Il libretto arancione
di Christian Raimo
Purtroppo è un libro abbastanza noioso questo “libretto arancione” di Walter Veltroni, La nuova stagione (Rizzoli, pagg. 142, 10 euro), che dovrebbe essere la piccola summa delle ragioni fondanti del Partito Democratico, ed è in realtà l’edizione per libreria – ottenuta con una semplice conversione dei file da Word a XPress – di cose che Veltroni aveva già pubblicato più o meno altrove. Purtroppo – a dispetto dell’intenzione dell’autore stesso di produrre uno “shock di innovazione” – è un’occasione sprecata per chi l’ha scritto e per chi ne dovrebbe essere il destinatario; prima degli altri, forse, quelli che vorrebbero andare a votare alle primarie del 14 ottobre. Un’occasione sprecata per confrontarsi, capirsi, parlare, trovare un terreno comune, vicinanze e distanze, una dialettica, rispetto una cosa ancora così evanescente come il Pd.
Ma la causa è strutturale e inevitabile: la vaghezza al limite dell’impalpabilità è proprio la grana del discorso veltroniano, che – aspirando espressamente all’opposto – s’imprigiona invece nella sua inconsistenza. Il tutto si potrebbe riassumere citando il racconto “Orator fit” di Achille Campanile (da Manuale di conversazione), in cui viene elargita la soluzione definitiva per imbastire un discorso in qualsiasi occasione. In poche parole, suggerisce Campanile, basta che diciate che “questo non è un punto di arrivo ma un punto di partenza”. Va bene a un matrimonio, come a un funerale; e va bene anche per La nuova stagione. Qui non si tratta del punto di arrivo del Novecento, ma di un punto di partenza – per non si sa dove, ma comunque via. Nel libretto non c’è molto di più. Ci si libera (leggi: sbarazza) della storia dei partiti novecenteschi italiani come di una zavorra che ha pesato sulla politica italiana fino a paralizzarla, del conflitto di classe come di un sistema di “blocchi sociali”, e si procede all’edificazione del nuovo.
A questo punto, però, bisognerebbe spiegare a Veltroni che se uno opera un repulisti di idee, concetti, parole presuntamente vecchie, il rischio è quello di non ritrovarsi con niente in mano. E infatti, ecco che si nota per tutto il tempo della lettura (una mezz’ora abbondante) un annaspare continuo, in cerca di lemmi che non siano connotati, incrostati in qualsiasi modo di un odore novecentesco, vetusto e fetente. Si usa e si abusa così di tutte quelle parole che in sociolinguistica vengono chiamati “plastismi”, ossia termini onniadattabili, slegati da una reale funzione di significare. Le parole chiave del partito nascente saranno dunque due: “innovazione” e “decisione”, così come la caratteristica fondamentale sarà quella di “essere un partito a vocazione maggioritaria”, e giù a cascata con questa serie di espressioni plastiche come “una coalizione «per» e non una coalizione «contro»”, oppure “Il Partito democratico nasce per affermare un’idea diversa e nuova: quel che conta è governare bene, sulla base di un programma realistico e serio”.
A Veltroni e al suo staff bisognerebbe appunto far ricordare che l’aspetto primario, fondamentale del linguaggio è il carattere oppositivo del significato. Uno capisce la riluttanza al conflitto: e se c’è una parola contro cui si batte di cuore Veltroni è “identitario”. Uno capisce il tentativo di aggregare invece di disperdere: evidente fin dal sottotitolo Contro tutti i conservatorismi se non addirittura dalla “neutralità” del colore arancione della copertina. Ma purtroppo il linguaggio funziona così. Una lingua identifica perché classifica distinguendo.
Lezione numero uno dell’esame di Linguistica Generale: ogni segno linguistico, per cui ogni parola, è oppositivo in quanto la sua identità risulta dalla differenza rispetto a qualunque altro segno del sistema di comunicazione di riferimento. Lo intuì meravigliosamente Saussure all’inizio del secolo, e qualcosa del genere voleva dire quel filosofo indiano quando sosteneva che il significato della parola “mucca” è “non non-mucca”.
Il significato o è oppositivo o non è. Una cosa vuol dire quello proprio perché non vuol dire nessuna delle altre cose. In un discorso programmatico ad un certo punto occorrerà farci i conti?
E invece Veltroni svicola il più possibile, usa “credibilità”, “autorevolezza” a pie’ sospinto, costruisce interi paragrafi usando quelle figure retoriche che Wittgenstein definirebbe frasi prive di significato: tautologie, sinonimie, autoverificazioni… Del tipo, per capirci: “Governare significa decidere e decidere significa scegliere: bisogna dire dei sì e dei no”, oppure “Quando diciamo che il Partito Democratico è un partito «a vocazione maggioritaria» è precisamente questo che intendiamo: un partito che non punta a rappresentare questa o quella componente identitaria (sic) o sociale, per quanto ampia possa essere, ma porsi l’obiettivo di carattere generale di conquistare i consensi necessari a portare avanti un programma di governo, incisivamente riformatore”.
