Articolo precedente
Articolo successivo

Ai piedi della rocker più sexy del mondo

scabbia.JPG
di Michele Monina

Iniziamo dai piedi. Stamattina mi sono svegliato che avevo questa frase in mente. Sapevo che così sarebbe iniziato questo pezzo. Di solito è così che funziona: mi alzo, faccio colazione, mi metto al computer e butto giù di getto il testo che durante la notte ho sognato. Questo nella versione romantica, e anche un po’ naif. Nella realtà, mi sveglio a ore improbabili, resto a letto salmodiando e comincio a rimuginare sul pezzo che devo scrivere, ci penso e ci ripenso e alla fine, quando è proprio ora di mettermi davanti al computer, dopo essere sceso dal letto, sia chiaro, ho già bene in mente tutte le parole che digiterò sulla tastiera. Niente che abbia a che fare con la genialità, con l’ispirazione o con l’onirismo. Solo che per anni ho vissuto in un bilocale con moglie e figlia, e la cosa poco si adattava al mio dover passare troppo tempo davanti alla tastiera di un portatile alla disperata ricerca della parola giusta. Per cui mi sono autoimposto un’abitudine, quella di pensare i testi mentre sono ancora a letto, che mi sono portato dietro anche a casa nuova, dove, volendo, potrei davvero passare ore a fissare il bianco di un file ancora vergine.
Ma per tornare ai piedi, stamattina mi sono svegliato e avevo in mente questa frase. Iniziamo dai piedi. Solo che non potevo sapere ancora come sarebbe andato avanti il pezzo, perché stavolta si trattava di raccontare un incontro, incontro che stamattina non era ancora avvenuto.
Ma che sarebbe iniziato tutto dai piedi mi era bene chiaro in mente, anche durante il sonno.
Sì, perché di lì a poche ore, per la precisione alle tredici e trenta di un torrido giugno milanese, mi sarei incontrato con Cristina Scabbia, cantante della rock band Lacuna Coil. Chi di voi la conosce già (di persona o solo come personaggio pubblico) avrà già capito tutto. Di più, se ne starà lì, col giornale in mano, lo sguardo perso nel vuoto, facendo segno di sì con la testa. Cristina Scabbia è diventata piuttosto famosa, negli ultimi mesi, non tanto, o meglio non solo, in quanto cantante di una rock band che si è fatta non poco valere nei più importanti festival rock e metal del mondo intero (a partire dall’Ozz Fest via via fino al Dowload di Donnigton e all’ultimo Heineken di Imola con i Metallica), ma soprattutto per essere stata indicata dalle riviste di settore come la “cantante più sexy del rock mondiale” degli ultimi anni, sempre e ovunque. Va be’, direte voi, ma ‘sti benedetti piedi. ‘Sti benedetti piedi, chiunque abbia avuto modo di farsi un giro su google dopo aver inserito il nome della suddetta cantante non avrà problemi ad ammetterlo, vengono indicati dai più come un vero e proprio oggetto del desiderio. Al punto che, in non ricordo quale rivista di settore, lei si è fatta fotografare nella redazione con indosso un ingombrante paio di anfibi (o di sneaker, non ricordo neanche questo), come a voler prendere le distanze dal suo stesso mito. Ma, evidentemente non c’è riuscita, e infatti è con i commenti letti sui forum dei fan più feticisti ben stampati in mente che mi reco alla sede della Spin-go, per incontrare Cristina, piuttosto incuriosito dall’idea di trovarmi al cospetto di un’icona per feticisti del piede (non faccio parte dell’accolita, ma sono sempre rimasto molto colpito da una battuta di Danny De Vito nel film da lui medesimo diretto e interpretato, La guerra dei Roses, quando a un certo punto, lui, avvocato di Michael Douglas in guerra coniugale con la bellissima Kathleen Turner, dovendo giustificare il fatto di aver tradito il suo stesso assistito favorendo la moglie dice, più o meno, “è stato il migliore sesso di piede della mia vita…”). Chiaramente, non volendo fare la figura del peracottaro, mi sono documentato bene sulla carriera della band che da Milano è partita alla conquista del mondo, con oltre mezzo milione di copie vendute del precedente album Comalies e il nuovo Karmacode partito subito bene sulle orme del suo predecessore. Insomma, non ho la minima intenzione di passare per il giornalista che di fronte alla cantante diventata famosa per la propria immagine sexy le chiede solo ed esclusivamente come ci si senta a essere diventata famosa per la propria immagine sexy. Io mi occupo di musica, del resto. Per questo non farò domande a proposito del suo recente fidanzamento con uno dei rocker mascherati degli Slipknot, e ho anche deciso di essere un po’ acidino (dopo Lester Bang se non sei acidino non conti un cazzo), e iniziare l’intervista chiedendo alla nostra se fosse davvero necessario fare l’ennesima cover di Enjoy the silence dei Depeche Mode. E poi, che cavolo, sono un critico musicale, ma sono pure uno scrittore, tutte queste smancerie perché una è stata eletta la rocker più sexy del mondo, magari in virtù di un paio di piedi accattivanti mi sembra davvero una cosa infantile, da rockettari trogloditi.
