Genova non è finita 1

[ho chiesto a Blicero, di Supportolegale, un aggiornamento (più o meno) settimanale sui processi che si stanno svolgendo a Genova sui noti fatti del G8. Questo è il suo primo dispaccio. G.B.]

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di Blicero

Sono passati sei anni dal G8 di Genova, e ogni volta parlarne per cercare di dare un’idea di quello che ha significato e di quello che significa ancora oggi diventa sempre più difficile. I giorni di Genova e le loro conseguenze sono un evento estremamente complesso, dai chiaroscuri ancora tutti da definire, un pezzo di storia ancora poco digerito sia da chi lo ha vissuto sia da chi vorrebbe assumersi la responsabilità di includerlo o escluderlo dalle storiografie ufficiali.
Genova è ancora viva, non solo nella nostra memoria, che dimentica fin troppo in fretta, ma anche nel lavoro quotidiano che diverse persone – sempre troppo poche – svolgono quotidianamente seguendo i processi che rappresentano una delle responsabilità più gravose di quei giorni.
I processi stanno arrivando alla loro conclusione (intorno a questo inverno). Questo primo dispaccio vuole essere un modo per familiarizzare i lettori di questo blog con la densità che gli eventi di Genova ancora hanno nella nostra vita di tutti i giorni. Genova è tutti i giorni.

Lunedì.
Mi sveglio alle sei e mezza, prendo il treno da Milano per Genova alle sette e dieci, in mezzo a pendolari con l’aria stralunata, e gente che torna da una notte insonne di lavoro più o meno legale e disperato. Nonostante la tratta sia di soli centoventi chilometri, ogni volta chi prende quei vagoni deve subire la frustrazione di venti minuti minimo di ritardo all’arrivo, inspiegabili e inspiegati dagli addetti delle ferrovie dello stato. Litigare non ha più neanche senso quando capisci che è un problema strutturale. Almeno ho l’abbonamento, penso con rassegnazione.
Arrivato a Principe prendere il 35 e scendere in De Ferrari o farsi a piedi tutta via Balbi fino all’Annunziata, via Cairoli e Fontane Marose, fino a sfruttare il passaggio pedonale dietro il teatro, sono più o meno equivalenti dal punto di vista cronometrico. Alla fine la decisione ha sempre una forte componente gastrometereologica. Per le nove e trenta entro in Tribunale a Genova, di fronte alla statua del Balilla che lancia un sasso contro le soverchianti forze della repressione, e scendo negli inferi dell’aula bunker, praticamente prenotata in pianta stabile per i processi del G8.
Oggi c’è la prima udienza del processo sui fatti di Bolzaneto, dopo i due mesi di ferie di giudici e avvocati: 45 persone tra poliziotti, agenti della DIGOS, agenti della penitenziaria, medici, infermieri, generali dell’Arma dei Carabinieri (e all’elenco solo per la solita solidarietà di casta manca anche un magistrato) sono chiamati a rispondere di lesioni, abuso d’ufficio, falso ideologico e tortura, se il codice penale italiano avesse recepito le richieste europee per l’istituzione di questo reato. Nella caserma di Bolzaneto trecento persone, fermate in molti casi senza un reale motivo – le testimonianze del processo raccontano di persone rastrellate mentre camminano lungo un marciapiede – sono state sottoposte a sevizie mentali e fisiche per ore, in alcuni casi per quasi un giorno intero: pestaggi gratuiti, minacce di violenze sessuali, gente a cui è stata lacerata una mano tirando da parti opposte medio e anulare, organizzazione di cori sui motivetti del Duce per rieducare le “zecche rosse”. Ovviamente i singoli agenti che hanno commesso questi delitti non sono mai stati identificati e le persone che sono chiamate a processo denunciano di non aver visto, di non aver sentito, di non aver ordinato. Altrettanto naturalmente nessuno degli indagati è stato sospeso per accertamenti, o punito in alcun modo, ma ha continuato la sua serie di promozioni senza alterazioni nell’iter burocratico.
L’udienza finisce subito, perché uno degli imputati (un poliziotto) si rifiuta di rispondere. Come se avesse qualcosa da nascondere. Come se si vergognasse. Sarebbe già un passo avanti rispetto alla boria con cui altri affrontano le accuse che gli vengono mosse. Intanto io sono a Genova, scrivo il comunicato stampa, lo passo a uno dei miei soci per spammarlo a mille giornalisti che non scriveranno manco una riga. Passo nella segreteria legale, per vedere come va avanti il lavoro di consulenza per il processo Diaz, poi alle tre riprendo il treno e torno a Milano. Arrivo alle sei tra un ritardo e l’altro. Vado a casa, mangio, e poi ho tutta la sera per lavorare.