Finché a un certo punto azzarda la mossa più spietata per la logica del linguaggio. Sostituire al livello semantico quello pragmatico. Facciamo un esempio. Voi vi sposate con qualcuno: pronunciate le parole “Sì, lo voglio” e quelle parole sono un atto linguistico, un’emissione di suono che però – in questo caso in maniera evidente – produce conseguenze non insignificanti nella realtà. Ora però il vostro “Sì, lo voglio” dovrà essere motivato, si presuppone che abbia un referente semantico, l’amore nel migliore dei casi, l’interesse per una dote, il gusto di mettersi un vestito bianco, il poter condividere dei diritti. Uno non si sposa per sposarsi.
Ora, alla luce di questa differenza, come commentate il rovesciamento che Veltroni propone esplicitamente a pag. 20 della Nuova stagione? “Si tratta di una rivoluzione culturale e morale. Si tratta di restituire moralità alla politica. Si potrebbe dire che si tratta di affermare una visione «antimachiavellica» della politica stessa […] Il fine della politica dev’essere un altro: dev’essere il preseguimento dell’interesse del Paese, attraverso la costruzione del necessario consenso attorno a un programma di governo”. È la versione orwelliana dell’utilitarismo di Bentham e Mill – la felicità, il benessere per più gente possibile, senza però neanche la base teorica di Bentham e Mill, senza neanche chiedersi che cos’è questo benessere. Altruismo? Edonismo? Un diverso status economico?
Il paradosso di tutto questo è che il nuovo corso veltroniano si pone invece all’insegna della concretezza. E in nome di quest’ideologia anti-ideologica, il decidismo verrebbe da chiamarlo, ci viene proposto nelle ultime pagine il famoso decalogo di idee anche condivisibili: pannelli solari, calmiere per gli affitti, snellimento delle procedure parlamentari… Tutte idee che non possono non incontrare appunto il consenso dei più, e che – essendo al massimo un calendario di proposte di leggi per un governo di sei mesi post-Prodi – hanno dunque il difetto di voler essere la base teorica di un partito al suo atto fondativo. La nuova stagione? Sì, certo potrebbe essere la prossima primavera, oppure l’estate.
Perché Veltroni ha fatto una scelta di profilo così basso retoricamente? Perché non ha saputo investire su un repertorio simbolico più sentito, più personale? Ha paura di perdere qualche consenso tra gli alleati? Aspetta l’investitura del 14 ottobre? Teme di essere utilizzato come spina nel fianco nel governo Prodi? Deve tenere contro delle reazioni dei sondaggi? Oppure – e qui cadrebbe ogni speranza – non lo vuole, o non lo sa proprio fare?
La genericità di Veltroni è organica al suo obbiettivo “maggioritario”, che una volta si sarebbe detto inter-classista e che oggi significa: lascia le cose come stanno, perché i più hanno avuto quello che cercavano, la maggioranza è sostanzialmente appagata (anche fa finta di non esserlo) ed è sostanzialmente di destra, le minoranze non appagate, che pure ci sono, non contano.
Se vuoi ottenere consenso dai più devi dire solo ciò che è condivisibile dai più.
Però la domanda è un’altra: qualora si volesse uscire dal generico, dal tautologico, dalla minestrina delle suore, che tipo di discorso politico-progettuale di dovrebbe/potrebbe fare?
Qualcuno tra i non veltroniani ne ha un’idea?
Io, per es., non sono un veltroniano, e lo stesso non lo so.
Cioè, mi identifico “per differenza” dal veltronismo, senza tuttavia saper dire altro.
Forse è perché faccio parte anch’io della schiumetta depositata sulla battigia del Novecento, come Veltroni ipse.
di=si
Magari è tutto vero, non ho le conoscenze per giudicare. Però quel “Purtroppo” iniziale è falso. Ed è un problema.
“Governare significa decidere e decidere significa scegliere: bisogna dire dei sì e dei no” è un vero capolavoro del nulla.
no, sta facendo training autogeno :-)
Governare un paese significa innanzitutto definire il perimetro (non geografico), la consistenza e il carattere degli interessi nazionali che si intende perseguire. Giustificare in nome di questi una politica economica e una politica estera, e una gestione del territorio e dei flussi migratori. Ma se si è deciso che l’interesse nazionale è qualcosa di obsoleto rispetto all’ineluttabile del libero mercato globale, allora è evidente che si ricamerà come in questo caso sull’orlo del nulla, lasciando il potere, quello vero, a chi già lo detiene e nulla ha a che vedere col teatrino della politica nostrana.