Arrivo al terzo piano di un palazzo del centro di Milano, la colonnina del termometro (in realtà il display digitale, ma era una vita che volevo scrivere da qualche parte “la colonnina del termometro”) segna i trentadue gradi. Il tasso d’umidità deve essere intorno al cento per cento, e la mia pressione è rimasta sul marciapiedi da basso. Suono al campanello, e, in tutta sincerità, in questo preciso momento non me ne frega nulla dei piedi di Cristina Scabbia, ma tutto quello che vorrei è uno split da abbracciare, magari dicendo la frase che in questi giorni è diventato uno degli slogan più in voga in casa Monina (praticamente da quando mia figlia ha ricevuto in regalo alcuni dvd dei Teletubbies): “tante coccole”.
La porta si apre, ma nessuno è lì ad accogliermi. Non che mi aspettassi la banda comunale di paese al gran completo, con tanto di ottoni e gran cassa, perché conosco bene l’atteggiamento rough di queste etichette indipendenti, ma visto che il logo dei Lacuna Coil è piuttosto gotico, il fatto di trovarmi di fronte un lungo corridoio buio non promette niente di buono. A questo punto, senza perdere troppo tempo, mi sento di fare subito un coming out, e giocare a carte scoperte. In realtà il corridoio deserto della Spin-go non sortisce in me nessun sentimento di paura. Non è affatto gotico, e poi, anche se mi si presentasse di fronte il conte Vlad in persona, vista la pressione bassa che mi ritrovo, non riuscirebbe a cavarmi fuori neanche una stilla di sangue (anche per “stilla di sangue” vale lo stesso discorso di “colonnina del termometro”, oggi è la giornata della resa dei conti…). Il motivo per cui sono arrivato fino a questo punto, nella narrazione, è che volevo riconquistare ai vostri occhi di lettori un po’ di credibilità nelle mie abituali vesti di critico musicale, buttando lì con una certa non chalanche il fatto che io conoscessi assai bene il logo della band la cui cantante andavo a intervistare. Altroché sexy o non sexy, qui si sta per parlare di musica tosta, questo era il messaggio. Messaggio fallace, anche perché, questo lo so bene io che il testo che voi state leggendo lo sto scrivendo solo dopo aver incontrato la cantante sexy di cui sopra, questo sarà il solo momento serio di questo pezzo, destinato di qui in avanti a scivolare in una situazione in perenne bilico tra il paradossale e l’imbarazzante.
Sono nel corridoio buio e desolato della Spin-go. Non ci sono essere umani in vista. Neanche esseri non-umani, a essere sinceri. Poi, di colpo, come materializzatasi dal nulla, arriva lei. In un primo momento non la riconosco, perché è molto più bassa di come mi sarei immaginato vedendola nelle foto e nei video. Sarà poco meno di un metro e sessanta, per capirsi. Capisco che è Cristina solo nel momento in cui mi dice, “Piacere, sono Cristina, tu devi essere Michele” (particolare che non accrescerà ai vostri occhi l’idea che vi siete già fatti di me). “Benvenuto in mia casa”, prosegue (chiaramente sto scherzando…). È vestita con quella che uno come me, del tutto inesperto di moda e addirittura incapace di abbinare tra loro i colori dei vestiti che un fato cialtrone gli pone di fronte ogni giorno, fossero anche colori elementari, definirebbe una “sottoveste” nera. Una cosa semplice, leggera, che solo una rockstar può indossare senza correre il rischio di apparire sciatta. Nulla a che vedere con i vestiti eleganti e vagamente sadomaso con cui la si vede di solito nelle foto promozionali, ma un vestito che indosso a lei fa la sua bella figura, fidatevi. Anche i capelli sono diversi da come li vediamo di solito, sono sempre corvini, ma mossi, non lisci. Gli occhi, be’, gli occhi sono neri e profondi come occhi neri e profondi (di fronte a tanta nerezza e tanta profondità non riesco neanche a trovare paragoni in grado di reggere). Magnetici, si dice in questi casi.