Martedì.
Altra sveglia alle sei e mezza. Altro treno alle sette e dieci. Altro ritardo. Altra corsa per arrivare in tempo in aula. Oggi non è nell’aula bunker sotterranea, ma al quinto piano (che in realtà è il primo, ma vai a capire come hanno numerato i pianerottoli del Tribunale di Genova). D’altronde nel processo contro 25 manifestanti non ci sono trecento parti civili e relativi avvocati come nel caso dei processi contro le forze dell’ordine: i danni li chiede il comune e un paio di poliziotti, pochi altri. Tutti i negozianti disperati che riempirono i tg nei giorni subito successivi non si sono curati di seguire il processo: hanno fatto le loro testimonianze retoriche e qualunquiste, e si sono fatti dare i soldi dalla provincia. Mi siedo dietro i nostri difensori, accendo il pc e inizio a trascrivere fedelmente quello che si dice in aula, anche le frasette a mezza voce che non entrano nel verbale ufficiale dell’udienza, ma che fanno capire il clima. Il processo ormai aspetta solo le arringhe di accusa e difesa, e l’atmosfera è molto più distesa. I pm sentono avvicinarsi il momento in cui si potranno gloriare di aver condannato 25 persone a 10 anni di carcere per un reato chiamato “devastazione e saccheggio” che è stato pensato per frenare i saccheggi durante la seconda fase della seconda guerra mondiale e che ora viene usato per poter punire persone che si ritengono presenti a una manifestazione che degenera in scontri, senza avere l’onere di accusare ognuno di loro di quello che hanno esattamente fatto o meno. “Compartecipazione psichica e morale all’evento criminoso”: in pratica eri lì, mentre succedeva il delirio, mentre un ragazzo moriva per strada, mentre diecimila persone venivano caricate, mentre la porta di un carcere prendeva fuoco dopo che i coraggiosissimi carabinieri a difesa della struttura erano scappati a gambe levate davanti a qualche decina di persone a volto coperto. Eri lì e quindi eri d’accordo. Eri lì e quindi meriti di fare la galera. Poco importa che questa sentenza sia antistorica rispetto al senso di Genova, alla sua simbologia come possibilità di resistenza a un mondo che sta andando a rotoli. Poco importa. Hai fatto il tuo mestiere, pm, hai trovato la tua verità e vuoi che il tribunale la santifichi.
Ogni volta che trascrivo le udienze di questo processo assurdo guardo gli imputati e ascolto le parole dei testimoni dell’accusa, ripasso mentalmente le sensazioni dei giorni di Genova, e mi viene voglia di spaccare tutto. Poi mi fermo e ricomincio a colpire i tasti del portatile, nella speranza che quello che facciamo riesca a fare emergere il senso tutto politico di questi processi.
L’udienza ci delizia con un quinto della requisitoria del pm. Sono le sei di sera e si rinvia al venerdì per continuare. Esco, corro verso una connessione a Internet. Intanto telefono a uno dei miei soci di supportolegale per dirgli cosa mettere nel comunicato stampa che va spammato al più presto a giornalisti che non scriveranno una riga, se non per citare qualche nome famoso o per accondiscendere alla richiesta dell’avvocato di questo o quel poliziotto molto conosciuto. Gli dico di telefonare anche all’avvocato B. oppure a D. della segreteria legale per sapere come è andata l’altra udienza che c’è il martedì, quella di Bolzaneto. Finalmente collego il pc a Internet, pubblico la trascrizione sul sito di supportolegale, mando mail a destra e a manca per avvisare della cosa, scarico le mail e mi viene da piangere a pensare alle altre quattromila cose che dovrei fare. Mangiamo qualcosa al volo e poi chiamo A. per farmi ospitare stanotte a dormire. Alle dieci e mezza sono uno straccio e svengo nel suo letto.

Mercoledì.
Mi alzo felice che non siano le sei e mezza, ma le otto e mezza. Colazione, giornale, Tribunale. Di nuovo aula bunker. Però oggi è il turno del processo Diaz. La notte del 21 luglio, quando ormai era tutto finito, e la disfatta della gestione da parte delle forze del (dis)ordine era evidente, i dirigenti più capaci della polizia italiana decidono di fare una perquisizione nelle scuole dove c’erano gli uffici del Genoa Social Forum, degli avvocati, di indymedia, e dei sanitari. A chiunque non abbia le fette di salame sugli occhi è evidente che si tratta di una vendettina schiumante rabbia, nel tentativo di raddrizzare la situazione da un punto di vista comunicativo: andiamo lì, arrestiamo i capi del black bloc, dimostriamo che erano tutti culo e camicia con Agnoletto, e facciamo andare un po’ le mani che così facciamo sfogare i ragazzi. Peccato che: l’operazione finisce per sfuggire di mano e si ritrovano decine di televisioni e radio che riprendono le scene di violenza e terrore su un centinaio di ragazzi e ragazze che dormivano pacifici dentro una delle due scuole, la Diaz-Pertini; tutti notano immediatamente che la perquisizione del media center non ha fondamento legale e che serve solo a impedire che qualcuno filmi l’irruzione – anche se almeno un paio di persone di indymedia riescono a farlo lo stesso dal tetto – e a rastrellare le testimonianze dei pestaggi avvenuti nei giorni precedenti e degli avvocati disposti a curarne le denunce; nel giro di pochi giorni le accuse contro tutti e 93 i fermati di resistenza aggravata e associazione sovversiva finalizzata alla devastazione e saccheggio vengono archiviate.
Comincia così il processo contro 29 poliziotti equamente divisi tra dirigenti di un nucleo speciale di Roma del Reparto Mobile accusati di non aver evitato che i propri uomini massacrassero persone inermi, e alti dirigenti della polizia italiana tra cui il capo delle squadre mobili Francesco Gratteri, il catturatore di Provenzano Calderozzi, il capo di tutte le DIGOS Luperi accusati di aver falsificato le prove che nel verbale di arresto accusato i 93 fermati. Le armi trovate sono in realtà attrezzi da cantiere, nessuno ha potuto rilevare una resistenza che i poliziotti hanno usato come scusa per i pestaggi, uno degli agenti che ha affermato di essere stato aggredito con un coltello viene smentito dai RIS, e – dulcis in fundo – due bottiglie molotov trovate alla Diaz si scoprono essere reperti sequestrati il pomeriggio dai poliziotti stessi in Corso Italia: in un video si vedono tutti i dirigenti che con in mano il sacchetto con le molotov si apprestano a posizionarle nella scuola Diaz per poi accusarne i fermati.
L’indagine di questo processo e il suo svolgimento sono il paradigma di Genova: non si sa quali agenti hanno partecipato all’operazione, non si sa chi la dirigeva, non si riescono a ottenere le foto dei partecipanti, le dichiarazioni di tutti i poliziotti si contraddicono e si autoaccusano, tanto che il capo della polizia Gianni De Gennaro e l’ex questore Colucci vengono iscritti nel registro degli indagati per aver indotto e aver reso falsa testimonianza, rispettivamente.
Il clima in aula è forse il peggiore: gli avvocati delle forze dell’ordine sono solidali con i propri assistiti e non si risparmiano il sarcasmo e l’ironia di fronte alle testimonianze della gente massacrata e all’evidenza di quello che i propri assistiti hanno combinato. In assenza di altro se la prendono con pm e avvocati delle parti civili, insultandoli e denigrandoli ricordandomi i collaborazionisti nei film sulla resistenza. E’ molto difficile resistere alla tentazione di spaccare tutto. Ma resisto.
L’udienza finisce alle quattro, solita corsa per pubblicare la trascrizione, solita corsa per scrivere un comunicato stampa che non servirà a molto, soprattutto dopo che durante tutte le ore passate in tribunale vedi i giornalisti di ansa, secolo xix e via dicendo che tubano con gli avvocati delle forze dell’ordine, una faccia, una razza. Quella dell’establishment a tutti i costi.
Alle sei prendo il treno e torno a Milano. Ho un’altra assemblea. Corro per arrivare in tempo. Poi non ho testa per seguirla, e mi perdo metà delle discussioni. Poi vado a letto. Mi aspettano ancora giovedì e venerdì.

