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Politicamente corrivo

di Christian Raimo

La notizia è che tra i 400 nuovi lemmi dello Zingarelli della lingua italiana ci sia, oltre ”raga”, ”arrapato”, ”ciulare”, ”intrippato”, ”gufata”, anche ”e-worker”, ma soprattutto il non proprio eufonico ”precarizzato”. Così, finalmente, se fino a qualche anno era difficile per un genitore capire perché il proprio figlio trentenne fosse ancora pascolante nella sua cameretta adolescenziale, e avesse quella faccia sconsolata, oggi invece la comunicazione intergenerazionale procede sicuramente più spedita. ”Raga, sei arrapato perché stai a casa da mamma e non ciuli? Sei intrippato perché non hai un lavoro?”. ”No, pa’, lavoro, faccio l’e-worker. E’ che mi hanno precarizzato”.
E’ abbastanza deprimente questa infornata di neologismi, che comprende anche ”teodem”, ”teocon”, ”sbroccare”, ”pizzini”: buona parte dell’innovazione lessicale deriva dallo slang giovanile o dalla televisione, e palesa una sostanziale scia derivativa. Il lessico italiano si rinnova, come è fisiologico che sia, ma lo fa con un senso di stanca conformistica.
Per spiegarsi: come argomentava David Foster Wallace nello splendido saggio sui vocabolari ”Uso e autorità della lingua” (in Considera l’aragosta), ”L’uso di una lingua è sempre politico. Ma lo è in un modo complesso. Rispetto per esempio al cambiamento politico, le convenzioni dell’uso possono funzionare in due modi: da un lato possono essere il riflesso di un cambiamento politico e dall’altro possono essere lo strumento del cambiamento politico”. Come quest’affermazione serviva a Wallace a stigmatizzare l’uso ipocrita, paternalista, conservatore, del linguaggio politicamente corretto statunitense, mostrando come l’utilizzo di una ”retorica della generosità” fosse dannoso alla causa della sinistra progressista stessa; così non è difficile capire quanto il fatto che un termine come ”precarizzato” sia finito nell’autorevole Zingarelli sia un segno dei tempi.
Provate a cercare su google ”precarizzato”: vi verranno fuori occorrenze della legge Biagi, o altre pagine sulle varie tipologie di contratto e relative forme di vita. Ma con che sinonimo potreste sostituire ”precarizzato”? Non vi sembra in un certo qual modo, preso così, nella sua nudità di lemma, che ”precarizzato” non sia che una versione politicalmente corretta di ”reso instabile”? Che però la sua fonia tecnicista, il suo uso ormai corrente, stemperino fino ad annacquare l’accezione ”diminuitiva”, negativa del termine? Non vi sembra che quel posto sul vocabolario sia stato usurpato, come dire, che anche nel vocabolario sia avvenuta una specie di ”ristrutturazione aziendale” che ha assunto termini efficaci e orwelliani come ”precarizzato”e tolto alla nostra lingua anche la capacità di parlare di quello che siamo, e della rabbia per i diritti mancanti?

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44 Commenti

  1. sai, christian, vorrà dire che i lavoratori precari “precarizzati” ora avranno un motivo in più per incazzarsi. ma, a proposito, quanto aspetteranno ancora prima di farlo?

  2. “Siamo una nuova Woodstock. I drogati e i figli di puttana stanno da un’altra parte”. Così parlo Beppe Manetta, defensor precarorum.

  3. i figli di puttana stanno sempre da un’altra parte, raga.
    noi dobbiamo accontentarci dell’halzeimer.

  4. Tutti contro la Legge Biagi e per il posto fisso: Feltri, Meloni e i Manetta Bros (Tonino e Grilletto nostro). Nel frattempo le copie della Casta si moltiplicano, e la panza della piazza cresce.

  5. Io però, fossi Zingarelli o Garzanti o Gabrielli, non ce li metterei tutti sti termini nuovi nel vocabolario. Va bene che la lingua si evolve, ma lasciamo passare almeno due tre anni da quando il primo pirla nella sua cameretta si inventa un termine nuovo scrivendo un sms al compagno di scuola. Ecchecavolo!!
    E poi via con la pubblicità a tutta paginona sui giornali: sullo Zingarelli 2008 c’è pure “raga” oltre a “ragade” !! Machissenefrega.
    E chi lo decide poi che “pizzino” è entrato nella lingua italiana? perchè lo dicono al telegiornale? perchè lo dicono in 25? in 50 o in 150.000? E perchè allora non metterci anche “pomì” nella locuzione “o così o pomì” ? In fondo lo dice mezza Italia.
    Allora da domani mi conio una parola e la diffondo per il condominio e vediamo se me la mettono nello Zingarelli 2009.
    Il fatto è che ogni anno devono vendere l’ultimo modello di vocabolario. E chi non ce l’ha non è aggiornato, insomma parla come Petrarca.
    Vocabolari come automobili o come televisori al plasm(on).
    Ok sono un po’ off topic, ma ci tenevo. E poi metteranno pure i topic nel prossimo Zingarelli, accanto al mouse che già c’è.