“Aspetta l’investitura del 14 ottobre? Teme di essere utilizzato come spina nel fianco nel governo Prodi? Deve tenere conto delle reazioni dei sondaggi? Oppure – e qui cadrebbe ogni speranza – non lo vuole, o non lo sa proprio fare?”
le ipotesi, purtroppo, sono tutte vere; e l’ultima (non lo sa proprio fare) spiega molto della prima (l’investitura). in altre parole, veltroni è stato “investito” per guidare il nascente pd anche perché è riuscito a dare una patina di modernità (modaiola) a un antico male nazionale, un’idra dai molti nomi e dalle molte teste: connubio rattazziano e compromesso storico, interclassismo e unanimismo, bipartisanship e (qualche anno fa) “metodo ciampi”, concertazione e larghe intese.
siamo rimasti solo noi liberali, in buona compagnia con qualche vetero o neo marxista, a ritenere che la politica sia arena prima di tutto di conflitti, e metodo di composizione non violenta degli stessi. e a ribadire che omnis determinatio est negatio
un non-non-liberale
(ma non-marxista e non-veltroniano… e in effetti, di questi tempi, non-quasitutto, in politica)
Veltroni è la tautologia al potere, o meglio il potere della tautologia.
Ovvio che in Inghilterra farebbe l’assistente sociale, a Brixton magari, onusto com’è di blanda multiculturalità… da noi, ahimè, è attualmente sindaco di Roma, cioè galoppino del Santo Padre e del suo vicario… ed, ahimè ahimè, possibile primo ministro in futuro.
Non vedo come potrebbe o saprebbe proporre discontinuità rispetto ad un passato che dovrebbe esser in primo luogo conosciuto per esser superato.
Era meglio Mao, che almeno nuotava nei fiumi controcorrente a più di 70 anni ;)
Vale et ego.
ho approccato un testo di programmazione neurolinguistica sulla comunicazione ipnotica.Ogni termine aveva una funzione persino le congiunzioni e la punteggiatura(e il coefficente di resistenza del cervello medio non ha mai volato così radente)
p.s. bisognerebbe pure informarsi se con le ultime revisioni della legislazione sull’informazione commerciale hanno depenalizzato la pubblicità subliminale.Perchè ho un’imprecisata voglia di arancie fresche che non mi convince
approcciato,naturalmente
Caro Guido esistono anche i vetero e i neo-liberali…..Un saluto da un neo-vetero-marxista con il ‘ non’ alla fine. A proposito, non ho commentato il tuo ultimo post su Cuba ma ero molto tentato a riaprire ‘conflitti’.
Sull’ oppositivo qualche dubbio ce l’ho: il significato delle parole non si determina necessariamente a priori e in astratto rispetto a un dato contesto verbale. Per sapere se la parola ‘con’ significa ‘insieme a’ o ‘per mezzo di’ o altro, abbiamo bisogno di ‘opposizioni linguistiche in atto’ (ad esempio: dialoghi aconflittuali attuati attraverso proposizioni contenenti la parola ‘con’. In un ipotetico dialogo fra due, tre, otto Veltroni che girano per Roma contemporaneamente, chi a presenziare a un concerto jazz, chi in una scuola di periferia, chi alla notte bianca, potrebbero dirsi l’un l’altro:
‘Con tutto questo tempo dedicato a esserci, non credi più a nulla’
‘Credo solo che passeremo molto ma molto tempo io con te e tu con lui e lui con loro, aggregandoci in un Walter collettivo che parlerà contemporaneamente di ‘ soggetto politico’, ‘romanzo Oltre il giardino’, ‘Coltrane’
‘Ma allora saremo indistinguibili? Nemmeno con un martello ci frantumeranno?’
‘Saremo indistinguibili, fratello con o senza opposizioni’
‘Si lo voglio’ nell’esempio del matrimonio sottende un performativo, una proposizione che fa ciò che dice e concorre a produrre modificazioni della realtà a prescindere da qualsiasi giustificazione sulle cause del ‘si lo voglio’. E’ un’immagine del potere
Di solito biascicano quattro parole messe in croce su Walter Veltroni quelli che giocano a bocce. Io in questo momento faccio fatica a ricordarmi dei lineamenti della sua faccia. Non saprei né descriverli né disegnarli. Se dovessi rappresentarlo esporrei in galleria della trippa di vacca. Linda.
Beh, Morgillo, non faccia il modesto: lei dimostra di essere un efficacissimo fisionimista.
Io ho la verità in tasca. Adesso la tirò fuori con tanto di link. Veltroni è qui: http://www.mini.com/mini_worldwide/mini_worldwide.html
O qui: http://www.fiat500.com/
Anche qui: http://www.cabaretbisanzio.com/2007/05/09/times-new-roman-18-interlinea-25/
il mio post su cuba? forse ti riferisci a quello sulla miseria dei complottismi nati intorno all’11 settembre (che in effetti prendeva spunto da un effato del barbudo). e comunque sì, sono un vetero-liberale di sinistra (ahi, che ircocervo!), spesso i neo-liberali sono messianici, ideologici e schematici… come i vetero-marxisti!