Giovedì.
Sveglia alle sei e mezza. Treno, ritardo, corsa, entrata in tribunale. Oggi c’è il processo Perugini, ma anche quello per la Diaz continua. Dato che il processo Perugini ha un’udienza ogni due mesi decido di saltare l’altro: mi farò dare gli audio dai ragazzi di Radio Radicale e poi in qualche modo trascriveremo le testimonianze. Poi al massimo chiamo gli avvocati per sapere come è andata e fare il comunicato stampa.
Il processo Perugini è il primo per il quale si è avuta una condanna contro le forze dell’ordine: Giuseppe De Rosa, un DIGOS di Milano, ha patteggiato l’accusa di lesioni ed è stato condannato a 20 mesi di carcere con la condizionale e 10.000 euro di multa. Oltre a lui ci sono altri 5 funzionari DIGOS di Genova (tra cui l’ex vicecapo dell’ufficio Alessandro Perugini) che attendono la sentenza. Queste sei persone sono indagate come responsabili del pestaggio di una decina di ragazzini che sabato pomeriggio al margine della manifestazione di trecentomila persone erano seduti in terra e canzonavano le forze dell’ordine: avete presente la scena in cui c’è un ragazzino (minorenne all’epoca) che grida in una telecamera mostrando il proprio zigomo spostato qualche centimetro fuori dalla sua faccia? Ecco quella scena lì. Fortunatamente in questo caso nessuno ha dubbi su come finirà il processo. Però è interessante sentire cosa dicono i poliziotti coinvolti: “secondo noi stavano resistendo perché erano seduti al di qua della zona che noi interpretavamo come proibita”; “un poliziotto come me che ha partecipato alla liberazione del generale Dozer sa che non si va per il sottile, stavano resistendo e li abbiamo arrestati; non ho mai avuto così tanta paura come in quei giorni” (di un quattordicenne disarmato e seduto in terra?). Bella figura la polizia italiana.
L’udienza è rapida e fastidiosa, ma il processo è quasi finito. Faccio in tempo a scendere nell’aula bunker e trascrivere anche un pezzo dell’udienza Diaz.
Alle quattro finito tutto, altra girandola: Internet, doppio comunicato stampa, pubblicazione sul sito, quattro chiacchiere in segreteria legale e con gli altri di supportolegale. Alle otto riesco a prendere il treno e tornare a Milano.

Venerdì.
Di nuovo: sei e mezza, sette e dieci, nove e venti, nove e trenta. I tempi del mio calvario di prima mattina. Oggi dovrei andare a sentire l’altra udienza del processo contro i 25 manifestanti per devastazione e saccheggio, ma decido di farmi aggiornare dagli avvocati e dalla segreteria legale sui processi per i cosiddetti “fatti di strada”: in pratica centinaia di persone sono state fermate nei giorni di genova e picchiate; alcune di esse hanno sporto querela per arresto illegale e lesioni. In molti casi il processo contro i fermati è ancora in corso, mentre la causa civile per chiedere i danni per l’illegalità della condotta delle forze dell’ordine è ancora in alto mare. Ultimamente ci sono stati un po’ di casi confortanti in questo senso: tre persone hanno ottenuto dei risarcimenti dallo Stato per i pestaggi subiti ingiustamente. Speriamo si continui così. Finito di farmi aggiornare chiamo a Cosenza, che oggi c’è anche quel processo lì: un processo contro 13 persone avviato dopo che i carabinieri hanno questuato in tutte le procure italiane un pm che credesse alla serie di panzane che avevano messo insieme i militari per accusare gli imputati di associazione sovversiva. Anche qui la compartecipazione psichica, anche qui messaggi ironici via mail scambiati per piani di battaglia, telefonate in diretta alla radio interpretate come forma organizzata di coordinamento tra manifestanti. Una farsa che farebbe molto ridere se i 13 imputati non rischiassero vent’anni di galera. Ma si sa, i carabinieri e i pm a loro compiacenti hanno un senso dell’umorismo tutto loro.
Oggi finisco presto. A mezzogiorno mangio un’insalatona a tre euro e mezzo in piazza delle cinque lampade e faccio addirittura in tempo a meravigliarmi per la differenza del costo della vita tra la città ligure e Milano, dove l’avrei pagata tra i sette e gli otto euro. Prendo il treno e torno su. Ritarda e arrivo a casa alle cinque.
Quasi non ci credo che ho il venerdì per bermi una virgin colada e stare tranquillo.

