stati uccisi dalle forze israeliane. Il tributo di vite umane è aumentato di ben tre volte rispetto al 2005. Il 27 giugno l’esercito israeliano ha lanciato l’operazione “Pioggia d’estate”, in seguito a un attacco compiuto due giorni prima da membri di gruppi armati palestinesi contro una postazione militare entro i confini israeliani, durante il quale sono stati uccisi due soldati israeliani, mentre un terzo, caporale Gilad Shalit, veniva catturato. Gli attacchi israeliani sono aumentati drammaticamente dopo la cattura di Gilad Shalit, sebbene anche i mesi precedenti fossero stati caratterizzati da uccisioni di palestinesi e da bombardamenti aerei e d’artiglieria nella Striscia di Gaza e in Cisgiordania.

    *Il 9 giugno, sette membri della famiglia Ghalia, cinque bambini e i loro genitori, sono rimasti uccisi e altri 30 civili sono rimasti feriti quando le forze israeliane hanno lanciato colpi di artiglieria contro una spiaggia nel nord della Striscia di Gaza. La spiaggia era affollata di famiglie palestinesi che festeggiavano il primo fine settimana dall’inizio delle vacanze scolastiche. L’esercito israeliano ha negato ogni responsabilità per le morti, ma non ha suffragato le proprie tesi.

    *La prima mattina dell’8 novembre, 18 membri della famiglia Athamna sono rimasti uccisi e decine di altri civili sono rimasti feriti quando una raffica di artiglieria ha colpito un’area densamente popolata nei dintorni di Beit Hanoun, nel nord della Striscia di Gaza. Le vittime, otto delle quali bambini, sono rimaste uccise durante il sonno o mentre cercavano di fuggire dai bombardamenti che sono durati per circa 30 minuti e durante i quali sono state lanciate nella zona circa 12 granate. Le autorità israeliane si sono dichiarate spiacenti per le uccisioni, affermando che le case erano state colpite per sbaglio a causa di un errore tecnico, ma hanno rigettato le richieste di aprire un’inchiesta internazionale sull’accaduto. L’attacco era avvenuto sulla scia di una incursione israeliana a Beit Hanoun durata sei giorni, chiamata in codice “Nuvole d’autunno”, durante la quale le forze israeliane avevano ucciso circa 70 palestinesi, almeno metà dei quali erano civili disarmati; tra questi numerosi bambini e due volontari di un servizio di ambulanza d’emergenza. L’attacco aveva causato il ferimento di circa 200 civili, tra cui decine di bambini.

    La maggioranza dei palestinesi sono stati uccisi nella Striscia di Gaza, tuttavia decine sono stati uccisi anche in Cisgiordania.

    *Akaber ‘Abd al-Rahman ‘Ezzat Zayed, di otto anni, è stato colpito a morte dalle forze speciali israeliane che hanno sparato contro l’automobile sulla quale viaggiava, diretto all’ospedale, con lo zio, rimasto gravemente ferito nell’attacco. L’episodio è avvenuto il 17 marzo nel villaggio di Yamun, nei pressi della città di Jenin, in Cisgiordania.

    *Il 19 dicembre, Dua’a Nasser ‘Abdelkader, di 14 anni è stata uccisa a colpi d’arma da fuoco dai soldati israeliani mentre si avvicinava al muro/barriera con un’amica, nelle vicinanze di Fara’un, un villaggio nel nord della Cisgiordania.

    Le forze israeliane hanno continuato ad assassinare palestinesi ricercati, uccidendo e ferendo i passanti durante tali operazioni.

    *Il 12 luglio, nove membri della famiglia Abu Salmiya sono rimasti uccisi quando un cacciabombardiere F16 israeliano ha bombardato la loro casa alle 2.30 del mattino. Secondo l’esercito israeliano, un leader storico dell’ala militare di Hamas si trovava nella casa al momento del bombardamento, ma è sopravvissuto. Tuttavia, il raid ha annientato una famiglia intera: il proprietario della casa, Nabil Abu Salmiya, un leader politico di Hamas e un lettore universitario; sua moglie Salwa e sette dei loro figli tutti di età inferiore ai 18 anni. Sono stati anche feriti decine di vicini e diverse altre case sono state danneggiate nell’attacco.

    Attacchi da parte di gruppi armati palestinesi

    Le uccisioni di israeliani da parte di gruppi armati palestinesi sono continuate, ma sono diminuite della metà rispetto all’anno precedente, portandosi al livello più basso dall’inizio dell’intifada nel 2000. In totale, 21 civili israeliani, tra cui un bambino e sei soldati, sono rimasti uccisi in attacchi palestinesi condotti in Israele e nei Territori Occupati.

    *Undici civili israeliani sono stati uccisi e 68 altri sono rimasti feriti in un attacco suicida rivendicato dall’ala armata della Jihad islamica e portato a termine il 17 aprile alla vecchia stazione degli autobus di Tel Aviv.

    *Uno dei due attentati suicidi, il 30 marzo, ha ucciso quattro civili israeliani, uno dei quali di 16 anni, vicino all’ingresso dell’insediamento israeliano di Kedumim, nel nord della Cisgiordania.

    C’è stato un aumento significativo del lancio di razzi “Qassam”, di costruzione artigianale, da parte di gruppi armati palestinesi dalla Striscia di Gaza contro il sud di Israele. Nella maggioranza dei casi questi razzi indiscriminati non hanno causato vittime, ma due civili israeliani, Fatima Slutzker e Yaakuv Yaakobov, sono rimasti uccisi a Sderot a novembre in due diversi attacchi con razzi e diversi altri sono rimasti feriti.

    Attacchi da parte dei coloni israeliani

    I coloni israeliani in Cisgiordania hanno ripetutamente attaccato i palestinesi e le loro proprietà, e i pacifisti e i difensori dei diritti umani che cercavano di documentare gli attacchi israeliani contro i palestinesi. Alcuni attacchi sono avvenuti a ottobre e novembre, durante la stagione della raccolta delle olive, quando i contadini palestinesi tentavano di recarsi nei loro campi situati in prossimità degli insediamenti israeliani, mentre i coloni israeliani volevano evitare che li raggiungessero. A giugno, la Corte Suprema ha emesso una sentenza che dava istruzioni all’esercito e alla polizia di proteggere dagli attacchi dei coloni i contadini palestinesi che cercavano di lavorare le loro terre. L’incidenza di tali attacchi è diminuita, ma diversi altri sono stati portati a termine, alcuni in presenza delle forze di sicurezza israeliane, che non sono intervenute.

    *La sera del 25 marzo un gruppo di coloni israeliani hanno aggredito ‘Abderrahman Shinneran mentre dormiva nella sua tenda con sua moglie e i tre figli a Susia, a sud delle colline di Hebron. Quando suo fratello ‘Aziz è giunto a difenderlo, è stato a sua volta aggredito e ferito.

    *Il 18 novembre, Tove Johansson, una difensora dei diritti umani svedese di 19 anni, è stata assalita da coloni israeliani mentre accompagnava alcuni scolari palestinesi attraverso un posto di blocco militare israeliano vicino all’insediamento israeliano di Tel Rumeida, nella città di Hebron, in Cisgiordania. È stata colpita con una bottiglia rotta e ha riportato ferite al viso. I soldati israeliani del vicino posto di blocco non sono intervenuti per fermare l’aggressione o per catturare i colpevoli.

    Impunità e amministrazione della giustizia

    A dicembre la Corte Suprema a rigettato una legge discriminatoria approvata l’anno precedente, che negava alla vittime palestinesi ogni compensazione per gli abusi subiti da parte delle forze israeliane. Tuttavia, l’impunità per i soldati israeliani e i coloni responsabili di uccisioni illegali, maltrattamenti e altre violazioni dei diritti umani dei palestinesi e di attacchi contro le loro proprietà, è rimasta diffusa. Le inchieste e i processi relativi a questi abusi sono stati rari e in genere sono avvenuti quando gli abusi erano stati rivelati dalle organizzazioni per i diritti umani e dai media. Al contrario, le autorità israeliane hanno adottato una serie di provvedimenti contro i palestinesi sospettati di coinvolgimento diretto o indiretto in attacchi contro israeliani, comprendenti omicidi, abusi fisici e punizioni collettive contrarie al diritto internazionale. I palestinesi accusati di avere preso parte agli attacchi contro gli israeliani in genere sono stati condannati all’ergastolo da corti militari, mentre nei casi eccezionali in cui israeliani sono stati processati per avere ucciso o commesso abusi contro i palestinesi, i tribunali israeliani hanno imposto sentenze miti.

    Migliaia di palestinesi, tra cui decine di bambini, sono stati detenuti dalle forze israeliane. Molti sono stati arrestati durante operazioni dell’esercito israeliano nella Striscia di Gaza. La maggioranza dei detenuti sono stati rilasciati senza incriminazione, ma centinaia sono stati accusati di reati contro la sicurezza. Tra i detenuti vi erano decine di ministri del governo e parlamentari di Hamas, arrestati in seguito alla cattura di un soldato israeliano, avvenuta a giugno, da parte di uomini armati palestinesi, apparentemente al fine di esercitare pressioni per il rilascio del soldato.

    I processi di palestinesi di fronte a tribunali militari spesso non hanno rispettato gli standard internazionali dell’equo processo, e le accuse di tortura e altri maltrattamenti di detenuti non sono state investigate in modo adeguato. Centinaia di palestinesi hanno continuato a essere trattenuti in detenzione amministrativa senza accusa né processo e a fine anno erano più di 700. Le visite dei familiari di circa 10.000 prigionieri palestinesi sono rimaste fortemente limitate poiché a molti dei parenti erano negati i permessi di visita.

    Carcerazione di obiettori di coscienza

    Diversi israeliani, sia uomini che donne, che si erano rifiutati di servire nell’esercito perché si opponevano all’occupazione israeliana dei Territori Occupati, sono stati incarcerati fino a quattro mesi. Erano prigionieri di coscienza.

    *Uri Natan, di 18 anni, ha scontato otto ordini di reclusione consecutivi, totalizzando cinque mesi, perché aveva rifiutato di arruolarsi a causa della sua obiezione di coscienza all’occupazione militare israeliana dei Territori Occupati.

    Violazioni dei diritti economici e sociali

    Israele ha continuato a espandere i propri insediamenti illegali e ha incrementato la costruzione del muro/barriera di 700 km, l’80% del quale avanza rapidamente all’interno della Cisgiordania occupata, compresa la parte all’interno e attorno Gerusalemme est. Ampi appezzamenti di terre palestinesi sono stati confiscati e utilizzati a questo scopo. Il muro/barriera e più di 500 posti blocco e chiusure attraverso la Cisgiordania hanno sempre più spesso confinato i palestinesi in zone chiuse negando loro la libertà di movimento tra città e villaggi all’interno dei Territori Occupati. Molti palestinesi sono rimasti tagliati fuori dai loro terreni agricoli, la loro principale fonte di sussistenza, o non hanno potuto accedere liberamente ai luoghi di lavoro e istruzione, alle strutture sanitarie e ad altri servizi.

