I premi letterari
di Christian Raimo
Perché nessuno crede ai premi letterari? Perché nessuno riconosce ai vincitori quell’autorevolezza, quella qualità, quella primarietà che dovrebbe essere la ragione del premio? In mano alle cordate degli amici, decisi a tavolino dalle case editrici, vittime di poco scaltre manovre lobbystiche, di strategie promozionali di qualche assessorato, è impensabile, diciamo rarissimo, oggi in Italia che un premio letterario abbia quel valore di “classicizzare” un libro che può avere che so io, un National Book Award. Quest’anno l’impressione si è trasformata forse in una constatazione. Il Premio Strega pareva assegnato almeno dieci mesi prima, con ragioni non proprio idealistiche: il libro di Ammaniti non aveva venduto come mercato comanda, e allora la Mondadori aveva pensato bene di sponsorizzarlo in modo da racimolare quel surplus mancante di lettori. In diretta tv la serata nel ninfeo di Valle Giulia metteva in scena – come da copione – la rappresentazione di una società letteraria poco credibile: questi gli intellettuali italiani? Un Mastella che ammiccava? Un Gigi Marzullo che imperversava? Purtroppo i giurati dello Strega, gli Amici della Domenica – una combriccola nata nel dopoguerra, con intenti di creare un premio fuori dalle istituzioni, con la logica della gratuità, “amichevole” appunto – sono diventati in molti casi gli Amiconi della Domenica. Fieri della propria tesserina, assiedati dalle telefonate degli uffici stampa dei libri in decina e poi in cinquina, vivono putroppo molto spesso il proprio ruolo come dei piccoli detentori di potere, trasformando a tutti gli effetti un momento di possibile dibattito letterario in una mera occasione mondana.
Al Viareggio che il re fosse nudo neanche un mese fa l’hanno proclamato prima della premiazione, i giurati da una parte e l’organizzazione dall’altra l’un contro gli altri armati; i panni sporchi – le mail private su regolamenti non rispettati, piccole polemiche interne, ripicche personali – sono finiti sul sito www.premioviareggiorepaci.com (quasi ad alimentare quella fama di intercettazioni che nel mondo editoriale ancora non s’era vista). Chi ci ha malamente rimesso sono stati poi gli autori come Simona Baldanzi (Figlia di una vestaglia blu), che si è vista trattare con inaudita sufficienza da tutti, e che la sua esperienza di carne da premio l’ha raccontata qui su Nazione Indiana. Che il Campiello sia andato senza scossoni né veleni è diventata allora una notizia degna di titolo. Ha vinto Mariolina Venezia, Mille anni che sono qui, scelta da una giuria popolare che non ha rispecchiato molto i giudizi dei giurati, ma tant’è.
Dunque Niccolò Ammaniti, Filippo Tuena e Mariolina Venezia: questa è la triade dei più importanti riconoscimenti letterari. Se un editore straniero – come capita – volesse farsi un’idea del best of prodotto dagli scrittori nostrani andrebbe a pescare da qui. Qualcuno di voi aveva idea che questi (targati rispettivamente Mondadori, Rizzoli, Einaudi) fossero i tre migliori libri dell’anno?
La sensazione è che i premi letterari siano diventati un po’ come Sanremo o il Festivalbar, manifestazioni nazionalpopolari, capaci di evidenziare anche qualche buon nome ogni tanto (un Sandro Veronesi come un Avion Travel), ma molto più spesso costretti a gestire, alle volte con molta buona volontà ammettiamo pure, compromessi infiniti tra le pressioni dei grandi gruppi editoriali e le idiosincrasie di qualche organizzatore invadente. La domanda è allora: che bisogno c’è, che bisogno c’è di questo sforzo?
E una domanda parallela potrebbe essere questa: perché non istituire in Italia un premio letterario che abbia per la letteratura la stessa funzione del Club Tenco per la musica? Un luogo di incontro vero tra addetti del settore? Un laboratorio di sperimentazione autorevole, capace di intuire le tendenze dei linguaggi, di segnalare personalità non ancora emerse, di promuovere collaborazioni che non siano soltanto amicizie d’occasione?
Non sarebbe possibile coinvolgere tutti quelli che pur partecipando ai vari premi, autori, giurati, editori, sanno già di dover accettare regole scritte e non scritte che condividono solo a metà, e che proclamano fuori dai denti di essere innamorati di libri e scrittori che ai quei premi invece latitano?
È un uovo di Colombo, una proposta da Alice nel paese delle meraviglie, o l’ennesima idea di un ennesimo premio che nel giro di qualche anno ricalcherebbe le stesse dinamiche stanche degli altri?
“È un uovo di Colombo, una proposta da Alice nel paese delle meraviglie, o l’ennesima idea di un ennesimo premio che nel giro di qualche anno ricalcherebbe le stesse dinamiche stanche degli altri?”
Conoscendo l’italica genia, propendo per la seconda ipotesi…
l’ho sempre detto io,
l’arte non cerca riconoscimenti!
l’arte è umile!
Cristian, quello che sostieni è inoppugnabile.
Pastette.
Ma come ti poni nei confronti di quelleditor che nei prossimi mesi pubblicherà, per la casa editrice per la quale lavora, sua sorella?
complimenti per il pezzo
io non ci credo più, nei premi!
:-(
Che cazzo c’entra il discorso della sorella dell’editor con quello che ha detto Raimo nel pezzo? Spiegamelo, Gino.
il romanzo di mia sorella credo sia un romanzo ben scritto. ovviamente questo è un giudizio personale, perché in casa editrice – in questo caso – non ho deciso nulla. a parte l’affetto, non ho molti legami con mia sorella.
tutto giusto. condivido ogni riga e ogni particella della rabbia di fondo.
ma cosa cambierà? un cazzo.
g.
“cambia todo,no cambia nada”,scriveva quasi vent’anni fa Tondelli,in Rimini,sui premi letterari.Ma attenti a non fare dei cattivi di coloro che cercano solo di fare sistema,a volte con espedienti non proprio limpidissimi.I veri figli di puttana sono quelli che cercano di venderci cose alternative alla parola scritta,buona o cattiva che sia(li riconosci quando intervistati sull’ultimo libro letto rischiano il collasso assumendo un colorito cianotico per poi sciorinare in extremis,intercettando un suggerimento volante del portaborse o cavandolo dalla fascia recondita della memoria,un quasi-esotico quo vadis,o similari residui dell’inconscio collettivo.L’altro giorno sognavo,quasi un braudbury in sublimazione,che belle menti si cullavano una generazione di cantori pronti a darsi con generosità,contro l’oblio più sporco.Uomini in ammollo)
Credo di aver fatto una gaffe.
Me ne scuso…
e se si abolissero, i premi letterari e d’ogni altra cosa?
qual danno per l’occidente?
(il diritto -mio come di ognuno- di dire cazzate è un diritto costituzionale)
Tutto vero quello che scrive Raimo, ma con un difetto di fondo: da di badile a tutti. E’ il classico atteggiamento italico: smontiamo tutto per non smontare nulla. E’ possibile che in Italia, qualunque cosa succeda, non esista mai un responsabile?
Il Viareggio è stato un troiaio? Diciamo chiaramente di chi è la colpa: nomi e cognomi. Mondadori ha fato pressioni sullo Strega? Bene, fa parte del suo ruolo, ma chi le ha accettate queste pressioni? Chi, non cosa che alla fine, dietro il cosa, c’è sempre un chi; magari più d’uno, ma c’è sempre.
Il giorno in cui impareremo a dire chiaramente chi e non cosa, forse, riusciremo a cambiare.
Blackjack.
Raimo, io di mestiere non scrivo libri, ma gioco d’azzardo e, per mia natura, devo essere diffidente se non voglio, sera sì, sera no, trovarmi per strada ad elemosinare un passaggio per riuscire a tornare a casa e, se consideri che non sono un adone e avrei ben poche possibilità con entrambe le facce della luna, capisci bene l’attenzione ‘attenta’ che devo riservare ai miei dubbi.
Esiste un solo modo per fugare i dubbi: non generarli. Oppure non caricarsi del ruolo dei fustigatori. Gino, che non conosco, ha espresso un dubbio che, mi sbaglierò, frulla nella testa a molti e, forse, molti non hanno avuto il coraggio di manifestare. Non ne sapevo nulla, anche perché non giochi a carte, e le lettere non sono il mio ambiente, ma ora il dubbio è venuto anche a me.
Come dicono gli avvocati? Escusatio non petita…
Blackjack.
PS: non sono Gino e se vuoi conferme in merito puoi contattarmi alla mail che leggi allegata al commento e che non è fittizia. Scusami per il commento poco gentile.
Non capisco lo scandalo: nel privato la forza industriale e promozionale occupa spazi in proporzione, e questo accade in editoria come altrove. Dove ci sono meno soldi in ballo ci sono consorterie e scambi di favori, o legittime simpatie o esigenze di promozione locale. Dove credevamo di vivere?
Certo Raimo, se quello che pensi è una gestione più pubblica, fatta con denaro pubblico e autorità riconosciute con un mandato, allora fuori gli editor e gli editori, del tutto.
Veronica Raimo ha già pubblicato diverse cose, in rete (ad es su Vertigine), e sul cartaceo. Ed è molto brava. Avrebbe potuto sicuramente pubblicare anche altrove. Immagino sia stato più naturale, per lei, affidarsi alle mani di uno staff che conosceva…
Mi pare che qui si stia cambiando argomento. Torniamo in tema, ve ne prego.
Un nuovo premio senza i sette/otto colossi, e pazienza per il Veronesi di turno, no? O ci saranno anche lì i pesci medi che vorranno mangiarsi i pesci piccoli?
i pesci medi sono ancora più affamati di quelli grandi. non c’è salvezza. meglio castrocaro.
“perché non istituire in Italia un premio letterario che abbia per la letteratura la stessa funzione del Club Tenco per la musica? Un luogo di incontro vero tra addetti del settore? Un laboratorio di sperimentazione autorevole, capace di intuire le tendenze dei linguaggi, di segnalare personalità non ancora emerse, di promuovere collaborazioni che non siano soltanto amicizie d’occasione?” ….ma ce l’abbiamo christian! per fortuna ce l’abbiamo già! è il Concorso Letterario nazionale “Bere il Territorio¨ promosso da Go Wine
Caro Diamonds,
dal tuo intervento estrapolo quanto segue:
“Ma attenti a non fare dei cattivi di coloro che cercano solo di fare sistema,a volte con espedienti non proprio limpidissimi.”.
Ora, scrivo da molti anni e da ancor più anni lavoro nella Pubblica Amministrazione. Fare gruppo, comunella, conventicola si è sempre usato da parte di tutti; ma “fare sistema” è un’invenzione dei politici anzi meglio dei manager della politica, gente che quando è cattiva (buona lo è raramente) è ancora più dannosa dei cattivi scrittori, il che è tutto dire.
In conclusione non si può che convenire con Ruggero Solmi: meglio Castrocaro. E non perché a Castrocaro non girino dentiere affilatissime; ma perché, almeno Castrocaro, non ci riguarda.