Sabato. Domenica.
Riposo? Dipende. A volte c’è una presentazione. A volte c’è una trasmissione radio. A volte c’è un’emergenza anche per processi a Milano, un corteo, una scadenza politica. A volte c’è la vita di tutti i giorni, a volte c’è la sfiga. A volte invece tutto bene. Non sempre però. Il problema è l’atterraggio, no?

Supportolegale era un gruppo di lavoro della rete di Indymedia Italia, ora è un collettivo autonomo da altre strutture che si è sempre occupato, da quando è nato nel 2004, di raccogliere fondi per le spese legali relative ai processi per il G8 di Genova e per altri processi importanti per i movimenti, nonché di offrire supporto tecnico e comunicativo a tutti coloro che sono coinvolti nella lunga coda di eventi legali e repressivi del G8 di Genova. Inoltre Supportolegale vorrebbe dare una prospettiva politica diversa sulle operazioni di repressione e controllo che quotidianamente dominano la vita dei movimenti italiani e non solo. Unico principio: si difendono tutti i manifestanti, senza alcuna distinzione. Tutti coloro che a Genova hanno resistito e lottato meritano di essere difesi e sostenuti: Genova non sono 25 sovversivi o 29 mele marce nella polizia. Genova sono trecentomila sovversivi che possono oliare il meccanismo collettivo della memoria e rivelare le menzogne con cui la storia sociale che ci appartiene vorrebbe essere coperta da chi ha organizzato l’operazione Genova-G8.

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22 Commenti

  1. ecco, troppo facile indossare magliette rosse e fare la parte di quelli che qui non succede; che da noi mai; ché siam democratici.
    questo senza neppure dover parteggiare, senza neppure dover scegliere una parte, ché tanto da ogni parte si vede lo stesso.
    sette anni, e un paio di mesi: un omicidio archiviato; mille teste spaccate; saluti romani imposti a Bolzaneto; molotov inventate – quando lo Stato mente mente per tutti; per tutte queste cose non si attribuiranno responsabilità.

    V.A.

  2. Sono davvero ammirato da questa tenacia e da questa lucidità, e i ringraziamenti per il lavoro di Blicero sono a nome di un cittadino italiano.
    Cittadino… mi chiedo, ha ancora senso definirsi cittadini?

  3. Ringrazio Gianni per questa finestra che apre su NI e ringrazio Blicero e tutti quelli di supportlegale per il lavoro prezioso (e sfiancante) che stanno facendo.

    Sono stato a Genova nel luglio 2001, dalla mattina di giovedì 19 fino alla sera di sabato 21.

    Riconosco, io per primo, che dopo essere stato ossessionato da Genova per alcuni anni, questo è forse il primo in cui ho voglia di davvero di dimenticare. Ma che cosa succede se dimentico Genova, ossia se cesso di mettere in relazione quella mia esperienza passata e quello che sta ancora oggi avvenendo, nei processi? Succede una cosa che mi darebbe senz’altro un gran sollievo. Faccio diventare Genova un terribile e buio episodio, qualcosa di crudele ed enigmatico, che però può finalmente sparire dal mio orizzonte. Come un brutto incidente stradale, che ci porta sull’orlo del burrone, ma da cui alla fine ci si salva, e a cui non si vuole più pensare.

    Sono del ’67. Ho vissuto situazioni tese di piazza a Milano, negli anni della Pantera. E poi in altre situazioni, legate ai cortei in difesa dei centri sociali. Ho assistito anche a scontri interni ai cortei, alcuni dei quali molto violenti. Cortei contro il CPT di Rogoredo, Milano. Con le tute bianche imbottite come poi furono a Genova, che facevano la prova di forza con il cordone della celere. Non sono proprio un chierichetto, pur non avendo mai coltivato il culto dello scontro con le forze dell’ordine. Inoltre, ho lavorato come insegnante nelle carceri. Ho visto e soprattutto saputo cose che rimangono confinate li dentro.

    Ma nessuna, nessuna esperienza che direttamente ho avuto o che persone molto vicine a me hanno avuto assomiglia a ciò che ho vissuto a Genova e a ciò che ho saputo di Genova. Me ne sono andato da Genova, per puro culo, senza aver preso neppure una manganellata. Non mi sono neppure mai trovato ad assistere a pochi metri da me ad un episodio violento. Come un sacco di gente, mi sono tenuto lontano da cariche, scontri, casini. Ciò ovviamente a Genova 2001 non significava niente. Gente molto più prudente e tranquilla di me è riuscita comunque a farsi massacrare dalle forze dell’ordine.