Ma questi sono tutti particolari che i cultori della musica troveranno piuttosto banali e insignificanti. Bene, lo dico subito, a scanso di equivoci, i cultori della musica hanno sbagliato pezzo, qui di musica da adesso in poi non se ne parlerà più. Non perché la signora Scabbia (unica concessione rock’n’roll che mi prenderò di qui dinanzi) sia stata scevra di risposte alle mie puntuali domande. No, tutt’altro. Si è parlato della percezione che un pubblico straniero ha di una band italiana (percezione sbagliata, i Lacuna Coil vengono sempre scambiati per una band di italo-americani), di come le altre band anglofone vedano una band giunta da un paese altrimenti rappresentato da gente come Laura Pausini e Andrea Bocelli (come sopra, anche se, dopo un minimo di frequentazione nessuno tende più a identificare una band con il proprio paese di origine), di come sia la vita di una band (una vita passata per buona parte del tempo in giro per il mondo, quindi interessante, anche se mancano i momenti di tranquillità), di quali siano le dinamiche interne, anche in virtù della fama personale che la stessa signora Scabbia vanta (pura democrazia, leggi anche unanimità nelle scelte, col voto di Cristina pari a quello di chiunque altro all’interno della band), del perché siano stati scelti per gli ultimi due album due titoli così strani come Comalies e Karmacode (rispettivamente perché era frutto di un periodo di “coma autoindotto” in cui i nostri eroi si erano isolati dal mondo per comporre e registrare le canzoni, e perché fonde insieme una parola come Karma in grado di rappresentare la spiriutalità senza tirare in ballo una specifica religione e il codice, vera icona della tecnologia dei tempi nostri, da internet e Matrix, queste ultime due, la spiritualità e la tecnologia, tematiche al centro dell’ultimo lavoro di studio dei Lacuna Coil), di come ci si senta a essere una icona sexy (sì, lo so che avevo detto che non sarei mai caduto nel trito cliche di chiedere a un’icona sexy come ci si senta a esser un’icona sexy, ma il lavoro è lavoro, e se non fosse per l’iconicità di Cristina Scabbia io non sarei stato lì a intervistarla, e poi non sarei stato qui a scrivere questo pezzo, e del resto lei stessa mi ha detto che non le procura nessun fastidio, anzi, un certo narcisistico piacere). Insomma, le domande che dovevo fare io le ho fatte, e lei, Cristina Scabbia mi ha pure risposto. Si è dimostrata affabile, simpatica, e dotata di uno charme piuttosto raro nel mondo dello spettacolo italiano. Non sorprende, infatti, che non si veda parte di suddetto mondo. Ha alternato momenti seri a momenti leggeri, alternando il suo ruolo di star a quello di improbabile gregaria dei Lacuna Coil (soprattutto quando ci ha tenuto a dire che la band viene prima di tutto, anche se poi i primi li danno a lei personalmente). Ha detto che la sua band preferita, ed è stata una delle poche volte in cui ha risposto a nome personale, e non del gruppo, sono i Type O Negative (di cui ricordo, e lo giuro è davvero l’ultimo tentativo di defibrillazione nei confronti della mia agonizzante carriera di critico musicale, una stupenda e cupissima canzone d’amore che diceva, più o meno, “amare te è come amare la morte” e una copertina di un album in cui era rappresentato, anche se si stentava a capirlo se uno non lo guardava proprio bene bene, una inculata, non nel senso di una fregatura, ma nel senso di un pene che entra nell’orifizio anale di qualcuno). Ha usato più volte l’espressione “è un gallo”, immagino volendo dire “è una persona pregevole” (la mia spocchia di scrittore, prima di cadere poco valorosamente sul campo, tenta una vaga offensiva, non riuscendo, però a provocare danni degni di rilievo). Insomma, sarebbe stata una bella intervista quella che io avrei potuto scrivere e che voi avreste, vivaddio, potuto leggere. Di quelle che ricordi con piacere, che usi per fare quattro chiacchiere con gli amici, coi conoscenti. Ma tutto è iniziato dai piedi, ricorderete. E tutto coi piedi è finito. Perché Cristina Scabbia stavolta, sotto la sottoveste nera (mi perdoneranno i puristi della moda) non aveva gli anfibi. Né le sneaker. No, i trentadue gradi di Milano, l’umidità vicino al cento per cento devono averle fatto mettere da parte i dubbi etici e gli atteggiamenti da rocker pura e dura, di quella che va avanti solo per la sua voce. No, stavolta ai piedi, Cristina Scabbia, aveva un paio di esili infradito neri. Ed è sotto quei piedi, ornati da smalto, manco a dirlo, nero che sono rimaste la mia domanda acidina (quella sulla necessità di fare l’ennesima cover di Enjoy the silence dei Depeche Mode), la mia spocchia di scrittore e le mie velleità di critico musicale. La mia, lo dico per le cronache, è stata una resa incondizionata, composta, dignitosa. Solo una domanda: tatuarsi sull’avambraccio Lacuna Coil Forever suonerebbe un po’ eccessivo, vero?

