Complementarità – a mo’ di conclusione
di Antonio Sparzani
Adesso voi vi sarete dimenticati quasi tutto delle puntate precedenti, e quasi anch’io. Però sarebbe bello almeno ricordarsi del motivo di quella parola che ho scelto di mettere sempre nel titolo di questi pezzi e cioè complementarità. Cosa c’entra la complementarità con tutti i discorsi successivi, mirati a comprendere la tabella periodica di Mendeleev (Dmitri Ivanovič) e a giustificare la struttura dell’atomo? Cosa c’entra?
Ciò che ha originato l’uso della parola è stato (come dicevo nella puntata introduttiva) il comportamento della luce − parola che comprende, come sapete, tutte le onde elettromagnetiche − : la luce (ma avete visto cosa Caravaggio riesce a fare con la luce?) mostra talvolta un comportamento da onda, e talvolta da particella (cioè insieme di tante particelle, ovviamente) ; è come se sia Newton (teoria corpuscolare della luce) che Huygens, Fresnel, Maxwell e tutta la fisica dell’Ottocento avessero avuto ragione. Di fronte a questa che sembra una contraddizione insanabile, e che è così come appare, non c’è nessun profondo mistero nascosto, quale atteggiamento può avere il fisico, l’attento osservatore della natura, colui che vuole ridurla a leggi, vuole imbrigliarla in quella categoria che l’encefalo di Homo sapiens sapiens denomina
razionalità, e che è forse soltanto causata dal fatto che, senza continuamente classificare, denominare, ridurre, questo encefalo non riesce a reggere l’enorme mole di dati che la natura, l’esterno a lui, gli offre sempre mutevole e sempre apparentemente nuova, di fronte dunque a una tale apparente contraddizione, che fare. Guardate che l’aggettivo ‘apparente’ va preso appunto nel suo senso letterale, è qualcosa che appare ineludibilmente così.
Di fronte a questo il suddetto soggetto conoscitore può o rassegnarsi all’inadeguatezza della sua razionalità a comprendere in generale, come dire in linea di principio, e questo sarebbe una tale confessione d’impotenza da stroncare qualsiasi decente sopravvivenza del soggetto stesso, oppure allargare la propria razionalità stessa, stirarla, ridefinirla fino a permettere che contenga anche queste nuove situazioni. Questo nasconde la nuova parola complementarità: sono presenti due proprietà di un oggetto fisico (la luce) che finora avrei detto contraddittorie, ma che, a ben guardare… Cosa vuol dire “a ben guardare”? Vuol dire, e qui sta forse il vero grimaldello per capire la strada che si è scelto di imboccare, vuol dire analizzare molto più strettamente di prima gli esperimenti che davvero si riescono ad eseguire, e pensare rigorosamente a che cosa si riesce e a che cosa non si riesce a misurare. Non c’è mai un esperimento nel quale la luce manifesti contemporaneamente sia l’aspetto corpuscolare che quello ondulatorio, non c’è, e quindi la contraddizione non c’è in natura, c’è soltanto nella nostra mente razionalizzante e generalizzante che vuole assolutamente − sulla base di esperienze maturate nella nostra vita quotidiana fondata su oggetti macroscopici, non su atomi − dire che una cosa è quella che è sempre e comunque. E invece, sarà dura ammetterlo, non è così, la luce può avere, in certi contesti sperimentali, un comportamento corpuscolare, e in certi altri un comportamento ondulatorio, e non c’è niente di male in ciò, non c’è neanche niente di irrazionale o magico. Perché è lo stesso concetto di contesto che va allargato.
Questa è una delle lezioni principali della nuova fisica del Novecento. Può naturalmente non piacere, può non convincere, ma di questo disincanto, di questa spregiudicatezza, di questa apertura a nuovi e inaspettati modi di organizzare il pensiero è inevitabilmente intrisa non solo la scienza ma tutta la cultura del Novecento.
Erwin Schrődinger ad esempio, protagonista di primo piano della creazione della nuova teoria, mai accettò questa prospettiva, protestò molto, ironizzò pesantemente sull’invenzione di nuove parole per rimediare alle contraddizioni. Ricordate quanto detto nella prima puntata. In una lunga lettera a John Synge, a Dublino, scritta da Bolzano nel 1959 durante una di quelle notti in cui la bronchite che lo affliggeva gli impediva di dormire, scrisse:
«la complementarità è uno slogan senza senso [thoughtless slogan]. Se non fossi perfettamente convinto che l’uomo [allude a Bohr] parla onestamente e crede realmente nel suo – non dico teoria ma – risonante verbo, la chiamerei intellettualmente iniqua:
Denn eben wo Begriffe fehlen
Da stellt ein Wort zu rechte Zeit sich ein.» (1)
Malignamente cita qui dal Faust (parte prima) due versi che Goethe mette in bocca a Mefistofele «proprio dove il concetto manca, ecco la parola giungere a proposito a prenderne il posto»: Mefistofele sta istruendo sui vari rami del sapere uno studentello che si è intrufolato nello studio di Faust, e la cui ultima battuta era stata «Ma sotto la parola ci ha pur da essere un concetto».