    Quello che ho vissuto a Genova quei tre giorni, e le settimane, i mesi seguenti, è stato un nuovo assoluto, e tutt’ora è un corpo estraneo nella mia esperienza dello stato e del funzionamento delle istituzioni. Non ho avuto diretta esperienza di uno stato totalitario, di uno stato fascista (quale che sia la maschera politica che si autoassegna). Ma Genova 2001 di colpo ha rivelato, come in un micidiale esperimento, la possibilità che la democrazia imperfetta, “formale”, zoppicante, si trasformasse con straordinaria disinvoltura e in un batter d’occhio in una forma di regime fascista spietato.

    La cosa non è durata. Il casino è scoppiato. Le menzogne si sono palesate subito come menzogne. Le teste spaccate non potevano essere nascoste. C’erano troppe telecamere, troppe macchine fotografiche, troppi giornalisti e avvocati in giro per Genova. C’erano troppi testimoni oculari diretti, anche solo dei pestaggi di sabato mattina e pomeriggio.

    Alcuni responsabili di quei pestaggi sono stati promossi. Ma alcuni processi contro le forze dell’ordine sono stati avviati.

    Ma che cos’è stata Genova? Scrive Blicero: “I giorni di Genova e le loro conseguenze sono un evento estremamente complesso, dai chiaroscuri ancora tutti da definire, un pezzo di storia ancora poco digerito sia da chi lo ha vissuto sia da chi vorrebbe assumersi la responsabilità di includerlo o escluderlo dalle storiografie ufficiali.”

    Non sappiamo ancora che cos’è stato Genova. E qui sta tutta la necessità del lavoro di Supportolegale e di altri. Non possiamo permetterci di (voler) dimenticare Genova, fintantoché non abbiamo neppure capito, fino in fondo, cos’è stato. Forse, capendolo, alle fine, rinunceremo persino al sollievo che l’oblio ci offrirebbe. Ed in effetti per capire che cos’è stato Genova, dobbiamo vedere quale sarà l’esito ultimo di questi processi. E in questo moto di comprensione e visione, noi stessi, che siamo stati a Genova, ed eravamo tanti, siamo ancora parte in causa.

  4. “Genova sono trecentomila sovversivi che possono oliare il meccanismo collettivo della memoria e rivelare le menzogne con cui la storia sociale che ci appartiene vorrebbe essere coperta da chi ha organizzato l’operazione Genova-G8.”

    è questo, purtroppo, il linguaggio che rende e renderà sempre indigeste al grande pubblico le ragioni delle vittime della macelleria giottina.

  5. Mi sento molto rappresentato da quel richiamo di Andrea Inglese al puro culo di essersene andati via da Genova senza prendere manganellate. Vorrei ricordare, inoltre, la sensazione di rabbia che ho avuto leggendo i giornali della domenica dallo Sciorba e vedendo il tg1 serale….Uno scollamento fra la realtà vista dagli occhi e il modo in cui Genova diventava ‘notizia’. Non posso inoltre dimenticare il modo assolutamente criminale con cui alcuni giornali (se non ricordo male: lo lessi su Repubblica, ma potrei sbagliarmi) hanno riprodotto dispacci delle forze dell’ordine in cui si definiva Carlo Giuliani alla stregua di un punkabbestia senza fissa dimora con precedenti penali assimilabili alla rissosità caratteriale. Non posso dimenticare quel
    ‘lanciatore di idranti’ con cui alcuni rappresentanti ‘sindacali’ (sic!) delle forze dell’ ordine hanno definito un ragazzo, a poche ore dalla sua morte.

  6. Non sappiamo ancora cos’è stato Genova, dice Andrea. Quel che è peggio, dico io, è che chi avrebbe il dovere di raccontarcelo non ha nessuna voglia di farlo.

    Roma, 26 set. (Apcom) – E’ scontro in commissione Affari Costituzionali
    di
    Montecitorio sulla proposta di istituire una commissione di inchiesta
    sui
    fatti del G8 di Genova del 2001. Nella seduta di questo pomeriggio, la

    prima sul tema dopo la pausa estiva, la maggioranza si è divisa. Il
    testo
    messo a punto da Gianclaudio Bressa (Ulivo) e adottato come testo base
    a
    fine luglio non piace infatti a Italia dei Valori e Udeur. Insorge
    anche
    l’opposizione che accusa il relatore di aver prodotto un articolato
    che,
    per usare la parole di Jole Santelli (Fi) “condanna le Forze
    dell’ordine e
    assolve e santifica il movimento dei ‘no global'”.

    “Il rifiuto da parte del relatore di accogliere le proposte di modifica
    di
    Forza Italia, che chiedevano di accertare la verità ma in tutte le
    direzioni compresi gli orrori e i misfatti dei manifestanti di Genova –

    prosegue Santelli – è un atto politico gravissimo. Vorremmo capire qual
    è
    la posizione di Walter Veltroni e Francesco Rutelli che continuano a
    parlare di sicurezza e a dare rassicurazioni alle Forze dell’ordine
    mentre, al contrario, gran parte della loro maggioranza parlamentare,
    compresi esponenti del loro partito, si appresta a costruire la
    ghigliottina mediatica per le Forze dell’ordine a beneficio degli
    interessi politici e di parte di Rifondazione comunista e della
    sinistra
    radicale”.