Print Friendly, PDF & Email

24 Commenti

  1. In mezzo a tutti ‘sti piedi, sandali, sneakers, colonnine di mercurio, corridoi vuoti, rimuginazioni notturne, penetrazioni anali, Teletubbies, sottovesti, pressione bassa e sesso di piede, mi rimane qualche dubbio: ma che cosa avrà detto di preciso la signorina Scabbia? Come sarà il suo disco? Che musica fanno di preciso i Lacuna Coil (che confesso di non conoscere)? Lei ha una bella voce? Sa cantare? Vale la pena di ascoltarla?
    E soprattutto, che senso ha imitare Lester Bangs, scrittore geniale ma incredibile pippa come critico musicale?

  2. Eh, non esageriamo, Lester Bangs pippa… E’ stato tra i più grandi, e non solo per come scriveva, ma soprattutto per quello di cui scriveva.

  3. Mah, il problema è che Lester Bang, per sua stessa ammissione, non capiva un accidente di musica. I suoi commenti sulla musica sono il nulla più assoluto. Stroncava o esaltava dischi (a volte gli stessi dischi) a seconda dell’umore del momento, della quantità di droghe ingerite e di quanto gli stavano simpatici i musicisti.
    Aveva fiuto, questo sì, ha saputo cogliere certi nuovi fermenti. E soprattutto aveva una penna formidabile, un umorismo feroce e diceva quello che gli pareva senza guardare in faccia a nessuno.

  4. e vabbè sergio, se tu credi che i “commenti di Bangs sono il nulla più assoluto”, fai pure (anche se dire che “non ci capiva niente di musica” mi pare un po’ azzardato). Tra l’altro è un tema palesemente OT, senza contare che, in effetti, Bangs non è nemmeno tra i miei beniamini, quindi figuriamoci.
    Però il contributo di Bangs (e di altri) all’emersione di un rimosso del tutto estraneo al pantheon rockettaro dei ’70, è inestimabile – e questo basta a garantirgli un posto tra i grandi della critica musicale, e non semplicemente dell'”umorismo feroce”.
    I credo che le sue pagine sulle Shaggs, su Trout Mask Replica, su Metal Machine Music, restino grandissime testimonianze di un approccio laterale, obliquo, e anche lungimirante nei confronti dell’oggetto popular music. Ma tant’è.