Un caro saluto,
Roberto
Uno dei problemi mi pare essere questo: in Italia non si vedono/leggono/premiano i libri ma gli autori: tizio, tizio, caio, caio, caio, sempronio invece che “madama dore'”, “lo spuntino della vernaccia stralla”, “acci fossi torri picchia”. Vi rimando ad un sondaggio inglese (tra letterati) sul miglior romanzo locale degli ultimi 25 anni, fatto di recenete dal guardian: http://observer.guardian.co.uk/review/story/0,,1890228,00.html ; vince “disgrace” -“vergogna” nella traduzione italiana- di coetzee, non vince il signor jmcoetzee; jmcoetzee ha vinto 2 volte il booker prize e una volta il nobel ma di lui vengono in mente i libri; qui in italia una cosa del genere e’ inizialmente successa con “gomorra” di rsaviano, dopo di che le legittime discussioni sull’opera sono diventate illeggittime illazioni (molte da querela) sull’autore.
Perché? Qual è il problema? Che a lamentarsi siano autori di piccole e medie case editrici? Non so, mi sfugge questa sottolineatura. Hanno meno diritto di rivendicare, forse? Oppure siamo alle solite (editor-scrittore pubblicato-autore rifiutato)? No, perché se siamo alle solite, meglio lasciar perdere. Che qui qualsiasi guizzo perde improvvisamente la sua facoltà illuminante.
Christian, la proposta di metter su un premio letterario mi – inevitabilmente – incuriosisce. Bisognerebbe inventare una formula, un modo: ad esempio, fare un premio letterario che si svolga non ogni anno, ma ogni dieci o cinquanta; oppure un premio letterario che si svolga ogni anno, ma per soli cinque anni (e poi ciccia). Un mio vecchio amico aveva progettato, sarà dieci anni fa, una sorta di “premio degli anonimi”: un premio assegnato da una giuria di grandi personalità, ma che nessuno sapesse (né prima né dopo l’assegnazione) quali fossero. L’idea cadde perché, ovviamente, se non si sa chi giudica, e se non se ne può quindi valutare l’autorevolezza, del premio non importa nulla a nessuno. Si potrebbe inventare (niente di nuovo: ma i premi maggiori, in Italia, ancora non lo fanno) un premio diviso per categorie, per generi letterari: il thriller di qua, il romanzo storico di là, la poesia lirica qui, la posia epica lì, e via dicendo. Si possono comporre giurie di tutti “addetti ai lavori”, quindi competentissimi e invischiatissimi, oppure di tutti “non addetti ai lavori” – col problema di stabilire, se non sono “addetti ai lavori” quale mai sia la loro competenza. Si può fare un premio che venga assegnato il giorno di Natale, un premio la cui cerimonia si svolga sott’acqua (c’era andato vicino il Campiello, negli anni scorsi; ma ora si è messo all’asciutto in Fenice), un premio nel quale si vince una torta in faccia (prenderla, non tirarla, eh!). Si può premiare il libro migliore, il libro peggiore, ma perché non premiare il libro più medio? Quello più medio di tutti? Quello che chiunque se lo può leggere con la garanzia di non ricavarne nessun profitto e nessuno danno? Molto si può fare sul fronte dei premi: al di là dei soldi, che fanno piacere a tutti ma che non sono l’essenziale, si potrebbe offrire: una settimana all’Isola dei famosi, un seminario con Don DeLillo, una notte con Samantha Fox o con Robert Plant, una bevanda fresca al tamarindo. Si potrebbe inventare un premio il cui vincitore non viene detto pubblicamente: ogni giurato avrebbe il diritto di comunicare il nome a una sola persona, in confidenza, impegnandola a un analogo comportamento. La regola potrebbe essere violata solo in caso di offerta (a beneficio del premio, e quindi del vincitore segreto: non della “talpa”) superiore a una certa cifra: 100.000, 3.000, 2.000.432 euro, ecc.
Tutto questo potrebbe essere molto divertente. E magari funzionerebbe.
Però, dal tuo articolo prenderei un’altra cosa. Giustamente tu dici: questi premi sono diventati come Sanremo, il cui vincitore non se lo fila mai nessuno (di solito). Eppure il baraccone di Sanremo va avanti, così come vanno avanti i premi. Eppure Sanremo se lo guardano milioni di persone (i premi letterari un po’ meno: ma sono pur sempre eventi mondani mica da poco). Se ne può concludere una sola cosa, credo: e cioè che non esiste nessuna relazione tra la realtà della letteratura e i premi.
Può capitare che un premio premi un romanzo bello (è il caso, secondo me, di “Mille anni che sto qui” di Mariolina Venezia, vincitore al Campiello), così come può capitare che lo stesso premio non premi un romanzo più bello ancora (“Il labirinto delle passioni perdute”, di Romolo Bugaro, che al Campiello è arrivato penultimo), ma ho il sospetto che, a guardare le serie storiche, si potrebbe sostenere che i premi premiano a caso. Nel 1974, al Campiello partecipa Tommaso Landolfi con “Le Labrene”: vince Stefano Terra con “Alessandra” (ve lo ricordate tutti, questo romanzo, vero?). Nel 1978, sempre al Campiello, partecipa Giuseppe Pontiggia con “Il giocatore invisibile”: vince Giovanni Granzotto con “Carlo Magno” (id.). Questo non ha impedito che al Campiello vincessero, in altri anni, libri egregi: da “La tregua” (e anche “Se non ora, quando”?) di P. Levi a “Storia di Toenle” di Rigoni Stern. Mi immagino l’imbarazzo dei giurati nel 1994, quando toccò loro scegliere tra “Fratelli d’Italia” di Arbasino (la terza versione, quella Adelphi), “Attesa sul mare” di Biamonti,”Il catino di zinco” di Margaret Mazzantini, “Vita di uomini non illustri” di Pontiggia, “Sostiene Pereira” di Tabucchi (vinse Tabucchi, e io avevo scommesso Mazzantini).
E’ l’idea stessa di “premio”, credo, che non ha senso. Che senso ha dire, a libri appena usciti, che “Sostiene Pereira” è *più bello* di “Vite di uomini non illustri*? Il tempo, si dice, è il miglior giudice (non il giudice perfetto, peraltro: sbaglia anche lui): la vittoria di Tabucchi sembra, così a occhio, sensata: “Sostiene Pereira” è diventato un libro popolare, “Vite di uomini non illustri” no. Ma se dico che “Sostiene Pereira” è *più bello” di “Fratelli d’Italia”, già il giudice Tempo mi mette in crisi: perché “Fratelli d’Italia”, nonostante la sua mole, sembra essere un romanzo ancora assai vitale in libreria.
Ma queste sono cose di contorno. Le dico solo per dire che, secondo me, l’unica scelta sensata è quella della separatezza. I premi letterari esistono, come esiste il sole e la pioggia. Li accettiamo. Siamo contenti se c’è il sole (ovvero: se viene occasionalmente premiato, e quindi favorito nelle vendite, un libro che ci pare bello), non ci lamentiamo per la pioggia (che fa bene ai campi e ai campielli).
In altre nazioni esistono società letterarie che funzionano diversamente dalla nostra: e in altre nazioni vi saranno premi letterari capaci (non infallibilmente, certo) di segnalare davvero i libri, se non più belli, quantomeno più importanti, più innovativi, più agitatori. I premi letterari italiani sono gestiti per lo più da una società letteraria molto, molto autoreferenziale (vedi il Carlo Fruttero “superfavorito” al Campiello, semplicemente perché lavora da una vita nell’editoria). Bene. Allora, di società letterarie, facciamone un’altra. Costruiamo altri legami, altre reti, altre consociazioni. (Che è poi quello che sta avvenendo in questi anni, e Nazione indiana è un pezzo importante della cosa). E freghiamocene di Castrocaro.
christian e giulio: questa è davvero una bella idea. ma bella sul serio.
il paragone con sanremo è calzante. sanremo produce e valuta un tipo di musica che sostanzialmente non esiste più la “canzone leggera italiana”, la “canzonetta” (infatti tocca ripescare al bano, invece di andare a frugare nel bellissimo panorama pop e rock giovanile o indipendente). il sistema di valutazione, inoltre, è del tutto interno e affidato a persone spesso incompetenti (nel senso che non sono addette ai lavori, ma provengono banalmente dal mondo dello spettacolo). quindi giudizio e materia su cui giudicare sono entrambi viziati alla radice.
stesso identico discorso per i nostri premi letterari.
a questo punto, davvero: non fermiamoci alla domanda “perchè non farne uno nuovo?” facciamolo.
Bella proposta, e belli anche i suggerimenti di Giulio. E se partissimo da una cosa piccola, magari un Best Off dei migliori pezzi in rete, sul tipo di quelli editi da minimumfax (che su carta vendettero poco)? I giurati potrebbero essere i redattori di NI, e il premio la cooptazione nella redazione. Questo potrebbe essere un primo passo verso la costruzione di un’altra società letteraria, come auspicato da Giulio.
Boh… un altro premio nel paese dei premi? Chi non ha mai preso un premio alzi la mano.
Blackjack.
Caro Roberto Rossi Testa,infatti volevo scrivere “fanno squadra” ma al momento non mi veniva.
Il premio per ora solo concepito lo intitolerei “John Cazale”,un grandissimo che fino a quando gli è stato possibile scegliere ha operato opzioni scomode mantenendosi su mostruosi livelli recitativi(invece l’andazzo generale è quello di raggiungere la fama,conservarla da mestieranti,e spremere tutto quello che c’è da spremere fino all’ultimo euro,lasciando niente)
Caro Raimo, ho letto il pezzo su liberazione e sento il bisogno d’intervenire sulla querelle. Io non so se il mio libro sia tra i tre migliori pubblicati in Italia (per inciso, sul Internet c’è qualcuno che lo pensa) e rispondo a me stesso delle discrepanze che possono venirsi a creare tra quel che volevo scrivere e quel che ho scritto. Dai critici o dai giornalisti mi aspetto non sospetti ma affermazioni, che possono venire dopo la lettura del libro. Se lei lo ha letto e lo ritiene mediocre fa benissimo a scriverne male; insinuare dubbi è forse troppo facile.
I premi letterari sono quelli che sono, prendere o lasciare. A volte è vero ci si lascia irretire da lusinghe e un autore potrebbe benissimo farne a meno anche perché un premio letterario non alza o abbassa di un cubito la statura di un libro. Ragionerò sulla questione…
Mi fa strano – io che vendo normalmente non più di 5.000 copie e che quindi sono un autore in perdita per la mia casa editrice (ero in perdita per la Fazi per la quale ho pubblicato 4 libri, lo sono adesso con la Rizzoli) -essere accostato a macchine commerciali di ben altra entità.
Un caro saluto,
Filippo Tuena
“a parte l’affetto, non ho molti legami con mia sorella.” è una frase capolavoro. Solo un genio che crede fermamente nel potere dell’immaginazione può inventare una cosa così. Questo è l’unico Raimo che mi piace davvero, il geniale cabarettista dei Cavalieri del tiè. Porcaccia miseria, ma perché non sei sempre così Raimo?
A Filippo Tuena:
Raimo non faceva un discorso sulle persone, ma sul sistema. Questo articolo poteva essere postato l’anno scorso, con una triade di vincitori differenti.