    “Il testo proposto dal relatore – sostiene Gianpiero D’Alia (Udc) – è
    pericoloso e deve essere avversato in ogni modo. Il Governo non può più

    tacere, né può scaricare sul Parlamento la responsabilità
    dell’istituzione
    della commissione: un’inchiesta parlamentare contro la polizia di Stato
    è
    un atto politico gravissimo. Per questo il ministro Amato farebbe bene
    a
    venire in Aula per dirci cosa ne pensa”. Alla richiesta di ascoltare il

    titolare del Viminale si è associata anche Fi: “E’ doveroso conoscere
    l’orientamento del Ministro dell’interno, considerato che ove il parere

    del governo sui nostri emendamenti fosse contrario o pilatesco non
    rimarrebbe che chiedere formalmente le dimissioni tanto del Ministro
    Amato
    quanto del vice ministro competente per la pubblica sicurezza”.

    Fronte comune con l’opposizione fa anche l’Udeur: “E’ indubbio che in
    occasione del G8 di Genova si siano verificati fatti gravi rispetto a
    cui
    non si può far finta di nulla e tuttavia così come formulata è
    inaccettabile la proposta di Bressa. Ho espresso il mio parere
    contrario a
    questa proposta perché, ritenendo necessario compiere un’indagine
    parlamentare sugli avvenimenti, non si può però procedere in una sola
    direzione. Ovvero non si può premettere al lavoro della Commissione di

    inchiesta che gli eccessi siano stati compiuti solo dalle forze
    dell’ordine”. Per l’esponente del partito di Clemente Mastella occorre

    “verificare le responsabilità sia delle forze dell’ordine ma anche dei

    manifestanti, di quei manifestanti che non hanno scelto una via
    pacifica e
    hanno commesso atti di violenza e vandalismo. Credo che solo con questa

    premessa si potrà raggiungere un indispensabile coinvolgimento anche
    delle
    forze dell’opposizione. Non avrebbe alcun senso, e svuoterebbe di ogni

    valore, il lavoro di una Commissione parlamentare di inchiesta ai cui
    lavori non parteciperebbero, come annunciato di fronte alla proposta di

    Bressa, i parlamentari dell’opposizione. Solo un’indagine ampia e senza

    preclusioni potrà contribuire a fare chiarezza sulle vicende, senza
    rischiare di interferire negativamente sui processi penali e civili in

    corso”.

  7. “La cosa non è durata. Il casino è scoppiato. Le menzogne si sono palesate subito come menzogne. Le teste spaccate non potevano essere nascoste”. Altrove non è così, purtroppo. Bisogna riconoscerlo.

  8. Ho paura che (purtroppo) molti vogliano dimenticare genova. Anche tra coloro che ci andarono come manifestanti.
    Ma genova si era realizzata una saldatura davvero rara tra una quantità di correnti, gruppi e persone che in seguito hanno continuato a muoversi separatamente dagli altri. Questa saldatura inoltre si era creata a partire da un concetto di disubbidienza civile, accettato da tutte le varie componenti, incluse le cattoliche e le più rigorosamente non violente. Ogni gruppo accettava di interpretare la disubbidienza, assumendosi un grado specifico di rischio. La presenza salvifica di un piccolo gruppo di black block, che praticavano la violenza contro gli oggetti permise di cancellare istantaneamente il percorso di interi mesi fatto dalle varie componenti del movimento intorno alla pratica della disubbidienza. A questo si aggiunsero le cariche di via Tolemaide, e il resto è noto. Quello di cui non si è più parlato è del dispositivo assai sofisticato e democratico che si era messo in atto per sfidare le parate autocelebrative delle élites politiche del pianeta.
    Da questo punto di vista il terrorismo praticato dalle forze dell’ordine da venerdi a domenica, e garantito senza dubbio politicamente, ha avuto come obiettivo politico di sciogliere immediatamente quella saldatura assai inquietante. E ci è riuscito. Anche se i temi di Genova, che venivano poi ancora da Seattle, ormai li debbono discutere persino le non democratiche istituzioni economiche internazionali, oltre che i governi stessi. Una vittoria solo a metà, dunque.

  9. Quando parlo di terrorismo: intendo un metodo di aggressione violenta contro i manifestanti, finalizzato a provocare terrore. Molte persono tornanoro da Genova traumatizzate, trascinandosi dietro quei deliziosi sintomi paranoici, che sono moneta corrente nei regimi dittatoriali (paura di essere pedinati, inseguiti, intercettetati, ecc.). E non mi riferisco qui a coloro che si presero le botte alla Diaz o subirono le torture a Bolzaneto.

  10. Due appunti, forse fuori bersaglio.
    Genova è stato un improvviso – secondo me non del tutto voluto, nel senso che è sfuggito di mano ai suoi stessi protagonisti – fenomeno di disvelamento di uno Stato monopolista della violenza cui sfugge di mano il suo strumento principale.
    A Genova il braccio armato dello Stato ha testato il livello di copertura di cui avrebbe potuto godere durante il governo di centro destra, comprendendo che non ostante la palese complicità del potere, questo livello non era totale, che un regime militare non era nell’aria.
    Tuttavia tutto è avvenuto, per come io lo percepisco dall’esterno, cioè non essendo stato presente, nel modo non conscio che guida l’impulso di vendetta e rivalsa sociale che sempre si annida nella forma mentis del questurino.
    Mano a mano che la violenza si dispiegava e si rendeva sempre più feroce, grave e gratuita, la stampa, la politica e le stesse forze militari dello Stato si strutturavano alla bell’e meglio per sostenerla e per quanto possibile, celarla.
    Ma la violenza non era stata lucidamente progettata, era dentro ogni singolo carabiniere/poliziotto, in un clima che per qualche tempo aveva fatto credere a questa gente di essere andata al governo, assieme alla destra.
    Genova è stato un “adesso comandiamo noi”, quasi completamente campato in aria.
    In questo senso è stata piuttosto una fine, che un inizio.