Ha ragione Valter Binaghi sulla questione della definizione degli interessi nazionali. Veltroni dirà anche, a un certo punto, dei sì e dei no, ma o saranno in assoluta contraddizione o non saranno che l’eco di sì e no di ben altre volontà. Perché altro non può fare.
io mi ricordo che un mese dopo la caduta delle due torri veltroni a una qualche intervista sulla t.v disse che aveva raccolto tutti gli articoli di giornale, li aveva messi da parte, e li avrebbe letti poi con calma. perché lì per lì l’impatto emotivo era stato troppo forte.
io pensai che quello era proprio scemo. e adesso penso che sia la figura di un politico teatrante, invischiato, un po’ trafficone, smemorato, di limitate vedute che non va oltre la cerchia di roma e del cupolone. l’italia non è un cerchio è una linea e se non hai una mente sottile non ci stai su.
e io mi trovo in mezzo a una politica che mi disorienta, come un narcotico dolce, un po’ la sera e un po’ al mattino.
se Veltroni scatena tutte queste domande, io credo che ci sia una ragione, e questa ragione è inafferrabile per il semplice motivo che
gestisce bene la sua diplomazia.
Si era quello sull’11 settembre che finiva con ‘ ricetta-economia di mercato’ e ‘ popolo cubano’….Vero sui neo-liberali ciò che dici, come sugli ordoliberali del dopoguerra modello Roepke, Eucken e Boehm. Restano da definire i neo-marxisti…in questo mondo di post-…Vabbe’ basta coi miei cazzeggi, saluto dalla Toscana (terra di vetero).
[…] Christian Raimo sul libretto di Veltroni “la nuova stagione”: qui […]
Bene, cari compagni (pardon!: cari amici), vedo che vi divertite a darmi addosso a più non posso (so’ pure poeta, ahò: che rime la mia penna esprime ed imprime!), ma vi convincerete, ve lo assicuro. Il compagno (pardon!: l’amico) Raimo ha volutamente taciuto, per quella sottile strategia volta al nulla che ogni estremismo di matrice pre-post-ante-retroconfessionale si porta addosso, il punto nodale di tutta la mia costruzione volta ad assicurare un futuro a questo paese. Al mio, al vostro, al nostro paese: un paese che amo, che amate, che amiamo. Ed ecco il punto, la vera svolta: trasformerò lo stivale, dal Gran Paradiso (quanno ce vo’ ce vo’: c’ho pur sempre er cupolone di fronte) ai cimiteri marini di Lampedusa e dintorni, in un’unica, eterna fabbrica (sempre aperta, sempre ricca di opportunità, di lavoro e di benessere per tutti) di “notti bianche”. E voi, cari compagni (pardon!: cari amici), col vostro criticume preconcetto vetero quartinternazionalista (tashtego e biondillo, vi geniamo d’occhio!) state perdendo già, prima ancora di cominciare, la vostra opportunità di sedere al tavolo che conta (e che canta). Quindi vi invito, a iniziare da Raimo (oltretutto, a Roma, mi è facile “snidarlo” in ogni momento), a deporre le armi e ad arrendervi: cancellate questo post posticcio e i vostri commenti già scritti prima ancora dell’evento, come i coccodrilli, e ricominciamo: io sono qui, pronto a rispondere a qualsiasi domanda non farete. A un patto, però: che almeno, prima di non domandare, leggiate bene quello che ho scritto e, soprattutto, quello che scriverò. Da domani, infatti, troverete in edicola, insieme a repubblica e avvenire (diobbòno! la repubblica dell’avvenire! l’avvenire della repubblica!!) il “libretto verde”, con cofanetto allegato, e da me firmato, per raccogliere tutta la collezione “arcobaleno”: così sarà finalmente chiaro, tra l’altro, chi è il vero pacifista, qui. Ne vedrete di tutti i colori, ve lo pro-metto. Questo devo all’italia, a questo paese che amo, prima di ritirarmi in Africa, come vi ho promesso da ormai venticinque anni.
Un’anticipazione, anche se voi disfattisti non meritereste niente: il “libretto verde” parlerà dell’apporto che potrà dare alla causa la “sinistra padana” (il maiale day ce vo’: vuoi mettere le notti bianche senza il panino alla porchetta?); il “libretto rosso” svelerà i retroscena della conversione di Bertinotti (di cui già si vocifera la nomina di cardinale ad honorem negli ambienti che contano- e cantano); il “libretto azzurro” conterrà un elogio, dovuto, dell’opera benemerita di infiltrato e dinamitardo condotta dal “nostro” sandrobbondi all’interno del casino delle libertà; il “libretto nero”, invece, scoprirà definitivamente tutte le carte, soprattutto quelle truccate: l’ho scritto a sei mani con gli amici gianfranco e pierferdinando: dimostreremo che il nero non esiste, e non è mai esistito: tutta una montatura della triade casarini-caruso-rosibbìndi!!!
