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Fiera del libro, dietro le quinte c’è la Palestina

(Questo articolo è apparso su il Manifesto, 19 gennaio 2008. Ed è leggibile anche qui. Ringrazio Lorenzo Galbiati che me lo ha segnalato.)

di Stefano Sarfati Nahmad

Un articolo sul quotidiano israeliano Haaretz del 6 agosto 2007 spiega che dietro questo gran via vai di scrittori israeliani in giro per il mondo e dietro un certo numero di traduzioni di loro libri in diverse lingue, c’è una persona che si chiama Dan Orian capo del settore letteratura al DCSA (Division for Cultural and Scientific Affaire) una divisione del Ministero degli Esteri israeliano. Spiega la giornalista Shiri Lev-Ari: «Gli scrittori cercano di promuovere il loro lavoro all’estero e il Ministero degli Esteri vuole utilizzarli per mostrare la faccia più attraente e sana di Israele»; «Dan Orian – scrive la giornalista – vede la letteratura israeliana come una parte del lavoro di public relations». Dice Dan Orian: «Siamo percepiti come un paese aggressivo, che impone chiusure sui territori, ma improvvisamente appare una scrittrice che parla di relazioni familiari, con una scrittura molto “non politica”. Questo può cambiare l’intera percezione della società israeliana».

Questo per dire cosa c’è dietro le quinte del dibattito sulla Fiera Internazionale del Libro di Torino, sul cui sito ufficiale, si legge: «Sarà Israele il Paese ospite d’onore alla Fiera 2008. In occasione della ricorrenza del 60° anniversario della sua fondazione, Israele ha scelto Torino come la vetrina più adatta per far conoscere e discutere la propria identità culturale». Israele ha scelto la vetrina più adatta… per le sue public relations.

Uno degli scrittori che pare sarà presente alla Fiera del Libro sarà Aron Appelfeld, deportato insieme al padre in un campo di concentramento in Ucraina quando aveva appena 8 anni, dopo aver sentito l’urlo di sua madre che veniva ammazzata. Miracolosamente sopravvissuto, nel 1946 immigra in Palestina. Di lingua madre tedesca (il suo diario al tempo del suo arrivo in Palestina è «un mosaico di parole in tedesco, yiddish, ebraico e ruteno»), Appelfeld decide di scrivere in ebraico, anche se il primo libro in questa lingua lo compra quando aveva già 25 anni. Nel suo capolavoro assoluto che è Storia di una vita (edizioni Giuntina) racconta tra le altre cose del recinto Keffer dove i tedeschi nel campo di concentramento di Kaltschund tenevano cani feroci e dove buttavano i bambini, inutili per il duro lavoro di fondere metalli e produrre armi. Una volta uno ne uscì, ma non parlava più, abbozzava un latrato.

Ditemi adesso, come posso io dire a questo signore, che ha scritto un libro che conservo come un tesoro, che è testimone vivente della Shoah, di non prestarsi al gioco delle public relations? Eppure dovrei, devo trovare le parole per mettere di seguito al suo nome, alla sua esperienza, quella dei palestinesi che hanno dovuto lasciare la terra dove abitavano per far posto a lui e alla nascente società israeliana. Ma non ne sono capace, preferisco allora riportare alcune parole di una donna Israeliana, Nurit Peled, pronunciate durante un discorso tenuto il 28 dicembre 2007 intitolato: La mamma ebrea sta scomparendo.
«Voglio dedicare le mie parole ai bambini della Striscia di Gaza, che si stanno lentamente consumando per fame e malattia, e alle loro mamme che continuano a portare bambini in questo mondo, a nutrirli e a educarli in modo meraviglioso. Oggi, il tasso di alfabetizzazione nella Striscia di Gaza è al 92%, tra i più elevati al mondo, e questo nel più terribile campo di concentramento sulla terra, i cui abitanti vengono soffocati mentre il mondo civilizzato guarda in silenzio. Nello Stato di Israele, la mamma ebrea è in via di estinzione. La mamma ebrea di oggi è segregata in quartieri come Mea Shearim; lì le madri proteggono i figli dall’esercito, ma fuori da quei quartieri non si sente la voce della mamma ebrea tranne che in organizzazioni come le Donne in Nero che la società in generale condanna e diffama. Lo Stato di Israele condanna e diffama la voce della mamma ebrea che è la voce della compassione, della tolleranza e del dialogo. Lo Stato di Israele fa tutto quel che può per rendere quella voce muta per sempre. Pochi sono i genitori in Israele che ammettono a loro stessi che a uccidere bambini, distruggere case, sradicare ulivi, avvelenare i pozzi sono nessun altro che i loro bellissimi figli e figlie, i loro ragazzi che in questo posto sono stati educati, negli anni, alla scuola dell’odio e del razzismo. I ragazzi che hanno imparato per 18 anni a temere e disprezzare lo straniero, ad avere sempre paura dei vicini, dei gentili, ragazzi che sono stati cresciuti nella paura dell’Islam – una paura che li prepara a essere soldati brutali e discepoli di assassini di massa. E non solo questi ragazzi uccidono e torturano, lo fanno col supporto di mamma, con la piena approvazione di papà, incoraggiati da tutto il Paese, che davanti alla morte di un bambino, di un anziano, di un disabile non fa molto più che alzare un sopraciglio. Un Paese che manda in giro piloti d’aereo che non sentono nulla, se non una leggera scossa d’ala, quando sganciano bombe su intere famiglie e le schianta a morte».