  6. Effetivamente la registrazione dei nuovi lemmi non è né positiva né negativa né neutrale… ma politica sì!.
    Certo che uno strumento come urbandictionary.com per l’italiano non sarebbe male… meglio ancora sarebbe un lemmario d’autore: mi piacerebbe leggere voce “precarizzato” definita in batteria (che ne so) D’Alema, Tremonti, Bertone :O

  7. Gli Americani fanno tanto i complicati con la terminologia, però poi si sfogano negli Adult Classified: Asian Cutie, Thai/Swedish, Busty Bamby, Texan Super Hot Body, Cute Black Chick, Chinese Princess, Brown Sweet Sugar, Hong Kong Jungle …e infine: la Cherokee Therapy.
    Più chiaro di così!

  8. Raga si usa anche al singolare!
    Exemplum:
    Ehi, bella, ciai il raga? o sei libera di farti un giro su’ sta giostra del piacere?

  9. Attenzione. Si comincia coll’attaccare Zingarelli e si finisce, da buoni loghisti piccoloborghezi, col manifestare davanti alle Feltrinelli in groppa a maiali inneggiando al fascio lettorio e ad Azione Indiana.

    Sul precariato, normale che il dente dolga, e la lingua batta. Ah i dizionari, fatali troie di regime!

  10. qualcuno sostiene che le lingue non evolvano, ma subiscano deriva genetica, vale a dire una serie di mutazioni non adattative.
    non so, può darsi, ma certo qualcuno le parla, se ne appropria, le modifica, l’ambiente in cui viene parlata una lingua cambia nel tempo, la lingua si adatta, accoglie materiali da fuori, cioè da altre lingue, ospita e promuove termini costruiti da culture basse, non letterarie, non colte, culture di parlanti, di non leggenti…
    “l’italiano non esiste”, diceva ieri sera paolo naori durante la presentazione del suo ultimo libro, esistono solo i nostri vari modi di parlarlo e di scriverlo.
    non so.

  11. raga, se fissate troppo questa storia v’intrippate inutilmente, il baccaglio televisivo e del cellulo, ha taglaito le sillabe, la rabbia e xsino il ciulo.
    Ditemi che un giorno non sarò più un fucking peeping tom dei blog ;-)
    Bel post, buona giornata,
    (raga).

  12. Mmmmhhh. Non mi avete convinto. Davvero l’ho sempre sentita solo al plurale. Del resto “Ragazzi, andiamo al cinema?”, funziona. “Ragazzo, andiamo al cinema?”, un po’ meno.

    Comunque, questa rincorsa allo slang mi sembra una gara persa in partenza. Anche i termini che abbiamo nominato, in realtà sono già vecchi.

  13. Ribattiamo al pur sempre stimabile Paolo Nori (epperò senza averlo sentito) che è l’itialiano a rendere possibili gli idioletti, i quali sarebbero incomprensibili senza la lingua da cui prendono forma. Che poi gli idioletti abbiano un peso, un valore e una funzione specifica, non si può certo negare.

  14. Non c’è cosa più patetica dei sociolinguisti che pretendono di sapere come parlano i giovani.
    Che so, provate a prendere un testo di sociolinguistica degli anni ’80, e sfogliate i capitoli sulle varietà dell’italiano standard, il capitolo sul gergo giovanile vi spiegherà che i giovani parlano come quel personaggio del drive-in che faceva il paninaro (“I matusa” “Spararsi un panozzo”, “Cuccare” etc. ).
    Che sono due falsi storici in un colpo solo.
    Primo, quasi nessuno ha mai parlato così, secondo, i paninari non sono mai esistiti. Forse ce n’erano una decina a Milano ma penso che siano tutti diventati copywriter o calciatori.

  15. Straelena, il vocabolario è un prodotto e l’idea di creare nuovi vocaboli è bella, il problema è che poi non si citano mai le fonti… la lingua si beffa dei diritti d’autore ;-)

    Marco Saya, pare che il V nazionale (veltron) stia lavorando assai in questo senso.