    Ulteriori misure discriminatorie sono state poste in atto per sostenere un sistema di strade e posti di blocco separati per israeliani e palestinesi. A novembre, l’esercito israeliano ha emesso un ordine che proibisce agli israeliani di utilizzare i loro automezzi per trasportare palestinesi in Cisgiordania, dove molte strade o tratti di strada sono proibiti ai palestinesi e riservati all’uso dei soli israeliani, per lo più i 450.000 coloni residenti in Cisgiordania. Nella Striscia di Gaza, il valico di Rafah verso l’Egitto, unico punto di ingresso e uscita per 1 milione e 500.000 residenti palestinesi, è stato mantenuto chiuso completamente o parzialmente per la maggior parte dell’anno. Il passaggio delle merci è stato similmente limitato dalle autorità israeliane dalle frequenti e prolungate chiusure del valico di Karni, il solo che esse permettono di utilizzare.

    L’impatto dannoso dei prolungati blocchi e delle restrizioni di movimento è stato aggravato dalla confisca, da parte delle autorità israeliane, delle tasse che esse raccolgono per conto dell’AP, circa 50 milioni di dollari USA al mese, pari alla metà del bilancio dell’amministrazione dell’AP. Di conseguenza, le condizioni umanitarie nei Territori Occupati si sono deteriorate a un livello mai raggiunto, caratterizzato da un aumento di povertà estrema, dipendenza dagli aiuti per le forniture di cibo, da un elevato tasso di disoccupazione, malnutrizione e altri problemi di salute tra la popolazione palestinese.

    La distruzione delle infrastrutture palestinesi da parte delle forze israeliane ha causato danni a lungo temine e ulteriori complicazioni di carattere umanitario. A giugno il bombardamento da parte di Israele dell’unica centrale elettrica della Striscia di Gaza, che forniva elettricità alla metà degli abitanti della zona, e la distruzione da parte di Israele di ponti, strade, reti idriche e fognature, ha determinato mancanza di elettricità per la popolazione durante la maggior parte del giorno, e durante i mesi più caldi dell’anno, e ha interferito con le forniture di acqua. Le forze israeliane hanno anche bombardato e distrutto numerosi ministeri dell’AP nella Striscia di Gaza e altri edifici che ospitavano associazioni di beneficenza e istituzioni presumibilmente legate ad Hamas. Questi attacchi hanno distrutto o danneggiato decine di residenze private, lasciando senza tetto centinaia di palestinesi.

    Altri palestinesi sono stati resi senzatetto quando le forze israeliane hanno abbattuto con bulldozer le loro case in Cisgiordania, compresa la zona di Gerusalemme est, con la motivazione che erano state costruite senza il permesso richiesto dalle autorità israeliane, ma che è impossibile per i palestinesi ottenere in quelle zone. La stessa motivazione è stata addotta per distruggere le case di decine di beduini arabo-israeliani abitanti nei villaggi non riconosciuti del sud di Israele, e che le autorità israeliane intendevano sradicare.

    Rapporti e missioni di AI

    Israel/Occupied Territories: Briefing to the UN Committee on the Elimination of Racial Discrimination (AI Index: MDE 15/002/2006)

    Israel/Lebanon: Out of all proportion – civilians bear the brunt of the war (AI Index: MDE 02/033/2006)

    Israel/Lebanon: Israel and Hizbullah must spare civilians – Obligations under International Humanitarian Law of the Parties to the Conflict in Israel and Lebanon (AI Index: MDE 15/070/2006)

    Israel/Lebanon: Deliberate destruction or “collateral damage”? – Israeli attacks on civilian infrastructure (AI Index: MDE 18/007/2006)

    Israel and the Occupied Territories: Road to nowhere (AI Index: MDE 15/093/2006)

    Delegazioni di AI si sono recate in Israele e Territori Occupati ad aprile, maggio, agosto, settembre, novembre e dicembre. A dicembre la Segretaria generale di AI ha guidato una delegazione che ha visitato Israele e i Territori Occupati e ha incontrato i governi di Israele e dell’AP. La Segretaria generale ha espresso preoccupazione per il deterioramento della situazione dei diritti umani e ha sollecitato i governi a intraprendere le misure necessarie per porre fine all’impunità e per affrontare le continue violazioni dei diritti umani. AI ha inoltre richiesto indagini e indennizzi per le vittime delle violazioni dei diritti umani commesse durante la guerra tra Israele ed Hezbollah.

  42. Sebastian wrote
    – apartheid
    ebrei, arabi israeliani, drusi, cristiani godono dei diritti di piena cittadinanza in Israele.

    BALLE!!!! IN ISRAELE NEANCHE TUTTI GLI EBREI SONO UGUALI i falasha (neri) lo sono di meno
    http://www.radicali.it/view.php?id=113308
    Anticoncezionali ai Falashà, bufera in Israele

    • da La Repubblica del 7 gennaio 2008, pag. 13

    di Alberto Mattone

    Erano gli ebrei più prolifici di Israele, ma da qual­che anno i falascià provenienti dal­l’Etiopia quasi non fanno più figli. Il fenomeno è il risultato della poli­tica di contraccezione di massa decisa dal governo. A molte donne, viene proposta un’iniezione di «Depo-Provera», un anticoncezio­nale che dura tre mesi. L’effetto è stato drastico: nella comunità dove i bambini erano 5-6 in media per famiglia vanno sparendo i nuclei nu­merosi.

    Gli «ebrei neri» non fanno più fi­gli. E al fenomeno Yedioth Ahro­noth ha dedicato ieri un’inchiesta, che mette sul banco degli imputati la Mutua generale israeliana, brac­cio operativo del ministero della Sanità, accusata di voler limitare le nascite di una popolazione spesso ai margini della società. È un qua­dro amaro quello che scaturisce dall’articolo, e che fa riflettere alcuni intellettuali israeliani, come Yossi Yonah, professore di Filoso­fia alla Ben Gurion University: «Questa, come altre cose fatte con­tro i falascià – dice – ha odore di razzismo».

    Israele non ama più i suoi figli “neri”? Eppure, per portare a Geru­salemme gli ebrei di origine etiope, il governo organizzò memorabili ponti aerei nel 1984 e nel 1991. L’in­tegrazione di questi 80 mila immi­grati si è rivelata difficile. Molti so­no i disoccupati, gli anziani e i bambini da assistere. Una spesa elevata per lo Stato, che ha deciso di varare la contraccezione di massa per li­mitare i costi del Welfare. «Sono centinaia le donne che ricevono questa iniezione — spiega a Yedioth Ahronoth Tuaba Fakada, medico che lavora in centro di “smistamento” dei falascià di Gerusa­lemme —È un segno della scelta di ridurre la natalità nella comunità, ma nessuno spiega loro gli effetti collaterali di questo contraccetti­vo: depressione, osteoporosi, aumento di peso, mal di testa».

    Nel quartiere di Pardes Katz, nel­la città di Beni Berak (vicino Tel Aviv), tra le cento famiglie etiopi, negli ultimi tre anni è nata solo una bambina. «Quando siamo arrivati — spiega una donna — ci hanno detto che mantenere qui bambini è molto difficile. Poi, ci hanno pro­posto una medicina di cui non so nulla». Entmar Hillel, assistente sociale, racconta che «Agli uomini non viene detto che le mogli fanno l’iniezione e le donne non vengono informate che ci sono metodi alter­nativi come la pillola».

    Il Portavoce della Mutua Gene­rale respinge le accuse: «II “Depo-Provera” viene fornito indistintamente a tutta la popolazione e le don­ne vengono informate corretta­mente». Yossi Yonah non è d’ac­cordo: «In Israele — riflette — si incoraggia la natalità in maniera selettiva. Non si proporrebbe mai l’iniezione anticoncezionale agli ebrei ortodossi». «La comunità etiope di sente rifiutata — aggiun­ge il professore di Filosofia dell’e­ducazione — Cosa dire del sangue donato dai falascià e poi gettato?, e della discriminazione nelle scuole? Tutto questo puzza di razzismo».

  43. Grazie ops, io non avevo né tempo né voglia di rispondere.

    Mi sembrava di parlare a uno che, di fronte alla realtà della negazione, in Italia, di ogni diritto e tutela al/del lavoro, tanto per fare un esempio, ti risponde: “ma sei pazzo, questa è una repubblica fondata proprio sul lavoro”…

    Sì? E tu prova a parlarne con i seimila morti negli ultimi quattro-cinque anni, chiedi informazioni ai familiari degli assassinati di Torino e dell’altro centinaio e più di trucidati da dicembre a oggi…

    Poi, magari, fai una telefonata a quelle grandissime facce da culo del tg 5 e del tg 2 e di tutta la stampaglia di regime: ricordandogli cosa hanno promesso, a tutto schermo e a tutta pagina, nei giorni successivi al sei dicembre scorso…

    chi sa se alla Tyrell Corporation sanno qualcosa di Guantanamo…

    Mutatis mutandis, la sostanza non cambia. Credo.

  44. Un poco alla volta cercherè di dare il mio punto di vista su quanto postato. Condivido alcune parti del rapporto di Amnesty circa il comportamento dell’esercito israeliano nei Territori. Comincio con l’articolo di Jonathan Cook, che fa uso abbastanza spregiudicato del doublespeak quando si esercita sulla parola nemico. Gli emendamenti alla legge sulla nazionalità che pongono limiti ai matrimoni tra cittadini israeliani e cittadini stranieri, risalgono al periodo della seconda intifada, quando iniziò lo stillicidio degli attentati suicidi in Israele. Fu immediato lo scoprire che gli attentatori suicidi provenivano dai Territori, furono anzi le stesse organizzazioni palestinesi cui gli attentatori appartenevano a dare ampia pubblicità alla cosa (ricordate i filmati e le foto dei kamikaze prima degli attentati?). Credo che qualunque nazione del mondo definerebbe nemico un territorio da cui provengono terroristi che uccidono suoi cittadini non in armi. Di nuovo, a semplificare la cosa furono Hamas, i Martiri di Al-Aqsa, talvolta Fatah a dichiararsi esplcitamente nemici di Israele e a definire atti di guerra gli attentati contro i civili israeliani da loro organizzati. Mi pare doublespeak negare a queste organizzazioni la natura di nemici di Israele, quando sono le stesse organizzazioni a farsi vanto di questa definizione.
    Questa situazione portò alla promulgazione dell’emendamento provvisorio alla legge di nazionalità (approvazione controversa, da molti rigettata), che aveva come scopo la diminuzione del rischio che persone provenienti da territori sotto il controllo di questi nemici dichiarati potessero ricevere validi documenti israeliani, che avrebbero consentito di aggirare molti controlli. Il rinnovo o la cancellazione del provvedimento è subordinato al parere delle autorità di sicurezza. Non ti so dire se l’emendamento è attualmente ancora attivo, cercherò di saperne di più lunedì.

    Alla Tirrell Corporation non ci occupiamo di Guantanamo, abbiamo altri cazzi cui pensare.

  45. Sebastian

    Visto che questi provvedimenti violano un bel pò d convenzioni internazinali che lo Stato Israeliano ha firmato (che democrazia sarebbe altrimenti? sì, c’è dell’ironia) forse farebbe bene a non firmarle e a dichiarare apertamente e militarmente che puo’ e fa quel cazzo che gli pare. Ci confonderebbe meno le idee. A tutti. Credimi. Anche a chi ci vive.

    Approvando questa legge, Israele ha violato i suoi obblighi di diritto internazionale di rispettare il diritto di ciascun cittadino a vivere nel proprio Paese, ed ha costretto, e costringe tutt’ora, molti bambini a vivere con uno solo dei propri genitori.
    Due organismi dell’Onu – il Comitato per i Diritti Umani (HRC) ed il Comitato per l’Eliminazione di tutte le Forme di Discriminazione Razziale (CERD) hanno ripetutamente protestato contro questa legge, chiedendone la revoca: ogni misura presa da Israele per assicurare la propria sicurezza, infatti, deve comunque conformarsi agli standard previsti a livello internazionale per i diritti umani.
    La Legge sulla Cittadinanza e l’Ingresso in Israele è una legge di discriminazione razziale, che viola i principi fondamentali della non discriminazione posti dagli articoli 2 e 26 della Convenzione Internazionale sui Diritti Civili e Politici (ICCPR), dall’art.1 della Convenzione Internazionale sulla Eliminazione di tutte le Forme di Discriminazione Razziale, dall’art.2 della Convenzione sui Diritti del Bambino (CRC) e dall’art.2 della Convenzione Internazionale sui Diritti Economici, Sociali e Culturali (ICESCR) : Israele ha ratificato di sua spontanea volontà tutte queste Convenzioni, ed è dunque tenuto a rispettarne le previsioni.
    In particolare secondo quanto previsto dall’ICCPR – ratificata da Israele nel 1991 – “anche in caso di pubblica emergenza che minacci la vita della nazione” ad Israele è proibito adottare misure che prevedano forme di discriminazione “sulla base di razza, colore, sesso, lingua, religione o origini sociali”.
    La Legge sulla Cittadinanza e l’Ingresso in Israele aveva, inizialmente, una durata limitata ad un anno, ma era previsto che il Governo israeliano, con il consenso della Knesset, avrebbe potuto prolungarne la validità di volta in volta, per periodi non superiori ad un anno per ciascuna occasione: il che val quanto dire all’infinito, volendo!
    Mercoledì 21 luglio, la validità della Legge sulla Cittadinanza e l’Ingresso in Israele è stata estesa per un periodo di ulteriori sei mesi, nel più totale silenzio delle istituzioni israeliane e, naturalmente, dei media.
    Probabilmente, anche in Israele c’è qualcuno che si vergogna per l’approvazione di simili leggi!

  46. Sebastian

    Visto che ci sei e vuoi salvaguardare l’onore di Israele prova a dare qualche spiegazione democratica anche alla tipologia delle cittadinanze di cui sotto. Una spiegazione che non sia una ‘aspirazione a diventare’ visto che Israele fa tendenza anche alle nostre latitudini e domani queste cittadinanze di diversa serie potrebbero essere applicate in UE o nei singoli stati. Mi fa rabbrividire l’idea dei brutti ceffi che gradirebbero. Ma se non fai parte della loro categoria puoi immaginarli benissimo anche da solo.

    il manifesto – 09 Giugno 2002 DIRITTI/CITTADINANZA
    Israele, una democrazia all’apartheid
    URI DAVIS*
    Contrariamente alla legislazione degli Stati uniti che riconosce, nell’ambito di una Costituzione democratica, una cittadinanza unica e universale per tutti i cittadini Usa senza distinzioni nazionali, religiose, linguistiche, tribali, nonché sessuali, lo Stato d’Israele non conferisce una cittadinanza universale a tutti i suoi cittadini. Guidato dalla dominante ideologia del sionismo politico il legislatore israeliano (la Knesset) ha varato quattro differenti tipi di cittadinanza che esprimono una diseguaglianza lampante nella legge stessa, rappresentando – in altre parole – una nuova forma di Apartheid. Nello Stato di Israele il diritto di partecipare alla vita politica di un cittadino che ai termini di legge viene classificato come «non Ebreo» (cioè «Arabo») è teoricamente uguale al diritto di un cittadino classificato per la legge come «Ebreo» e lo stesso dovrebbe avvenire, teoricamente, di fronte alla legge. Invece nel campo dei servizi sociali, del welfare e soprattuttodelle risorse materiali dello Stato i diritti di un cittadino definito per legge come «non Ebreo» non sono uguali a quelli di un cittadino definito come «Ebreo». Fino alla sentenza della Corte Suprema afferente al caso Qaadan contro Qatzir (marzo 2000), ai cittadini che per legge venivano definiti come «non Ebrei» veniva negato l’accesso al 93% del territorio di Israele (nei confini di prima del 1967) gestito dalla Israel Land Administration (Ila). In altre parole, il sistema giuridico israeliano si basa su almeno due categorie di cittadinanza. La categoria «A» vale per cittadini che la legge definisce come «Ebrei» ai quali la legge stessa conferisce un accesso preferenziale alle risorse materiali dello Stato per il solo fatto di essere, per legge, «Ebrei»; in contrasto con la cittadinanza di categoria «B» i «non Ebrei», cioè «Arabi», come tali discriminati dalla legge in particolare per quanto concerne la parità di accesso alla terra ed all’acqua. Tuttavia nell’ambito della cittadinanza di categoria «B» esiste nello Stato di Israele – in virtù della Legge sulla Proprietà Assenteista del 1950 – anche una categoria «C» comprendente quei cittadini arabi che pur presenti dentro lo stato vengono classificati dalla legge come «assenti». Questi cittadini arabi sono in effetti presenti in Isreale come contribuenti e come votanti ma – essendo classificati come «assenti» dalla summenzionata legge oscena – si vedono negati tutti i diritti alle proprietà (terre, case, società, azioni, conti in banca, cassette di sicurezza, ecc.) in loro possesso fino al 1948. Intorno al 20% dei cittadini arabo-palestinesi di Israele, circa 200 mila persone, sono oggi considerati dalla legge israeliana come cittadini di categoria «C», cioè come «presenti-assenti». Inoltre, sempre in virtù della legge sulla Proprietà Assenteista del 1950, il legislatore israeliano (la Knesset) ha stabilito per legge una cittadinanza di categoria «D» formata dai 750 mila profughi di Palestina del 1948 e dei loro discendenti – valutati dall’Unrwa intorno alle quattro milioni di persone – cui è stata negata la cittadinanza. Secondo i termini della Risoluzione dell’Onu 181 (Piano di Spartizione con Unione Economica) del novembre 1947 – cioè il documento costitutivo dello Stato di Israele e dello Stato di Palestina che prevedeva la spartizione del territorio della Palestina del Mandato Britannico in uno «Stato Ebraico» ed uno «Stato Arabo» – gli attuali 4 milioni di profughi della Palestina del 1948 hanno diritto alla cittadinanza dello «Stato Ebraico». Tuttavia il legislatore israeliano (la Knesset) in virtù della suddetta Legge sulla Proprietà Assenteista ed in violazione delle norme della Dichiarazione Universale sui Diritti Umani e delle norme di legge internazionali ha denazionalizzato la massa dei profughi della Palestina del 1948 negando loro il diritto alla cittadinanza israeliana e trasformandoli così in apolidi.

    Secondo i termini dei suddetti documenti costitutivi dello Stato di Israele dello Stato di Palestina (risoluzione Onu 181) tutti gli ebrei normalmente residenti nei territori attribuiti dall’Onu allo «Stato Arabo» avevano diritto alla cittadinanza dello «Stato Arabo» mentre tutti gli arabi normalmente residenti nei territori attribuiti dall’Onu allo «Stato Ebraico» (inclusi, certamente, tutti i profughi palestinesi del 1948 ed i loro discendenti) avevano diritto alla cittadinanza dello «Stato Ebraico» ed ovviamente ai titoli delle loro proprietà in Israele ed al diritto di ritornare.

    *Uri Davis, dell’università di Durham in Inghilterra autore di un “Israel: An Apartheid State Zed Books, London, 1987 & 1990].

  47. @ops,

    grazie però così si ammazza il dibattito,

    io spero ancora che

    @gianni e marco e altri indiani
    rispondano e dicano se hanno intenzione di mettere in atto
    in qualche modo la proposta di diego, cui mi son dato disponibile per
    eventuale lavoro di manovalanza (email, telefonate…)

  48. a gianni b.,
    “Non capisco il puntuto commento, avevo preventivamente detto che non avevo letto, e che me ne dispiacevo.”
    Ok. Ma che senso ha spiegare il perché non hai firmato l’appello se non leggi le ragioni di quelli che criticano l’appello? Nessuno ti corre dietro. Leggi almeno i post, che cosi hai qualcosa da rispondere nel merito. Non siamo mica in TV che vige la legge del botta e risposta immediata.
    E ti ripropongo la domanda già fatta:
    “Potrei mettervi di fronte allo smarrimento che provo sempre più nei confronti di una sinistra italiana che ha espulso autolesionisticamente dal suo patrimonio costitutivo tutta la cultura ebraica – nazionale e non – regalandola, con uno spreco ideologico, ad una nuova destra straordinariamente opportunista che ne ha fatto una vuota vetrina di verginità morale.”

    Si puo’ avere qualche esempio concreto?

  49. Compagno Biondillo, chi avremmo regalato alla destra, di grazia?
    Moni Ovadia? Mi pare sia ancora tra noi.
    Erri De Luca? Idem.
    Karl Marx?
    Sigmund Freud?
    Woody Allen?
    Groucho Marx?
    Anna Frank?
    Albert Einstein?
    Lou Reed?
    Mel Brooks?
    Chi abbiamo “espulso autolesionisticamente”?
    Primo Levi?
    Carlo Ginzburg?
    Franco Fortini?
    Ehi, un momento, a pensarci bene c’è qualche esponente della “cultura ebraica” che abbiamo “regalato alla destra”!
    Fiamma Nirenstein, ad esempio!
    Se la tengano pure.
    E Paul Wolfovitz!
    Che non si sognino di restituircelo.

  50. La nobile tradizione del dissenso. Credo sia veramente in linea con questa tradizione di dialogo e di [pro]vocazione culturale l’idea promossa da Diego e mi pare anche da Andrea. Che si faccia della letteratura un momento di provoc[azione] in tutti i sensi: li vogliamo vedere tutti sul palco a discutere, da Oz a Shabtai, e solo allora la Fiera avrà un valore sociale e civile e non solo commerciale e di public relations dello stato di Israele.
    Soltanto così (forse) l’ appello iniziale riacquisterà un senso (forse).
    Per qualsiasi cosa, se occorre aiuto per organizzare la cosa (di qualsiasi genere) Andrea ha il mio numero e la mia mail.

  51. Gli appelli nascono da spinte emozionali, nobili, per difendere di solito minoranze oppresse, che non hanno voce, perseguitati, ingiustamente incarcerati. Umiliati ed offesi. I boicottaggi anche.

    Da posizioni di indubitabile e anche recentemente testimoniato “affetto” per la cultura ebraica, per la memoria dell’Olocausto, personalmente ho forti dubbi che possa essere motivazione di un appello addiritttura “in nome della letteratura” il fatto che in Italia, e soprattutto a sinistra, esista per essa una discriminazione, vieppiù che si aggiri, se non fra qualche littorio, isolato, anacronistico, sparuto nostalgico, lo spettro dell’antisemitismo.
    Penso che essa sia talmente mescolata da sempre alla cultura italiana da non potersi nemmeno porre la questione in questi termini.
    Trovo altrettanto luoghi comuni assai frusti che il difendere i legittimi diritti dei palestinesi di avere un loro stato sia per forza sinonimo di antisemitismo, ed insieme significhi appoggiare le sue frange estremiste e terroriste. O addirittura sintomo di poco rispetto per la cultura ebraica.
    Se si guarda a tirature, traduzioni e diffusione e spazio mediatico mondiale dei libri degli scrittori che dovrebbero sentirsi minacciati addirittura insieme alla letteratura tutta da qualche bandiera palestinese srototolata da finestre e da un invito nominale ad un boicottaggio, non si può non provare un certo imbarazzo per la sprorporzione fra le due cose.

  52. Condivido Luminamenti e Maria Valente.
    Nelle parole di Maria, riconosco bene la sua saggezza e intelligenza.

    Buona domenica a te, Maria.

  53. Perdonate ma io sono di una banalità esasperante.
     
    1) Io non boicotterò mai la cultura di un paese. Posso pensare di farlo (e molto spesso lo faccio) con la sua economia, con la sua politica, etc. etc. ma non con, probabilmente, l’unica realtà dissidente di quella nazione.
    E in ogni caso: io sono pronto a non mettere al bando neppure Hitler – nel senso del mein kampf, non quello di Genna! ;-) – persino Irving può venire a parlare in Italia, per me. Io non lo boicotto. Io gli contrasto le tesi, lo sputtano.

    2) Non ha importanza se l’ipotesi di boicottaggio venga, come è stato detto, da un sparuto gruppo di sfigati. Resto dell’opinione del punto 1. Anche se poi, per la precisione tutta questa storia non viene da quattro sfigati, ma parte da lontano, dalla Giordania, dalla associazione scrittori giordani che chiede “al paese amico Italia” di boicottare la fiera del libro.
    Se domani mattina l’associazione scrittori israeliani mi chiedesse di boicottare la Giordania o il Libano o il Pakistan perché antisemiti, o sailcazzocosa, io firmerei un appello per NON boicottare.

    3) Della immane tragedia del popolo palestinese resta il fatto che, come diceva E. Said, i palestinesi sono più “fortunati” di altri popoli, perché i loro oppressori sono ebrei. Questo li mette sotto la lente d’ingrandimento dell’occidente peloso (che si dimentica senza problemi di altri, disperati, popoli).
    Chi difende o critica Israele lo fa sempre con una virulenza eccessiva, manichea. (da milan-inter, io dico. O con me o contro di me). Perché da loro vogliamo di più: più etica, più tolleranza, più democrazia, più tutto. Anche questo è implicitamente razzista. Come se “il popolo eletto”, che ha subito la shoa, si debba dimostrare degno della sua storia, sempre. Io non mi aspetto “di più” da nessun popolo, da nessuna classe dirigente di quel popolo, da nessun esercito di nessun popolo. Noi italiani siamo stati un popolo migrante e questo non ci è servito ad imparare come accogliere, oggi, i migranti. Quello che cerco, sempre, sono le voci di dissidenza, di critica, di pensiero. E quelle le trovo, normalmente, negli intellettuali di quella nazione, qualunque essa sia. Proprio perciò non le boicotto.

    4) Non cado dal pero. Che dietro ogni fiera del libro ci siano magheggi, arruffamenti, aumma aumma, furbi politicanti, traffici strani, etc. NON mi stupisce affatto. Poteva essere la sagra del libro di Baranzate, per me non cambiava nulla.

    5) in generale i toni sono troppo aggressivi, e la cosa più che indispettirmi, mi deprime. Appena accenno a una esclusione della cultura ebraica-israeliana dalla sinistra italiana mi si contrappone un elenco di letture, una bibliografia, una patente, come a dire: “non io, non ti permettere. Non osare”. Terrorizzati dall’idea che io dia, sottotraccia, dell’antisemita ad alcuno. Ma io non ho accusato, nello specifico, nessuno, e mai ci avrei pensato (se vi credessi antisemiti neppure discuterei con voi. Alcuni commenti sotto nick, qui, sono palesemente antisemiti, chi li ha scritti non è degno della mia attenzione). Parlavo di una tendenza più generale che ha rimosso quella che fu la grande speranza socialista della patria di chi non ha mai avuto patria, dei kibbutz come esperienza comunitaria, etc. Certo, speranza infranta dalla Storia (come mi ricorda WM1 in una email privata), da una nazione che si fa belligerante, aggressiva, etc. ma questo non dovrebbe spazzare via quello. A meno che “quello” fosse inconsistente, e io non lo credo.

    6) Depresso, appunto dalla virulenza, dall’aggressività. Io NON ho mai messo in dubbio le ragioni di chi non firma, né lo metto alla gogna. Vorrei fosse però rispettata la mia buona fede. Che significa, dico al mio amico Francesco Marotta, un commento come il tuo che mi dice “con chi ti sei imbarcato”, con quali loschi personaggi. Ma io mai mi permetterei di “imbarcarti” con le frange dell’estrema destra fascista che boicotta Israele nel nome della causa palestinese. Io non pretendo di convertire nessuno alla mia causa, alle mie idee, ai miei credo. Ho dato le mie ragioni, rispettoso di chi non le condivide. Vorrei lo stesso rispetto, senza manicheismi. Apporre o non apporre la firma su quel documento non ci fa diventare automaticamente amici o nemici. Almeno spero.

    7) A Diego dico: credo tu abbia un’idea un po’ falsata della realtà: io sono l’ultimo degli stronzi nel mondo dell’editoria. Che io bussi alla porta di non so chi (anche perché io le porte, i nomi, le facce, non le frequento. Non sono un fisionomista del potere, io) sperando che mi aprano e mi ascoltino mi fa un po’ ridere. Io, però, so di avere questo spazio che da sempre uso proprio per dare voce a chi spesso non ce l’ha. Mi sono proposto affinché le voci dissidenti israeliane vengano davvero invitate (e non dimenticate dall’invito ufficiale) alla fiera del libro. Eccomi, insisto.
    Sta sicuro che farò tutto quello che posso, chiederò in giro, telefonerò, manderò email ai giornali, etc. etc. MA, insisto, NON da solo. Mi sono rotto il cazzo di fare le cose da solo. Si parte sempre in 200 si arriva che siamo in tre, quando va bene, oppure da solo, perché gli altri due hanno da spostare la macchina o da cambiare la carta igienica a casa.

  54. #7
    >credo tu abbia un’idea un po’ falsata della realtà: io sono l’ultimo degli stronzi nel mondo dell’editoria

    ok ma come ti ho detto, ma forse parlo un’altra lingua o nn sono in grado di esprimermi o boh, nel più banale dei modi, utilizzando questo blog (e non esclusivamente il sig. gianni biondillo quindi), che la sua visibilità ce l’ha (vedi proprio l’appello!), di cominciare aprendo ex novo un thread in home in cui si propone: “chi si vuole mettere in mezzo a lavorare x proporre, in tempi brevissimi, un pacchetto all-inclusive con la presenza di autori israeliani very off da inserire alla fiera del libro?”.
    così come avete fatto x l’appello. si aspettano le firme, con relative email per contatti e le eventuali proposte.
    Una volta formato il gruppo, se c’è un gruppo, si passa al punto due (vedi sopra).

    >Non sono un fisionomista del potere, io

    buono a sapersi, ma onestamente non vedo che c’entra.

    >sperando che mi aprano e mi ascoltino mi fa un po’ ridere

    forse non si capiva l’ironia dell’esempio. che dirti.
    e cmq. al di là del “toc toc” che può far ridere, e che vuole fare ridere, uno che mette firme, ovvero – almeno al mio paese – uno che s’iscrive con tutta la propria identità ad una causa, è uno che per quella causa le porte è disposto – ridendo e scherzando, certo – anche a cercarle, e a bussare, con estrema serietà di intenti.

  55. Diego scrivimi in privato che ci si organizza (email di NI). Ora esco, non avrò il computer, ti leggo stasera.

  56. La superficie di Israele (confini 1967) è di circa 21000 kmq, di cui 8000 kmq costituiti dal deserto del Golan. Per fare un confronto, la superficie della Lombardia è di 23000 kmq. Buona parte della popolazione vive
    in una striscia larga dai 20 ai 50 km. e lunga 100 – 120 km. compresa tra i territori giordani e palestinesi e il mare. Attorno vi sono nazioni con cui Israele è stata in guerra 4 volte negli ultimi 60 anni (1948, 1956, 1967, 1973), una con le quaòe non è stato fatto un accrodo di pace (Siria), territori palestinesi in parte controllati da organizzazione dichiaratamente ostili a Israele (come Hamas in Cigiordania e Gaza) e che ricorrono anche a metodi terroristici contro le popolazioni civili.
    Il riconoscimento all’esistenza fisica di Israele per lacuni di questi stati è recente, per alcuni non c’è (Siria), è controverso tra le organizzazioni palestinesi. Non mancano poi numerose nazioni e organizzazioni che hanno tra i loro obiettivi politici dicchiarati o che condivono la necessità di distruggere lo stato ebraico. Da questo deriva un problema di sicurezza che ha i suoi fondamenti e che non è semplicemente paranoia.

    Il 20% dei cittadini Israeliani (1.200.000 circa su 6.000.000) è della stessa etnia, parla la stessa lingua, condivide la stessa religione (in questo periodo fortemente condizionato da tensioni integraliste) delle nazioni che vivono attrono a Israele e che hanno con Israele le relazioni sopra descritte. Conosciamo bene le reazioni di paura e di diffidenza che le minoranza accendono nelle maggioranze. In Nazione Indiana si parla d come gli Italiani trattano i rom o le altre minoranze. Sappiamo che la paura, la diffidenza e l’ostilità aumentano con l’aumento delle percentuali delle minoranze e con la percezione della loro aggressività. Ovviamente non sto giustificando questo fenomeno, ma sappiamo che esiste e che è epidemico, si sviluppa pressoché ovunque. Immaginate ora uno scenario in cui i rom fossero il 20% della popolazione lombarda (giusto per mantenere, anche se un poco aumentate, le porporzioni geografiche) e che la Lombardia fosse circondata da nazioni di popolate da rom e in condizioni di guerra dichiarata o strisciante da circa sessant’anni con la Lombardia stessa. Immaginate prestigiosi leader rom stanieri affermare la necessità di distruggere la Lombardia. Pensate che il parlamento dell’ipotetico stato lombardo sarebbe a discutere dei diritti dei rom, che la sua corte costituzionale si interrogherebbe su come conciliare questa situazione con i diritti di cittadinanza, potete immaginare quali percentuali di lombardi si porrebbe questi problemi, quanti di noi e delle persone che conosciamo eo che quotidianamente incrociamo si limiterebbero semplici slogan come buttiamoli tutti fuori o scanniamoli tutti?

    E qui apro una parentesi di vera stronzaggine, credo che i fautori degli slogan semplici e efficaci, quelli che si limitano al taglia incolla di cose scritte da altri, quelli che dicono fascista e sterminio perché ritengono che solo i termini estremi siano adeguati, quelli che rovesciano nei blog articoli non verificati e spesso inverosimili senza preoccuparsi di un minimo approfondimento, in una ipotetica situazioni lombarda come quella descritta sarebbero tra i primi ad abbandonarsi agli slogan più estremi contro le minoranze, perché a loro piace la semplificazione (quella giustamente deprecata da Carla Benedetti), piace definire a priori il nemico come sentina di tutte le colpe. Con questo non voglio dire che Israele è esente da colpe, so bene che al netto del fatto che la guerra incaniglisce, Israele le sue colpe le ha e neanche provo a contestare i rapporti di Amnesty International o l’articolo di Repubblica sui Falashà. Quello che voglio dire da quello stronzo che sono è che se ops o Marotta fossero cittadini israeliani ebrei la loro forma mentis di semplificatori li porterebbe a votare i partiti più integralisti e xenofobi, io se fossi un ebreo israeliano sarei un ebreo israeliano stronzo e velenoso, ma cercherei almeno di scavare un poco sotto le semplificazioni e cercherei di reincollare qualche coccio come fanno Oz e Grossmann.

    Torniamo agli scenari di spartizione, anche a quello accettati dalla comunità internazionale come dati di fatto. Trovate nella ex-Jugoslavia un 20% di croati in Serbia, di Serbi in Croazia o in Kossovo? Guardate come sopravvive la Bosnia, con le tre etnie di fatto separate in un insieme di enclaves e sotto enclaves tenute insieme dalla presenza delle forze ONU. Guardate cosa accade in Iraq, dove di fatto curdi, sunniti, sciti si stanno concentrando in aree etnicamente separate. Ripeto, non condivido tutto questo, ma il mondo reale è questo. Il mondo che vorremmo è un altro, ma il mondo si cambia a partire dal quello che è. In Israele i principi di piena cittadinanza per le minoranze sono esplicitamente conclamati e in grande parte applicati (senz’altro di più che in altre parti del mondo dove si vivono simili situazioni), per farli passare nel mondo reale ci sono di mezzo quelle cosine da nulla che si chiamano politica e storia, che richiedono di zittire gli integralisti e gli xenofobi e di guadagnare consenso alle proprie idee, che dipendono da fattori esterni come i razzi di Ahmadinejad. Molti in Israele ci provano, tra i quali gli scrittori che si vorrebbero boicottare a Torino, altri no.

    Tornando nel merito dell’articolo sulle quattro categorie di cittadinanza, esso è sostanzialmente infondato. La sentenza della corte suprema israeliana del 2003 vi è distorta e il quadro normativo è cambiato più volte dal 1948 a oggi e in particolare dal 2003 al 2007. Visto che sono stronzo, lascio a ops l’esercizio di verifcare ciò che va affermando, io devo tornare al mio lavoro alla Tyrell Corporetion, questo sono io al lavoro

    http://scribble.com/uwi/br/brfaq/whois-jf.html

    Sebastian

  57. da Biondillo
    frange dell’estrema destra fascista che boicotta Israele

    sei sicuro che una certa destra non ammiri e o forse invidi Israele pe quello che fa? non sono stati loro a invitare Fini? non mi risulta che egli non si ritenga camerata o che abbia in odio l fatto che suo partito derivi da un altro che gli ebrei (tutti, non solo i sionisti) ben ricordano, sulla pelle. Non mi risulta neanche che ritengano il razzismo una cosa di cui vergognarsi e ricordiamoci che l’antisemitismo è razzismo. Ne sanno qualcosa gli zingari, per esempio.

  58. a Biondillo,

    oltre israele boicotto anche la birmania e, potendo (è quasi impossibile) la Cina e altre nazioni che reputo criminali, mi spieghi perchè io e molti altri saremmo destra fascista che boicotta israele?

  59. Sebastian

    Quello che voglio dire da quello stronzo che sono è che se ops o Marotta fossero cittadini israeliani ebrei la loro forma mentis di semplificatori li porterebbe a votare i partiti più integralisti e xenofobi,

    Grazie per sapere di me più di quanto io sappia. Fa veramente picere alleggeriirsi un po’. Se fossi vissuto in Israele a quest’ora avrei chiesto asilo nella striscia di Gaza, tanto per essere coerente con le mie idee. QEsistono anche ebrei che vivono con i palestinesi, sai. Sono persone per cui l’essere ebreo viene dopo l’essere in primo luogo Essere Umano.
    Per quanto riguarda gli articoli che ti ho postato sopra perchè ritieni attenibili solo Amnesty e Repubblica? se ti colleghi alla pagina di ikipedia vedrai che a ogni numerello accnto alla notizia corrispondono links che rimandano a pagine di giornali o di organizzazioni umanitarie. Basta verificare. Uri Davis è un attivista per i diritti civili dagli anni’60 (quelle burocratiche leggi le ha viste nascere e applicare), vive in Israele in un villaggio abitato prevalentemente da palestinesi. In internet una ricerca con il suo nome più le parole apartheid (è stato uno dei primi a usarequesta parola per Israele) e Israele ti apre un mondo e non si tratta di siti destri, ma di attivisti per i diritti umani.
    Buon lavoro

  60. @ops
    Il paragrafo sui diritti umani da te citato in Wikipedia è preceduto da una avvertenza da te omessa:

    Questa sezione è ritenuta non neutrale: per contribuire, partecipa alla discussione.
    Motivo: Evidente unilateralità e documentazione faziosa e poco affidabile. Segnalazione di Sicilgolem

    A te concludere cosa questo significhi nel contesto di Wikipedia, frutto di uno sforzo di conoscenza collettiva e per quanto possibile vagliata.

    Quello che scrive Davis è sbagliato, inaccurato, non aggiornato. Puoi verificarlo da te se solo ti impegni un poco.

    Ripeto, fa uno sforzo di approfondimento, evita una volta tanto di farti condizionare da qualsiasi affermazione per il solo fatto che questa collima con le tue opinioni correnti, liberati da questa predisposizioni alle verità semplici e preconfezionate (o caratterizzate da “Evidente unilateralità e documentazione faziosa e poco affidabile”, come direbbe Wikipedia) che è la stessa che guida molti degli israeliani più integralisti e xenofobi.

    Mi potrò sbagliare, ma gli zingari non sono di origine indo-europea? Cosa c’entrano con l’anitisemitismo’

  61. Gianni, per chiudere ua polemica (che non esiste):

    1) L’amicizia, la stima, l’affetto, per quanto mi riguarda, stanno sempre fuori, ben al riparo da qualsiasi virulenza verbale del confronto dialettico. Per me. Il resto non so.

    2) Il fatto che io non sia d’accordo, in niente (e l’ho scritto chiaramente), con l’appello, non significa che metto in discussione l’onestà intellettuale e morale, l’appartenenza, la militanza, o quello che vuoi, dell’estensore e dei firmatari che conosco: sono sempre intervenuto nel merito e nella sostanza del testo, formulando delle domande, così come (pochi) altri, alle quali non è stata data nessuna risposta.

    2) Dimmi in quale commento hai subito, da parte di chiunque, attacchi alla persona, tu o chiunque abbia mai firmato l’appello: fai dei nomi, cita un solo commento, qui o altrove.

    3) Cumuli di spazzatura, invece, sono stati riversati, da tanti firmatari, sui favorevoli al boicottaggio della fiera (da antisemiti, a terroristi, ad assassini al soldo di Al Qaeda), senza che uno solo dei firmatari (che ti aspetteresti) abbia scritto due righe due per prendere le distanze su quelle oscenità.

    4) Ho scritto chiaramente, sotto la mole di immondizia scaricata da tanti “aderisco”: pensate, prima di scrivere i vostri commenti ingiuriosi, cosa debba provare, nel leggerli e nel vederseli appioppare solo perché non è d’accordo con i contenuti dell’appello, nel sentirsi dare dell’antisemita, uno che ha sangue ebreo nelle vene e che ha avuto due familiari internati e giustiziati nei lager. Antisemita anche la società civile israeliana che si oppone all’apartheid, al muro, alle violenze, alla guerra? Antisemita anche Shabtai e gli altri intellettuali che si guardano bene dall’intervenire a una fiera nella quale, parole vostre, si celebrano i valori della letteratura (sic!) come fosse un mondo a parte?

    Nessuna risposta, nessun distinguo.

    Chi vi contesta o ha contestato questo vostro diritto di esprimervi con l’appello? Nessuno, certamente non io.

    E quando, sotto l’incalzare della marea di merda (da qui a lipperatura ad altri mille blog, soprattutto quelli personali di tanti firmatari), senti che non ce la fai più a reggere ‘sta schifezza e, provocatoriamente, scrivi: bene, volete sapere come mi sento? esattamente come vi sentireste voi se qualcuno dicesse che siete tutti al soldo dell’industria editoriale…

    Apriti cielo: ecco che quella frase, estrapolata dal contesto, diventa per qualcuno l’accusa infamante lanciata a… etc. etc.
    Fate un po’ voi. Scripta manent: qui e altrove: basta leggere quello che c’è, non quello che ci fa comodo ci sia.

    Resta il fatto che: nessuno ha risposto a una sola delle “domande” poste da Inglese, Benedetti e altri: le uniche risposte che ho letto sono state, complessivamente, una rispolverata di meriti e medaglieri.

    E con questo ho chiuso. Definitivamente.

    fm

    p.s.

    Il tuo parallelo con l’estrema destra fascista antisionista non regge, né nei miei confronti, né in assoluto, si commenta da solo: se io fossi l’estensore di un testo/appello e mi accorgessi che tra quelli che “s’imbarcano” c’è gente che con le sue parole schifose getta merda innanzitutto sulle intenzioni e la ragion d’essere stessa di ciò su cui ho chiesto adesione, mi premunirei, almeno, di intervenire e fare chiarezza: io, con questi, non ci sto.

    Gianni, scusa, dov’eravate quando militanti pacifisti di provata fede antifascista, favorevoli al boicottaggio per le ragioni che in tanti hanno esposto chiaramente anche qui, sono stati insultati a sangue da epiteti ingiuriosi…? (vedi sopra).

    Ti saluto.

  62. Chiedo scusa e mi emendo da solo:

    Errata:
    La superficie di Israele (confini 1967) è di circa 21000 kmq, di cui 8000 kmq costituiti dal deserto del Golan.

    Corrige:
    La superficie di Israele (confini 1967) è di circa 21000 kmq, di cui 8000 kmq costituiti dal deserto del Negev.

  63. Sebastian
    indipendentemente dall’avvertenza i link sono a notizie vere. Fai lo sforzo di andare a guardare, poi al limite criticale singolarmente.

    Sebastian
    In Israele i principi di piena cittadinanza per le minoranze sono esplicitamente conclamati e in grande parte applicati (senz’altro di più che in altre parti del mondo dove si vivono simili situazioni),

    Spero che Noam Chomsky non sia per te un nome sconosciuto. Ha idee leggermente diverse dal suo amico Uri e non è schierato per il boicottaggio, ma non nega il fatto che la cittadinanza è diversa a secondo se sei Ebreo o no. L’intervista è del 2004
    Se credi che questa sia un’intervista falsificata ti cerchero’ l’originale in inglese, se intanto vuoi cominciare a leggerla.
    http://www.zmag.org/italy/chomsky-ordinemondiale.htm

    Comunque Uri Davis è contattabile via e-mail e puoi chiedergli direttamente cosa è cambiato e perchè nel sito dell’associazione MAIAP c’è ancora la richiesta di boicottaggio e la raccolta firme.
    Dr. Davis can be reached by email at uridavis@actcom.co.il.
    tratto la mail da: http://student.cs.ucc.ie/cs1064/jabowen/IPSC/php/authors.php?auid=1

    non riuscirò a rispondere a tutto perchè devo partire. ti consiglio di leggere anche questa intervista a Mustafa Barguti che parla di lotte comuni tra israeliani e palestinesi contro il muro, del’utilità delle pressioni internazionali e anche di boicottaggio e di accordi militari tra italia e Israele
    http://www.peacelink.it/palestina/a/23297.html

  64. Per rispondere a Georgia,

    Sono d’accordo con Maria per il suo sguardo acuto, sottile, senza concessione. Son d’accordo anche con i firmatori, ho già spiegato che è importante che un paese sia riconosciuto nella sua memoria (che ha tanto sofferto) e che gli intellettuali possano aprire un dialogo.
    Sono lunatica ma non volubile. Riconosco intelligenza di vista a quelli che hanno firmato e a quelli che non hanno firmato.

  65. Sebastian
    In Israele i principi di piena cittadinanza per le minoranze sono
    sebastian, rispondo a questa e poi via
    Mi potrò sbagliare, ma gli zingari non sono di origine indo-europea? Cosa c’entrano con l’anitisemitismo’

    hai presente cosa fecero i nazisti agli ebrei e agli zingari, ma anche agli omossessuali e ai dissidenti prima e durante la seconda guerra mondiale?
    quali tra questi gruppi erano quelli che, anche volendo cambiare parrocchia (gli omossessuali diventare etero e i dissidenti diventare nazi, per esempio) non avevano comunque scampo non potendo cambiare il loro certificato di nascita? per non parlare dei neri che non potevano scampare perchè ancora non si era scoperto (o era troppo costoso) il metodo M. Jackson. L’antisemitismo non è altro che quella forma di Razzismo che ha come specifico bersaglio gli ebrei (la chiesa cattolica ha parecchie responsabilità in merito), ma è raro che sia circoscritta solo a loro, di solito non sopporta parecchi umani (per etnia/povertà/religione per es.). Non so se l’odio particolare per i neri, i bianchi (può esistere anche questo anche se non ci fa felici vista la nostra abitudine a predominare) o gli aborigeni australiani ha un nome specifico. La parola Razzismo li comprende tutti.
    E questa cosa terribile succede ancora, forse, se ci pensi bene, colpisce anche i palestinesi perchè anche loro, pur volendolo (può succedere) non possono cambiare il proprio certificato di nascita, i propri nonni ecc.. i religiosi hanno anche difficoltà a cambiare religione per inscriversi in un’altra vincente (non necessariamete ebraica) e per i laici non ne parliamo.

    ok, meglio se vado altrimenti cazzeggio e non va bene. Starò via per un po’, in vacanza e senza internet tra i piedi.
    bye

  66. Ops fai uno strano salto della quaglia. Non ho mai detto che tu “e molti altri” sareste “destra fascista che boicotta israele”. Mai. Leggi, ovunque ho scritto. MAI.
    E così Francesco Marotta. MAI detto che tu sia antisemita. MAI.
    Che esistano gruppi neofascisti che appoggiano la lotta di liberazione palestinese è un fatto (non oso neppure linkarvi, per lo schifo, i loro siti). Detto ciò io so perfettamente distinguere loro da quelli con cui qui interloquisco. E vorrei che si facesse lo stesso con me. Distinguermi dagli eventuali “imbarcati”.
    Ecco l’aggressività che sento in questi commenti. Leggiamo quello che vogliamo leggere. Forse è vero, occorre staccare la spina, che qui si gira a vuoto.
    Con Francesco so che, de visu, di fronte una birra, riusciremo a comprendere le rispettive posizioni (io la sua la trovo assolutamente coerente, insisto. Non voglio convertirlo a un bel niente). Con ops, non sapendo chi sia, non potrò spiegarmi. Purtroppo.

  67. Sebastia
    chiaro che per me è importante parlare di Razzismo prima ancora di antisemitismo e questa cosa interessa anche agli ebrei. Infatti in Europa molti di loro, memori della loro esperienza si schierano e condannano anche l’aumento del razzismo nei confronti dei mussulmani e degli stranieri in genere

  68. Biondill,
    leggo di corsa e prima di staccare la spina, Non metto in dubbio la buona fede, neanche nella firma, ma una certa frettolosità sì. Se vi foste presi dieci minuti di riflessione non sareste costretti (non da noi, ma da vostre riflessioni successive) a dare un sacco di spiegazioni. Punto.
    Facendo così avreste potuto probabilemnte anche aiutare chi ha scritto l’appello a formularlo meglio o fare altro. punto.
    Ti invito anche a riguardare la frase che ho contestato prima perchè può essere letta in modo ambiguo.
    Secondo me la Destra non è interessata al boicottagio così come inteso dai palestinesi e dagli ebrei che lo hanno promosso e da noi che lo pratichiamo pacificamente.
    Sono interessati a forze di potere che esulano dai boicottaggi e vanno dritti alla carne umana. Per questo li temo e temo gli infiltrati in qualsiasi manifestazione per la palestina. Se ne hai frequentato qualcuna non puoi non esserti chiesto come mai a fronte di esplicite richieste di pacifismo da parte dei palestinesi alla fine saltassero fuori un paio di coglioni in passamontagna (italiani) a bruciare bandiere e subito accanto operatori televesivi di cui prima non avevi avvertito la presenza. Chi dei manifestanti ha provato a levargli il passamontagna e allontanarli si è ritrovato spintonato o peggio. Comunque si voglia chiamare quella gente: è Destra, Destra pura
    e il treno passa tra mezz’ora. Ciao

  69. Caro Diego, mi dispiace di non averti conosciuto di persona. E mi dispiace ancor di più che debba essere proprio io a dirtelo: il Mossad è già sulle tue tracce. E non ti servirà a nulla bruciare quei vecchi poster e volantini che tieni in soffitta. Loro sanno chi sei.

  70. Perdonami per prima, solo che sdrammatizzare, a volte, può servire.
    La tua proposta credo sia apprezzabile da tutti, anche da chi ha già firmato l’appello di montanari e degli altri. E concordo pienamente con te nel richiedere la partecipazione di soli autori Israeliani, (di nascita, abitanti lo stato di Israele, di qualsiasi lingua e religione, o con passaporto israeliano ma autoesiliati) e di evitare autori palestinesi(richiesta inutile poichè realmente impossibile); insomma di invitare le varie culture e le differenti anime del pensiero che fanno riferimento ad Israele. Poichè parlare di Cultura Israeliana (come fosse una e monolitica) per me che sono antropologo è una follia addirittura pre Levistraussiana, come se esistesse Una Cultura italica..

    comunque se il progetto nasce mi impegno a fare il possibile per rendermi utile..veramente contaci..

    non ricordo se è stato fatto anche il nome di Keret..potrebbe essere una buona idea…

  71. >comunque se il progetto nasce mi impegno a fare il possibile per rendermi utile..veramente contaci..

    Ci stiamo mettendo mano… sarà pronto quanto prima.
    Nel frattempo c’è da “saggiare” un po’ il terreno.
    grazie cmq.

  72. Vi metto a disposizione un po’ di cosa scritte agli amici con cui si è discusso di questi temi.

    Sul problema di cosa sia un certo antisionismo e se sia o meno un
    antisemitismo larvato provo a dire la mia.
    In primo luogo è evidente che l’atteggiamento degli israeliani, ebrei e
    peggio ancora “amici d’Israele” che rispondono alle critiche dure alla
    politica israeliana o persino alle eventuali contradizioni che alcuni vedono insiste nel
    progetto sionista, tacciando chiunque li espliciti di antisemitismo sia
    liquidiatorio e strumentale. E’ un modo vittimistico per far tacere. E capisco che possa far incazzare.
    Ma questo forse non è tanto un problema nostro. Il problema nostro è quello
    di capire cos’è che non va nell’atteggiamento di quelli che starebbero dalla
    nostra parte, di quelli che avrebbero a cuore il diritto delle persone e dei
    popoli e la fine del conflitto.
    Quel che non va è l’eccesso di risentimento per non dire di odio nei
    confronti di Israele. Quel che non va (sono esempi emblematici) è quando si
    parla di genocidio, quando si sottolinea mille volte che chi è stato vittima
    è diventato carnefice e dunque non merita più nessun appoggio, nessuna
    empatia.
    E questo vedere tutto con le maiuscole: la VITTIMA che diventa CARNEFICE e
    dunque diventa NEMICO.
    Bebbe Sebaste e Moresco si chiedono se reazioni analoghe a quelle di oggi si
    sarebbero avute se si fosse trattato degli USA, della terribile Russia di
    Putin e altri. In genere il metodo “eh, ma che ti indigni a fare per questa
    roba qui, non vedi che nei casi x y è pure peggio” è un’altra mossa
    scorretta. Ma qui la domanda del perché il male commesso da Israele susciti
    reazioni così imparagonabilmente più violente, credo sia giusto porsela.
    Cos’è che viene proiettato su Israele che non viene invece proiettato su
    altri? Io credo che c’entri la percezione di quell’impercettibilmente altro
    di cui parlava Beppe citando Jankelevitch. E’ come se fosse lo specchio su
    cui far riflettere quel che espelliamo da noi stessi. E questo è pericoloso.
    E’ sempre stata una componente essenziale dell’odio contro gli ebrei.
    Poi, d’accordo, c’è anche un fatto tradizionale, nel senso che molte persona
    di sinistra si sono interessate alla questione israelo-palestinese da molto
    tempo, essendo un nodo centrale degli equilibri geopolitici mondiali ed
    essendo stato un tempo anche un luogo in cui ci si poteva identificare
    politicamente con Al-Fatah.
    Tornando a quanto dicevo sopra, quel che mi ha sempre colpito è la scarsa
    disposizione dei filopalestinesi di mettersi nei panni degli israeliani: di
    pensare, per esempio, cosa succederebbe qui se per anni tutta la popolazione
    dovesse vivere con la paura di attentati, se i paesi limitrofi continuassero
    a negare il diritto all’esistenza al paese dove vivi, se la possibilità di
    guerre fosse il tuo orizzonte quotidiano ecc. Io credo che la cultura
    israeliana abbia fatto da diga straordinaria verso una deriva razzista e
    fascista che poteva essere ben più forte di così, frutto di una paranoia
    collettiva che non bisogna aver subito secoli di persecuzioni più sterminio
    per poter sviluppare. Attenzione: capire non significa giustificare. Capire
    significa capire.
    Io credo di poter capire e lo spiego anche ai filoisraeliani beccandomi la
    mia dose di insulti e sputi e “traditrice”, quel che spinge un ragazzo dei
    territori verso Hamas o a fare lo shahid che è poi l’emblema, se volete,
    della tragedia, della fusione di vittima e carnefice in cui si condensa la
    tragedia.
    Ma non capisco come sia possibile che chi non vive quell’esperienza, dal
    massimo di comprensione ed empatia sacrosanta finisca in un’identificazione
    assoluta. Questo è anche rifiutare la cosa che fa più male, la tragedia.
    Questo manicheismo che non solo fa della parte prescelta i buoni di fronte
    ai cattivi, ma assorbe persino la loro paranoia vittimaria (vittimaria, non
    vittimista: per capirci) è abberrante.
    Se io, israeliano non razzista, convinto dei diritti dei palestinesi ad uno
    stato, ma affezionato q.b. al mio paese ecc., se io ebrea cogliona da sempre
    di sinistra, mi sento investire di queste ondate di virulenza bava alla
    bocca che ti dicono “solo se diventi come Shabtai o Chomsky ecc, puoi
    considerarti degno di rispetto”, mi sento aggredita ed isolata. E sì,
    l’imprintig di secoli di antisemitismo qualcosa c’entra. Perché così come
    una donna è capace di distinguere fra maschilismo più o meno blando, ma
    comunque fastidioso e vera e propria misoginia, così io sono in grado di
    avvertire la differenza fra un’adesione appassionata a chi subisce
    ingiustizia e il risentimento virulento per un nemico indistinto.
    Se dalla parte da cui voglio stare mi viene incontro una ferocia che sempra
    riguardare anche me, faccio sempre più fatica a stare da quella parte. Ci
    vuole, per riuscirci, lo sforzo della ragione e del senso di giustizia a
    prescindere. Sta capitando anche così che si erode sempre più il campo di
    chi cerca mediazioni e i muri diventano sempre più alti. Molti intellettuali
    israeliani che hanno fatto molto per chiarire cosìè veramente successo ai
    palestinesi, hanno gettato la spunga. Penso a Benny Morris, ad esempio.
    Ovvio che non è primariamente colpa dei filopalestinesi non palestinesi, ma
    il fatto che si identifichino quasi senza residui coi palestinesi non aiuta certo.
    Le cosa sono ancora più complicate di così, ma per ora mi fermo.

    un abbraccio a tutti

    h

    Prima aggiunta: così come un certo modo di ricordare la shoah e sottolineare
    la sua unicità, ha avuto l’effetto di oscurare i genocidi (per non dire dei
    semplici “pogrom” o pulizie entiche) precedenti e soprattutto successivi,
    legittimando l’indifferenza nei confronti di quelli che si stavano
    compiendo, così un certo tipo di adesione alla causa palestinese è stata
    deresponsabilizzante nei confronti dei molti massacri e delle molte
    oppressioni sistematiche che si stavano e stanno compiedo altrove.
    E questo, a mio modo di vedere, non è solo eticamente inaccettabile, ma
    anche di una miopia politica estrema, incompatibile sia con una visione
    davvero egalitaria e universalistica degli uomini che del mondo globale e
    globalizzato dove non puoi semplicemente fottertene di quel che succede in
    Africa, in Cecenia, in Indonesia o nei Balcani perché quelli sembrano nodi
    meno importanti dal punto di vista geopolitico.

    Seconda aggiunta: il boicottaggio come strumento di critica e protesta non
    mi piace. Non mi piace nei confronti della letteratura, anche se
    rappresentata da una nazione e immagino dunque ambasciatori e ministri della
    cultura oltre che singoli scrittori e non mi piace in genere. Mi sembra uno
    strumento di aggressività passiva ottusa che rischia di compattare attorno
    al paese espulso anche chi in genere ne è critico. E quindi non lo
    applicherei neanche all’Iran, non ai libri e neppure, per dire, ai tappeti o
    ai melograni. @ ops. persino con la Birmania e la Cina avrei dei dubbi, anche se è assai più verosimile che il boicotaggio funzioni senza contracoplpi se indirizzato a una dittatura. Secondo me, visto che riemerge l’esempio del Sudafrica, anche in quel caso le ragioni del successo furono assai più complicate.

    Aggiungo per Sebastian: c’è qualcosa che non mi quadra in quel che scrivi e che riguarda il come. Ad esempio il modo in cui metti giù il parallelismo con Lombardia e rom, mi pare contenere una certa forzatura retorica che facilmente ottiene il risultato di non generare ascolto. Se continuiamo a far cozzare una contra l’altra posizioni che pretendono di essere oggettive e di aver ragione, non cominciamo più a ragionare insieme.

  73. @helena
    Sul problema di cosa sia un certo antisionismo e se sia o meno un
    antisemitismo larvato provo a dire la mia.
    In primo luogo è evidente che l’atteggiamento degli israeliani, ebrei e
    peggio ancora “amici d’Israele” che rispondono alle critiche dure alla
    politica israeliana o persino alle eventuali contradizioni che alcuni vedono insiste nel progetto sionista, tacciando chiunque li espliciti di antisemitismo sia liquidiatorio e strumentale. E’ un modo vittimistico per far tacere. E capisco che possa far incazzare. Ma questo forse non è tanto un problema nostro.
    >> a quanto pare, pure tu, pur non avendomi dato dell’antisemita, hai cercato di liquidare un mio commento al primo thread sulla fiera del libro parlando di un mio risentimento (non ricordo la parola esatta) che contraddistingue la mia posizione.
    E il problema è nostro e di tutti, visto quanto è diffuso in Italia e in alcuni dei commenti al blog.
    Sull’Italia basti citare questo inizio di articolo di Furio Colombo sull’Unità del 10 febbraio

    Il giorno delle svastiche

    di Furio Colombo
    Nel giorno in cui ci avvertono che i nomi di docenti ebrei o ritenuti ebrei vengono indicati in un elenco su un misterioso sito antisemita, presumibilmente a cura del vasto rigurgito di destra che è rimasto tra le rovine del passato e i tentativi – sempre incompleti, a volte disastrati – di costruire una vera civiltà democratica, in un giorno così minaccioso abbiamo il dovere di allargare la brutta scena che stiamo osservando. Cercare tra i fascisti è un esercizio ovvio e però marginale, se si considera che solo pochi giorni fa abbiamo dovuto difendere gli scrittori israeliani che saranno onorati a maggio al Salone del Libro di Torino, dalla minaccia di boicottaggio (ovvero di un atto di disprezzo verso lo Stato di Israele, che di tutto ciò è simbolo, imperfetto ma pieno), e se si tiene conto che quelle minacce venivano da alcuni che sono o ritengono davvero di essere di sinistra, cioè dalla parte che ha combattuto e pagato con la vita per ridare la libertà e la dignità all’Europa senza il fascismo.
    Non c’è bisogno di conferme: l’antisemitismo è vivo, sa come nascondersi, spostarsi e rinascere. E questo spiega perché alcuni di noi si sono battuti perché ci fosse un “Giorno della Memoria”; per ripensare a uno dei momenti più spaventosi di quel male, che è stato sul punto di riuscire nel progetto di sterminio di un popolo e di una cultura. Propongo che sia necessario notare un fatto che aiuta non tanto le grida di scandalo quanto la riflessione. Fatti del genere accadono in coincidenza con un espandersi, niente affatto mistico, ma esclusivamente terreno, della Chiesa cattolica come potere politico, capace di dare regole, di dettare leggi, di impartire ordini, di punire e premiare, per esempio con il voto.Qui importa notare l’intreccio fra l’allargarsi – nei fatti – di un potere temporale della Chiesa, che torna a parlare con una volontà di controllo su tutto, pensieri inclusi. E il ritorno di un atteggiamento di potenza, di intervento, di arbitrio, di coloro che colgono – nel loro modo distorto però già noto nella storia – il messaggio: si può dare la caccia, cominciando con il disprezzo, a chi non è nella Chiesa.. [e l’articolo prosegue attaccando la Chiesa]

    faccio presente che
    1. Il sito “misterioso” era solo anonimo, ovviamente antisemita, come ce ne sono tanti, di antisemiti e razzisti in giro a livello nazionale e internazionale (c’è anche quello sugli ebrei antisionisti, citati in ordine alfabetico lettera per lettera, con tanto di commenti uno a uno, mentre in questo caso italiano non si era fatto che appendere nel sito la lista di docenti della Sapienza non solo ebrei – lista tuttora visibile! – che avevano firmato una petizione : dove sta lo scandalo nello scoprire uno dei tanti siti anonimi antisemita che da tempo circola in rete e che copiaincolla una lista di formatari?)
    2. Dal sito antisemita venuto alla ribalta grazie anche alle falsità e all’enfasi di cui i media l’hanno avvolto si è fatto questo percorso

    SITO ANTISEMITA –> DIFFUSIONE ANTISEMITISMO STORICO (FASCISMO)–> FIERA DEL LIBRO –> MINACCE DA PARTE DI GENTE CHE SI RITIENE DI SINISTRA –> ANTISEMITISMO CHE SI SPOSTA SI TRASFORMA RINASCE –> LA CHIESA CATTOLICA COME UNA DELLE PRINCIPALI CAUSE DI QUESTO FENOMENO.

    In un colpo solo si è detto, implicitamente, che l’antisemitismo storico di destra si è ora diffuso a sinistra e grazie alla Chiesa si diffonde altrove dando “la caccia” a chi non è cattolico – gli ebrei evidentemente, per primi. Antisemitismo a destra, a sinistra, e ovunque, insomma….

    Continuo con helena
    Il problema nostro è quello
    di capire cos’è che non va nell’atteggiamento di quelli che starebbero dalla nostra parte,
    >> quale parte?

    di quelli che avrebbero a cuore il diritto delle persone e dei popoli e la fine del conflitto. Quel che non va è l’eccesso di risentimento per non dire di odio nei confronti di Israele.
    >> non è né risentimento né odio verso Israele, è avversione verso le sue politiche.

    Quel che non va (sono esempi emblematici) è quando si parla di genocidio, quando si sottolinea mille volte che chi è stato vittima
    è diventato carnefice e dunque non merita più nessun appoggio, nessuna
    empatia.
    >> genocidio tecnicamente è una parola eccessiva per le politiche di Israele, ma non è che ci si oppone solo se è genocidio verso e proprio: quel che si vede nella West Bank pur non essendo vero genocidio è piùche sufficiente per provocare denuncia e lotta (nonviolenta) qui da noi.

    E questo vedere tutto con le maiuscole: la VITTIMA che diventa CARNEFICE e dunque diventa NEMICO.
    << Odia il peccato non il peccatore: il nemico è l’ingiustizia non Israele. Certo che poi a livello personale nel confronto tutti ci dimentichiamo di questo, a volte.

    Bebbe Sebaste e Moresco si chiedono se reazioni analoghe a quelle di oggi si sarebbero avute se si fosse trattato degli USA, della terribile Russia di Putin e altri. In genere il metodo “eh, ma che ti indigni a fare per questa roba qui, non vedi che nei casi x y è pure peggio” è un’altra mossa scorretta.
    << Già a poi magari Sebaste e Moresco si sbagliano.

    Ma qui la domanda del perché il male commesso da Israele susciti
    reazioni così imparagonabilmente più violente, credo sia giusto porsela.
    <<Perché è un paese occupante da 40 anni? Perché è al centro di un coflitto che coinvolge il Medioriente, l’area più calda del mondo? Magari sono questi i motivi più che il fatto che sia lo stato ebraico.

    Cos’è che viene proiettato su Israele che non viene invece proiettato su
    altri? Io credo che c’entri la percezione di quell’impercettibilmente altro
    di cui parlava Beppe citando Jankelevitch. E’ come se fosse lo specchio su
    cui far riflettere quel che espelliamo da noi stessi. E questo è pericoloso.
    E’ sempre stata una componente essenziale dell’odio contro gli ebrei.
    <>la prima che hai detto, per quanto mi riguarda, Fatah e Arafat mai mi hanno affascinato in sè.