Torno a usare le mie parole e mi chiedo: ha senso, oggi, parlare di Israele senza parlare di Palestina? La cecità politica di una classe dirigente accecata dalla brama dell’espansione territoriale, ha portato oggi a una situazione sul terreno tale da rendere impossibile la soluzione dei due Stati a meno di enormi cambiamenti. Oggi Israele è già un paese che, potenza economica regionale, potenza militare mondiale, si estende dal Mediterraneo al Giordano, con al suo interno isole sigillate abitate da una popolazione «altra». Oggi Israele è uno Stato che pratica l’apartheid.

Possiamo anche divertirci a vedere «la faccia più attraente e sana di Israele» ma questo non cambia la realtà di quello che oggi Israele è. Non so cosa pensare del boicottaggio, penso solo che se fossi uno scrittore palestinese ci penserei due volte prima di accettare l’invito ad andare a Torino a rendere credibile il «prodotto Israele», nella celebrazione dei suoi sessant’anni.

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24 Commenti

  1. Ma non è che con ‘sta storia delle public relations si vuole alludere alla solita cospirazione? Per quanto riguarda la domanda: “Torno a usare le mie parole e mi chiedo: ha senso, oggi, parlare di Israele senza parlare di Palestina?”. Non ha senso, certo. Soprattutto per chi al posto di “Israele” parla di “Entità sionista di Palestina”. E ce ne sono, lo sappiamo anche chi sono, i bombaroli.

  2. OC
    esatto, ci sono segretari di ministri e giornalisti e scrittori israeliani o ebrei che vogliono alludere a una cospirazione ebraica per conquistare il mondo.
    e probabilmente sono gli stessi che forniscono le bombe o i razzi a chi bombarda l’entità sionista…
    spero di averti sciolto ogni dubbio.

  3. Grazie a Stefano e a Andrea I. per aver pubblicato questo molto significativo post, col quale concordo pienamente.

  4. … vorrei semplicemente ricordare che la responsabilità delle attuali condizioni di vita nell’entità territoriale palestinese è in buona parte responsabilità delle elitè governanti arabe. Alla nascita dello Stato di Israele si pose il problema dei profughi di religione ebraica allontanati dagli Stati arabi confinanti. Tuttavia la questione dei profughi ebrei non si è mai posta: lo Stato ebraico ha saputo assorbire l’emergenza. Diverso il caso degli Stati arabi che sembra non abbiano alcuna voglia di solidarizzare coi i fratelli palestinesi… forse per tener viva la problematica e la propaganda, forse per mentalità e cultura…

  5. Molto commovente. Peccato che sia un’occasione mancata. Perchè dare tutte le colpe allo Stato di Israele sarà molto “cool” ma offende la Storia ed il buon senso. La condizione degradata del popolo palestinese è il risultato di sessanta anni di ruberie e di mistificazioni che la dirigenza araba ha perpetrato sulla pelle di un popolo martoriato. Dimenticare le colpe di Arafat che intascava gli aiuti internazionali a spese del suo popolo, dimenticare le guerre di aggressione del 1936-39, del 1948-49 del 1956, del 1967 del 1973, non volerne distinguere le cause e le colpe è infame verso il popolo palestinese. Oggi Israele vive sotto una pioggia di razzi qassam (oltre 3000 in un solo anno) e le belle anime della sinistra non vedono in questo nulla di anormale. Non vedono la determinazione di Hamas di distruggere Israele a spese dei Palestinesi, non vedono il rifiuto a trattare una pace dimenticano che i Palestinesi dal 1947 hanno rifiutato di avere un loro stato. Dimenticano che alla base del rifiuto c’è la politica del Gran Mufti di Gerusalemme che da Berlino gridava alla distruzione del Popolo Ebraico. Troppa cecità porta ad essere imbecilli. Ma la madre degli imbecilli è sempre incinta e raramente partorisce qualcuno che guardandosi intorno pensi che è meglio vivere in pace che gridare istericamente al Jihad.