    Luca Carlucci, vero, ci vuole attenzione, che ci sono i pazzi che premono grilletti, pazzi sempre ben pagati da chi li evoca ;-)

    mario, secondo me i messaggi da celluo non tagliano la rabbia, ne sono piuttosto intrisi (di rabbia), creano un linguaggio cifrato, una volontà di non farsi comprendere che segna un distacco generazionale consistente. I giovani di adesso crescono nell’ipocrisia della mancetta per bere e schiantarsi e hanno più strumenti dei movimenti degli anni sessanta.

    aprireilfuoco, no, dai, i paninari sono esistiti e con loro la rincorsa alle marche che ancora ci ammorba, non esageriamo con il negazionismo, fior di aziende hanno fatto la loro fortuna con incassi record dei beni amati dai paninari, in quegli anni l’adolescente è diventato un vero e proprio “cliente” sul quale investire, perché ha dimostrato di saper spendere soldi non suoi.

    Saluti da Martina

  16. otì per martina
    “i giovani di adesso crescono nell’ipocrisia della mancetta per bere e schiantarsi e hanno più strumenti dei movimenti degli anni sessanta”

    quali giovani? quali strumenti?
    e poi le generazioni non sono altro che il risultato di quelle precedenti.
    chi semina raccoglie, ma non basta seminare, occorre seguire e proteggere ed amare la piantina, se non vuoi lamentarti del fatto che appassisca, si ammali, muoia, e si può morire in tanti modi in questa vita.
    penso che ci voglia molto coraggio ad essere giovani al giorno d’oggi, in questa terra sempre più arida.
    precari i genitori, precaria la politica, precario il lavoro, precario il mondo…proviamoci noi, ad avere vent’anni, oggi!
    a me si stringe il cuore.
    tanti baci
    la funambola

  17. io sono stato un paninaro. “bar il panino” in via san paolo, milano. raga è orribile. non dicevamo i matusa, dicevamo i rimba. il panozzo sì. anche il birrozzo. poi andavamo alle feste e violentavamo (per finta) la padrona di casa.
    spesso guardavamo i pornazzi. ogni tanto qualcuno per il caldo si toglieva il bomber. ma solo allora.
    bei tempi.

  18. (ahimè, ora si aprirà un dibattito infinito sul: “era meglio avere vent’anni ieri, oggi o ai tempi di Cavour, Giulio Cesare, Fabio Filzi o Uguccione da Todi?”. Mi ritiro.)

  19. pornazzo, birrozzo, panozzo e tutta la cumpa mi sembrano ampiamente entrati nel repertorio: o forse l’è che siamo tutti vecchi paninari? vogliamo parlare delle avventure del “Gallo di dio” narrate sulle pagine de “Il paninaro”?

  20. Funanbola, in realtà diciamo le stesse cose, probabilmente mi sono espressa male, io non li colpevolizzo i giovani, anzi, mi sembrano per forza di cose più cinici, più istruiti, in grado di individuare l’ipocrisia senza l’uso di lenti ideologiche e di accedere alle informazioni autonomamente.

    Straelena, secondo me le nuove generazioni sono sempre migliori delle vecchie.

    Saluti da Martina

  21. noi nati nel 68 non abbiamo mai fatto assurgere a nobili ranghi il nostro terribile gergale codificandolo in un dizionario(al limite in istant books senza pretese)

  22. E’ come dici tu, Christian, far entrare “precarizzato” in un dizionario vuol dire accettare come norma economica, come dato di fatto sociale, la precarizzazione. Vuol dire questo più che semplicemente “mappare e acquisire il linguaggio corrente”.

    Il dizionario era il luogo della norma linguistica, in principio.
    Oggi i dizionari funzionano come le librerie-supermercato. Via il classico, dentro il vendibile.
    Se la lingua che cambia rispecchia un mondo che cambia, come è, e se il dizionario anno dopo anno ingoia feccia e facce di progressive attualità di degenerazione di cui preferiremmo non far parte, come fa, allora forse faccio bene io a non comprarne più di nuovi da secoli, a tenermi i miei dizionari ormai ingialliti, e illudermi, certe volte, che quanto non esista lì non esista nemmeno nel mondo. Almeno nei vecchi dizionari puoi leggere ancora le parole che per far posto a quelle nuove come “raga” e “cumpa” (che non sono gravi in sé – ci mancherebbe, ma soltanto fuori luogo se lemmizzate in uno strumento che prima serviva a veicolare il canone linguistico, e non le sfilate autunno-inverno o primavera-estate della lingua di ogni anno) sono state espunte. Lì le puoi leggere come se esistessero ancora, nel mondo, quelle parole invece buttate via, dalle nuove (e)dizioni, come abiti vecchi perché non più di moda né d’uso comune, le puoi leggere come se qualcuno le usasse ancora.

    Dovremmo leggere i vecchi dizionari, come romanzi, invece di comprarne di nuovi.

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