Andrea Raosandrea raos ha pubblicato discendere il fiume calmo, nel quinto quaderno italiano (milano, crocetti, 1996, a c. di franco buffoni), aspettami, dice. poesie 1992-2002 (roma, pieraldo, 2003), luna velata (marsiglia, cipM – les comptoirs de la nouvelle b.s., 2003), le api migratori (salerno, oèdipus – collana liquid, 2007), AAVV, prosa in prosa (firenze, le lettere, 2009), AAVV, la fisica delle cose. dieci riscritture da lucrezio (roma, giulio perrone editore, 2010), i cani dello chott el-jerid (milano, arcipelago, 2010), lettere nere (milano, effigie, 2013), le avventure dell'allegro leprotto e altre storie inospitali (osimo - an, arcipelago itaca, 2017) e o!h (pavia, blonk, 2020). è presente nel volume àkusma. forme della poesia contemporanea (metauro, 2000). ha curato le antologie chijô no utagoe – il coro temporaneo (tokyo, shichôsha, 2001) e contemporary italian poetry (freeverse editions, 2013). con andrea inglese ha curato le antologie azioni poetiche. nouveaux poètes italiens, in «action poétique», (sett. 2004) e le macchine liriche. sei poeti francesi della contemporaneità, in «nuovi argomenti» (ott.-dic. 2005). sue poesie sono apparse in traduzione francese sulle riviste «le cahier du réfuge» (2002), «if» (2003), «action poétique» (2005), «exit» (2005) e "nioques" (2015); altre, in traduzioni inglese, in "the new review of literature" (vol. 5 no. 2 / spring 2008), "aufgabe" (no. 7, 2008), poetry international, free verse e la rubrica "in translation" della rivista "brooklyn rail". in volume ha tradotto joe ross, strati (con marco giovenale, la camera verde, 2007), ryoko sekiguchi, apparizione (la camera verde, 2009), giuliano mesa (con eric suchere, action poetique, 2010), stephen rodefer, dormendo con la luce accesa (nazione indiana / murene, 2010) e charles reznikoff, olocausto (benway series, 2014). in rivista ha tradotto, tra gli altri, yoshioka minoru, gherasim luca, liliane giraudon, valere novarina, danielle collobert, nanni balestrini, kathleen fraser, robert lax, peter gizzi, bob perelman, antoine volodine, franco fortini e murasaki shikibu.
Non credo proprio d’amare la Dickinson e la sua solitudine espressiva.
Giusto, e mettiamo in soffitta anche l’otto volante, che è tempo. E la frusta per l’ova.
La Dickinson scriveva senza vivere, tranne nel caso si voglia considerare esperienza un vivere fra quattro pareti. La sua poesia, profondamente intimista, è appunto di solitudine: la sua espressione più alta. A 25 anni si chiuse dentro. Dalla sua camera non uscì mai più, se non in orizzontale. Nemmeno la morte dei genitori la fecero uscire dalla camera, che aveva eletto a suo confessionale. Poetessa che credeva che la fantasia fosse il grembo di ogni parto artistico, rifiutò in toto la vita: poetessa confessionale. Non la prima, non l’ultima. Sopravvalutata e molto a mio avviso. Mentre trovo più vivace Silvia Plath, nonché più pregna di significati: però questa viene perlopiù ignorata, forse per il suo linguaggio particolare, non semplice e salmodiante come quello della Dickinson.
se chi scrive senza vivere arriva a raggiungere tale lucidità,
allora ben venga questo tipo di vivere!
;-)
Chapuce, puoi sempre provare a chiuderti nella tua cameretta per tantissimi lunghissimi anni e poi scrivere i risultati eventualmente. :-)
Iannozzi dice delle verità, ma viste solo da una parte, secondo me. In primis, catalogare come “confessionale” sia la poesia della Plath che quella della Dickinson mi sembra riduttivo. Scrivevano forse le stesse cose e nella stessa maniera? Non mi sembra. E ci passano anche un centinaio d’anni di differenza, che andrebbero contestualizzati. Anche la Sexton scriveva poesia, così detta, confessionale. Eppure era una mezza fotomodella. Rifiutare in toto la vita non è forse come prenderla tutta? Io invece sottilizzerei sulla traduzione, enunciando cavilletti, ma so che Massimo non ha semplicemente “tradotto” la Dickinson, ma se l’è lasciata passare attraverso. per cui che la “singola scintilla” diventi “nostra scinitilla” lo accetto di buon grado. D’altronde le difficoltà di traduzione sono note a tutti, e maggiormente con l’inglese arcaico della Dickinson.
Un saluto a tutti.
A
Non mi sembra strano il paragone tra Emily Dickinson e Silvia Plath: Giuseppe a la penna giusta per dipingere una vita rinchiusa nella scrittura, fatta di ricerca silenziosa, di solitudine per dare luca a una poesia perfetta, ma poco nomada, retta.
Invice, la lingua di Silvia Plath è un miracolo d’inventività, di libertà.
Parte da una visione quotidiana per raggiungere immagine bizzara, clinica.
Una scrittura che porta in grembo, un dolore sezionata, un dolore di donna. E amo il suo amore per un solo uomo.