  6. a Lello
    oltre il conteggio dei razzi qassam, fai anche il conteggio del numero di morti (e la loro spoporzione), o le persone uccise non ti interessano?
    Ma forse i palestinesi che muoiono durante l’occupazione scontano solo le loro colpe, o quelle di Arafat, o quelle dei paesi arabi, e quindi cio’ non pone problema…

  7. Stefano Sarfati Nahmad si chiede:
    “Ditemi adesso, come posso io dire a questo signore, che ha scritto un libro che conservo come un tesoro, che è testimone vivente della Shoah, di non prestarsi al gioco delle public relations?”

    Credo che Stefano, cosi’ come chiunque altro, non abbia alcun diritto di chiedere alcunche’ ad Aron Appelfeld. L’esperienza terribile che Appelfeld ha vissuto e’ unicamente e totalmente sua e non puo’ essere in nessun modo utilizzata come prestesto per chiedergli conto delle sue azioni successive, ivi compreso la partecipazione a una fiera letteraria che qualcuno intepreta come operazione di public relations.

    Mauro

  8. Lello e Francesco Murano: grazie per i vostri interventi. Francamente, a me passa proprio la voglia di imbarcarmi in certe discussioni, con certe persone. Perchè non c’è via d’uscita possibile. E già la decisione di Nazione Indiana di pubblicare l’articolo di questo Sarfati dà l’idea della reale linea ideologica – sì, di ideologia si tratta – che anima il sito. Aldilà dell’appello pubblicato più o meno in buona fede.
    Marco

  9. @nazione indiana
    E già la decisione di Nazione Indiana di pubblicare l’articolo di questo Sarfati dà l’idea della reale linea ideologica – sì, di ideologia si tratta – che anima il sito. Aldilà dell’appello pubblicato più o meno in buona fede.
    Marco

    capito, indiani?

    ps e io, che ho segnalato l’articolo a Inglese, evidentemente sono la mente occulta che detta la linea agli indiani: inglese se ne fa portavoce ufficiale (un colpo alla botte), mentre gli altri intorbidano le acque firmando appelli di segno opposto (un colpo al cerchio).

  10. Lorenzo, Marco non si rivolgeva a te, ma a me che ho postato l’articolo per mia decisione.

    A Marco rispondo solo che fino a prova contraria Nazioneindiana resta un luogo che ritiene ancora importante la libera discussione, e non la difesa di UNA linea ideologica, quale che sia. Questo situazione puo’ sembrare certo strana a chi è abituato a pensare in termini di UNA verità per TUTTI. Ma qui le verità si moltiplicano, le linee ideologiche se ci sono divergono, e gli individui non rappresentano innazitutto che se stessi, sia quando firmano un appello, sia quando pubblicano un post.

  11. Vogliamo contare i morti? Ok diamogli anche una connotazione se civili, terroristi militari etc.
    Allora: Delphinarium.: Ragazzi di 16 anni in attesa in una discoteca
    Pizzeria Sbarro: civili seduti in pace a mangiare una pizza
    Infiniti autobus carichi di studenti e lavoratori.
    Centri commerciali: Passanti e massaie intente alla spesa
    Mercato di Machanè Yehuda: Venditori e massaie
    Nessuno di costoro portava armi nè lanciava razzi.
    I morti di cui lei parla da parte palestinese sono per la maggiorparte combattenti teroristi in armi presi intorno a rampe di lancio o comunque intenti o reduci da attentati.
    Se costoro si dedicassero al bene dei loro concittadini con lo stesso zelo con cui decidono di farsi saltare in aria non ci sarebbe nessuna questione palestinese, non ci sarebbe bisogno di erigere barriere (che certamente lei chiamerà muri) di difesa, non servirebbe mandare aiuti ad una popolazione stremata ed alla fame per l’insipienza di una manciata di delinquenti che sulle loro teste tesse affari e la deruba con il plauso di persone come lei.

