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La strada

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di Gianni Biondillo

Cormac McCarthy, La strada, 2007, Einaudi, traduzione di Martina Testa, 218 pag.

Non sono un capolavorista e Cormac McCarthy non ha certo bisogno dei miei peana per trovare nuovi lettori. Stiamo parlando di un autore che è riconosciuto, da decenni, come uno dei più lucidi e meglio rappresentativi della narrativa statunitense; il Pulitzer vinto proprio con questo romanzo, La strada, lo sta a dimostrare. Ma fatico davvero a non elogiare in modo esagerato questo libro che rasenta per me la perfezione.

Un padre, un figlio, in un mondo postapocalittico, con un sole pallido, un’aria irrespirabile, una terra arsa, senza più vita – né animale, né vegetale – se non qualche sparuto disperato sopravvissuto, pronto a tutto per prevaricare, per continuare ad esistere, non ostante tutto, non ostante la evidente, disperata, devastazione. In questa terra desolata nulla ha senso se non la flebile speranza di un viaggio, verso sud, verso l’oceano. Il racconto è tutto qui.

Ma è, soprattutto, nelle cose e negli atti di quotidiana sopravvivenza: nello snervante cammino, nella ricerca del cibo, dell’acqua, del fortunoso riparo notturno. È nell’amore inviolabile, sacro, che lega l’uomo al bambino. È nel fuoco che portano con loro, che scalda le loro anime alla deriva. E il padre, che è tutti i padri del mondo, si fa latore di un’etica, di una indefessa, irredimibile, volontà d’esistere; che non potrebbe resistere se non fosse insistentemente alimentata dall’obbligo morale di mantenere accesa la fiamma nel cuore del figlio. Lui è il cucciolo da proteggere sotto l’ala, ma è anche la divinità a cui sacrificare la propria, altrimenti insensata, esistenza.

La strada è un romanzo levigato, asciutto, dove non esiste parola fuori posto, inutile, ricattatoria. Un romanzo glaciale eppure profondamente emotivo, commuovente, che è riuscito a rendere opaca ogni scrittura che m’è capitato di leggere in questi mesi. Una metafora eterna dell’esistenza umana, crudele eppure inevitabilmente inarresa. È la vita che guarda ogni giorno in faccia la morte e che, cocciuta, non spegne mai la fiammella flebile della speranza.

[pubblicato su Cooperazione, n° 45 del 6 novembre 2007]

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16 Commenti

  1. concordo. dopo questo libro ho sentito per la prima volta la sensazione che potrei decidere di non leggere più niente, nè di scrivere più niente.
    ‘La strada’ è necessario e sufficiente.

  2. Una grande opera letteraria. Uno dei romanzi più disperati che abbia mai letto. In realtà non ricordo nella prosa un aggettivo che possa aver illuminato la lettura con una luce di speranza. Che sono riuscito ad intravedere, limitata ad uno dei due protagonisti e non certo all’umanità intera, solo alle ultimissime pagine. Alcune scene della storia si sono annidate nella memoria e camminano, con me, per la strada.

  3. Sono un grande appassionato di Cormac McCarthy è questo libro è tanto più bello se collocato alla fine del percorso dello scrittore che storia dopo storia, dal west fino ai nostri giorni e poi ad un futuro forse non tanto lontano, diventa sempre più essenziale. Come qualcosa che si prosciuga progressivamente. Nella scrittura e nei sentimenti. Che proprio per questo emergono dal superfluo giganteschi.

  4. Non so.
    L’ho letto in un fiato e l’ho trovato molto bello. Quando trovano il bunker pieno di scatolette mi sono quasi commosso e quando il babbo perlustra la nave sono rimasto col fiato sospeso. Certo il livello della scrittura è eccelso. Però è dura, ogni volta che ci si muove nel post apocalittico, uscire dai cliché. A ogni collina viene inevitabile aspettarsi di veder sbucare lord Homungus di Mad Max o i biker punk al servizio di Shin (Hokuto no Ken).

    sarmigezetusa

  5. Questo è il passo, nella recensione, che più mi lega..

    ‘Ma è, soprattutto, nelle cose e negli atti di quotidiana sopravvivenza: nello snervante cammino, nella ricerca del cibo, dell’acqua, del fortunoso riparo notturno. È nell’amore inviolabile, sacro, che lega l’uomo al bambino…’

    Benedico Cormac
    per questa scrittura meravigliosa!
    Nina

  6. Allah è grande, tovarich Sandrosky: ha già provveduto a umettar di virtute e canoscenza l’egregio scritto del Biondìl profeta.

  7. Dicono che McCormac sia uno scrittore poco amato dalle donne.
    Dicono che ne fa sempre ritratti abbastanza meschini e marginali.
    Quando ho letto La strada ho pensato che ciò era vero.
    Però mi è piaciuto lo stesso.
    Sono troppo contraddittoria?

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GIANNI BIONDILLO (Milano, 1966), camminatore, scrittore e architetto pubblica per Guanda dal 2004. Come autore e saggista s’è occupato di narrativa di genere, psicogeografia, architettura, viaggi, eros, fiabe. Ha vinto il Premio Scerbanenco (2011), il Premio Bergamo (2018) e il Premio Bagutta (2024). Scrive per il cinema, il teatro e la televisione. È tradotto in varie lingue europee.
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