A Giulio Mozzi:
Leggerti mi fa felice ogni volta. Un giorno ti aprirò la cassa cranica per vedere come diavolo funziona quel tuo cervello! ;-)
“Allora, di società letterarie, facciamone un’altra. Costruiamo altri legami, altre reti, altre consociazioni.”
Giulio, è stranissimo sentirti dire questa cosa, sia perché sei uno che tende a isolarsi, sia perché non ami assolutamente chi è capace di argomentare idee diverse dalle tue, sia perché, quando questo qualcosa è nato, tu hai partorito due articoli sulla “profezia” per tentare di stroncarlo immediatamente.
spiegatemi chi è andrea barbieri. chi è? un fantasma? un critico? uno sgarbi telematico? uno che è su scherzi a parte? la candid camera della letteratura?
Caro Biondillo, può darsi che Raimo parlasse in generale, ma io francamente – per i miei numeri – non mi sento un autore sul quale il sistema commerciale può fare affidamento. anzi, normalmente mi scontro con una certa diffidenza e disinteresse del grande pubblico e delle grandi testate.
Mi sento uno scrittore deviante che ha scelto la via del bosco e della non appartenenza – e basta leggere alcune pagine del mio libro per rendersene conto.
Sono amareggiato perché ancora una volta si guardano le apparenze e non si riconosce lo sforzo che un autore compie per dire qualcosa di nuovo.
Quello che non capisco è perché ci si lamenta quando i premi segnalano libri commerciali e contemporaneamente quando ne segnalano altri che nulla hanno di commerciale.
Il fatto che poi si proponga un nuovo premio mi getta in confusione, come se a un sistema di potere se ne volesse sostituire un altro.
Non ero mai intervenuto nelle polemiche sui giornali proprio perché rifuggo per quanto posso dalla pubblicità. Ho scritto qui perché tutto sommato internet è un sistema di controcultura anche se forse si sta trasformando in qualcosa che vorrebbe combattere.
Boh, se mi torna la voglia, – adesso ne ho poca – mi metto a scrivere un altro libro, e se ci riesco più estremo dell’ultimo.
Sono una persona senza gradi, che legge qualche libro, che ha conosciuto qualche autore quando trovavo quei libri molto belli, che dice le cose come pensa che stiano, che segue con pazienza da un po’ di anni le vicende di questa cosa che è la blogosfera letteraria.
Non sono un critico, non sono un aspirante scrittore, non sono un leccaculo, non sono uno stupido, non sono un fantasma essendomi sempre firmato per nome e cognome o cercando comunque di essere perfettamente riconoscibile.
Lei invece caro Ruggero Solmi chi è?
E perché non chiede direttamente a me chi sono, pensa di essere più fine a fare così?
filippo tuena hai ragione, il tuo libro non l’ho letto per intero, ma gli riconosco il valore di un buon libro, di una scrittura che sicuramente non ciancica derive commerciali. mi è piaciuto meno quello della venezia quasi niente quello di ammaniti. questi sono giudizi personali però. il viareggio si vale del lavoro non banale di critici di valore. e negli ultimi anni ha premiati libri inusuali e belli: albinati, celati, montesano. ma anche qui i giudizi sono personali e contraddicibili con molti altri nomi del palmares. libri di cui non si parla, o che poco hanno da dire per la storia di una possibile futura letteratura. il mio discorso non voleva essere una polemica sui magna magna. esistono. il caso del premio montale per esempio misconosciuto è un esempio da manuale. ma conosco anche personalmente chi lavora da anni alla fondazione bellonci e so quanto impegno ci sia dietro. ma la puntualizzazione era sulla credibilità dei premi italiani più importanti. sulla loro utilità a scemare, sulla deriva gossipara delle premiazioni. sulla loro inutilità se non avversarietà alla creazione di una comunità letteraria viva, collaborativa – il caso baldanzi era esemplificativo, ma anche tu ne conoscerai di poveri fessi messi a rimpolpare cinquine, etc…
la possibilità non peregrina di fare un premio che sia legato alla rete o a un festival letterario importante come mantova o la fiera del libro, gilulio?
o – sempre nel campo delle ipotesi velleitarie? – un premio come un festival di cinema. la giuria, di valore riconosciuto – ha dieci giorni per leggere i libri in cinquina (due per libro sono sufficienti?) e ne esce una specie di dibattito acceso, come ricercare di allora, etc… non sarebbe anche divertente?
un premio?? un altro??
va bene, se non si sa fino all’ultimo chi è stato preso in considerazione. Alla fine si comunica il vincitore e i finalisti.
Tipo: il giorno 1 gennaio 2008 verrà assegnato il premio per, che so, il miglior libro di narrativa popolare edito su internet. la giuria è: etc etc.
e il giorno 1 gennaio, ecco che si dice il libro, il saggio, il contributo, il post, come volete chiamarlo, che ha vinto.
e il premio??
il premio sarà essere stati scelti. volenti o nolenti. il sapere di essere stati letti. davvero.
c’è un Premio più grande, per chi scrive, di essere letto?
Caro Raimo, vedi che anche qui, mentre qualcuno cerca di dire cose sensate sullo scrivere, quel che affiora è una certa litigiosità – chi sei tu? chi non sei? etc. etc.
Mi domando: sarà molto diversa da quella di un gruppo di giurati di un premio? A me sembra molto simile. Quel che resta ai margini è quasi sempre la scrittura.
Hai letto buona parte di ultimo parallelo? Va bene così. vuol dire che non sono stato capace a coinvolgerti. Anche se forse posso consigliarti le ultime cento pagine che mi sembrano non da buttare – per quel che vale il giudizio di un autore verso se stesso.
La verità è che ogni spazio che viene dedicato alla polemica, alla litigiosità di giurati, scrittori, editori, giornalisti e lettori toglie ovviamente spazio al suggerimento di buon libro o a qualcosa di propositivo.
I premi dovevano avere questa funzione: suggerire libri da leggere. E invece stanno diventando il campo di battaglia di una repubblica letteraria allo sbando e questo vale per le pagine culturali, gli scrittori, gli editori e anche i lettori.
Da qui soprattutto nasce il mio umor nero, non tanto dal giudizio che si può dare di un premio estivo e dal fatto che meritatamente o meno sia finito nello scaffale della mia libreria. Il problema, come dicevo nell’altro post, è se quello che scriverò in futuro mi soddisferà.
Francamente non vedo altra soluzione che cercare di scrivere meglio.
caro barbieri, grazie della risposta. sono nuovo del web e il suo intervento m’è parso particolare, anche se non condivido una mazzancolla. io sono un impiegato dell’enel, di valdobbiadene, residente a torino da due anni e mezzo, separato da valeria, di spigno monferrato (al) , due figli, pino e ruggero junior, abbastanza con i nervi a pezzi, scrivo dal 90 le “liste”, postate su lpels, sono arrivato a 14.000 circa, sono impulsi verbali, si tratta della registrazioni delle mie contorsioni mentali in forma prosapoetica, assolutamente impubblicabili, un mio amico , roberto rossi testa, poeta e traduttore mi disse tempo fa, “l’unica per te è il web”, così lpels mi ha pubblicato una lista, perlomeno non va tutto disperso, anch’io sono un lettore, credo negli antileccaculi, sono d’accordo, se mi chiedono se sono favorevole o contrario rispondo che ne ho i coglioni pieni.
a Ruggè, viè a cà!
filippo tuena ha vinto il viareggio perché, dopo il ribaltamento del tavolo e lo sparpagliamento delle carte truccate, non restava altro da fare che far vincere il migliore. onde evitare ulteriori sputtanamenti.
trovo “abbastanza con i nervi a pezzi” “di una bellezza abbacinante”.Welcome,benvenù
Barberi si riferisce a un articolo di Antonio Moresco, apparso in Nazione indiana, intitolato “La Restaurazione”:
https://www.nazioneindiana.com/2005/04/09/la-restaurazione/
E a un mio articolo successivo, intitolato “Preterizione”:
https://www.nazioneindiana.com/2005/04/14/preterizione/
Nel mio articolo, come può vedere chi legga, faccio tutt’altro che “tentar di stroncare” il discorso di Antonio Moresco.
Non credo che ci sia bisogno di altri premi: di premi mi pare che ce ne siano già troppi… C’è bisogno di altra gente, di altre teste, di persone non schiave della logica del guadagno a tutti i costi. Bisognerebbe fare piazza pulita, e allora sì che verrebbero fuori i talenti veri e che si parlerebbe di letteratura.
NM
Caro Giulio, quando si pone come premessa del proprio discorso “il testo di Antonio Moresco appartiene (non ho dubbi) al genere letterario profezia.” si cerca di distruggere eccome.
Io continuo a credere che tu dovresti scusarti per quelle parole.
Una precisazione, quando sopra ho detto che tendi a isolarti, intendevo dire che non mantieni almeno in rete veri rapporti con i tuoi colleghi. Ti circondi o di autori che sono stati pubblicati o che dovranno essere pubblicati da te. E queste persone non possono tenerti testa, né tu puoi davvero criticarli pubblicamente. Ne esce a mio parere un isolamento intellettuale. Se queste sono le premesse per fondare la nuova società letteraria, be’ penso contengano già gli elementi per guastarla.
C’è anche di Mozzi un secondo intervento sulla questione ‘restaurazione’, successivo, che si concludeva così:
“Il punto è: il conflitto che si è consumato in Nazione Indiana […] E’ stato un conflitto tra persone disponibili a pensare il loro agire come un agire trascendente (o qualcosa del genere), e persone non disponibili a pensare il loro agire come un agire trascendente (o qualcosa del genere). […] la differenza non sta più su un piano etico, ma su un piano – come dire? – cosmologico”
http://www.vibrissebollettino.net/archives/2005/09/la_restaurazion.html
Questi interventi, rivisti oggi, alla luce del lavoro fatto dai ‘cosmologici trascendenti’ e dell’evoluzione dell’editoria sono assolutamente bislacchi, eppure allora, nel 2005, sembravano espressione della più grande ragionevolezza. Me li sono bevuti anch’io, per dire quanto sono stati retoricamente devastanti.
E ora Giulio vieni a dire che vuoi fare la nuova società letteraria?
Poi dentro Nazione Indiana2.0, che ha attaccato Scarpa perchè ha sostenuto che bisognava unirsi come era successo per Saviano?
Dimmi che scherzi.
barbieri, dimmi che scherzi. giulio mozzi si circonda di gente che interagisce con lui. come moresco. dove sta la differenza? spiega.
Basta che rileggi quello che ho scritto con più attenzione.
i premi sono la rovina della letteratura. per questo sono così importanti.
Forse mi sono perso qualche puntata: chi ha attaccato chi, qui su NI2.0, Andrea? E perché sembra che tu voglia far deragliare il discorso da un’altra parte?
Sono d’accordissimo con Salvador e con Nevio. Mi è a cnhe venuta la voglia di comperare il libro di Tuena.
Blackjack.