Il vostro, sempre vostro Vater Nostro.
troppo lungo
Vorrei ricordare che nel 1995, proprio quando l’Italia attraversava un periodo burrascoso con Scalfaro che tollerava i proclami secessionistici di Bossi, tanto D’Alema che Veltroni ci propinarono già due libri, con i quali fecero un po’ di soldi:
“Un paese normale” di D’Alema edito da Mondadori;
“La bella poltica” del gommoso Veltroni, edito da Garzanti.
Difficile, per non dire impossibile, che nel frattempo abbiano messo i piedi per terra.
Mi sembra che “La nuova stagione” mostri bene il punto di stagnazione cui è giunto l’intero progetto democratico occidentale, dopo la fine del comunismo europeo.
L’idea, di matrice illuministica, di creare una società di soggetti razionali che operano per il bene comune frana nel puro e semplice qualunquismo, e nella retorica dei buoni sentimenti.
Quando Veltroni scrive che è “fiinito il tempo dell’egoismo”(p.38) sembra dimenticare l’intero XX secolo, e cioè la drammatica scoperta di come siamo fatti noi umani, dell’abissalità delle nostre contraddizioni, del nostro divorante istinto di morte.
Mi sembra che una democrazia progressiva per il XXI secolo dovrebbe integrare nei suoi programmi di liberazione politica una nuova pedagogia.
Per educare alla cittadinanza planetaria non è più sufficiente l’istruzione tecnico-scientifica, bisogna rieducare le emozioni, affrontare l’angoscia primaria, la nostra ordinaria disperazione.
Quando questo avverrà, quando elaboreremo un programma politico nuova-mente umano, allora tornerà anche l’entusiasmo.
Grazie della bella analisi del testo di Veltroni.
Marco Guzzi
Basta che poi non finisce che tutti ne dicono male e poi tutti citti citti se lo vanno a votare.
ma se tutti ne parlano male, se tutti ne hanno un’opinione così bassa, com’è che probabilmente sarà lui il segretario (si dice ancora così?) del primo (o secondo?) partito italiano?
…o forse proprio per questo?
Ma arancione nel senso di Yulia Timoshenko?
Posto che condivido l’analisi di Raimo (a quanto pare non appena un politico sale, vuole diventare o diventa classe dirigente, diventa demagogico – e Veltroni, dalla mia impressione personale quando l’ho conosciuto come direttore de l’Unità, non lo era), mi chiedo: il continuo sparare ad alzo zero su di lui, cioè il prossimo leader del centrosinistra, come deve essere inteso? Fuoco amico? Fuoco neutro? Fuoco nemico? E quale conseguenza ha questo bombardamento?
Così, vorrei capire.
Scusate, una domanda off topic,
però forse qui su NI qualcuno ha la risposta:
qual è stato il preciso momento in cui l’espressione
“un’occasione sprecata” (o le alternative: “un’occasione persa/perduta/mancata”) è diventata così di uso comune?
Cacchio: ormai è tutto “un’occasione sprecata”!
Marco
@baldrus
Le conseguenze del fastidio per Veltroni, saranno che tutti quelli che non vogliono il ritorno di Berlusconi alle elezioni lo voteranno lo stesso, perché è pur sempre valido il vecchio detto: o mangi ‘sta minestra o salti dalla finestra.
Se potrò, non lo voterò (certamente non andrò a votare alle primarie), tuttavia penso che Uolter sia perfetto per il ruolo di segretario di un partito che, come dice bene Marcoguzzi, “mostra bene il punto di stagnazione cui è giunto l’intero progetto democratico occidentale, dopo la fine del comunismo europeo”.
Veltroni non è una causa, è un effetto, non è un angelo e non è un demonio, non è un genio (anzi è un genio, ma solo della comunicazione e forse della mediazione), non è peggiore di molti noi ed è sostanzialmente migliore di molti politici in circolazione.
La sua particolare capacità, per adesso, è quella di saper gestire il nulla, facendolo sembrare qualcosa, vale a dire un progetto politico, anche se probabilmente una volta andato al governo si limiterà, come gli altri, a dare piccole aggiustatine all’esistente.
Se e quando arriverà la Grande Crisi prossima ventura sarà spazzato via come tutti gli altri.
Ma per adesso, io, che sostanzialmente odio ogni parola che pronuncia, lo voglio vedere a Palazzo Chigi, perché il vuoto non è Veltroni, siamo tutti noi.
