A Gamba Tesa (come a un caffè sospeso)
di
Francesco Forlani
seconda parte
A bordo servono succhi d’arancia sanguigna. Anche nei bar ormai ti servono solo quelli e mi chiedo che fine abbiano fatto le altre arance. Quando i banchi di nebbia diventano nuvole mi rendo conto di quanto, nella loro leggerezza esse portino in alto ogni segno della mia fragilità. Lo capisco dal fatto che la loro bellezza mi fa piovere dentro, ogni volta, una profonda emozione. Dalle prime lacrime soffocate in gola capisco perfino la gioia dei saltatori, la sfida contro ogni gravità, l’oblio, apparente della inesorabile e successiva caduta.
A Napoli il caffè sospeso è una tradizione che viene da molto lontano. Chiunque ne avesse avuto voglia pagava oltre al proprio caffè anche un altro, lasciandolo a disposizione, appunto “sospeso” per chi non avesse di che permetterselo.
Alla fiera
della piccola e media editoria di Roma mi è capitato di imbattermi in una casa editrice e in un libro. Si tratta di Giulio Perrone Editore ed il titolo in questione èNessun Giorno ritorna, di Lia Levi. Nello stand i ragazzi e le ragazze che ci lavorano quasi non c’entrano. C’è una grande energia contro ogni idée reçue, preconcetta, che vuole il mondo delle case editrici come popolato di mostri (gli editors) e di debiti (degli editori). Ma magari anche il salumiere all’angolo ti farà le stesse osservazioni “materiali”, da come cazzo arrivare alla fine del mese.
Diciamo allora che i debiti non fanno distinzione, ci sono per tutti – le banche dicono che faranno credito a tutti, ma vuole dire la stessa identica cosa. Mi verrebbe da dire, però, che un’altra consapevolezza, un altro sentire è alla base di chi ha deciso di fare libri per mestiere. In fondo anche le sirene sono mostri, e per chi abbia il coraggio e il desiderio di imbarcarsi in una simile avventura, essere testimoni di un canto può essere una valida ragione, anche per sputtanarsi un patrimonio.
A proposito
di economia ho ricevuto l’ultimo libro di Jean Claude Michéa, L’empire du moindre mal. Un libro fondamentale per capire tutte le derive della nuova civiltà liberale, tanto quella dura e pura, proposta dalla destra quanto quella soft, fino a un certo punto, cavallo di battaglia della Nuova Sinistra Disunita. E allora provo a giocare con voi, amati lettori di Nazione Indiana. Ad un certo punto il filosofo francese riporta un discorso che vi propongo qui di seguito:
Non troveremo mai un fine per la nazione né una nostra personale soddisfazione nel mero perseguimento del benessere economico, nell’ammassare senza fine beni terreni. Non possiamo misurare lo spirito nazionale sulla base dell’indice Dow-Jones, né i successi del paese sulla base del prodotto interno lordo (PIL).
Il PIL comprende anche l’inquinamento dell’aria e la pubblicità delle sigarette, e le ambulanze per sgombrare le nostre autostrade dalle carneficine dei fine-settimana.
Il PIL mette nel conto le serrature speciali per le nostre porte di casa, e le prigioni per coloro che cercano di forzarle […]. Comprende programmi televisivi che valorizzano la violenza per vendere prodotti violenti ai nostri bambini. Cresce con la produzione di napalm, missili e testate nucleari, comprende anche la ricerca per migliorare la disseminazione della peste bubbonica, si accresce con gli equipaggiamenti che la polizia usa per sedare le rivolte, e non fa che aumentare quando sulle loro ceneri si ricostruiscono i bassifondi popolari.
Il PIL non tiene conto della salute delle nostre famiglie, della qualità della loro educazione o della gioia dei loro momenti di svago. […] Non comprende la bellezza della nostra poesia o la solidità dei valori familiari, l’intelligenza del nostro dibattere o l’onestà dei nostri pubblici dipendenti. Non tiene conto né della giustizia nei nostri tribunali, né dell’equità nei rapporti fra di noi. Il PIL non misura né la nostra arguzia né il nostro coraggio, né la nostra saggezza né la nostra conoscenza, né la nostra compassione né la devozione al nostro paese. Misura tutto, in breve, eccetto ciò che rende la vita veramente degna di essere vissuta.
Chi l’ha detto?*
Meno PIL per tutti, verrebbe allora da aggiungere. Forse anche meno libri…inutili.
Nel libro
di Lia Levi, che è una sorta di viaggio/romanzo sentimentale che procede attraverso i tempi e i luoghi di questo novecento, c’è un passaggio, tra l’altro letto in occasione della presentazione fatta al salone, che vale la pena riportare di seguito.
Di andare a vedere , sia pure per un solo momento, il negozio dove avrei dovuto essere presente come “infilatrice di perle” non mi è mai venuto in mente. Eppure avrei magari potuto fare nuova amicizia con le ragazze che avevo conosciuto qualche anno prima.
Ora mi sembra strano ma così è stato.. Forse è nei romanzi che ogni tassello di una vicenda deve andare a raccordarsi con gli altri. Nella vita spesso non succede. Ci muoviamo per impulsi e ragionamenti frammentari, e i fatti continuano a vagare nell’aria, avulsi gli uni dagli altri.
(…) E’ oggi (per l’età o perché scrivo?) che vorrei proprio andare a cercare quel negozio di cui non ricordo il nome.
Qualche tempo fa
proprio su Nazione Indiana e Absolute Poety, lanciai l’idea di un concorso, Page Blanche à la poesie, per un progetto di libro (tutt’ora in corso) in cui si affermava il principio secondo cui se è vero che basta aver scritto un solo verso di (vera) poesia per definirsi poeti, con il semplice invio di un verso si sarebbe entrati di diritto nelle pagine bianche da noi curato.
In realtà nei romanzi e nei racconti vige lo stesso principio. Ci ricordiamo spesso una visione del romanziere, un passaggio, un dialogo, e il più delle volte quanto ricordato esaudisce il desiderio dell’autore. Se Proust fosse ancora in vita sono sicuro che approverebbe l’associazione che the people fa tra la Recherche e la Madeleine.
Perchè se ci ricordiamo di quell’episodio la ragione va trovata nel dispositivo narrativo che l’autore ha messo in atto, la composizione della scena ma soprattutto la centralità della sua riflessione sulla memoria e sull’affetto. In certi romanzi accade invece che non sia un episodio su tutti – eppure esiste e sarebbe il compito dei critici quello di enuclearlo- ma l’atmosfera generale, sia che si tratti di Melville o di Kafka. Quel che mi ha interessato del lungo racconto di Lia Levi, e conseguentemente anche della decisione , da parte del suo editore, di pubblicarlo, è il fatto che sia riuscita a dare un senso di compiutezza a un lavoro solamente preparatorio.
in fin dei conti si tratta di un libro di memorie, scritto con grande esprit de finesse, ma ancora dalla parte della vita.
Il passaggio in questione invece è l’unico in cui la vita (sarà l’età, si chiede Lia levi) e la letteratura (forse perché scrivo) si legano indissolubilmente. In altri termini, a mio modesto parere, la scrittrice utilizza le quasi cento pagine per “svelare” l’arcano del romanzo a cui vorrebbe lavorare, ovvero raccontare la storia di un negozietto napoletano di cui non ricorda nemmeno il nome. E che per delle ragioni che non sappiamo concentra la nostra attenzione.
SMS
mandato da un’amico.
Avec l’age l’art et la vie ne font qu’un (scritta su un muro di Bruxelles)
Quando
Edmond Jabes scriveva che lo straniero, non è “là fuori”, rassicurante estraneità; rassicurante perché sappiamo come possiamo difenderci da essa. E’ qui dentro – ci abita sapeva benissimo le implicazioni contenute in una riflessione del genere. Nessuna cultura dell’ identità sarebbe stata possibile nè tanto meno augurabile.A meno di non essere dissociati mentali.