è da quando ero bambino, dunque praticamente dal pleistocene, che leggo e sento dire sempre le stesse cose sui premi letterari.
immagino siano vere, in gran parte.
ma la dinamica italica di premi & concorsi, quelli importanti, di qualsisi tipo siano e a qualsiasi disciplina afferiscano, è sempre (e da sempre) la stessa.
credo sia una questione di puntigliosa identità nazionale, quella di fottersene del merito e di privilegiare tornaconti, amicizie, eccetera.
ma nei premi e concorsi minori mi sembra ci sia ancora spazio per la cosiddetta “qualità” sulla quale però è impossibile mettersi d’accordo.
credo che alla fine questo sia il punto: chi decreta le qualità universalmente condivisibili? i premi letterari o la sedimentazione dei valori nel tempo?
la risposta mi sembra ovvia.
[…] “…perché non istituire in Italia un premio letterario che abbia per la letteratura la stessa funzione del Club Tenco per la musica? […] Un laboratorio di sperimentazione autorevole, capace di intuire le tendenze dei linguaggi, di segnalare personalità non ancora emerse, di promuovere collaborazioni che non siano soltanto amicizie d’occasione?” (C. Raimo sul premio Viareggio, Nazione Indiana) […]
Propongo di istituire un premio con le seguenti caratteristiche:
Non possono partecipare i libri che hanno venduto più di 10.000 copie;
Non possono partecipare i libri pubblicati dai gruppi Mondadori, Rizzoli, Feltrinelli e qualche altro editore che ora non mi sovviene ma può essere incluso nella lista per affinità con i precedenti;
Non possono partecipare gli autori che sono stati recensiti positivamente da D’Orrico;
Non possono partecipare gli autori che abbiano accettato di farsi fotografare più di due volte in pose pensose, intense, ispirate allo scopo di pubblicazione delle foto stesse su riviste cartacee o internet;
La giuria, diciamo 50 persone, viene sorteggiata tra 1.000 aspiranti tali, che dovranno preventivamente registrarsi in apposita lista. Naturalmente dovrà trattarsi di persone che non appartengono a nessun titolo al mondo letterario editoriale, e dovranno dimostrare di leggere almeno un libro al mese.
Questo in linea di massima, poi non so.
non ho mai acquistato nè letto un libro “perchè aveva vinto un premio letterario”. e dire che sono uno che, rispetto alla media, legge molto. la mia è sempre stata semplice e pura indiferrenza nei confronti di istituzioni da cui non mi sono mai sentito rappresentato in alcun modo, tutto qui.
E’ davvero deprimente arrivare a considerare che esiste un’Italica genia che è come un macigno, che non rotola mai da nessuna parte ma purtroppo è così. Raimo, dovresti girare il pezzo ai Grossi che influenzano quel business che è anche la scrittura, come il cinema e la musica. Che sòla!
Propongo un premio sul modello del “Punteggio di Amburgo”.
Slowskij, mi pare, immagina che i pugili tedeschi si incontrassero in gran segreto una volta l’anno ad Amburgo per una serie di combattimenti a porte chiuse dove fosse possibile stabilire per quell’anno, al di là delle varie combine, chi fosse veramente il migliore su piazza.
Naturalmente libri e pugili sono cose molto diverse e non esiste il libro “migliore” di un’annata, anche se ogni lettore una sua classifica più o meno la fa.
Però se tutti quelli che scrivono & pubblicano si incontrassero a porte chiuse, con l’impegno di conservare il segreto in modo assoluto, si potrebbe avere ogni anno un vincitore segreto della scena scrittoria, che non potrebbe trarre da ciò alcun vantaggio, né di vendite né mediatico e che perciò non potrebbe essere invidiato dai colleghi, disposti, per una volta, a riconoscersi tra loro in una scala di valori condivisa (a maggioranza?).
Caro Biondillo, io penso che tu sappia benissimo che dentro Nazione Indiana si reagì bollando di ‘padrinaggio’ le parole di Scarpa su Saviano.
Mi sembra molto corretta l’analisi che fa Andrea Barbieri sull’uso e la comunicazione che certi scrittori affermati fanno della rete. L’idea della vetrina e del potere è ricalco. Peccato non usare Internet per le potenzialità che offre.
[…] [Dell’argomento ne ha parlato anche ChristianRaimo su Nazione Indiana. QUI]. […]
Scrittori che si incontrano a porte chiuse, senza controllo alcuno, per decidere il miglior libro dell’anno? Ci si potrebbe scrivere, subito, un romanzo noir; già immagino i morti e i feriti.
Mi ricorda, non so perché, Cavie di Palahniuk; lì era un corso di scrittura creativa il collante che legava i racconti, ma non vedo grandi differenze…
Propongo che non se ne parli più.
i concorsi letterari “minori” sono ancora una buona e onesta chance per farsi leggere e avere degliapprezzamenti sinceri… gli amichetti dell’editorino di turno non possono avere qui presa…
penso, però, sia anche responsabilità degli scrittori, che accettano di partecipare a questi circhi da 4 euro… ma meglio una bella maschera da clown che un lavoro impiegatizio, no?… altrimenti si giocano anche quella povera chance di portare a casa qualche altra copia venduta…
lo scrittore per primo di vende a queste logiche mercantili! quindi, piangano poco i nostri e siano onesti con se stessi: nessuno li ha costretti a salire su questi carrozzoni…
la scrittura non c’entra niente con i premi letterari…
salud
Akyro
oppure di creare un’associazione.
l’associazione.
nomi e cognomi di gente che dica:
io non parteciperò a nessun concorso.
magari di autori oltre le3mila copie.
mi piace quel che ha scritto Raimo ma domando: ci sono i puri?
Ragazzi, scusate se sono fuori luogo, ma finché il problema se lo pongono i raimo e i biondilli e i montanari, figli della serva che non vivono che di piccoli favori tra amici, e solo per questo “esistono”, siamo – anzi sarete – sempre al punto di partenza.
“Facciamo… Creiamo… Istrituiamo…” Ma facèteme o piacìr’!
Un contributo alla discussione di Leonardo Sciascia http://www.youtube.com/watch?v=Ygn9He8ReKE&mode=related&search=
Gesù Cristo.
a me è venuto in mente invece un film con Dreyfuss,”competition”,che parlava di una feroce gara tra pianisti.Il premio a porte chiuse lo farei pure tra incapucciati:Scrivi senza capire chi sei,”Non si uccidono così anche i cavalli?”.Una letteratura fuori corso,magnifica e rara come certe banconote in disuso,ricercatissime.Brujas Troia,brujas
Che palle questi dibattiti sui premi letterari ´attuali´ e su nomi-logo degli pseudo-scrittori italici (Christian basta seguire il trend! Finisci quel tuo cazzo di romanzo, ecco! Nella prima edizione di un noto premio, Tempo di uccidere ha battuto Gli indifferenti, se non ricordo male). Ok sono uno snob, ma resta il fatto che il funzionamento attuale (non ne so ababstanza del passat) dei premi italici é la punta di un iceberg, in piú é una cosa nota quanto il funzionamento attuale (e passato) dei concorsi universitari. Se a uno fa schifo in quanto espressione del sistema-Italia (cosa a mio avviso vera, ma allora discutiamo del ´massimo sistema´: il cervello degli italiani e l´attitudine a creare corporazioni e scale di valori in buona parte congeniali al ´senso comune´ in tutti i settori della vita pubblica, compresa l´anima) abbia la coerenza di declinare cinquine, sestine, ottavine, se invitato. Governi´, che hai messo in rete intervista sul medesimo tema: se la P. di Melissa significasse Premio, la tua casa editrice cosa consiglierebbe di fare? Ristampereste il suo romanzo con la solta scritta rossa: Finalista al Premio Strega? O tu diresti: no, il liquore strega ha il colore della piscia? Magari é successo davvero e lo hai fatto. In ogni caso, ci sono esempi di uso intelligente di queste ´realtá italiche´, nella fattispecie un´autrice napoletana, allo Strega ci é andata, ma quando ha avuto la possibiliá di essere intervistata nel salotto di Porta a Porta, mi risulta che ha cortesemente declinato. Personalmente, una volta ho letto poesie dentro casa Bellonci, mi sono inciuccato, per farlo, qualche vecchia sui divani dormiva e Colasanti trangugiava caviale, dopo il ´digiuno degli intellettuali´ (eravamo a ridosso della guerra in Iraq non ricordo piú quale). Il caviale era buono e in piú ho avuto modo di dialogare brevemente con una vecchia intelligente e colta, che altrimenti non avrei conosciuto: Gabriella Leto. Voglio dire esistono le persone, dietro la piscia dei liquori e poi ci sono libri bellissimi scritti da gente odiosa che non vincono premi, o autori ciechi come Borges che non vengono certo guardati male per non aver vinto il Nobel. A me tutto quello che sto dicendo sembra banale e scontato, quindi, a maggior ragione, basta con questi cazzo di dibattiti, me ne torno a scrivere. Un caro saluto. Ciao
Alcor!
Infatti la P. di Melissa non sta affatto per Premio. Così come la S. di Baldanzi non sta per Scema. Di questo passo cercheremo le motivazioni negli anagrammi e la verità nei fondi di caffé.
invero auden le verita le trovava nelle tazzine da te o nelle lenzuola disfatte di casa
the desert sighs in the bed
and the crack in the tea cup opens
a lane to the land of the dead
molto meno palloso e alienante di un dibattito sui premi. saluti
Andrea Barbieri scrive: “E ora Giulio vieni a dire che vuoi fare la nuova società letteraria?”
Non ho scritto questo, come si può vedere leggendo ciò che ho scritto.
Andrea Barbieri scrive ancora: “Quando sopra ho detto che tendi a isolarti, intendevo dire che non mantieni almeno in rete veri rapporti con i tuoi colleghi”.
Ti risulta che ai miei “colleghi” interessi avere rapporti con me?
Meno male che ce sta MarcoMantello. Che poi Raimo forse non si rende conto fino in fondo del lobbismo americano. Se vedesse The Hoax. Premio=lobby. Senza lobby che divertimento c’è? Che poi pure questa a cui appartiene è ‘na lobby. Mica le lobby so’ solo quelle colli miliardi. Che male c’è a fare na’ lobby o a chiamarsi bobby? Dopo i cento autori di venezia i cento scrittori uroni.
Giulio, io leggo ciò che hai scritto il 4 settembre:
‘Bene. Allora, di società letterarie, facciamone un’altra. Costruiamo altri legami, altre reti, altre consociazioni. (Che è poi quello che sta avvenendo in questi anni, e Nazione indiana è un pezzo importante della cosa).’
mentre oggi 6 settembre scrivi che non hai intenzione di dare vita a una nuova società letteraria.
Per carità, cambiare idea è legittimo, anche nel giro di due giorni…
Sulla seconda cosa magari ti rispondo in privato per bene. Qui dico solo questo, che vale per tutti. Tiziano scarpa aveva scritto:
“La morale qual è?
Un’altra cultura è possibile? Possiamo ritrovarci d’accordo e darci una mano nel promuovere cose buone? Non siamo alla mercè soltanto dei book jockey, i frivoli cronisti di novità librarie, e dei presentatori televisivi? Il tuo caso felice me lo fa sperare.”
Queste parole semplicissime hanno molto più senno dei tuoi articoli sulla ‘profezia’: sono l’unica strada che voi autori potete seguire. Se non lo fate, sparite, come stanno sparendo i tuoi libri (e quelli di molti altri) dai cataloghi. Sparisce il vostro lavoro, spariscono pezzi di civiltà.