Ovviamente parlo per me: non credo che si tratti di aprire il fuoco contro qualcuno o di fare il gioco delle destre attaccando il prossimo candidato del centro sinistra alla presidenza del consiglio. Credo che il problema riguardi i contenuti di una data azione politica e non solo la legittimazione ‘ democratica’ di una data classe dirigente (primarie etc.). Il problema é quello della graduale indistinguibilità delle posizioni, all’interno di una elite di governanti pericolosamente propensa a ballare il twist al bagaglino (nel senso di: fortemente influenzata dal ‘senso comune’, più che dal ‘ buon senso’, penso sopratutto al modo in cui i mezzi di informazione e in particolare l’ apparato televisivo ricostruiscono quella che Dicey chiamava l’ Opinione pubblica o la orientano con un insieme di notizie ‘ standard’, che tende a riprodursi seguendo le stagioni: dai cani che sbranano i bambini in estate fino al problema della ‘ sicurezza’, peraltro più legato al ciclo lunare e ai video di Bin Laden) . Quello della formazione di elites che tendono a costituirsi come un autonomo centro di interessi, con il proprio sistema di regole e la propria solidarietà organica da ‘ mestiere’, è un limite tipico dei sistemi a democrazia rappresentativa. Poi, nell’ attuale momento storico i governanti stessi sono governati da organi sovranazionali quanto alla politica economica e su questo non ci sono troppi margini di libertà per i parlamenti democraticamente eletti. Penso infine al tema spinosissimo del rispetto della ‘legalità’ come valore in sè (dove sta la sinistra qua e dove sta la destra? Muro di Padova docet….). Su quese derive interne al c.d. centro-sinistra Veltroni per adesso è stato abbastanza prudente e le sue posizioni non sembrano assimilabili a quelle di neoleninisti borghesi come il sindaco di Firenze, o alle esternazioni di Giuliano Amato sulla moglie che subisce ‘ torti’ dal lavavetri (non da una persona con un nome e un cognome, da un ‘ lavavetri’). Però ecco ricordo quella lettera ad Augias (posso definirlo un ‘ veltroniano’, visto che molti tizi del PD parlano di ‘lavavetri?’). La lettera a Repubblica firmata da una persona ‘di sinistra’ e al contempo ‘razzista’ suo malgrado. Chissà, magari l’ha scritta Augias stesso, io il ‘ sospetto’ di una operazione culturale e mediatica ce l’ho e spero di sbagliarmi. Le domande di Baldrus potrebbero essere rovesciate, ci potremmo domandare: quali operazioni che la destra in Italia non potrebbe fare verranno fatte dal centro-sinsitra in tema di ‘legalità’? Che succederà ai rumeni? E’ su questi contenuti, che le correnti ‘comuniste’ della coalizione che sosterrà probabilemnte Veltroni insistono e ha fatto benissimo il direttore di Liberazione a rilevare la tendenza a una deriva da ‘leggi razziali’ in articoli di giornalisti come Ronchey a proposito di zingari e attitudine al furto (non so per chi voterà Ronchey….Ma un altro ‘ sospetto’ ce l’avrei). La politica è conflitto, su questo siamo tutti d’ accordo, spero, il problema è trovare dei contenuti su cui confrontarsi, altrimenti si insegue la ‘ realtà’ e prevale solo questo principio: mi hanno eletto democraticamente e faccio una serie di cose concrete per cinque anni. Poi speriamo in una vacanza dove nei giorni in cui non ho ‘votazioni di opposizione al Parlamento’, posso andarmene in giro per la mia città scamiciato e sorridente, magari in bici col mio figlio piccolo , fino a quando passeranno altri cinque anni e magari si, me ne riandrò al governo a fare altre cose utili e concrete: intanto l’economia sociale di mercato e la burocrazia UE sovrastano i pochi strumenti di democrazia diretta rimasti all’ interno degli stati nazionali e nel corso dle mio mandato potrebbero esserci anche gli impegni Nato.
Ecco mi auguro che non si arrivi a questo, ma la strada pare tracciata. O forse ci siamo già arrivati? Saluti
A proposito: Chrtistian il pezzo è bello e condivisibile, molto meglio di quando cazzeggi sui premi letterari (su quello lo sai come la penso). Ci becchiamo presto. Ciao
Fermi restando i dati di struttura, considerati da tutti, destra e sinistra (comunisti compresi), intoccabili – la nostra è una società occidentale basata sull’impresa, cioè sull’accumulazione del capitale, che, assieme al libero mercato e al principio di concorrenza e al consumo generalizzato ed esponenziale, rappresenta la base sacra di ogni economia, quindi di ogni possibile realtà – l’alternanza riguarderebbe e di fatto riguarda solo alcuni dettagli, per così dire flessibili, come il ruolo dello stato nel governo del mercato, la natura e la qualità di servizi, come pensioni e sanità, e punto abbastanza cruciale, la flessibilità del lavoro.
Il resto, vale a dire politica dell’immigrazione, sicurezza, questioni “etiche”, sono, non ostante la loro apparente centralità nel dibattito politico, dettagli nei dettagli.
In pratica, dettagli a parte, la sinistra si differenzia dalla destra, o dovrebbe farlo, solo per la maggiore quota di ritorno sociale che prevede, o dovrebbe prevedere, nell’accumulazione del plus-valore, nonché per la maggiore qualità delle garanzie offerte ai più deboli e a chi lavora.