  11. E io che pensavo di essere un paranoico….In effetti la sindrome del pedinato o della persona dalla ‘faccia sospetta’ l’ ho acquisita da prima di Genova e questo senso di occlusione che provavo e provo nelle grandi città (Roma, dove in genere vivo) e un po’ meno nei piccoli centri, questo sentirmi osservato dalle volanti quando passano…. è stato uno dei motivi per cui decisi di partecipare ai giorni del g8. Non mi capita solo in Italia, recentemente è successo anche in Germania (ho trascorso quattro mesi a Berlino e ci svernerò a breve fino all’estate). Durante il viaggio di ritorno a casa, in autostrada, sono stato fermato senza ragioni da due poliziotti in borghese, hanno accostato la macchina dietro la mia mentre facevo benzina nei pressi di Monaco (quindi evidentemente mi avevano seguito per qualche km), con tanto di perquisizione di portafogli, apertura dei bagagli fino alle mutande e domande del tipo: porta droga con sé? In genere mi succede spesso quando viaggio. Anni fa all’aeroporto di Londra H., c’era un volo per Tel Aviv prima del mio e siccome ero arrivato in anticipo e vagavo per negozi con una sacca di dischi comprati a Notting Hill, la tipa del check in mi ha segnalato alla sicurezza come persona very suspicious. Sono arrivati due tizi col fucile a pompa e mi hanno chiesto come priam cosa. ‘La tua mano sta tremando, perché trema?’ E poi ancora cosa avevo nelel tasche. Le chiavi della mia auto, ho risposto, e loro mi hanno detto di tirare fuori queste chiavi. Si era formato il calssico cerchi di gente introno al mio zaino da montagna (ovviamento aperto):
    ‘Pensavate che fossi un terrorista?’
    ‘Non non abbiamo mai detto questo’.
    Un’altra volta, durante un viaggio in treno da Roma a Friburgo, ho ‘subito’ tre controlli in treno e uno alla stazione di arrivo (anche questi poliziotti in borghese), mentre tiravo fuori i bagagli. E pensare che quest’anno, forte delle esperienze passate, avevo anche deciso di premunirmi: tagliato i capelli per sembrare meno ‘clan dei calabresi’, però la barba era troppo lunga e la mia camicia a scacchi troppo a scacchi e le scarpe da trekking molto Overlock Hotel. Oltre al fatto che viaggiare in macchina con pacchi, zaino e cani sa molto di zingaro. Mi rimane un’ultima chance da tentare, ovvero un’ultima forma di adattamento al pregiudizio della mia identità, finalizzata a rassicurare lo sbirro monegasco: proverò a tagliare la barba lasciando i capelli lunghi, perché con i capelli corti e senza barba molta gente che mi conosce mi associa in genere a un kurdo o a un arabo. Poi ci sono i miei occhi, pare che risultino spiritati anche se non ho mai fatto uso di droghe pesanti…..Poi ci sarebbe la mia espressione facciale, che a detta di altra gente che mi conosce è polemica e poco propensa al sorriso…Poi l’abbigliamento…..Prima o poi lo butterò giù, non solo un controdiscorso sui capelloni (o sui barbuti non calvi), ma anche un bel saggio sulla rinascita della fisiognomica per motivi di pubblica sicurezza. E pensare che sono un privilegiato, con il passaparto italico e la cittadinanza UE, oltre al fatto di rientrare fisiologicamente nel novero delle persone con una famiglia alle spalle (del tipo: se mi succede un qualsiasi inconveniente con una qualsiasi polizia europea, sia esso dovuto a equivoci sia esso dovuto a partecipazione a manifestazioni, faccio sempre in tempo a chiamare papà, che contatterà un avvocato e mi sosterrà sul piano economico). Ecco, ritorno a essere serio per un attimo: secondo me quando si parla di Genova per riflettere sulla nostra realtà formato ‘western world’, dire che viviamo non tanto nel migliore dei mondi possibili quanto nel meno peggio dei mondi reali, resta inappagante, oltre a non diminuire le mie personalissime paranoie da pedinamento.

  12. Una faccia alla Jack N. in quel di Shining….ma era più che altro una battuta, la mia faccia reale è meno spiritata e non imbraccio in genere accette da boscaiolo per aprire la porta della camera da letto….

  13. però mi riferivo alle scarpe, non alla faccia….beh le scarpe da trekking ci stanno in una situazione ‘albergo di montagna deserto’…..

  14. Ucci ucci, c’è chi la sindrome del pedinato ce l’ha dai quindici in poi. Non ci voleva mica Genova per capirlo. Al massimo per confermarlo. Un mondo libertario non è possibile, ma sarebbe più bello di questo.

  15. The O.C.

    “Un mondo libertario non è possibile, ma sarebbe più bello di questo.”