Come ha reagito il mondo letterario in rete? Hanno massacrato Scarpa. Non tu, che sommessamente tra le righe di un articolo su Vibrisse hai detto che le sue parole non ti parevano ‘padrinaggio’. Altri, quasi tutti quelli di NI2.0, poi Lipperatura, poi WuMing, immagino anche Genna…
Io credo che in quel momento una persona intelligente non poteva non difendere fino allo scontro dialettico la visione contenuta nelle parole di Scarpa. La ‘visione’ lo dico non per riferirmi a qualcosa di trascendente, come fai tu nei tuoi articoli, ma qualcosa che si può pensare e realizzare insieme. Qualcosa che non è riprodurre l’andazzo costruendo l’ennesimo premio e sperando in un po’ di visibilità da ottenere ovviamente chinando la testa. Vi dovete unire per lavorare in un altro modo, riaffermare come come ‘normali’ certe regole di civiltà nell’editoria, nella scrittura, nella mediazione.
Se anche le parole di Scarpa cadono, se tu e i tuoi colleghi le lasciate cadere, be’ ragazzi siete guasti, siete un macello.
Caro Andrea, non ti accorgi della differenza tra la prima persona singolare e la prima persona plurale.
Circa le parole di Tiziano Scarpa che citi, il testo intero del suo articolo è qui:
http://www.ilprimoamore.com/testo_183.html
E il mio articolo al quale accenni è qui:
http://www.vibrissebollettino.net/archives/2006/06/io_contro_tutti.html
Ti domandavo prima:
– Ti risulta che ai miei “colleghi” interessi avere rapporti con me?
che pazienza che hai, giulio…
Ah, ecco, quindi Giulio Mozzi come ‘noi’ vuole realizzare una nuova società letteraria, ma la sua volontà individuale no. Una fantasiosa finezza dialettica. Andiamo avanti così…
Non mi risulta niente e non posso parlare per altri. Posso dirti che io, se fossi un autore che tenta di fare qualcosa appunto per affermare come normali certi valori di civiltà, no, non vorrei avere rapporti con te, perché mi impediresti di lavorare mettendo ostacoli irragionevoli a progetti ragionevoli.
Infine un saluto al commentatore sarcastico, rigorosamente anonimo, per non far capire agli altri chi pensa quello che scrive. Oramai la pazienza è collaudata anche per quelli come te.
@barbieri e mozzi
ma cos’è, con precisione, una “società letteraria”?
e in cosa si differenzia da una società tout court?
eventualmente sarebbe una società di eguali, oppure vi si ritroverrebbero gli stessi rapporti di dominanza/sudditanza che in qualsiasi altra società?
nel primo N.I., per esempio, tali rapporti erano evidenti anche per il bifolco cha capitava lì per caso.
a viadellebelledonne stiamo facendo un concorsino pulito pulito, niente tassa di partecipazione con cui ti pago il premio, niente spese postali, niente ti metto nell’antologia e poi me la vendo, diamo un premio in euro che stiamo pagando di tasca nostra, lo facciamo per la poesia e per i poeti :-) è un segnale, un buon esempio crediamo, una forma di protesta. una piccola silenziosa protesta. antonella
Andrea, scrivi: “Giulio Mozzi come ‘noi’ vuole realizzare una nuova società letteraria, ma la sua volontà individuale no”. Non ho scritto niente del genere, come si può vedere leggendo quello che ho scritto.
Ciao Alanina.
com’era NI 1.0? si mangiava bene?
Per Francesco Pecoraro (tashtego). Non credo che la “società letteraria” sia diversa da qualsiasi altra società.
Un’espressione come “società letteraria” non è, in effetti, particolarmente precisa.
Quando parlo di “società letteraria” intendo indicare, in primo luogo, l’insieme di quelle persone che si contendono la gestione del potere nell’ambito letterario. Ma in secondo luogo può capitarmi di usare la stessa espressione per indicare un sottoinsieme di questo insieme di persone che si “associa”, stabilmente o provvisoriamente, per partecipare con più forza alla contesa.
Allora Giulio mettiamola così. Giulio Mozzi il 4 settembre può scrivere:
‘Bene. Allora, di società letterarie, facciamone un’altra. Costruiamo altri legami, altre reti, altre consociazioni.’ e il 6 settembre può scrivere che non ha intenzione di dare vita a una nuova società letteraria.
Potrebbero sembrare due idee contrastanti. Ma non è così. Giulio Mozzi sa perché non è così. Io no, noi no.
Badabum!
Per Tash.
Io non utilizzerei proprio l’espressione ‘società letteraria’, l’ho ripresa da Mozzi. Non la utilizzerei in un mio discorso perché mi pare uno pseudoconcetto, mentre trovo doveroso cercare di essere chiaro e operativo. Quindi per me esistono persone che possono decidere di lavorare insieme su un progetto culturale (ossia mi chiedo ‘chi fa cosa’). Se penso alla gestione del potere che coinvolge cose in qualche modo letterarie, ancora una volta non userei l’espressione ‘società letteraria’, cercherei di capire ‘chi fa cosa’, senza utilizzare una generalizzazione sociologica.
Se pensi che come esito del suo edificio teorico sulle regole dell’arte, Bourdieu produce una pagina in cui non sa dire altro se non che Duchamp è una persona che sa muoversi bene nel campo dell’arte, io mollo le categorie sociologiche e leggo Rosalind Krauss. Posso non essere sempre d’accordo con quello che scrive, ma almeno sono cose concrete.
Andrea, scrivi: “[Giulio Mozzi] il 6 settembre può scrivere che non ha intenzione di dare vita a una nuova società letteraria”. Non ho scritto questo, come si può vedere leggendo quello che ho scritto.
Mi dici qual è la “pagina” nella quale Bourdieu “non sa dire altro se non che Duchamp è una persona che sa muoversi bene nel campo dell’arte”?
Senti Giulio, tu hai scritto: ‘Bene. Allora, di società letterarie, facciamone un’altra. Costruiamo altri legami, altre reti, altre consociazioni.’
Io ti ho fatto notare che tu non ti puoi permettere credibilmente di scrivere che vuoi fare una società letteraria perché ecc.
Tu hai risposto che non hai scritto che non hai scritto che vuoi fare una società letteraria.
Poi hai parlato della differenza tra pronomi.
Io lo capisco che per te è normale fare giochi assurdi con le parole, ribaltarle, delimitarle in un modo e dopo una frase in un altro. Cazzarola: è il tuo talento. Però se uno vuole ragionare con te, non può. Questo è anche il motivo per cui ti trovi intorno a mio parere poche persone (nessuna forse) che ti tengano testa e con cui tu puoi davvero confrontarti, cioè è il motivo del tuo isolamento. Non tutti si isolano come puoi constatare. A me pareva che ai tempi del primo Vibrisse, quindi cinque sei anni fa, per te non fosse così. Mi ricordo anche che mi facesti molta impressione nel penultimo RicercaRE quando avevi tuonato definendo un Harmony IO non ho paura e sostenendo che una scrittura deve sempre avere una presa sulla realtà in qualunque senso questa possa essere. Ok, sono frasi forse poco delimitate, forse ambigue. Però si sentiva che non eri tutto chiuso nelle parole, e nelle regole per metterle insieme. Guardavi anche fuori, riuscendo a vedere la luna, per così dire…
Per il libro di Bourdieu vai verso la fine, c’è una pagina e mezzo dedicata a Duchamp che non dice nulla se non il ritornello D. si sa muovere nel campo dell’arte… Però, nonostante tutto, almeno tra parentesi (se ricordo bene) Bourdieu scrive che il titolo del ready made è importante. Quello che succede a Bourdieu succede a tutti quelli che si armano di sociologia davanti a un’opera d’arte. Credo che non ci sia nulla come le generalizzazioni sociologiche per rendere invisibile l’espressività di un’immagine.
Mentre Rosalind Krauss, sui ready made vedeva tutto, ma procedeva a tesi. Però appunto, lei l’oggetto davanti lo ha, è collegata alla realtà, è possibile ragionare con lei.
Fumate meno.
I beniamini di Barbieri qualcosa di buono l’hanno fatto, nel loro nuovo blog hanno chiuso i commenti, almeno lì non ci tocca leggere i suoi sproloqui.
Caro Emanuele sbagli, dei miei ‘beniamini’ l’unico ad avere chiuso i commenti del proprio blog è Neil Gaiman.
I premi sono inutili e dannosi. Gli scrittori veramente bravi o li snobbano o vengono snobbati.
Andrea, a me non pare di fare giochi assurdi con le parole. Se Tizio dice, parlando difronte a un certo numero di persone: “Facciamo questo”, dice una cosa. Se invece Tizio dice: “Io farò questo”, ne dice un’altra.
Dopodiché, alla persona che dice: “Facciamo questo”, tu puoi benissimo dire: “Per questa e questa ragione una tale proposta che venga da te è fuori luogo, non è credibile ecc.”. Ma se alla persona che dice: “Facciamo questo” tu rispondi: “Hai detto che farai questo”, dopo diventa impossibile parlarsi.
Scrivi: “Quello che succede a Bourdieu succede a tutti quelli che si armano di sociologia davanti a un’opera d’arte. Credo che non ci sia nulla come le generalizzazioni sociologiche per rendere invisibile l’espressività di un’immagine”. La prima di queste due frasi è forse una generalizzazione non sociologica?
E’ vero: credo che la frase: “Se indichi col dito la luna, lo sciocco guarda il dito e non la luna” sia una grossa sciocchezza.
Se indichi col dito la luna l’ortopedico guarda il dito, l’astronomo la luna.
Dopo tante spacconate, ce vorrebbero un po’ de Langonate.
Caro Giulio, tra dire: IO vorrei fare una società letteraria con alcuni soggetti, e dire: facciamo NOI una società letteraria nuova (rivolgendosi agli stessi soggetti) mi pare che non ci sia nessuna differenza.
La mia frase è una generalizzazione sociologica? forse sì, mettiamo di sì. Ma qui si parlava di generalizzazioni sociologiche come griglia per guardare l’arte. Forse io guardavo l’arte con la mia generalizzazione sociologica (sempre che lo fosse)? No, e allora qual è il problema?
Tra l’altro credo esistano sociologi bravissimi, però, come nel caso di ‘Mercanti d’aura’ quando c’è l’arte di mezzo, e non altri campi di ricerca, i risultati sono davvero discutibili. Però se hai trovato la pagina, sono contento che tu possa aver constatato che Bourdieu non avrebbe scritto un intero articolo su Fountain chiamandolo in ogni occasione ‘il pisciatoio’, appunto perché era abbastanza intelligente da capire almeno che quella parolina, ‘fontana’, contribuiva a definire l’immagine, non come discorso di un mercante d’aura, ma come doppio medium.
Quello che ti dico, lo dico perché per me sbagli, e penso che se tu non fossi ‘isolato’ nel senso che definivo sopra, anche altri te lo direbbero. Però certo, un tuo autore, un futuro autore, o una persona che ambisce a diventare tuo autore, non potranno che darti eternamente ragione. Per me sei un poeta, i poeti guardano la luna, a volte la guardano con conoscenze astronomiche come Leopardi. Forse tu ti ritieni un ortopedico dei discorsi, ma ti assicuro che dalla tua sala gessi spesso si esce incollati male.