  5. Mi spiego meglio: sull’acume, la perspicacia, la lungimiranza e l’intelligenza di Bangs sono perfettamente d’accordo.
    Però era uno che non sapeva distinguere un accordo minore da uno maggiore. Ora, tu ritieni che uno possa fare il critico letterario senza distinguere un endecasillabo da un settenario? O il critico d’arte senza distinguere un quadro a olio da uno a tempera? Io no, sinceramente.
    Questo intendevo con “non capirci di musica”. Era un grandissimo osservatore dei fermenti sociali e culturali che nascevano intorno alla musica, e anche un uomo dotato di grande intutito e di uno stile inimitabile. Ma come critico musicale, era un dilettante. Un dilettante di genio, ma pur sempre un dilettante.
    Io lo leggo sempre con molto piacere, ma quando voglio un’analisi musicale degna di questo nome, cerco altrove.

  6. be’, il 90% della critica rock è fatta da semianalfabeti musicali. Così come analfabeti musicali sono il 90% dei musicisti rock. D’altra parte, alla stragrande maggioranza di lettori (sempre di critica rock), le dissertazioni su accordi maggiori e minori non interessano…

    C’è da chiedersi se “un’analisi musicale degna di questo nome” abbia senso su materiali come le Shaggs o lo stesso Metal Machine Music. Io ho miei dubbi, ma c’è anche chi la fa, eh, per carità (a mio parere raggiungendo le sublimi vette del ridicolo, ma appunto, è un mio parere). Ma non credo assolutamente che sia questo a segnare il discrimine tra chi è dilettante e chi non lo è.

    Poi oh, c’è chi al mondo preferisce Philip Tagg che disseziona gli Abba, e chi invece crede che lo stato dell’arte della critica musicale sia Bangs che parla dei Fugs. Io non appartengo a nessuna delle due categorie, ma dovessi scegliere, opterei decisamente per la seconda, senza dubbio.

    [per chi fosse curioso di sapere cosa dice Bangs dei Fugs, e in particolare del loro album Virgin Forest, ecco un estratto: “Mi ricordo di aver comprato Virgin Forest e di essere tornato titubante al negozio di dischi per chiedere alla commessa come poteva essere il loro primo album. “Ah, più o meno come questo”, ha sorriso lei, “solo più primitivo”. Più primitivo? Più primitivo di così e avrebbero girato con le pelli di leopardo e le ossa nel naso.”
    Non so voi, ma a me pare una descrizione chiarissima della musica contenuta in quel disco…]

  7. Hai colto esattamente il problema: la critica rock/pop è fatta da analfabeti, letta da analfabeti e parla di analfabeti. E perlopiù è composta di comunicati stampa delle case discografiche, più o meno rimaneggiati. Questo spiega perché la maggior parte della popolazione mondiale considera geni Robbie Williams e Britney Spears e ignora l’esistenza dei King Crimson e di Tim Buckley.
    Ora, non pretendo che uno debba dissezionare gli Abba, ma con i Meters, Prince, Ray Charles, i Soft Machine, gli Steely Dan, Bob Dylan e i Beatles, direi che vale perlomeno la pena di provarci…

  8. La citazione corretta era “gente che non sa scrivere che intervista gente che non sa parlare per un pubblico che non sa leggere” (copyright F.Zappa).

    Scherzi a parte: scusami ma dubito fortemente che la conoscenza o meno del pentagramma sia il motivo per cui “la maggior parte della popolazione mondiale considera geni Robbie Williams e Britney Spears”. E dubito che la colpa di cotanto misfatto (misfatto? A me Britney piace, in alcuni brani ci sono dei poliritmi che manco lo Steve Reich di Drumming) sia da ascriversi alla famigerata critica pop/rock.