Fine.
Tuttavia questo discorso la sinistra non ha il coraggio di farlo chiaramente e apertamente, perché sa che il Grande Ripieno sociale cui si deve rivolgere per raggiungere la maggioranza è stato nel frattempo formato culturalmente, anzi, conformato, dai mezzi di comunicazione in mano alla destra da anni, se non da sempre.
Quindi la questione centrale È ANCORA QUELLA ed è di natura culturale (in questo concordo parzialmente con marco mantello), ma non viene affrontata dal centro sinistra contrariamente a quanto dichiarato in campagna elettorale.
Non sono il solo ad essere convinto che se il centro sinistra perderà – è quasi sicuro – le elezioni politiche, sarà per la sua scarsa identificabilità e distinguibilità politica dal centro destra sulle questioni di dettaglio, e non per il contrario.
Ferma restando l’intoccabilità della struttura, ché a quella dovrà prima o poi pensarci la Storia.
@ sgt. pepper
Lo so, sergente, ma cosa ci posso fare? Devo tagliarmelo?
In campana ragazzi, vi teniamo d’occhio!
Vater Nostro.
Tashtego, l’ho sempre saputo che, sotto sotto, eri dei nostri. Qui il vero irriducibile, a quanto pare, è solo Biondillo. Ma provvederemo noi a fargli cambiare colore. Promesso.
Vater Nostro
Io sull’intoccabilità dei dati di struttura non sarei così drastico, l’esempio storico più eclatante di rifiuto di un modello economico concorrenziale e sovranazionale calato dall’alto e basato su concezioni ordoliberali dei rapporti fra Stato di diritto e mercato, è quello della c.d. Costituzione europea, con quel suo art. 1.3 inziale, che fa riferimento al discutibile ‘obiettivo’ della ‘economia sociale di mercato fortemente competitiiva’. In un contesto ‘occidentale’, come quello ‘europeo’, la C.Eu è stata respinta dai cittadini che hanno avuto la possibilità di votare (in Italia non succede perchè c’è un vincolo costituzionale e non esiste per espressa dispodizione il ‘referendum consultivo’ sulle leggi di approvazione di trattati internazionali, come appunto la Costituzione europea). Esiste inoltre la possibilità giuridica di fissare ‘controlimiti’ di diritto interno al primato sovranazionale della libertà del e nel mercato, basti pensare al fatto che la costituzione italaina continua a prevedere che il fondamento della repubblica sta nel ‘lavoro’ e non nella ‘libertà di impresa’, oppure alla tutela forte che l’art. 39 conferisce alla libertà di organizzazione sindacale. Almeno a livello ‘nazionale’, già la mera tutela giuridica di questa libertà, specie quando i contratti collettivi istituiscono ad esempio fondi pensione, può concretamente essere in contrasto con i modelli di azione delle autorità antitrust nazionali e sovranazionali, che perseguono mere finalità di efficienza economica, astrattamente idonee a funzionalizzare a una certa idea astratta di ‘mercato cocnorrenziale’ forme di ‘partecipazione democratica’ coezzenziali alla democrazia, come appunto l’autonomia collettiva sotto forma di libertà sindacale. Insomma i soggetti di diritto non sono solo le imprese. Poi sul fatto che ci siano vincoli di ‘struttura’ nella ‘realtà’, ecco nessuno lo nega, ma cominciamo a discutere dei valori e delle tutele che vengono sacrificati a questi vincoli di ‘struttura’. Questo deve fare la ‘sinistra’ oggi. Ampliare le possibilità della democrazia: la storia la fanno le persone (certo viene da dire: la storia quella che conta la fanno i burocrati, i tecnici e il G8) però ecco, forse restano pezzi di società civile non allineati, resta la libera ricerca, non solo ‘scientifica’, di modelli diversi di ‘esistenza’ e di ‘allocazione delle risorse’.
Grazie Christian per l’illuminante intervento su Veltroni e, in generale, sul PD. Da tempo cercavo una spiegazione alla sensazione che avevo… http://understatement.go.ilcannocchiale.it/post/1637236.html
Grazie Raimo!
:-)
Wonder sul precariato: “I ragazzi oggi affrontano un viaggio nell’incertezza e meritano non solo il rispetto ma anche l’accompagnamento nella ricerca di opportunità”. Ce manca la badante, poerelli.
Grande O.C.!!! Un’altra perla di plastismo dal Valt(z)er.
Ma perché dedicare tanta attenzione a un buffoncello tronfio come Uéltron? Qualcuno l’ha mai udito dire o fare qualcosa di intelligente? Sempre al traino, prima dei comunisti per rimediare scopate altrimenti impossibili, poi comunista ‘vero’, poi comunista pentito, poi clintoniano, poi fuggitivo prima della tempesta e ora partitodemocraticista della prima ora.