Ma la poesia scelta, la trovo bella perché è aperta nel cielo, risplendisce del destino umano, riflesso nelle stelle, selce. ( Buongiorno a Chapuce e a Andrea)
Un bacio dolce a Giuseppe: ritrovo la tua vivacità: è bello!
volevo dire Luce, invece, un dolore sezionato. Vedo gli errori: è troppo tardi: ho mandato il messaggio!
caro iannozzi, ti faccio rispondere da lei
Fu questo un Poeta – colui che distilla
Un senso sorprendente da ordinari
Significati, essenze così immense
Da specie familiari
Morte alla nostra porta
Che stupore ci assale
Perchè non fummo noi
A fermarle per primi.
Rivelatore d’immagini,
E’ lui, il Poeta,
A condannarci per contrasto
Ad una illimitata povertà.
Della sua parte ignaro,
Tanto che il furto non lo turberebbe,
E’ per se stesso un tesoro
Inviolabile al tempo.
e poi,
Vi son cose che volano-
Uccelli, ore, calabroni:
Non è per queste l’elegia.
Vi son cose che restano-
Il dolore ed i monti e l’eterno.
Nemmeno queste a me si addicono.
Altre sostano e sorgono
Posso spiegare i cieli?
Com’è immoto l’enigma!
inoltre
Non vidi mai brughiere
E mai vidi il mare:
Pure so com’è l’erica,
So quale aspetto ha l’onda.
Non parlai mai con Dio
E non visitai il cielo,
Pure conosco il luogo
Quasi ne avessi il biglietto
d’altra parte
Nessuna vita è sferica
Tranne le più ristrette.
Queste son presto colme,
Si svelano e hanno termine.
Le grandi crescono lente,
Dal ramo tardi pendono:
Sono lunghe le estati
Delle Esperidi
…il deserto è nuovo- per lei
Maestro mi permetta di guidarla…
ahhhhhhhhhhhh quanto l’amo questa donna!
baci
la funambola
La Dickinson è di poesia confessionale, o meglio ancora: è colei che ha dato il via alla poesia confessionale, estatica e di estrema solitudine.
Non scrivevano alla stessa maniera. Non esistono due poeti uguali, che io sappia. Due poetesse confessionali, la prima salmodiante ed estatica, la Plath maggiormente nevrotica, depressa, lontana da quello ieratismo di fantasie della Dickinson. Ma entrambe in poesia confessavano sé stesse.
Non si può parlare di amore carnale se non si scopa col corpo e con la mente. Che diceva Platone a proposito di corpo e spirito? Te lo ricordi, Funambola cara? Se sì, allora non c’è bisogno che aggiunga altro. Ma le seghe non contano, Funambola cara. :-)
Ciao a tutt*
Se non mi rimetteranno in black list, per il momento ci sono, cara Véronique. :-)
lei caro il mio giuseppe, ne capisce una sega di Poesia :)))))
affettuosamente, s’intende, che lei mi è oltremodo simpatico stasera, che la maria fa prorpio tutti, tutti, tuutttiiii più buoni, gentili e stupidini :)))
baci
la fu
“ieratismo”?!?!!??!!!???
‘Azz’!!! E chi lo avrebbe mai creso! A quest’ora di notte, poi!
E chi riesce a prendere sonno adesso…
Ho capito, Funambola cara: tu sei del fronte, “liberiamola la Maria!!!” Sono d’accordo, liberatela! :-D
E’ che son cresciuto a forza di Catullo e Bukowski, quindi sì, è proprio vero, di poesia capisco giusto una sega! :-D
Ma Platone non fu forse colui che disse che il corpo è la prigione dell’anima? Oh, certo che sì.
Baci bukowskiani :-)
g.
Vorrei dire, anche se non serve perché già si sa ma lo ripeto per i distratti, che come uno scrittore vive è cosa non riducibile a modelli mediocri perché ciò che conta per uno scrittore come VITA è la SCRITTURA, solo e unicamente la SCRITTURA, che è VITA di per sé. Detto questo, che era inutile ripetere però intanto s’è pazientemente ripetuto, orrei anche ricordare che la poesia di Emily Dickinson anticipa luminosamente oltre che lucidamente l’ermetismo novecentesco: è proiezione continua di immagini e per nulla racconto intimistico del sé, ma continuo ‘racconto’ di ciò che questo osservatore recluso, questa videocamera sempre accesa vede oltre il sé cercandovi un senso per quel sé che è comune a tutti gli umani. Nella sua ‘seclusion’, come dicono gli americani, ha testimoniato una poesia universale meno viziata d’entusiasmo patriottico del suo contemporaneo, e populista (eppure egli stesso, nel suo modo, eccelso) che fu il ‘collega’ Walt Whitman: come lui, dandolo molto meno a vedere, Emily (la vecchia, cara ‘Milly’) Dickinson ha contribuito al Rinascimento Americano. Sapete cos’è?
Oui, Massimo!
Finalmente qualcuno che cerca di mettere un po’ d’ordine. Arginando, se non altro, lo smottamento provocato dal proliferare di cazzate “ieratistiche”.
Sempre una boccata d’aria, la Dickinson.