    Perdonami ma i tuoi interventi mi sembrano viziati da un certo pregiudizio di fondo… capisco che, vista la tua formazione jazzistica, tu attribuisca un peso determinante a questioni – diciamo così – tecnico-linguistiche, ma il critico musicale non per forza deve essere un musicologo. Anzi, personalmente credo che il suo lavoro sia tutt’altro: informativo, certo, ma soprattutto mi aspetto che un critico sia in grado di contestualizzare l’ogetto d’analisi all’interno di precisi percorsi storici (musicali e non), suggerendo ipotesi di lettura, stabilendo contatti e collegamenti con universi affini e/o opposti, ecc ecc… Non certo che mi parli di accordi minori e maggiori (anche se magari mi aspetto che sappia almeno cosa sia un fuzz e cosa significhi circuit bending, vabè).

  9. Certi brani della Spears in effetti non sono male (a proposito, c’è un pianista jazz che si chiama Yaron Herman e ha fatto una versione formidabile di “Toxic”). L’importante è avere una scala di valori, e se in cima a quella scala c’è Britney Spears, allora c’è qualcosa che non va…
    Il critico musicale non deve necessariamente parlarti di accordi minori e maggiori (anzi, io quando recensisco dischi non lo faccio praticamente mai). Però deve conoscerli, e riconoscerli. E partire da lì per parlare di tutto il resto: perché che lo si voglia o no, la musica è fatta di note, così come la letteratura è fatta di parole messe in fila e la scultura è fatta di pietre prese a martellate.
    A me è capitato di andare a concerti jazz e sentire esimi critici che non riconoscevano “Round Midnight”. E questo non è nozionismo: è l’ABC dell’ascolto.
    Il successo di certi personaggi non è solo colpa della critica, però se i critici smettessero di leccare il culo alle major discografiche e avessero il coraggio di fare quello che faceva Lester Bangs (cioè sbattere le cose in faccia, anche a brutto muso se serve), e lo facessero magari con un po’ di consapevolezza tecnica in più, io credo che qualcosa potrebbe migliorare.

  10. Sergio,
    il problema che tiri fuori non è da poco. Chi fa critica ha prevalentemente una cultura letteraria. Ed infatti la loro competenza sulla letteratura è buona, “valida”. Ma quando guardano un film o una mostra d’arte, o ascoltano un concerto o un disco, li “leggono”. non li osservano, non li ascoltano. Li leggono. Anche perché devono restituire le loro impressioni su carta. Da leggere. Questo “difetto nel manico” ha fatto la fortuna di un sacco di registi, o artisti, o musicisti mediocri.
    Ma ora non ho tempo. Ti voglio solo dire che (io cresciuto a John Coltrane, mentre i miei amici facevano i rockettari) a me moltissime cose di Robbie Williams piacciono. Molto più di molta “musica impegnata”, de’ sinistra, rockettara, etc. etc.

    Finisco con le parole di Michele: buone feste.
    ;-)

  11. “Poi oh, c’è chi al mondo preferisce Philip Tagg che disseziona gli Abba, e chi invece crede che lo stato dell’arte della critica musicale sia Bangs che parla dei Fugs”. Sarà pure critica lirica, ma somiglia a quando gli smanettoni si mettono a parlare di web 2.0 Non si capisce una mazza. Peggio delle neo-neoavanguardie. Ma lo sapete cos’è il rock?

  12. @ Michele Monina
    Hai ragione, siamo andati parecchio OT. Però il bello di Nazione Indiana è anche questo.
    Buone Feste anche a te.

  13. @ gianni biondillo
    Certe cose di Robbie Williams piacciono anche a me, solo che come ho detto l’importante è avere chiara la differenza tra una canzoncina gradevole e ben arrangiata come “Feel” e, mettiamo, “Highway 61 Revisited”.
    E soprattutto questa differenza dovrebbero averla chiara i critici: il che non vuol dire avere spocchia o rigettare tutto il pop come spazzatura (per inciso, non è affatto facile scrivere un buon pezzo pop, e nel pop ci sono fior di musicisti), ma significa fare critica con la coscienza di star facendo un mestiere che richiede impegno, serietà e professionalità.
    “Per tutta la vita ci sforziamo di evitare il dilettantismo ma esso di continuo ci rincorre e ci raggiunge […] e non c’è nulla che noi desideriamo con maggiore intensità che sottrarci per sempre al dilettantismo dal quale veniamo continuamente raggiunti”. (Thomas Bernhard)
    Buone feste a tutti.