Mi secca molto essere stato usato per dare dell’ortopedico incapace a Mozzi.
Anche perchè intendevo dire che ognuno guarda secondo la sua ottica, Bourdieu da sociologo e antropologo, la Krauss da critica d’arte. E a seconda dell’ottica si vedono cose diverse. A me sembra legittimo e addirittura doveroso.
Se dico “facciamo”, sto rivolgendo un invito, o facendo una proposta, a chi mi sta ascoltando o leggendo. Se dico “io farò” non sto rivolgendo un invito a nessuno (anzi, dicendo “io farò” faccio intendere di non aver bisogno di altri per “fare”). Questa, mi pare, è una differenza. O no?
Nel caso specifico, uno che dica “io farò” (implicitamente: da solo) dice una scemenza, in quanto una “società” non è cosa che si possa fare da soli.
Mi risulta difficile discutere con te, Andrea, se io dico una cosa e tu dici che ne ho detta un’altra: che per di più mi pare una scemenza.
Se la condizione preliminare perché io discuta con te è che io accetti che ciò che dico non conta, e conta solo solo ciò che tu dici che io ho detto, e che tra l’altro a me pare una scemenza: be’, è una condizione preliminare che non mi aggrada.
Inventiamoci il festival di Senigallia
Senigallia è una città piena di poeti, per rendersene conto basta andare sul sito “Poesie senigalliesi”, li ce n’è sicuramente solo una piccolissima parte, poi c’è il “ Premio Senigallia di Poesia “Spiaggia di velluto” e il “Concorso di Poesie “Cesare Vedovelli”, eccetera. Una città della poesia dunque, ma in quanti, tutte queste poesia, oltre a scriverle le leggono?
Giovedì pomeriggio sono andato anche io ad ascoltare la conferenza di Roberto Galaverni, affermato critico letterario, che presentava il suo ultimo lavoro “Il poeta è un cavaliere Jedi””, conferenza inserita nella rassegna Autor&Voli, davvero ben fatta e interessantissima, complimenti all’assessorato alla cultura e ad Alfio Albani ideatore e curatore degli incontri. Il prossimo appuntamento è per il 16 febbraio, nientepopodimeno che, con Gianni D’Elia, ma poi due settimane fa c’era stato Umberto Piersanti, certo non l’ultimo arrivato tra i poeti italiani, giovedì c’era anche lui tra il pubblico e ha dibattuto e interagito con Galaverni. C’erano purtroppo pochissimi senigalliesi, che peccato ragazzi.
Adesso io non è che posso raccontarvi tutto quello che Galaverni ha detto, se vi interessava così tanto potevate venire ad ascoltare con le vostre orecchie, oppure vi comprate il suo libro e poi lo leggete, che i libri ben sistemati nelle librerie dei salotti fanno molto chic, ma se li acciaccate e li sgualcite un po’ per leggerli è meglio.
Comunque, tra i tanti argomenti toccati da Galaverni c’è stato quello del “pubblico della poesia”, di questo vorrei parlare, il pubblico della poesia pare sia davvero poco, pochissimo. Di chi è la colpa? In primo luogo degli italiani che non leggono quasi niente, tranne la Gazzetta dello Sport s’intende, e questo si sapeva, poi delle case editrici, sopratutto quelle grandi, che potrebbero permettersi di rischiare sui poeti giovani ma non lo fanno, ancora delle case editrici, quelle che fanno i libri di testo per le scuole e che affogano la Poesia in un mare di critica e storiografia e note esplicative inutili che sono puro inno al narcisismo auto celebrativo degli stessi curatori delle antologie scolastiche, così almeno ci ha spiegato benissimo e appassionatamente Camillo Nardini; naturalmente anche la scuola ha le sue colpe e poi tanta colpa è anche dei mass media, tv radio giornali, che la poesia la ignorano bellamente. D’accordo, difficile contestare queste affermazioni tutte purtroppo fin troppo vere ed evidenti. Ma i poeti? I poeti proprio non hanno nessuna colpa? Io credo che ne abbiamo eccome, posso permettermi di dire questa cosa perché, modestamente, non faccio per vantarmi, ma sono poeta anche io http://www.poesie.senigallia.biz/?cat=57 , un poeta da ridere s’intende, un dilettante, nel senso che si diletta, cioè che si diverte, ma anche e sopratutto nel senso che non è del mestiere, tuttavia, siccome le poesie le ho scritte, allora, bene o male, poeta sono, e questo, badate, lo ha detto anche Galaverni, “poeta è chi scrive le poesie”. D’accordo Galaverni ha detto anche che molti poeti di poco conto, e in special modo i dilettanti come me, scrivono in “poetese”, termine coniato da Sanguineti per definire quella lingua vagamente poetica, banale e mai originale, orecchiata da quelle 40-50 poesie che abbiamo letto o ascoltato, noi poetuncoli da strapazzo, nella nostra vita. Però.
E si questo “però”, che è forse più un “perché?” di un “però”, mi viene spesso in mente quando penso alla poesia: però i poeti, i rappresentanti forse più narcisisti degli umani, non si sforzano per niente per farsi amare dal pubblico, non i poeti, quelli veri e affermati, ma nemmeno gli altri, quelli infimi e minuscoli, che se non altro per imitazione dei grandi, come questi si nascondono, si negano, si eclissano, si parlano tra loro, scrivono per piacere ai critici e ai loro colleghi cattedratici, oltre che, evidentemente, per le belle studentesse gnocche che sulle loro poesie faranno la tesi di laurea. Quanti poeti ci sono che non abbiano qualche cattedra, magari strana, in qualche università o un qualche incarico in qualche casa editrice o redazione di giornale? Certo ragazzi, con la poesia non si campa, si sa, ma allora perché (eccolo qua, cominciano i perché), perché per campare qualcuno non fa il tranviere, l’infermiere, il geometra, l’albergatore? E poi, scusate, perché a fare i poeti non ci si campa? E neanche quelli bravi o bravissimi? I calciatori invece, anche quelli così così di serie C, ci campano, quelli di serie A sono addirittura delle stars stramiliardarie. Cosa hanno di meglio i calciatori rispetto ai poeti? Ma parliamo dei cantanti, dei cantautori, dei “parolieri”. Caspita! I parolieri appunto. Non fanno quasi l’identico mestiere dei poeti? Allora perché Mogol ha fatto un sacco di soldi e Mario Luzi no? Non sarà che i poeti sono un po’ troppo “snob”, o forse troppo imbranati? Se escono dal loro circoletto erudito sono persi. Insomma un giovane e talentuoso poeta che riempia le cronache rosa e mondane con le sue storie scandalose con qualche velina o soubrettina sarebbe un gran bel colpo per la Poesia, anzi dico di più, ragazzi se non si fa avanti proprio nessuno mi sacrifico io, non sarò talentuoso e manco giovane ormai, ma per il bene della poesia questo ed altro.
Allora, siccome io per campare di mestiere faccio l’albergatore e pur essendo poeta ho dovuto frequentare i corsi della camera di commercio per l’iscrizione al REC qualcosa ho pur imparato, per esempio il significato della parolina “sinergia”. Dunque il concetto semplice semplice è questo: a fare il poeta, anche se per miracolo diventassi bravo, non sarò mai ricco e famoso, ma nemmeno facendo l’albergatore diventerò mai ricco, perché non sono tanto bravo e mai lo sarò, ecco “Plin” la sinergia: inventiamo il Festival di Senigallia, lo copiamo pari pari da quello di Sanremo, con tutto il gossip, le gnocche, i giornalisti, le giurie, le polemiche, gli esclusi e gli inclusi, i pippibaudi e mikebongiorni, le giurie popolari e il voto da casa via sms ecc ecc solo che… he he he, solo che invece delle canzoni ci mettiamo le poesie. Non è una bella idea? Così gli alberghi di Senigallia si riempiono e gli albergatori diventano ricchi, i poeti diventano famosi e ricchi pure loro e in più imparano a scrivere anche per la famosa “casalinga di Voghera”, e poi ci guadagna anche la Poesia, le veline e le letterine potranno scegliere di flirtare anche coi poeti oltre che coi calciatori, magari c’è caso che qualcuna impari pure a parlare e, dulcis in fundo, io potrò decidere definitivamente cosa farò da grande potendo finalmente scegliere tra due valide e allettanti alternative.
[…] letterari. Sul ruolo dell’autore. 8 Settembre 2007 Ho letto con interesse l’articolo che Christian Raimo ha pubblicato di recente su Nazione Indiana 2.0, quello riguardante i premi letterari. Su molte cose mi sento in accordo, se scrivo un post a […]
Giulio, dove leggi che io ho attribuito a te questa frase: “io farò da solo una società letteraria”?
Io ho scritto di una tua intenzione di fare una società letteraria, e siccome l’ho detto in base a una tua citazione in cui tiravi in ballo (e io ti criticavo anche per questo) i membri di NI2.0, ciò significa che se qualcosa era implicita, era appunto che tu la volevi fare con qualcuno, prima di tutto con loro. Del resto una società di un solo individuo non è una società.
Il problema è che tu hai voluto fare la spacconata intellettuale di dire che non so la differenza tra l’IO e il NOI, ma l’hai buttata giù un po’ in fretta che ti sembrava una bella stoccata… Poi ti sei reso conto che non reggeva. Quindi ti sei dovuto inventare che c’era qualcosa di implicito: il fare la società ‘da soli’. Una assoluta scemenza, che non ho partorito io, l’hai partorita tu attraverso la parolina ‘implicitamente’. Così, per non far capire che la tua spacconata intellettuale non reggeva, attribuisci a me la scemenza inventata da te, e per rendere la cosa retoricamente più efficace, lo ripeti alcune volte, ne fai un ritornello. Allo stesso tempo fai finta che sia io a farti dire cose che non dici, anche questo lo ripeti più volte, finché non sembra vero.
Questo è il punto in cui tu porti tutte le discussioni con persone che non ti danno ragione a priori.
Leonardo, Gianni D’elia era a Pesaro pochi giorni fa a parlare del ’77. E’ bravo, era insieme a Demetrio Paolin e ad una blogger giovanissima Alice Avallone. Ecco, Paolin come Mozzi mi dà l’idea di fare operazioni stando sulle parole, di non metterle alla prova nella realtà. Non so, è una cosa che sento, perché il suo saggio l’ho letto saltando dei pezzi. Una intuizione in base a quello che ascoltavo all’incontro.
Per esempio quando D’Elia gli ha detto (senza tono polemico): non tragedia negata (che è il titolo del saggio di Paolin), ma tragedia ‘rimossa’ mi pareva appunto un tentare di esssere ragionevoli, di verificare che le parole abbiano nella realtà il significato per cui vengono usate.
Comunque D’Elia è stato molto bravo.
Effettivamente, Andrea, mi attribuisci cose che non dico. Se io scrivo “Facciamo”, e tu dici che ho scritto “farò”, non si può non notare la differenza. Allora io mi domando: “Che effetto ottiene Andrea Barbieri passando dal plurale al singolare?”. E mi rispondo: “Ottiene l’effetto di trasformare un invito rivolto ad altri in un progetto individuale”. Questo è l’ “implicito”: e non l’ho inventato io. L’hai fatto tu.