  12. Andrea, qui non è in questione la divergenza su alcuni punti di vista.
    Qui il problema è che nell’articolo di Sarfati si fa leva su un’immagine di Israele che è assai sinistramente accostabile ai tradizionali stereotipi antisemiti dei secoli passati: un ufficio apposito del ministero della cultura israeliano che usa gli scrittori come marionette conniventi per le proprie PR e per presentare all’estero un’immagine di sè migliore, accattivante e buona, sa di Savi anziani di Sion e di vignette con l’ebreo col sigaro in bocca che ghigna mentre architetta qualcosa dietro le quinte. E’ credibile per te che uno come Yehoshua si presti a fare qualcosa del genere? Non ti rendi conto di quanto è inquietante questo articolo?
    Ma no, forse non te ne rendi conto, visto che appunto lo hai pubblicato.
    Io ritengo che per parlare di questa questione, si debba fare innanzitutto una cosa: studiare la Storia su testi credibili e seri. Non leggere solo il Manifesto, nè leggere solo storici ebrei o israeliani. Ce ne sono molti, di testi validi, uno è a mio avviso “Storia del conflitto arabo israeliano palestinese: tra dialoghi di pace e monologhi di guerra”, di Giovanni Codovini, Milano, B. Mondadori. L’ho scelto e letto cercando proprio un punto di vista obbiettivo, di uno storico serio che fa il suo mestiere, cercando io, da ebreo, di capirci davvero qualcosa.
    Trovare un punto di vista che sia saldo, condiviso, che sia minimo comun denominatore e base di qualsiasi discorso in merito mi sembra importante.
    Scusate se a volte i toni sono diventati, in queste discussioni, forse eccessivi.

  13. @andrea
    diciamo che stavo cercando con un’iperbole di prendermi il mio carico di infamia, o di gloria, dipende dai pdv ;-)
    chiaro che non volevo e non voglio neanche ora rispondere al tuo posto,
    dico solo a

    @marco
    che stai dando dell’antisemita a un articolo non tanto di sarfati (ebreo) quanto del quotidiano israeliano haaretz… non so a te, ma quando si arriva a questo punto a me le cose non quadrano…

    sul resto: sarebbe bello mettersi d’accordo su come sono andate le cose, storicamente: temo che sia proprio lì il dissidio.

  14. a Marco, che scrive:
    “Qui il problema è che nell’articolo di Sarfati si fa leva su un’immagine di Israele che è assai sinistramente accostabile ai tradizionali stereotipi antisemiti dei secoli passati: un ufficio apposito del ministero della cultura israeliano che usa gli scrittori come marionette conniventi per le proprie PR e per presentare all’estero un’immagine di sè migliore, accattivante e buona, sa di Savi anziani di Sion e di vignette con l’ebreo col sigaro in bocca che ghigna mentre architetta qualcosa dietro le quinte.”
    Ascolta, ci sono vari modi per rispondere ad un articolo come questo. Uno è quello di Lucio, che utilizza frasi di bassa propaganda governativa, se non addirittura da generale dell’esercito (“abbiamo bombardato solo uomini e donne e bambini intorno a rampe di lancio”). Oppure puoi criticare la guerra, i muri, le azioni dell’esercito, la mano pesante del governo, ma cercare di spiegare perché date le circostanze Israele non puo’ che agire cosi. Insomma, distrubuisci colpe e responsabilità. Oppure, come alcuni ebrei nel mondo ed israeliani in Israele puoi dire che la situazione politica ti fa schifo e che non sei per nulla d’accordo con quello che accade, senza per questo rendere in blocco innocenti e al di sopra di critica le elites politiche palestinesi di ieri e di oggi.
    Ma se hai un minimo di onestà intellettuale non puoi ridurre ogni critica e denuncia contro la politica di Israele ad un atteggiamento antisemita o nazista. La propaganda su certi argomenti esiste persino in stati che non sono in guerra, che non portano avanti una politica coloniale, che non violano risoluzioni dell’Onu, ecc. Puoi negare che la diplomazia israeliana faccia lavoro di propaganda, ecc., ma non puoi dire che accusare Israele di fare propaganda vuol dire essere antisemiti. La propaganda esiste e sul piano diplomatico è proporzionale ai torti che si fanno e che sono sotto gli occhi della comunità internazionale. Questo vale per la Cina, per la Russia, per gli Stati Uniti, ecc.

  15. Lorenzo Galbiati: esistono dei libri di Storia che forniscono dei possibili punti d’incontro. Mi rendo conto che non è una prerogativa del tuo modo di porti sulla questione, però, quello di cercare un punto di vista condiviso: altrimenti non te ne faresti beffe. Ho provato a suggerire un buon libro, così, tanto pe’ dì: ma don’t worry, continua a documentarti solo su Forumpalestina, tranky funky.

    Andrea Inglese: non ho mai dato dell’antisemita a nessuno, me ne guardo bene. Ho detto che l’articolo di Sarfati “fa leva su un’immagine di Israele che è assai sinistramente accostabile ai tradizionali stereotipi antisemiti dei secoli passati.” Che è cosa diversa.

    Io la chiudo qui perchè ho qualche sospetto che questa discussione non porti da nessuna parte. Comunque amen, che ognuno si tenga il suo punto di vista.

  16. lello: I morti di cui lei parla da parte palestinese sono per la maggior parte combattenti teroristi in armi presi intorno a rampe di lancio o comunque intenti o reduci da attentati

    Beh se questa non è propaganda di bassa lega cos’è? beh forse è solo puro razzismo, e il razzismo, si sa, dà alla testa.
    Sono daccordo con la prima parte, ma dire che ogni palestinese che muore è giustificato ucciderlo, perchè bal bal bal … anche se magari ha pochi mesi (e lei non puo infingardamente negare che accada), perchè è automaticamente un terrorista, signor lello … è criminale da dire, ma faccia lei.
    geo

  17. nel mio ultimo commento, “Lucio” sta per “Lello”, quello a cui si rivolge anche georgia nell’ultimissimo commento…

  18. @marco
    io non me ne faccio beffe per nulla e ritengo gravissimo che le versioni su come è andata la storia tra israele e palestinesi e arabi divergano, per quello che ho letto io, in modo enorme.

    ma, è questa è una mia opinione, credo anche che siano poche le persone coinvolte (leggi arabi e ebrei) che sappiano far fronte alla verità e quindi a cercarla qualunque essa sia.

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Andrea Inglese (1967) originario di Milano, vive nei pressi di Parigi. È uno scrittore e traduttore. È stato docente di filosofia e storia al liceo e ha insegnato per alcuni anni letteratura e lingua italiana all’Università di Paris III. Ora insegna in scuole d’architettura a Parigi e Versailles. Poesia Prove d’inconsistenza, in VI Quaderno italiano, Marcos y Marcos, 1998. Inventari, Zona 2001; finalista Premio Delfini 2001. La distrazione, Luca Sossella, 2008; premio Montano 2009. Lettere alla Reinserzione Culturale del Disoccupato, Italic Pequod, 2013. La grande anitra, Oèdipus, 2013. Un’autoantologia Poesie e prose 1998-2016, collana Autoriale, Dot.Com Press, 2017. Il rumore è il messaggio, Diaforia, 2023. Prose Prati, in Prosa in prosa, volume collettivo, Le Lettere, 2009; Tic edizioni, 2020. Quando Kubrick inventò la fantascienza. 4 capricci su 2001, Camera Verde, 2011. Commiato da Andromeda, Valigie Rosse, 2011 (Premio Ciampi, 2011). I miei pezzi, in Ex.it Materiali fuori contesto, volume collettivo, La Colornese – Tielleci, 2013. Ollivud, Prufrock spa, 2018. Stralunati, Italo Svevo, 2022. Romanzi Parigi è un desiderio, Ponte Alle Grazie, 2016; finalista Premio Napoli 2017, Premio Bridge 2017. La vita adulta, Ponte Alle Grazie, 2021. Saggistica L’eroe segreto. Il personaggio nella modernità dalla confessione al solipsismo, Dipartimento di Linguistica e Letterature comparate, Università di Cassino, 2003. La confusione è ancella della menzogna, edizione digitale, Quintadicopertina, 2012. La civiltà idiota. Saggi militanti, Valigie Rosse, 2018. Con Paolo Giovannetti ha curato il volume collettivo Teoria & poesia, Biblion, 2018. Traduzioni Jean-Jacques Viton, Il commento definitivo. Poesie 1984-2008, Metauro, 2009. È stato redattore delle riviste “Manocometa”, “Allegoria”, del sito GAMMM, della rivista e del sito “Alfabeta2”. È uno dei membri fondatori del blog Nazione Indiana e il curatore del progetto Descrizione del mondo (www.descrizionedelmondo.it), per un’installazione collettiva di testi, suoni & immagini.
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