  14. massì, Sergio, basta capirsi. In realtà non diciamo cose differenti (te lo dice uno che sa cos’è una settima diminuita).
    ;-)

  15. A me i Lacuna Coil non dispiacciono, anzi. Credo proprio che essi rappresentano una delle poche voci valide del rock italiano nel mercato internazionale. A maggior ragione, per il fatto che abbiano ritenuto di andare avanti con una label indipendente, la Century Media, invece di passare ad una major. Comunque l’articolo di Michele Monina non è una fresca novità, mi ricordo che era già stato pubblicato (se non sbaglio) su Vanity Fair tanti mesi fa, all’indomani della pubblicazione del loro ultimo cd. Preciso una cosa, comunque: non sono un fan del gothic metal, o di altri filoni hm. Ascolto musica, specie se ben scritta, arrangiata ed eseguita: mi emoziona anche il Bollani piano solo, come la Magoni & Spinetti, ma non disprezzo altre scelte. Ecco, odio i campionamenti, i ripescaggi dei riff del passato, e così via. Ultimamente non ho smesso di ascoltare l’ultimo Springsteen, ecco.

I commenti a questo post sono chiusi

articoli correlati

Il venditore di via Broletto

di Romano A. Fiocchi
Sono trascorsi molti anni ma mi ricorderò sempre di quel giorno gelido di fine gennaio in cui lo incontrai. Lavoravo come fotoreporter da circa tre mesi, mi aveva assunto in prova l’agenzia Immaginazione.

Il cuore del mondo

di Luca Alerci
Vincenzo Consolo lo incontrai, viandante, nei miei paesi sui contrafforti dell’Appennino siciliano. Andava alla ricerca della Sicilia fredda, austera e progressista del Gran Lombardo, sulle tracce di quel mito rivoluzionario del Vittorini di "Conversazione in Sicilia".

Apnea

di Alessandro Gorza
Era stata una giornata particolarmente faticosa, il tribunale di Pavia l’aveva chiamata per una consulenza su un brutto caso. Non aveva più voglia di quegli incontri la dottoressa Statuto, psicologa infantile: la bambina abusata coi suoi giochi, i disegni, gli assistenti sociali e il PM, tutti assieme ad aspettare che lei confermasse quello che già si sapeva.

Spatriati

Gianni Biondillo intervista Mario Desiati
Leggevo "Spatriati" e pensavo al dittico di Boccioni: "Quelli che vanno", "Quelli che restano". Il tuo è un romanzo di stati d'animo?

La fuga di Anna

Gianni Biondillo intervista Mattia Corrente
Mi affascinava la vecchiaia, per antonomasia considerata il tramonto della vita, un tempo governato da reminiscenze, nostalgie e rimorsi. E se invece diventasse un momento di riscatto?

Una vita dolce

Gianni Biondillo intervista Beppe Sebaste
"Rompere il ricatto della trama": credo di non avere mai fatto altro da quando ero un ragazzo. Da una parte perché sono sempre stato dalla parte di chi trasgredisce, e la trama è sempre, anche graficamente, un’uniforme e una messa in ordine, un ordine del discorso.
gianni biondillo
gianni biondillo
GIANNI BIONDILLO (Milano, 1966), camminatore, scrittore e architetto pubblica per Guanda dal 2004. Come autore e saggista s’è occupato di narrativa di genere, psicogeografia, architettura, viaggi, eros, fiabe. Ha vinto il Premio Scerbanenco (2011), il Premio Bergamo (2018) e il Premio Bagutta (2024). Scrive per il cinema, il teatro e la televisione. È tradotto in varie lingue europee.
%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: