Diorama dell’est #7
di Giovanni Catelli
Dnepropetrovsk, stalovaja
Dalla mensa vedo le gambe dei passanti fluttuare, in un gorgo di luce quasi marina, le tende sottili s’increspano tremano per lievi misteriose correnti, sulle tavole a fiori cade un lontano riverbero, da fioche lampadine, come da un inverno, da un immenso peso di stagioni mai concluse, un’eterna incomprensibile fatica : ora viene, avanza, quel rotolio profondo, cupo, dalle nere gomme dei filobus, cresce, sino al tremore dei vassoi, al gonfiarsi del silenzio, lungo l’aria immobile, dissipa, la vita della strada, con cieco battito di fuga, inquieta velocità insonne, depreda sino al buio la sosta delle cose, quella loro antica timorosa ritrosia : ecco, s’allontana, se ne va, la mano invisibile del mondo, la sua stretta periodica, tenace, nella sala remota, nella sua quiete abissale, ritornano leggere folate di silenzio, si placa l’ondeggiare delle luci, s’abbassa di nuovo lo sguardo dei presenti, scivola nel vuoto un cadere di posate, uno scroscio d’acque alle cucine, si sfarinano brevi parole di richiamo, già s’immerge la sala nel profondo tempo senza rive.
Lukianovka
Migliaia di persone, ogni sera, escono veloci dalla stazione Lukianovka.
Il demone segreto degli incontri non le attende, mai, lungo i rapidi metri d’aria prima del nuovo sottopasso, l’ennesima scala verso l’ombra, lo smarrirsi più sicuro e decisivo, nella minima distanza impercettibile dei passi, nel battere già cieco degli sguardi fra le luci, elettriche, nel transito di venti polveri fragori senza pace. Tu le guardi, seduto in una nebbia di vetrate, dalla tavola calda, già remoto ed invisibile come la polvere, sulle piantine di plastica, mentre il cielo muove le sue nubi alla sconfitta, nel gorgo della sera, fra le cuspidi tradite da minuscole luci senza nome.
Kiev, notte
E’ ancora possibile scendere, nella notte fonda, lungo la Bogdana Chmelnitskova, e attraverso il silenzio, fermarsi al chiosco delle bibite, accanto al museo, per un Mac Coffee da una hrivnia, bollente, quando già la temperatura scivola, immobile, sotto lo zero, e nelle auto sepolte dall’attesa si compie il sonno minerale dei tassisti : è ancora così antico il silenzio, e smisurata la quiete delle cose, ancora così vasto il potere del passato, e salda la mano del buio sulle vite, ma l’aria è secca e lieve nel suo gelo, non ferisce il lampo giallo soffiato dal semaforo, né dura il grido vuoto e ignaro d’un motore, solo senti, mentre i passi che accompagni scendono a Teatralna, il fruscio metallico di vertebre dei grandi cartelloni, che rovesciano il miraggio delle merci, ogni dieci secondi, per nessuno, sino al nuovo eterno crescere del giorno : ancora il cielo non schiarisce dietro la città, oltre la torre staliniana che impassibile regge ai riflettori la sua stella, oltre le nuove torri senza nome cresciute all’avvenire, e le gru accese pulsanti lungo il buio fondo, ed il tempo : ancora, davvero, lo senti, è possibile vivere.
Oh…
questa solitudine che scava tra le ombre
e scivola
dentro il gorgo della notte
tutta si sente
nello sguardo che si alza
languente
fra le cuspidi che
brillano ancora…
Ciao Giovanni
in quale stazione ti trovi, ora…
ho ancora nello sguardo, nel fiato, praga, kiev, dnepropetrovsk…
mi fai sognare…
ti ringrazio…mi sento utile, in qualche modo…peccato non avere altro che un nome…senza un volto…una città…una via…
che fare?
un nome può bastare…
c’è una mappa
dentro.
:-)
è vero…e poi tracce di lontani racconti…remote geografie…libri già lasciati liberi nel mondo…forse meno soli…
al prossimo incontro…allora….
al prossimo…a presto…