Non ho scritto da nessuna parte che non sai la differenza tra l’io e il noi. Ho scritto che, in una precisa occasione, non ti sei accorto di questa differenza.
Faccio notare che dicendo: “non ti accorgi”, non attribuivo a te nessuna intenzione. Vedo che invece, nel tuo ultimo intervento, tu attribuisci a me delle intenzioni e delle precise emozioni. Ti informo che non mi riconosco in nessuna di queste intenzioni e in nessuna di queste emozioni.
Barucca, mi scusi, è vero che a Senigallia se fanno grandi orge e scambi de’ coppia?
Ormai su Barbieri fioriscono più barzellette che sui carabinieri…
Ieri sera io, Gianni Biondillo, Franz Krauspenhaar, Marco Rovelli e Marino Magliani col suo amico Andrea eravamo seduti a un tavolo, in un bar di Milano. Abbiamo bevuto birra e vino, parlato di libri, di premi e di Dio.
Era una società letteraria? Non so, però ho avuto la sensazione di capire, di essere capito, d’imparare.
Perchè non si può provare a chiedere nelle città, almeno nei capoluoghi, ai comuni un posto dove almeno una volta al mese la gente che scrive, che legge e che pubblica, può trovarsi a parlare, senza scopo di lucro e senza esborso, intorno al “fatto” della letteratura?
Senza togliere niente alle grandi kermesses supercostose e tirapopolo, che però sono più che altro una passerella post-televisiva?
Proverei con Wonder Veltroni, nella Roma democratica c’è posto per tutti. Anche per i barbatrucchi.
Andrea Barbieri, per favore: non insistere. Stai sprecando tempo ed energie. Ora siamo passati anche agli insulti (vedi le parole vomitate, per via anale, da tale emanuele gentile). Sei troppo al di sopra, ma troppo, troppo, troppo, rispetto ai tuoi interlocutori… E poi: quanno u ciuccio nun vò bere hai voglia di fischiarlo…
Valter, ma perché rincorrere sempre il supporto del pubblico e “l’ufficializzazione” del luogo? Non va bene il classico bar con saletta, che ci scappa anche una birra, oppure una trattoria alla buona che prepari una ‘casola’ decente?
Ufficializzare un luogo d’incontro come quello ‘letterario’ mi fa pensare, lo so che sono malizioso ma passamela, a un luogo che focalizzerebbe gli interessi anche di persone alla ricerca del ‘piacerino’. Mi ricorda, non so perché, gli Ordini professionali che, in Italia, sono diventati i ricettacoli del potere; quello peggiore, il potere dei portaborse.
Comunque una nota negativa sulla serata ve la devo fare: e portare qualche donna a questi incontri no? Siete peggio dei giocatori di carte; noi almeno abbiamo la scusa della dea Fortuna… :-)
Blackjack.
il Caffè letterario è sostituito dal web, ma manca l’odore e il sapore. soprattutto manca la voglia di condividere fino in fondo, perché il premio potrebbe vincerlo l’altro. per questo bisognerebbe abolire i premi di ogni tipo e natura. e moltiplicare i Caffè.
@Blackjack
Penso a posti che possano contenere più di quattro o cinque amici, ed essere aperti a chi è interessato, anche al di fuori di relazioni che tu chiami “professionali”.
Giorgio ti ringrazio, però devo rispondere, perché questa cosa ha i campanelli. Intanto ne approfitto per salutarti, perché nel tuo blog non ti accorgi nemmeno dei commenti, occupato come sei a ribattere a mano e postare le bellissime cose che prendi dal tuo archivio.
Caro Giulio, sto criticando quello che fai (ed è una critica che non penso solo io), ma ho anche scritto che sei un ‘poeta’. Può non interessarti essere definito così, però ricordati che non ti capiterà tante volte nella vita di sentirtelo dire da una persona che da te non deve avere proprio niente in cambio.
Tu ti sei attaccato a una mia frase isolandola dal contesto. E’ un modo di procedere che ti ho visto usare anche con altri in questi anni. Mi hai attribuito l’intenzione di farti dire che fonderesti una società DA SOLO.
Dovrei essere un cretino per usare la parola ‘società’ in quel modo. Quindi tu dicendo questo mi dai un po’ del cretino: non riesco a pensarla diversamente. Diciamo che la cosa non ti fa onore.
Poi, dato che io NON ho scritto ciò che mi attribuisci, tu sostieni che io “ho fatto l’implicito”.
Giulio, tu sai bene che l”implicito’ non di ‘fa’, si ottiene per interpretazione.
Chi lo ottiene? Il lettore del testo, cioè tu, e dovresti utilizzare la ragionevolezza e TUTTO il testo a disposizione.
Secondo te è ragionevole scrivere che io ti ho ho attribuito la volontà di fondare una società DA SOLO, quando la mia critica verteva proprio sul fatto che tu volevi coinvolgere le persone che appartengono alla redazione di Nazione Indiana 2.0?
Ovviamente no, la cosa è talmente assurda da diventare comica.
Carissimi, mi spiace dover sottolineare che tutte le idiosincrasie e gli irrigidimenti e gl’inalberamenti che avete inscenato in questo dibatt..ibecco replicano alla perfezione proprio tutte le bizze e i capricci che generalmente ‘governano’ (absit inuiria verbis!) la ‘società letteraria’, le giurie dei premi, le combriccole con le signore incannate, le ‘solite conventicole’ (cito direttamente dal meraviglioso Virzì, da ‘Caterina va in città’ – Vede, io non vorrei, signor Costanzo, che in questo Paese, in qualche misura, debbano finire per prevalere sempre le solite conventicole…!, e lo buttano fuori a forza, il nevrotico Castellitto che voleva fare lo scrittore). Ecco, altrove (in un altro commento sempre a un pezzo di Christian – il pezzo sui festival con gli scrittori e sui laureati in lettere che stanno dietro al bancone di un bar eccetera) dicevo una cosa che mi piacerebbe riproporre qui – ma perché ci credo in questo, e ve lo vorrei dire: vi prego, smontiamo tutte queste macchine di santa rosa e torniamo a parlare di letteratura, di poesia. Torniamo a PARLARCI. E anche tu Giulio, ti prego sii un po’ meno perfettino, proviamo ad abbandonare schemi che ci vengono buttati addosso. Se ci chiedono un commento su…, diaciamo NO, non m’interessa l’argomento.
Caro Sundance, se fai un giro nel blog di Giorgio Di Costanzo, scoprirai – probabilmente invaso dalla meraviglia – che si parla di letteratura e di poesia, ma anche – perché le dimensioni non sono separabili – di politica, di questioni civili.
Ora è fermo, ma la stessa cosa avviene nel blog di Georgiamada.
E questi due blog attirano persone che hanno voglia di parlarsi, sulla base di un certo rispetto, prima di tutto umano. La loro forza è l’attenzione nel guardare le cose, l’umiltà, l’apertura, il non cercare la propria visibilità, ma restare in una logica di puro servizio. Questi blog e altri della blogosfera vicini alla letteratura, al fumetto, all’arte ecc realizzano già una società culturale alternativa. Basta aprire gli occhi.
http://insonnoeinveglia.splinder.com/ il blog di Giorgio Di Costanzo
http://georgiamada.splinder.com/ il blog di Georgia
Caro Andrea Barbieri, sinceramente credo che Sundance abbia ragione. Certo, politica/questioni civili non sono separabili da letteratura/poesia, peró esiste anche una qualitá dei collegamenti instaurabili fra queste cose (che poi secondo me sono la stessa cosa). Ora la domanda é: perchè continuare a farsi le pippe mentali su ´societá letterarie´, criteri di spartizione di un potere(!) e premi? Lo trovo futile e soprattutto ripetitivo. Non esistono altri modi, forse piú interessanti e meno legati a quello che resta un ´piccolo mondo´ di collegare la letteratura alla realtá? Sinceramente il tuo duetto con Mozzi piú che una questione civile a me é parso logorroico e pieno di individualismo, con quel continuo discutere di ´autoisolamenti´, con quel continuo rimbeccare la semantica dei vostri rispettivi cervelli, divenuta parola scritta. Preferisco allora leggere Bernhard, che mi parla della sua espereinza diretta ai premi letterari austriaci. O scrivere un racconto, una poesia sul tema. Tutto qua. Un saluto.
Mantello, non ho fatto prendere io quella piega buffa, cavillosa, logorroica alla discussione. Avevo scritto cose sostanziali: l’isolamento intellettuale, piccole comunità di persone che cercano visibilità, parole che si appoggiano tra di loro non sulla realtà, nodi che non sono mai stati affrontati. Forse in quello che ho scritto c’è parecchio fuoritesto e che Mozzi o altri qui conoscono bene ma tu no. Mi rendo conto che parlare in questo modo è un limite mio, ma per organizzare un discorso diversamente, spiegando tutto per tutti richiede un impegno pazzesco. L’ho fatto una volta sola e il risultato è stato qualche insulto, oppure nessun commento nonostante le evidenti letture.
L’espressione ‘società letteraria’ non piace nemmeno a me, ciò non toglie che in questi anni qualcosa è si è fatto nella rete, secondo me molto buono (a un certo punto la rete è diventata il mio punto di riferimento). Quello che manca è la selezione tra cose di valore e cose a metà strada tra l’autopromozione e l’intrattenimento con patina intellettuale. E poi manca la connessione. Però quel che posso fare cerco di farlo. Per esempio segnalo spesso cose di valore su blog che non le vedrebbero perché appartengono a mondi abbastanza distanti. Pian piano si vedono i link diversificarsi, aprirsi a quei mondi.
Barbieri sono assolutamente certo del tuo impegno via rete, quello che continuo a non capire, peró, e su questo forse potremmo dialogare, é perché allora non si apre un dibattito ´realistico´ e soprattuto ´ampio´ sui meccanismi di potere, sulle logiche corporative mescolate alle esigenze del mercato editoriale, allora si che il discorso politico sui ´premi´e su quello chec´é dietro avrebbe una sua ragion d´essere, non riducendosi al solito chiacchiericcio post Viareggio o Strega. Vedi il fatto che nel tuo dialogo con Mozzi ci siano molti fuoritesto e cose che io non so (magari roba personale, appunto), conferma a maggior ragione la necessitá di affrontare in modo sistematico il tema dell´editoria in Italia. In base alla mia (poca) esperienza, accumulata alle riunioni di n.a. fino a quando non mi hanno detto ciao ciao, quello di ´letterato´sembra oggi un ´mestiere´ (e fin qui nulla di male) in cui peraltro la costruzione del personaggio/scrittore o l´oggetto ´titolo del libro´che circola (sui giornali ma anche in rete), sembrano predominare sui contenuti letterari (vorreidire sul valore) del proprio lavoro.
Ma sì Mantello è esattamente così, la parolina ‘lavoro’ non è più legata a ciò che è scritto, è tutto proiettato sulla costruzione del personaggio e sulla visibilità di questo.
