Anteprima Sud n°10/ Eugenio Tescione
Principio finale (De Siderea)
di
Eugenio Tescione
Si
dissi a te vita
a te inevitata strofa
stanza rimasta chiusa
muta.
In fili fitti finissimi
logori nell’aria rinnovata
che li rinnova
li fa via nuova alla ferita,
si muove l’istanza
si colma la distanza la misura
di cui nulla sa la mente, estesa fertilissima
ma più incolta, insoluta.
Nel campo di neve che riscalda il seme
campo di sete
aria arsa oscura,
nel fiato di parola che dura,
la voce desertificata torna
alla mia impura volontà
impura velleità del possedere.
Ma quanto incolmabile sei
campo del tu,
quanti fili fittissimi intessi
quanto di meno di più strangoli la gola,
quanta sete nella tua infinita rete.
Si, rimasi assetato
nell’essere stato
mutato e muto in prassi irrisolte
in atti franosi,
nei fatti grossi e minuziosi,
muto di io di tu
fui pungolato dai molti
troppi silenzi. Eppure, non sbaglio, dicesti
e io dissi a te, mi parlasti
di te vidi i fili filare via
disciolti,
tu rimanesti ad essere assenza
e in essa pensasti. Nella tua sparizione
pensai desiderai,
desiderai che tu placassi la sete
tornassi luna che luce ripete.
Di te non riposai,
di qualunque tua natura tua reale
pura sostanza non seppi,
il tuo ordito il tuo leggero specifico peso
portai, ma faticosa è la tua assenza.
La tua presenza è ora
la bocca che adora che beve,
l’occhio che sorgere vede
il corpo la speme
il caldo spasmo che lega che spreme.
Ora nel solco del seno si spande
visibile il seme che attrai, ora possibile
è la mia velleità
la mia impura volontà di avere,
di incollarti a me con i miei fili
a filamenti a umori simili
a liquidi. Mia consolazione
al tuo ripetere la tua sparizione
è sapere il tuo tornare
luce di lunare insorgenza,
il mio sentire il tuo essere in absentia
come tua sublime presenza.
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