Dovremo concludere che la fisica del Novecento è diventata mefistofelica? La mia risposta non è questa, ovviamente, certo non c’è limite al come la nostra razionalità è disposta a trasformarsi per adeguare la cosa e l’intelletto.
(1) Wolfgang Goethe, Faust, in Goethe Werke – Hamburger Ausgabe, Band 3, Verlag C. H. Beck, München 1996, vv. 1995-96, p. 65 (trad. it. di Barbara Allason, Faust, Einaudi, Torino 1965, p. 54).
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in fatto di luce, non è male neppure questa lampada ad arco, di Balla:
http://www.babelearte.net/resize.asp?path=pulcheriadata/quadri/locandadelpittore/BabeleArte-399-1581-01.jpg&width=400
La lampada ad arco mi fa pensare ad una coda di pavone aperta e luminosa…
:-)
è sempre premiabile e di sicuro impatto la divulgazione delle rivoluzioni fisiche del ‘900, soprattutto se condite da aneddoti storiografici. credo però sia un impegno che richieda un’onestà e insieme una diligenza sopraffine, data l’ignoranza (giustamente diffusa) sul tema. se seguissi delle lezioni di composizione classica per archi annegherei nell’ingenuità ad ampi sorsi, rivendendomeli chissà per quale cena. questo ovviamente se mi fidassi di una sorgente “generalmente” seria. apprezzo quindi il gesto della diffusione, per altro ben steso. ne apprezzo l’intento. capisco la mancanza di spazio, e il gusto per la sintesi, ma mi aspetterei un po’ più di logica nella sintesi, invece di un frastaglio di nozioncine. complementarità? dualismo onda-particella? posso suggerire all’autore di “almeno” citare l’esperimento sconcertante che fece vincere il nobel ad einstein (il quale non lo vinse per la relatività), ovvero l’effetto fotoelettrico? e l’interferenza ottica? come parlare di ciò senza parlare dei quanti? chi è de broglie? magari anche solo da un punto di vista storico, seguirne la scoperta, delinearne le tappe, magari non so, con una qualche logica. penso sia quantomeno doveroso, sempre che questa sorgente di rivista sia “seria”…
ma caro/a quercia, ma ti rendi conto di che cosa stai chiedendo? Hai mai provato a divulgare la meccanica quantistica, o in generale una fisica poco intuitiva su un blog letterario? Alcune tue frasi mi stupiscono: “di sicuro impatto”, cosa è “di sicuro impatto”, la divulgazione della m.q. su un sito così? Forse è una battuta.
Dov’è il “frastaglio di nozioncine”? Forse non hai letto bene: proprio per non disperdermi nel racconto di tutto quel che tu vorresti che io spiegassi – de Broglie, effetto fotoelettrico, e quant’altro – concentro l’attenzione su un punto solo, uno, che per la storia del pensiero mi sembra cruciale, l’allargamento dell’idea di razionalità e attraverso un caso concreto che mostri come essa sia storicamente determinata e non – per Bacco – un dato una volta per tutte. Ti pare poco, quercia, ti pare una nozioncina? Sarei felice se anche solo questo passasse delle otto o nove puntate pubblicate qui sull’argomento (a proposito, hai dato, caro/a quercia, un’occhiata alle precendenti, la 1, la 2, la 3, ecc. ?). Dov’è il “frastaglio [dice il Devoto-Oli s.v. frastaglio: ‘lavoro d’intaglio a linee accentuatamente sporgenti e rientranti’, volevi intendere questo?] di nozioncine, quercia, dov’è? Il giudizio di Schrödinger è un aneddoto? In realtà è e fu l’obiezione per eccellenza alla soluzione di Copenhagen, e un’obiezione illustre e molto suggestiva.
E infine mi incuriosisce tanto sapere cosa sia una “sorgente di rivista”, che può essere più o meno seria, mah!
Adeguare le parole alle cose.
Esprimere l’inesprimibile. Con questo si picchiano, o forse, diciamo più elegantemente, duellano, la letteratura, l’arte, la musica e la scienza del novecento. In un volo verso il non essere che ha un sole freddo, una stella algida che invece di bruciare le ali, ti congela lì a mezz’aria.
Il sogno che le cose siano certe, univoche, si spezza per sempre.
La parola si ricava lo spazio per rendere esistente ciò che non può essere risolto e spiegato razionalmente.
Bisogna affermare e tenere per certo che ciò che è esiste: l’essere infatti esiste; ciò che non è non esiste; io ti invito affinché tu acquisisca tali principi. Infatti io ti tengo lontano da questa prima via di indagine, nondimeno quindi da quella di cui notoriamente vanno fantasticando uomini inconsapevoli, che hanno due teste; l’incongruenza che è nei loro petti determina, infatti, un contorto pensiero; essi, gente dissennata, sono dunque trasportati, sordi allo stesso modo che ciechi, per cui l’essere vivi come il non esistere sono ritenuti essere la stessa cosa e cosa diversa, e per cui per ogni questione c’è un sentiero fuorviante.
Parmendide_Frammento 6_Della Natura
Noi, uomini a due teste, anche tre, con il loro contorto pensiero, sempre in salita su sentieri fuorvianti.
E.C. Parmenide
[Mefistofele dei refusi, vade retro!]