Ultimamente avevo lasciato un commento dicendo in sostanza: guardate che per scegliere un libro, i lettori forti cercano la qualità del libro. Quindi se un editore si affanna per far fiorire l’immagine dell’autore presentandolo, non so, come un canterino, un opinionista, un esperto di questo e quello, un maledetto, un ipertecnologico ecc insomma facendo tutto meno dare modo di capire se il suo libro è buono o no, io – e credo tutti i lettori forti – penso/pensiamo che l’editore non crede in quello che fa e nel suo autore.
Sono cose di buon senso, ma provocano risolini, silenzio, insulti anonimi. E allora chiediamoci: è possibile parlare di editoria davvero?
Se ci si guarda in giro, con le evidenti eccezioni:
– manca un’attenzione e un confronto con la tradizione (addirittura un famoso giornalista incensato da qualcuno ha sostenuto che la tradizione ormai è morta), quindi tutto un pensiero, che stava dentro quei libri, fondamentale, va a puttane e viene sostituito da scritturine che non ragionano su niente;
– manca il coraggio di parlare di episodi concreti, le rarissime critiche sono sempre sommesse, sempre traballanti, sempre piene di scuse, quasi autodeleggittimate del loro peso;
– non si sta uniti su una strada di resistenza (si può usare un’altra parola quando libri contemporanei bellissimi finiscono sistematicamente fuori catalogo?), anzi si cerca di difendere i propri spazietti e di allargarli chinando la testa; e si ha paura di essere definiti da chissà chi ‘granitici’ se si sta uniti;
– non c’è ragionevolezza, ma questo credo che sia un comportamento voluto, perché non si sa rispondere sulle questioni sostanziali;
– manca l’attenzione intellettuale per il lavoro dei colleghi, derubricandolo subito a cazzabubbola insignificante, o moralistica (ma vedi il punto successivo):
– parlare è difficilissimo perché in questi anni è stata creata una cappa di delegittimazione sui discorsi che denunciano situazioni insostenibili. Questi discorsi sono stati bollati via via come profezia, allarmismo, narcisismo, moralismo, mondo dei sogni, ideologia… tutto ciò a svuotarli di autorevolezza, per riempirli di un inesistente autoritarismo.
Quindi il problema è che di editoria NON si può parlare. Del resto la scissione di Nazione Indiana lo dimostra.
ps non c’è niente di ‘personale’ in quello che ho scritto fino a ora, il fuoritesto quando c’era è quello che si poteva leggere in questi due anni nei vari blog, è la storia di questi blog.
Chissá, Barbieri, magari un romanzo su questo mondo e sulle realtá parallele (classe politica, gruppi editoriali), scritto dal suo interno, per risalire fino alla superficie dell´Italia……Quanto al discorso che facevi sulla mancanza di un confronto (che puó essere anche scontro, attrito) con la ´tradizione´, mi trovi d´accordo. Se ti puó interessare, sul tema abbiamo discusso, dal punto di vista della ´poesia´, con Edoardo Albinati su Liberazione (oramai saranno passati dieci mesi). Un saluto.
Ho un certo interesse nell’eventuale recupero della discussione su tradizione e poesia (se ho afferrato) con il carissimo (a me) Edoardo Albinati. E’ possibile? Forse, marcomantello, si può trascriverlo qui, postarlo su nazione indiana cioè – o no?
Io ho fatto un giro nei due blog segnalati da andrea barbieri – ho visto molta cronaca politica, letteratura poca. Forse non ho saputo spiegare bene cosa intendo. Se l’unico modo di porsi di fronte a tutte le questioni, culturali e non, è quello della sventola o raffica di commenti acidi (seppure fondati e documentati), cioè se l’unica ‘modalità’ (come purtroppo con pessima lingua dicono corporativisticamente certe categorie di ‘intellettuali’-!-) è quella di beppe grillo (che va bene se a utilizzarla è lui, meno se a farlo sono suoi replicanti…), allora io dico, meglio l’azione e invece un confronto anche serrato ma su questioni di sostanza e non su fronzoli e decorazioni. E anche i Premi letterari, se si vuole tener vivi questi riti molto borghesi e un po’ surclassati, devono vertere di più sul succo letterario, artistico, e meno sul balletto e la vanità. E’ di questo che non se ne può più, sull’arrembaggio a presenziare a tutto, a sentenziare su tutto. Io dico, proviamo a riazzerare tutto e a reindirizzare la nostra attenzione i nostri discorsi la nostra azione sulle cose, sui contenuti, su questioni di sostanza e non su quanto siamo tutti bravi tuttologi con la sicumera e la spocchia di corredo che questo comporta…
Al caro andrea barbieri mi permetto di dire due cose:
1. ci sono libri bellissimi che non escono di catalogo, non ci entrano proprio…
2. questo è il mio blog: http://daltramontoallalba.blog.kataweb.it, non lo dico per marketing o marchette, ma perché è un ‘giornale reale’ che vede la realtà attraverso la letteratura, il cinema, la lingua eccetera
Un abbraccio a tutti voi.
Ho un certo interesse nell’eventuale recupero della discussione su tradizione e poesia (se ho afferrato) con il carissimo (a me) Edoardo Albinati. E’ possibile? Forse, marcomantello, si può trascriverlo qui, postarlo su nazione indiana cioè – o no?
Io ho fatto un giro nei due blog segnalati da andrea barbieri – ho visto molta cronaca politica, letteratura poca. Forse non ho saputo spiegare bene cosa intendo. Se l’unico modo di porsi di fronte a tutte le questioni, culturali e non, è quello della sventola o raffica di commenti acidi (seppure fondati e documentati), cioè se l’unica ‘modalità’ (come purtroppo con pessima lingua dicono corporativisticamente certe categorie di ‘intellettuali’-!-) è quella di beppe grillo (che va bene se a utilizzarla è lui, meno se a farlo sono suoi replicanti…), allora io dico, meglio l’azione e invece un confronto anche serrato ma su questioni di sostanza e non su fronzoli e decorazioni. E anche i Premi letterari, se si vuole tener vivi questi riti molto borghesi e un po’ surclassati, devono vertere di più sul succo letterario, artistico, e meno sul balletto e la vanità. E’ di questo che non se ne può più, dell’arrembaggio a presenziare a tutto, a sentenziare su tutto. Io dico, proviamo a riazzerare tutto e a reindirizzare la nostra attenzione i nostri discorsi la nostra azione sulle cose, sui contenuti, su questioni di sostanza e non su quanto siamo tutti bravi tuttologi con la sicumera e la spocchia di corredo che questo comporta…
Al caro andrea barbieri mi permetto di dire due cose:
1. ci sono libri bellissimi che non escono di catalogo, non ci entrano proprio…
2. questo è il mio blog: http://daltramontoallalba.blog.kataweb.it, non lo dico per marketing o marchette, ma perché è un ‘giornale reale’ che vede la realtà attraverso la letteratura, il cinema, la lingua eccetera
Un abbraccio a tutti voi.
il pezzo era uscito su liberazione nello scorso agosto se lo ritrovo sul mio computer magari lo faccio postare da raimo, intanto un saluto a te. ciao
Caro Sundance, fa lo stesso, non ci andare più su quei blog. Ti dico la verità, dalle poche cose che hai scritto qui ho capito che non hai sensibilità né attenzione. Quello che non hai visto tu l’ha visto gente molto più brava di te.
E per favore, rimangiati quella ridicola lezioncina, che ci sono capolavori che non sono nemmeno stampati. Io ne ho uno da più di due anni in libreria, di uno dei più bravi scrittori italiani contemporanei, un libro bellissimo. Mi incazzo tutte le volte che vedo quel malloppo di fogli rilegati con una costina di plastica, accanto agli altri suoi libri ‘veri’. Sono secoli che dico queste cose, tra insulti e saputelli dell’ultima ora.
Barbieri, mi spiace che tu sia smangiato da così tanto livore, per giunta mal riposto. Però ti prego non osare insultare alcunchi. Questo non rientra tra le qualità dei blog, o delle discussioni su blog, ma solo nello spam da cui non ci si può difendere. Poi sai divergere nelle opinioni è anche un versante non disprezzabile della libertà. Io non mi picco per nulla. Ottimi auspici.
Sundance scusa, cerchiamo di avere un po’ di amor proprio, se tu scrivi:
“Se l’unico modo di porsi di fronte a tutte le questioni, culturali e non, è quello della sventola o raffica di commenti acidi”
poi non venirmi a dire che avrei del ‘livore’. Rileggiti e poi giudica tu chi è livoroso.
Oltretutto finisci il tuo post pubblicizzando te stesso, insomma il gioco diventa abbastanza scoperto.
cliccando su questo: http://daltramontoallalba.blog.kataweb.it,
non viene fuori niente.
http://daltramontoallalba.blog.kataweb.it/
la virgola alla fine è di troppo.
grazie, Andrea.
Barbieri, io non facevo marketing, anzi marchette – tant’è che spiritosamente lo sottolineavo come probabile ‘cattivo pensiero’ che sarebbe potuto sorgere in chi pensa solo male (e infatti). Ma non è questo il piano sul quale voglio continuare, o smettere. Mi permetto solo, Barbieri, di farti notare il cattivo animo con cui ti poni verso tutto, spacciando questo per atteggiamento intellettuale. Insomma critica a tappeto sempre e comunque, altrimenti detto: fate sempre e solo la guerra; la prima risposta sia sempre NO… Non mi piace. E ppoi tutte quelle ingiunzioni: ‘rileggiti’, ‘giudicati’; e poi gioco occulto e gioco scoperto. Non mi piace. Non mi piace proprio. Passo e chiudo.
Andrea Barbieri scrive: “non ho fatto prendere io quella piega buffa, cavillosa, logorroica alla discussione”. Certo. Io dico: A. Lui dice: hai detto B. Io ho due possibilità: lascio che si dica in giro che io ho detto B (cosa che mi scoccia, soprattutto se B mi pare una sciocchezza) oppure intervengo nuovamente per dire: guarda che ho detto A.
Segue una discussione buffa, cavillosa e logorroica. Della quale, certo, Andrea Barbieri non ha nessuna colpa.
Marco Mantello scrive: “Perché allora non si apre un dibattito ´realistico´ e soprattuto ´ampio´ sui meccanismi di potere, sulle logiche corporative mescolate alle esigenze del mercato editoriale, allora si che il discorso politico sui ´premi´e su quello che c’è dietro avrebbe una sua ragion d´essere?”. E’ aperto da anni. Ovviamente ogni passo di questo dibattito tocca una questione specifica, e ovviamente in ogni dibattito attorno a una questione specifica interviene qualcuno per dire: cosa stiamo a dibattere su una questione specifica? Perché invece non si apre un dibattito ´realistico´ e soprattuto ´ampio´ sui meccanismi di potere, sulle logiche corporative mescolate alle esigenze del mercato editoriale, allora si che il discorso politico sui ´premi´e su quello che c’è dietro avrebbe una sua ragion d´essere?
Andrea Barbieri scrive: “Quindi il problema è che di editoria NON si può parlare. Del resto la scissione di Nazione Indiana lo dimostra”. E’ vero l’esatto contrario: proprio perché è stato possibile parlare c’è stata una scissione.
di segnalare personalità non ancora emerse, di promuovere collaborazioni che non siano soltanto amicizie d’occasione?
Questa frase, in bocca all’autore dell’articolo, sa di devastante ipocrisia. Mi dispiace doverlo dire.
[Ste]