La vendetta del sotto vuoto spinto. Nemmeno il mazzo delle carte gli farei aprire; capacissimo di rovinarle ancora prima dell’uso. Lui e le sue sagre strapaesane del cinema.
Blackjack.
“Lo spettacolo e l’informazione sono il suo mondo. Veltroni è questo”. Ecco perché fa tanta audience anche nei blog. Aggiunge la Rosy che oggi non è difficile vedere chi, tra comunicazione e politica, abbia il comando. Vale anche per i rapporti con la letteratura.
condivido con tash la sensazione dell’assenza di un’idea alternativa a “quello che comunque non c’è”.
veltroni è veltroni; e noi cosa siamo, chi siamo, che idee abbiamo? cosa si può fare? raimo parla di un generico benessere che non si sa ancora quale sia.
una canna la sera per rilassarci tutti e andare a letto felici senza neanche l’acidità di stomaco?
la mia idea di politica cozza in modo inconcepibile con la politica dei politici.
io sono dell’idea che tutti dovrebbero fare a scuola un pò di meditazione zen e poi scegliere il proprio futuro in base alla disintossicazione da influenze politiche.
se mi candiderò, sarà il mio primo punto.
il secondo, quello della canna.
@blackjack
“Sempre al traino, prima dei comunisti per rimediare scopate altrimenti impossibili…”
questa è curiosa.
facendosi “trainare” dai “comunisti” si rimediano scopate?
bello.
allora peccato per la caduta del muro, l’implosione della russia, il recenti vacillamenti della corea del nord, il collasso prossimo venturo di cuba, no?
Se il “socialismo” è quello della gilda cinecittara si rimedia eccome.
Tash, dovresti ricordarli i tempi d’oro, l’età ce l’hai, e dovresti ricordare quanti tipetti anonimi all’epoca – oserei dire tipi alla Uéltron – frequentassero collettivi e amenità simili con l’unico obiettivo di rimediare. Tramite altre vie avrebbero fallito, ma lì, tra una voltantinata, una canna e un pueblo unido, anche gli sfigati avevano speranze.
Dai, Tash, fai un piccolo sforzo di memoria, ripercorri l’elenco dei ricordi e… ricorda. Non metterti a giocare il ruolo del duro e puro anche su questo fronte; so benissimo che l’idea dà fastidio, non se ne parla mai, è maschilista etc… etc… ma era così. Uno dei ‘peggiori’ tabù della sinistra giovanile dell’epoca: confessare che il fine ultimo, il vero obiettivo, non erano Marx e gli operai, ma la morettina della terza C. Poi, che ci vuoi fare, quando sei sulla giostra ti tocca girare e, tu e io che l’età l’abbiamo, qualcuno conosciamo e quei tempi li abbiamo vissuti, dovremmo almeno fare lo sforzo di non negare almeno l’evidente: molti politici sono nati (e cresciuti, oserei dire) rincorrendo la topa. Altro che nobili ideali e i risultati si vedono…
Ma hai presente com’è Uéltron adesso e com’era da giovane? Se non ricordi, farò io uno sforzo: adesso pare quasi affascinante. Portava certi occhialoni quadrati, smilzo, anonimo, perennemente piegato a parentesi, le spalle inesistenti; Bill Gates al confronto è un adone.
Poi l’età, il tempo, persino l’incapacità di trovare altre vie e saper rischiare… hanno inventato il politico. Io invece sono finito a giocare a carte, una giostra senza fine, ma ti posso garantire che c’è da divertirsi, esattamente come mi divertivo allora e senza sprecare energie e risorse in stupide riunioni durante le quali si raccontavano sempre le soliti e inutili cose.
Blackjack.
Che bello, giocatore d’azzardo, tu sì che sei un compagno (pardon, un amico) di quelli tosti: da “lotta continua” a “poker servito”: che culo!!!
Visti i trascorsi, e visto lo stato attuale della sinistra, perché non entri a far parte del nostro staff? Ci serve proprio qualcuno che ci dia una mano a spazzarne via gli ultimi residui. Fammi sapere: noi (cioè: io) ti aspettiamo a braccia aperte.
En attendant, tanti “cip” a te, caro giocatore d’azzardo. E lascia perdere tashtego, mi ero sbagliato su di lui: quello là è irrecuperabile per la nostra causa: peggio di Biondillo.
Vostro Vater Nostro.
un tempo circolava la voce,messa in giro ad arte(forse Gramsci stavolta non c’entrava),secondo la quale “le donne di destra non esistevano.E quando si materializzavano scopavano solo con i parà”.
Come dire, all in.
Pure immortalata da Michel Houellebecq nelle sue “Particules élémentaires” questa dei parà.
Transnazionale e magari pure vera…
“J’aurais pu adhérer au Front national, mais à quoi bon manger de la choucroute avec des cons? De toute façon les femmes de droite n’existent pas, et elles baisent avec des parachutistes”.