    L’abate sa di rischiare l’OFF TOPIC, ma sa anche che, per chi ha occhi per vedere, quello che sarà qui linkato ha molto a che vedere con gli abominevoli fatti di Genova ed il clima di assoluta illiberalità e dispotismo in cui questa italietta precipita ogni giorno di più, grazie ad una Grosse Coalition che non conosce nè destra nè sinistra ma solo arbitrio puro e guidrigildi. Oltrepassando di gran lunga la follia del “dittatore dello stato libero di Bananas”, che decide di imporre ad un paese caraibico lo svedese quale lingua nazionale e di indossare la biancheria intima sopra i vestiti, per dimostrare agli agenti di averla cambiata almeno tre volte al giorno.
    Evviva Woody Allen, abbasso il Senato… meno bello di così forse in Birmania.

    P.s. Vere chicche sono:
    le disposizioni in tema di locali notturni, obbligati per restare aperti a ciò che sarebbe inverosimile anche per l’U.s.l.;
    i divieti random sulla guida notturna;
    le sanzioni agli autisti fermi con motore acceso.

    Vale et ego.

    http://www.quattroruote.it/news/articolo.cfm?codice=108385&pagina=140671&canaleuscita=-1

  16. P.s. Per farvi cogliere appieno lo scopo occulto di questa legge, come di molte altre relative alla viabilità, indico di sfuggita lo stato pietoso delle FF.SS., la catastrofe dell’Alitalia e degli aereoporti minori in Italia, la tragedia della viabilità stile Salerno-Reggio, Venezia – Mestre, tangenziale Roma etc , l’inesistenza del trasporto marittimo e fluviale (vedi Tirrenia), la carenza assoluta nei trasporti pubblici cittadini, la devastazione del sistema giudiziario e repressivo.
    L’Italia non è l’Inghliterra, non ci hanno dato alternative alle 4 ruote. E ne approfittano per renderci schiavi di quelle che chiamano sanzioni ma sono invece balzelli e vessazioni.
    Chi non supera di 10 km il limite lanci la prima pietra.
    Tutto in stile deputato Mele, mignottaro e cocainomane ma primo firmatario di norma repressive e moraliste.
    Quo usque tandem abutere patientia nostra?

  17. Gentilissimo Abate,
    se vuoi essere libertario fino in fondo inizia a difendere Mele e la sua libertà di pippare e scopare come gli pare.
    Salutiamo.

  18. A proposito di FFSS, se Blicero è un artiglio del collettivo che ha ‘rifatto’ il sito di Trenitalia, gli rendo doveroso omaggio. Autistico?

  19. Mele può pippare e scopazzare con chi vuole. Poi sul fatto che abbia abbandonato la tipa e si sia fatto i cacchi suoi, forse su questo ci sarebbe da sollevare qualche obiezione. Ma uno che fa sesso con una prostituta, pippa la cozza e poi mi parla di valori morali, risulta poco credibile o meglio: è una presa per i fondelli…

    Esistono elite che hanno tutto per loro, hanno i patti civili per le convivenze, hanno agevolazioni su tutto e benefici su altro, possono permettersi di pippare la cozza e farsela con i trans senza essere additati come “drogati” e “culattoni” (cito la Ducia – come la definì Michele Serra: meglio fascisti che culattoni)

    Ti fumi una canna, ti mandano da uno psicologo che quando ti vede, chiede:
    Ma che ci fai tu qui?

    mi ci han mandato, forse?

    Bevi due birre o due bicchieri di vino a cena e devi guidare (funzionassero i mezzi pubblici) ti ritirano la patente…
    Sembra idiota, ma nessuno ha mai pensato di abbassare le velocità delle auto? oltre i 130 dove puoi andare con l’auto?
    Non mi piace vedere tutti questi blocchi stradali incredibili, sembrano alla ricerca di criminali incalliti…
    Ma ora basta…tutto questo potrebbe passare per qualunquismo.

    Ma collegandomi ai fatti di Genova non posso fare altro che:
    VERGOGNARMI DI APPARTENERE ALLO STATO ITALIANO!!!!!

    come fanno a dormire tranquilli?
    Dalla loro hanno la giustificazione della legge del più forte, del più potente; forse diranno: obbedivamo ad ordini…

    Non so…forse le forze dell’ordine, quelle in prima linea in queste manifestazioni accolgono in sé molti esaltati e forse con poca cultura…
    C’è anche da capire chi istigava a tale comportamento…

    Di sicuro il governo precedente, i dirigenti della polizia di quei giorni hanno tutti una grossa responsabilità.
    Sia per come sono andati i fatti, ma anche per i possibili silenzi, coperture ecc…

    Ma ognuno ha il proprio concetto di Responsabilità…
    Ci fosse stato un poliziotto che vedendo tali brutalità avesse gettato a terra manganello, casco, scudo ecc, forse sarebbe diventato un eroe, un esempio di come l’appartenenza ad un corpo di polizia, ad uno stato, ad un’idea non possa giustificare tali nefandezze…

    Persone già a terra, senza armi, picchiate a sangue nonostante si fossero già arresi…

    Non sono stato al g8 di genova e in quell’epoca ero ancora giovane per riuscire a formulare giudizi e opinioni su tali fatti…

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GIANNI BIONDILLO (Milano, 1966), camminatore, scrittore e architetto pubblica per Guanda dal 2004. Come autore e saggista s’è occupato di narrativa di genere, psicogeografia, architettura, viaggi, eros, fiabe. Ha vinto il Premio Scerbanenco (2011), il Premio Bergamo (2018) e il Premio Bagutta (2024). Scrive per il cinema, il teatro e la televisione. È tradotto in varie lingue europee.
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