L’esperienza dell’estraneità – étran-Je (estran-io) diceva Jabes, inoltre comporta necessariamente una cultura dell’ospitalità. Senza ospitalità del resto non ci sarebbero stranieri. Gli psicopati dell’identità infatti li avrebbero espulsi appena toccato il suolo.
I libri ci ospitano. Di un’ospitalità che è soprattutto dono. Il lettore ha lo statuto del viaggiatore ed ecco perchè in ogni libro, perfino in una poesia, c’è come una scatola nera (black box), un episodio, un’atmosfera, un verso che traccia l’esperienza del volo, ne registra ogni traccia.Che seppure andasse distrutto quel libro, un’unica frase, un frammento ne permetterebbe la sopravvivenza. Del resto molti capolavori del passato nonostante fossero stati massacrati da traduzioni ai limiti dell’infamia riuscirono a giungere al lettore. A passare il confine.
Come per il caffè bisognerebbe immaginare dei libri sospesi. Un libro che abbia il sapore di un gesto antico di un dono.
Come quando la madre dell’amica che mi ospitava a Roma, ignara della mia presenza senza chiedermi chi fossi mi ha riscaldato l’anima con un caffé.
* Bob Kennedy
I commenti a questo post sono chiusi
Francesco, è bellissimo, non ho altre parole. Che idea il libro sospeso…..
Un mio collega (fisico) di Milano ha un cartello sulla porta del suo ufficio: “andare in bicicletta fa diminuire il PIL”.
Idea sospesa della grazia: l’idea del caffè sospeso è sublime, generosa. Non mi stupisco che sia nata a Napoli, là, tra il sospiro del mare e l’altezza del cielo.
L’idea del libro sospeso fa sognare.
Penso anche a la rosa sospesa, la rosa che va trovare un cuore solitario, la rosa offerta all’orlo della sua grazia, la rosa ricevuta contro il cuore.
Penso a un uomo vecchio che riceverebbe la rosa, come la grazia ritrovata dell’amore.
SMS: avec l’âge et la vie, la tristesse et le froid font l’horizon quotidien.
avec l’âge et la vie, l’absence d’enfants fait perdre le sourire de l’enfance et l’espérance des châteaux de sable.
Sposo il commento di Véronique, Francesco, e abbraccio la tua dolcezza nel custodire un momento romano che è rimasto anche tra le cose care quotidiane che ricordo con piacevole nostalgia. La mamma leggerà il post e saprà dire la sua. Abbiamo appeso in casa editrice A gamba tesa (come a un caffè sospeso) e Lia, la cara Lia, ti ringrazia. Un cuore sospeso, Fra, lì dove so custodire, contenere e ospitare la bellezza, la morbidezza e la preziosità dei gesti e degli accessori che ‘incontro’ nella vita. i.
sottoscrivo i commenti più sopra. Bellissimo.
[la fragilità è la nostra forza]
I libri ci ospitano.
e in quel che scrivi ci si sente “a casa”.
«il negozio dove avrei dovuto essere presente come “infilatrice di perle”».
…
«avrei magari potuto fare nuova amicizia con le ragazze»
«(estran-io)»
Caro Francesco, esistono dunque un caffè e delle ragazze sospesi in un tempo che non sarà mai disponibile alla memoria: chi paga un caffè per un chiunque, manca all’incontro con uno dei suoi possibili se, così come chi avrebbe dovuto essere presente in qualche luogo e non c’era.
Gli atti mancati sono fatti di rifiuti e nasi rivolti altrove: sono io che mi rendo estranea all’esperienza e rimango al di qua della soglia, senza attraversarla. Ricordare è un inferno.
E’ tempo che i caffè si condividano con i chiunque anche al bar, è così?
Ciao
Tina
e’ per questo che si scrivono romanzi
per dare corpo e vita ad esistenze sospese
effeffe