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Guido Guinizelli

di Franco Buffoni

Al tempo in cui i programmi scolastici erano rigidi e lo studio delle letterature avveniva in maniera esemplarmente cronologica, Guido Guinizelli entrava nella nostra vita durante l’inverno dei sedici anni per consegnarci diciassettenni alla primavera. Al cor gentil repara sempre Amore veniva letto dopo Già mai non mi conforto di Rinaldo d’Aquino e Disgusto del mondo di Compiuta Donzella, e prima di Chi è questa che vèn, ch’ogn’om la mira di Cavalcanti.
Il Gianni-Balestreri-Pasquali dell’editrice D’Anna (Messina-Firenze) volume I, Dalle origini alla fine del Quattrocento, gronda annotazioni a penna e in matita, con una bella parentesi graffa (noi dicevamo graf) ad abbracciare la differenza tra concezione ontologica e concezione gnoseologica dell’amore, e una tonda ad elencare le immagini naturali (sole fuoco selva luce pietra stella calamita) il cui continuo lampeggiare doveva colpirci in Guinizelli.
Certo, l’amore operava sull’animo come Dio per mezzo delle Intelligenze operava sui cieli, e ancor più convincentemente l’amore poneva in esercizio le disposizioni virtuose, allo stesso modo in cui l’intelligenza attiva, o Dio, attuava la potenza conoscitiva dell’uomo rappresentata dall’intelletto possibile. Si doveva ripetere tutto questo e io lo ripetevo, ma l’avrei capito solo alcuni anni più tardi, quando la stesura della tesi di laurea sul Portrait of the Artist as a Young Man di Joyce mi costrinse a riprendere con sguardo più maturo lo studio della filosofia di S. Tommaso, e a valutare quel Bonum est in quod tendit appetitus nella sua accezione più tremenda e sibillina, più joyciana: appetitus stava per voglia…
Di strofa in strofa splendeva nell’intelligenza del cielo Dio creatore, ma gli attacchi più sottolineati erano quelli del fuoco d’amore che in gentil cor s’apprende e dell’amore che per tale ragione sta in cor gentile. Altri due testi portano sottolineature e spiegazioni: I’ vo’ del ver la mia donna laudare e Veduto ho la lucente stella diana. Sonetti che non dovevano avermi particolarmente colpito perché nessun verso mi è rimasto nella memoria. Poi avviene una cosa strana nel mio vecchio libro di scuola: il quarto testo guinizelliano antologizzato – Chi vedesse a Lucia un var cappuzzo – non reca segni di spiegazioni o di studio; evidentemente “non era stato fatto”, forse non piaceva al professore, o non c’era stato tempo, il resto del programma incalzava, o forse era il giorno della festa degli alberi o della campestre (corsa che permetteva ai maschi per una mattinata di disertare i banchi). Un verso del sonetto però è seguito da una freccina che porta alla fine della pagina con il segno I (il soggetto di prima persona singolare in inglese, che allora io però scrivevo all’uso antico, ricamando quasi una chiave di violino).
Il verso corrisponde all’attacco della prima terzina, dove la “voglia” è prepotentemente protagonista, il poeta confessando che tanto vorrebbe spingersi “oltra su’ grato”: aldilà della possibilità di gradimento, dunque, della persona amata, e baciare la bocca e ‘l bel visaggio e li occhi suoi, ch’èn fiamme di foco. Ah prender lei a forza, scrive Guinizelli a pagina duecentododici.
Una geometria dei numeri e delle lingue solevo mettere in funzione in quegli anni per registrare segretamente ciò che a nessuno mai credevo di potere dire. Riesco a ricostruirla a distanza di tanto tempo, dopo un po’ di riflessione. Provo a pagina trecentododici (ci sta Dante con A ciascun’alma presa) e io con la stessa biro avevo scritto un mon, aggettivo possessivo francese. Manca il verbo ma ormai ho capito: la scansione non era di cento ma di cinquanta pagine. So già che cosa troverò a pagina duecentosessantadue, la voce verbale mancante: quiero, indicativo presente prima persona. Il resto non potrà venire che alle pagine trecentosessantadue (dove trovo liebe) e quattrocentododici dove trovo scritta in piccolo la sillaba iniziale dell’agognato nome AL.

Faceva atletica all’Arena, l’avevo conosciuto l’estate prima a Bellaria-Igea Marina e aveva sedici anni come me.

[Tratto da Reperto 74, di prossima pubblicazione per la casa editrice Zona.]

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5 Commenti

  1. Buongiorno a te Andrea,

    Il brano è come il tessuto del passato. Bel ricordo della scoperta della poesia una mattina alla scuola. Nel mio insegnamento, cerco a fare gustare poesia soprattutto all’ adolescenza: è un momento dove la poesia raggiunge un’orrizzonte, un’aspirazione, un’ alba. Il ricordo delicato di Franco Buffoni mi ha toccata, perché ha custodito la freschezza del ricordo, il sentimento di giovinezza e d’amore, una figura leggera che attraversa un luogo “faceva atletica all’Arena”.

  2. Al cor gentil REMPAIRA sempre amore.
    E non REPARA.

    Sono il solito rompiballe fissato su questioni minime.
    Importanti, però.

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