    Tornando a quanto dicevo sopra, quel che mi ha sempre colpito è la scarsa disposizione dei filopalestinesi di mettersi nei panni degli israeliani: di pensare, per esempio, cosa succederebbe qui se per anni tutta la popolazione dovesse vivere con la paura di attentati, se i paesi limitrofi continuassero a negare il diritto all’esistenza al paese dove vivi, se la possibilità di guerre fosse il tuo orizzonte quotidiano ecc. Io credo che la cultura israeliana abbia fatto da diga straordinaria verso una deriva razzista e fascista che poteva essere ben più forte di così, frutto di una paranoia collettiva che non bisogna aver subito secoli di persecuzioni più sterminio per poter sviluppare. Attenzione: capire non significa giustificare. Capire significa capire.
    >> sulla difficoltà di identificarsi siamo d’accordo, ma non è solo la difficoltà ad identificarsi quando si subisce attentati ma anche quando si accetta uno stato che pratica il terrorismo, che spara sulla basilica della natività a Betlemme quando questa è scelta come rifugio. Confesso che fatico a identificarmi con un isrealiano che accetta tutta questa serie di cose come normali.

    Io credo di poter capire e lo spiego anche ai filoisraeliani beccandomi la
    mia dose di insulti e sputi e “traditrice”, quel che spinge un ragazzo dei
    territori verso Hamas o a fare lo shahid che è poi l’emblema, se volete,
    della tragedia, della fusione di vittima e carnefice in cui si condensa la
    tragedia. Ma non capisco come sia possibile che chi non vive quell’esperienza, dal massimo di comprensione ed empatia sacrosanta finisca in un’identificazione assoluta. Questo è anche rifiutare la cosa che fa più male, la tragedia.
    Questo manicheismo che non solo fa della parte prescelta i buoni di fronte ai cattivi, ma assorbe persino la loro paranoia vittimaria (vittimaria, non vittimista: per capirci) è abberrante.
    Se io, israeliano non razzista, convinto dei diritti dei palestinesi ad uno
    stato, ma affezionato q.b. al mio paese ecc., se io ebrea cogliona da sempre di sinistra, mi sento investire di queste ondate di virulenza bava allabocca che ti dicono “solo se diventi come Shabtai o Chomsky ecc, puoiconsiderarti degno di rispetto”, mi sento aggredita ed isolata. E sì,
    l’imprintig di secoli di antisemitismo qualcosa c’entra. Perché così come
    una donna è capace di distinguere fra maschilismo più o meno blando, ma comunque fastidioso e vera e propria misoginia, così io sono in grado di avvertire la differenza fra un’adesione appassionata a chi subisce
    ingiustizia e il risentimento virulento per un nemico indistinto.
    >> permettimi di dubitare delle ultime tue frasi, per quanto rigaurda me. Per il resto apprezzo molto della tua analisi. Anche se per me è necessario sempre ricordare che qui non c’è una situazione simmetrica: due stati in guerra, due vittime, qui c’è una pseudoguerra tra uno stato che occupa da 40 anni un popolo oramai quasi senza terra, visto tutte le colonie costruite (come dicono appunto Chomsky e Shabtai – e molto meno gli altri.)

    Seconda aggiunta: il boicottaggio come strumento di critica e protesta non mi piace. Non mi piace nei confronti della letteratura, anche se
    rappresentata da una nazione e immagino dunque ambasciatori e ministri della cultura oltre che singoli scrittori e non mi piace in genere. Mi sembra uno strumento di aggressività passiva ottusa che rischia di compattare attorno al paese espulso anche chi in genere ne è critico. E quindi non lo applicherei neanche all’Iran, non ai libri e neppure, per dire, ai tappeti o ai melograni. @ ops. persino con la Birmania e la Cina avrei dei dubbi, anche se è assai più verosimile che il boicotaggio funzioni senza contracoplpi se indirizzato a una dittatura.
    — Su questo ci sarebbe molto da dire, ricordo solo che il boicottaggio è un diritto ed è uno strumento nonviolento.

    Posso contraccambiare l’abbraccio?
    Lorenz

  74. @ Lorenzo

    1) ovviamente sì

    2) IO NON SONO FURIO COLOMBO!!!!
    Scherzi a parte: mi rendo conto che l’informazione spesso gioca sporco e che per una parte è interessata a far passare l’assioma che la sinistra di un certo tipo è antisemita ossia che l’antisemitismo oggi è di sinistra, cosa che è una grandissima stronzata, che sia o meno detta in malafede, come il più spesso è. In più, io non salto dalla gioia a vedere che Fini o peggio ancora dei bravi leghisti strarazzisti (gli ebrei son diventati bravi occidentali che lavorano) diventano amici di Israele e del popolo ebraico, o che certi scoprono una cosa idilliacamente unita dal trattino che si chiama “cultura giudiaico-cristiana” da opporre al nemico islamico cattivo.
    3) no, non c’è una situazione simmetrica. Ma se chiedo uno sforzo di comprensione dell’altra parte, non chiedo che si vesta una posizione assetticamente bipartisan. E non ti chiedo di identificarti. Solo considerare le difficoltà cui va incontro un cittadino x israeliano, le sue paure reali, che diventano come sempre facilmente manipolabili sia dai media che dalla politica, israeliani e non. Che Ahmadinejad o altri continuino a dichiarare che Israele vada distrutta, certo non lo aiuta a dire “beh, col cazzo che quest’ennesimo raid me lo spacciate per leggittima difesa”.

  75. Dopo avere a lungo riflettuto se mi si nota di più se commentavo le motivazioni di Gianni o se non le commentavo, non sono arrivato ad una conclusione :). Tuttavia restando nel dubbio ho deciso di postare, che mi si noti o meno, perchè le sue motivazioni concordano pienamente con le mie e soprattutto ho apprezzato molto il modo in cui le ha espresse.
    JP Rossano
    http://www.jprossano.com

  76. lorenzo per la precisione l’elenco stilato dal gruppo ultrasionista di ultradestra americano, masada (che è una bella porcata e che gira in rete indisturbato, senza che pacifici si sia mai preso la briga di denunciarlo), non credo che possa essere definito elenco di ebrei antisionisti. Molti di quelli elencati tu forse li definiresti sionisti, e, per quanto riguarda Yossi Beilin (per intenderci quello che ha scritto il patto di Ginevra insieme al palestinese Yasser Abed Rabbo), si autodefinisce sionista, ed infatti è stato più volte ministro, oggi è a capo del partito di sinistra Meretz-Yachad. Diciamo che sono solo persone che danno noia all’ultradestra israeliana, fra loro (nella lista) c’è anche lo scrittore Amos Oz.
    Per questo forse sarebbe bene non usare il termine sionista alla io boja, esistono sionisti di sinistra che pensano come noi, o perlomeno, in parte, come me, o che per lo meno mi guarderei bene dal definirli fascisti.
    Il guaio di certa sinistra è di fare sempre di tutta un’erba un FASCIO ;-).
    Il razzismo in fondo non è altro che vedere gli altri tutti uguali, come fossero formiche, senza percepirne le differenze. Perchè il male assoluto è sempre un tutto unico senza differenze.
    geo

  77. @helena
    Helena,
    hai ragione sul fatto che il mio parallelismo con la Lombardia e i rom abbia qualche forzatura, ma mi è sembrato un modo creare un modellino di compensato o cartapesta, una maquette in scala 1:1, che rappresenti anche i termini numerici la situazione israeliana rispetto al problema del rispetto delle minoranze. Forse ce ne sono di migliori, anche come efficacia narrativa, a me è venuto in mente quello, Per il resto
    – cerco di discutere di una cosa alla volta ed evito ad esempio (una paio di volte non mi è riuscito) di controbilanciare le colpe di Israele con quelle dei palestinesi e dei paesi arabi
    – cerco di evitare gli slogan, soprattutto quelli più efficaci e di successo, che una volta resi noti, sono usati a ripetizione fino nascondere la realtà dei fatti cui si riferiscono. Così mi interessa di più trovare la specifica sentenza della corte suprema israeliana, che l’ennesima ripetizione di uno slogan sia pure ad opera di Chomsky
    – cerco di evidenziare il meccanismo della deriva verso i termini estremi, per cui, individuata una colpa o una responsabilità della parte avversa nella polemica, non si riesce a evitare di descriverla nei termini più negativi e appunto estremi (fascista, razzista, sterminio, apartheid)
    – cerco di trattenermi di fronte ad affermazioni con quelle di Maurizio Matteuzzi (dal Manifesto, 6 febbraio) citata in https://www.nazioneindiana.com/2008/02/06/nel-nome-della-letteratura/#comments
    che descrive Israele come terza potenza militare mondiale (e Francia, Germania, Regno Unito, Repubblica Popolare Cinese, India, Pakistan… ?)
    e che rimprovera a Oz,Grossmann,Yehoshua di non essere in esilio come Gardimer o Coetze durante l’apartheid in RSA

    Forse mi interessa più come discutere che loggetto del discutere

I commenti a questo post sono chiusi

articoli correlati

Non chiamatela Banlieue

di Gianni Biondillo
Innanzitutto: non è una banlieue. Smettiamola di usare parole a sproposito, non aiuta a capire di cosa stiamo parlando. E, a ben vedere, non è neppure più una periferia. Dal Corvetto a Duomo ci vuole un quarto d'ora di metropolitana, siamo ormai nel cuore della metropoli lombarda.

Il venditore di via Broletto

di Romano A. Fiocchi
Sono trascorsi molti anni ma mi ricorderò sempre di quel giorno gelido di fine gennaio in cui lo incontrai. Lavoravo come fotoreporter da circa tre mesi, mi aveva assunto in prova l’agenzia Immaginazione.

Il cuore del mondo

di Luca Alerci
Vincenzo Consolo lo incontrai, viandante, nei miei paesi sui contrafforti dell’Appennino siciliano. Andava alla ricerca della Sicilia fredda, austera e progressista del Gran Lombardo, sulle tracce di quel mito rivoluzionario del Vittorini di "Conversazione in Sicilia".

Apnea

di Alessandro Gorza
Era stata una giornata particolarmente faticosa, il tribunale di Pavia l’aveva chiamata per una consulenza su un brutto caso. Non aveva più voglia di quegli incontri la dottoressa Statuto, psicologa infantile: la bambina abusata coi suoi giochi, i disegni, gli assistenti sociali e il PM, tutti assieme ad aspettare che lei confermasse quello che già si sapeva.

Spatriati

Gianni Biondillo intervista Mario Desiati
Leggevo "Spatriati" e pensavo al dittico di Boccioni: "Quelli che vanno", "Quelli che restano". Il tuo è un romanzo di stati d'animo?

La fuga di Anna

Gianni Biondillo intervista Mattia Corrente
Mi affascinava la vecchiaia, per antonomasia considerata il tramonto della vita, un tempo governato da reminiscenze, nostalgie e rimorsi. E se invece diventasse un momento di riscatto?
gianni biondillo
gianni biondillo
GIANNI BIONDILLO (Milano, 1966), camminatore, scrittore e architetto pubblica per Guanda dal 2004. Come autore e saggista s’è occupato di narrativa di genere, psicogeografia, architettura, viaggi, eros, fiabe. Ha vinto il Premio Scerbanenco (2011), il Premio Bergamo (2018) e il Premio Bagutta (2024). Scrive per il cinema, il teatro e la televisione. È tradotto in varie lingue europee.
%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: