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Remo Bassini, narratore dai tempi della fabbrica

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Franz Krauspenhaar intervista Remo Bassini

Remo Bassini non è solo uno scrittore di valore, è anche un prodigio e una macchina – umanissima – da scrittura: è direttore de La Sesia, storico bisettimanale di Vercelli e provincia, collabora con Il Corriere Nazionale, commenta sul suo seguitissimo blog e ne La poesia e lo spirito,- l’ormai leggendario blog letterario multiautore fondato da Don Fabrizio Centofanti – scrive romanzi di buon successo. Per il suo ultimo libro, quarto di una fortunata serie, ha scelto un titolo d’inquietudine un pò anni 70, La donna che parlava con i morti(Newton Compton, pp.240, euro 9,90)-, quasi fosse un seguito de Il segno del comando. Editore robusto e ancora in ascesa e attivo su tutti i fronti (Newton Compton), confezione hardcover per un romanzo giallo di tinte (come da copertina) ma dai sapori popolari e al contempo raffinati. La storia inquietante di una donna e della provincia italiana profonda nella quale vive, una serie di personaggi difficilmente dimenticabili. E soprattutto la scrittura felice di Remo Bassini: a volte vorticosa, sempre funzionale e fatta spesso di pennellate veloci, precise, multistrato. Godibile ma anche capace di strapparti un replay, per ricatturare – felicemente- un momento, una sfumatura particolarmente interessante.

Quando è nata dentro di lei la presa di coscienza di essere un narratore di talento?

Mi sono interrogato spesso sul talento. Dante ne aveva e anche Simenon. Ma prendiamo Primo Levi, Se questo è un uomo Un grande libro, di un talento che, penso, nacque grazie – o a causa – della prigionia in un campo di sterminio. Dove la vita e la morte e la natura umana vengono viste e vissute con occhi diversi. Ecco, io credo d’aver vissuto dei mie piccoli campi di sterminio. E penso che un giorno imprecisato sono riuscito a raccontarli. Il mio talento, se talento è, nasce dalla mie tempeste. Come La donna che parlava con i morti: ci sono alcune sofferenze, ri-elaborate. Con questo non ho nessuna pretesa di oggettivare. Non dico che il talento nasce solo dalla sofferenza o dalla sensibilità. Dico che non nasce con noi;può arrivare, come può non arrivare, in un momento imprecisato della nostra vita.

Si ritiene uno scrittore di genere o crede di usare il genere come passpartout?

Quando si parla di generi letterari me ne sto in disparte, ascolto. A definire il genere ci pensa la percezione del lettore. Editori, critici e salotti letterari per me perdono solo tempo: ci sono i buoni libri e i libri del cavolo. E soprattutto ci sono libri onesti e libri disonesti. Il libro onesto costa fatica, approfondimenti. Faccio un esempio, con la premessa che un giallo può essere un libro valido quanto uno di denuncia sociale (Izzo era bravissimo a fondere i due aspetti). Un giallo disonesto, per esempio, parla di ispezioni, mandati di cattura senza prima capire come funzionano per davvero questi meccanismi. Ecco, scrivere un giallo senza aver parlato con un maresciallo dei carabinieri o anche solo senza aver letto articoli di cronaca nera vuol dire prendere in giro il lettore. Perché ci si basa sul già letto in altri libri o, peggio, su quel che si vede nelle fiction tv. Una volta chiesero a Pascoli un giudizio su D’Annunzio. Fu un giudizio positivo. Ma non del tutto: perché D’Annunzio, osservava Pascoli, in una sua poesia autunnale ci aveva messo un uccello che in autunno non c’è, perché migra. Insomma, una poesia del cavolo. Disonesta.

In che modo il mestiere di giornalista entra nella sua attività di scrittore e viceversa?

Ho iniziato a scrivere che avevo vent’anni e lavoravo in fabbrica (ho ancora nel cassetto un romanzo incompiuto ambientato in quel periodo della mia vita). Sono stato operaio, sindacalista, disoccupato, studente di lettere di giorno e portiere di notte in un albergo. Poi è arrivato il giornalismo, e quel poi è importante: non mi sento nel modo più assoluto un giornalista che si concede alla narrativa, piuttosto un narratore di storie da prima, dagli anni della fabbrica.
Il giornalismo è servito a completare la mia scrittura, a dare valore e importanza alla precisione e al dettaglio, alla logica. Un bravo giornalista non farebbe errori di calcolo che invece si leggono in alcuni libri. Mi spiego: se io oggi ho 40 anni, tra 5 anni ne avrò 45, giusto? Ecco, alcuni “artisti” riescono a scrivere 47 o 52, mica si abbassano l’età, loro. Per fortuna che è arrivata la lezione di Tondelli, o anche di Izzo. Scrivere in modo credibile.
La scrittura giornalistica e narrativa prendono percorsi diversi: la tecnica del fare cronaca può essere insegnata a tutti, come anche quella del raccontare una storia. Ma trasmettere emozioni, no.

A quali autori del passato e del presente è più affezionato?

Dopo Salgari, dico Vasco Pratolini e Giuseppe Berto, che hanno lasciato in me un segno, specie con Il quartiere e Il male oscuro. Poi, gli scrittori dei miei diciott’anni: Erich Maria Remarque e John Steinbeck. Tra gli italiani mi sono affezionato a Beppe Fenoglio, per aver raccontato la Resistenza senza retoriche, e al giallista Renato Olivieri. Senza dimenticare Pontiggia, da leggere e rileggere. Tra gli stranieri cito Boell, Chandler, Montalban (con particolare predilezione per L’uomo della mia vita). Tra gli scrittori viventi dico Saramago e Mankell. E don Luisito Bianchi, che urla sussurrando.

Ha un libro del cuore che ogni tanto rilegge, anche solo per poche righe, come una sorta di messale letterario?

Ho libri di riferimento, certo. Ma quando mi sento vuoto come una campana – e succede spesso – in genere prendo un giornale e mi rintano in un bar di periferia, e ascolto. Faccio lo stesso anche in treno. Cerco di leggere la vita, di ripassarla, di capirci qualcosa. Per scrivere occorre andare in profondità e i libri aiutano, ma è dalla lettura della vita che bisogna partire.

(Pubblicato su “Queer” di Liberazione – 13.01.2008)

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19 Commenti

  1. Di Remo apprezzo la sua grande passione per la scrittura, la sua capacità di suscitare dialogo e far incontrare le persone in quel blog che è un po’ come il bar dove prende il caffè, dove spesso si incontrano persone le più disparate unite sotto l’insegna Appunti a riflettere su questo presente, sulla nostra vita, sulla vita che ogni giorno si scrive e si cerca faticosamente di vivere. Ciao Lucia

  2. L’associazione con Pratolini, di cui ho letto praticamente tutto, mi nacque già dalla lettura del “Quaderno”, primo libro di Remo Bassini, e mia prima lettura dell’autore. E credo sia un gran complimento.
    Quel che mi piacerebbe sapere, da timida neofita quale sono, è come lavora Remo. La procedura, se così vogliamo chiamarla, del suo scrivere. Da un’idea, da un personaggio, da un fatto, da un’intero capitolo intorno al quale, poi, costruire una storia.
    Mi affascina l’idea di sapere come lavora un autore che tanto amo.

  3. E’ dalla lettura della vita che bisogna partire.

    Sono perfettamente d’accordo con Remo certa che il suo libro troverà da solo la strada.

    cari saluti a Remo e a Franz
    jolanda

  4. Chissà se questa intervista aiuterà un grande narratore come Vasco Pratolini ad uscire dal dimenticatoio nel quale è stato ingiustamente relegato…

  5. Quando un’intervista è vera si percepisce immediatamente, ti cattura e ti costringe a leggere. Questa intervista è così, e così sono i libri di Bassini, uno che scrive dopo aver assaporato la vita in tutti i suoi sapori. Anche, o forse soprattutto, quelli amari.
    Laura

  6. Rem è un mio ottimo amico,
    ho letto tutti i suoi libri,
    quindi non dovrei dire niente, per di più ho presentato questo suo ultimo romanzo in una libreria torinese un mese fa.
    Tuttavia dico lo stesso:
    “La donna che parlava coi morti” ha pure il gran vantaggio di esser un libro speciale che sfugge alle etichette comuni, sembra un giallo,
    invece è qualcosa di più profondo, dove la vicenda, la storia, lo scoprire chi è o chi non è, diventa secondario, è tutta una narrazione, su tre registri, che mi ha affascinato: sono alcune voci di dentro, sensibili, forti, acute, dei protagonisti che ti conducono, ti trascinano fino alla fine per un sentiero accidentato tra campagne, risaie e città.
    Ed è lo stile vibrante, sentito, sincero di Remo che le anima le voci, tanto che te le senti dentro che ti seguono.

    MarioB.

  7. Remo-il-narratore ha una scrittura avvolgente.
    Avvolgente è una parola alla quale è possibile dare un significato positivo o meno, ma è anche una parola dalla quale non si può più uscire.
    Almeno non uguali a prima.

    E così nelle storie che Remo racconta si rimane coinvolti, invischiati e non valgono più i riferimenti letterari, non valgono più le convinzioni nè le convinzioni poetiche.
    Remo racconta e racconta bene, forse non inventa saghe, ma restare nel suo mondo è balsamico per chi legge.

    Infine, nonostante ci sia il Remo giornalista, quello scrittore, l’ex operaio, il lettore… in ognuno di questi c’è sempre passione, memoria, coerenza ed umiltà.

  8. remo non solo è uno scrittore serio, uno che pensa alla scrittura e se ne frega di quello che ci sta intorno, dei fronzoli che a volte l’accompagnano, ma è soprattutto una delle persone più generose che abbia mai conosciuto.

  9. grazie ancora. a tutti.
    un abbraccio a rosella, perché ha assistitito assintendomi ai primi passi di questo libro.

    una dimenticanza, anche
    c’è un racconto che vrei inserito nel blog ora cancellato, un racconto (dovrei riscriverlo, forse, rivederlo) a cui tengo molto, perché è molto vero e molto doloroso, e che è scaricabile nel blog di assunta altieri
    http://digilander.libero.it/Assu0/randagi1.pdf

    e grazie a girolamo: vasco pratolini è nome che è bene ricordare.
    buone cose

  10. Mi sembra di percepire dal tono e dai contenuti una conoscenza diretta dell’autore da parte degli altri commentatori. Mi perdonerà, dunque, se mi rivolgo a lui con il rispetto che si addice a chi non si conosce personalmente ed a chi si ritiene possa rappresentare un punto di riferimento, per chiedergli se, in quanto ha scritto sinora, ha mai dovuto accettare mediazioni linguistiche o di forma per esigenze editoriali. Di contenuto, no. Non ho dubbi al riguardo.

  11. eventounico
    è giusta la tua osservazione: la maggior parte delle persone qui intervenute o mi conoscevano in precedenza per aver letto qualcosa di mio oppure frequenta il mio blog.

    nessuna mediazione, solo qualche discussione.
    con la newton ce ne sono state sul titolo, che non mi convinceva del tutto.
    ora invece penso che sia quello giusto.
    la cosa peggiore che ho dovuto ingoiare è stata la copertina del mio romanzo Mursia: semra un libro erotico, forse loro volevano giocare su questo equivoco, ma erotico non è (se si eccettuano poche pagine).

  12. Con un amico blogger, scrittore, discutevo a proposito dell’intervista di Marco Belpoliti a Gianni Celati, nella quale, Celati afferma, poi spiegandolo che “la narrativa d’oggi è ormai un’appendice dell’informazione. È difficile trovare un romanzo d’oggi che non si appelli all’attualità”. Il mio amico dice, e io sono d’accordo, che scrivere secondo lo schema dell’attualità significa “seguire vettori preordinati per l’immaginario, cioè impedirsi di immaginare: narrazioni o vite possibili, o vite concomitanti”.

    Ecco, io ho amato i libri tuoi che sono riuscita a leggere (3 su 4 è pur sempre una buona media: mi manca Lo Scommettitore) proprio perché, pur assorbendo dal mondo esterno le emozioni, le brutture e le bellezze, tracciano storie che vivono in un contesto immaginario. Questo è un elemento che, troppo spesso, i nuovi scrittori non prendono in considerazione.

    Ah, il link a Randagi consente di scaricare direttamente il pdf. Se vi fossero problemi allora si può scaricare passando dal mio blog, ma non ce ne dovrebbero essere.

    assu

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