Una rosa nelle tenebre – seconda parte
cura e traduzioni
di Orsola Puecher – [segue dalla prima parte]
da PELLÉAS ET MÉLISANDE
di Maurice Maeterlinck, Claude Debussy
Maurice Denis (1870-1943), La Princesse dans la tour.
ACTE 3 Scène 1 PELLÉAS Holà! Holà! ho! MÉLISANDE Qui est là? |
ATTO TERZO Scena prima PELLÉAS Olà! Olà! Oh! MÉLISANDE Chi è là? |
PELLÉAS Je vois une rose dans les ténèbres… |
PELLÉAS Io, io ed io! Cosa fai là, alla finestra, cantando come un uccello che è non di qui? MÉLISANDE Mi aggiusto i capelli per la notte. PELLÉAS Sono loro che vedo sul muro? Credevo che tu avessi un lume… MÉLISANDE Ho aperto la finestra; fa troppo caldo nella torre… Fa bello stanotte. PELLÉAS Ci sono infinite stelle; mai ne ho viste tante come stasera, ma la luna è ancora sul mare… Non nasconderti nell’ombra, Mélisande, sporgiti un po’, che veda i tuoi capelli sciolti. MÉLISANDE Sono spaventosa così… PELLÉAS Oh! Oh! Mélisande, Oh! Tu sei bella!… Sei bella così! Sporgiti! Sporgiti! Lasciami venire più vicino a te… MÉLISANDE Non posso venire più vicina a te… Mi sporgo finché posso… PELLÉAS Non riesco a salire più in alto… Dammi almeno la tua mano stasera prima che me ne vada… Parto domani… MÉLISANDE No, no, no… PELLÉAS Sì, sì, parto, partirò domani… dammi la tua mano, la tua mano, la tua piccola mano sulle mie labbra… MÉLISANDE Non te la do la mia mano se parti… PELLÉAS Dammela, dammela, dammela… MÉLISANDE Non partirai? PELLÉAS Aspetterò, aspetterò… MÉLISANDE Vedo una rosa nelle tenebre… PELLÉAS Ma dove? Non vedo che i rami del salice oltre il muro… MÉLISANDE Più in basso, più in basso, nel giardino; laggiù, nel verde scuro… PELLÉAS Non è una rosa… Andrò subito a vedere, ma dammi la mano prima; prima la tua mano… MÉLISANDE Ecco, ecco, non posso sporgermi di più. PELLÉAS Le mie labbra non possono raggiungere la tua mano! MÉLISANDE Non posso sporgermi di più… Sto per cadere… Oh! Oh! I miei capelli scendono dalla torre! (la sua chioma si scioglie improvvisamente, mentre si sporge ancora ed inonda Pelléas) PELLÉAS Oh! oh! Cos’è questo? I tuoi capelli, sono i tuoi capelli a scendere verso di me! Tutta la tua chioma, Mélisande, tutta la tua chioma è caduta dalla torre! (meno veloce e passionalmente trattenuto) Li tengo fra le mani, li tengo in bocca… li tengo fra le braccia, li avvolgo attorno al mio collo… Non aprirò più le mani stanotte! MÉLISANDE Lasciami! Lasciami! Mi farai cadere! PELLÉAS No, no, no! Non ho mai visto dei capelli come i tuoi Mélisande! Vedi, vedi, vedi arrivano da così in alto E m’inondano ancora fino al cuore; M’inondano ancora fino alle ginocchia! E sono dolci, sono dolci come se cadessero dal cielo! Non vedo più il cielo attraverso i tuoi capelli. Lo vedi, lo vedi? Le mie due mani non riescono più a tenerli; mi sfuggono fino ai rami del salice… Palpitano come uccelli nelle mie mani, e loro mi amano, loro mi amano più di te! MÉLISANDE Lasciami, lasciami… Qualcuno potrebbe venire… PELLÉAS No, no, no, non ti lascio libera stanotte… Tu sei mia prigioniera stanotte, tutta la notte, tutta la notte… MÉLISANDE Pelléas! Pelléas! PELLÉAS Io li annodo, li annodo ai rami del salice… Non te ne andrai, più… non te ne andrai più… Guarda, guarda abbraccio i tuoi capelli… Non soffro più fra i tuoi capelli. Li senti i miei baci lungo i tuoi capelli? Risalgono lungo i tuoi capelli… Così ognuno te ne porta… Vedi, vedi, posso aprir le mani… Ho le mani libere ma tu non puoi più abbandonarmi… (Delle colombe escono dalla torre e volano attorno a loro nella notte) MÉLISANDE Oh! Oh! Mi hai fatto male! Cosa c’è Pelléas? Chi vola attorno a me? PELLÉAS Sono le colombe, escono dalla torre… Le ho spaventate; volano via… MÉLISANDE Sono le mie colombe, Pelléas. Andiamo via, lasciami… non ritornerebbero più… PELLÉAS Perchè non ritornerebbero più? MÉLISANDE Si perderanno nell’oscurità… Lasciami! Lasciami rialzare la testa… sento un rumore di passi… Lasciami! E’ Golaud! Credo che sia Golaud! Ci ha sentiti… PELLÉAS Aspetta! Aspetta! I tuoi capelli sono attorno ai rami… Si sono impigliati nell’oscurità Aspetta! Aspetta! (Entra Golaud dal ballatoio di ronda) E’ buio. GOLAUD Cosa fate qui? PELLÉAS Cosa faccio qui? Io… GOLAUD Siete dei bambini… Mélisande, non ti sporgere così dalla finestra, finirai per cadere… Non lo sapete che è tardi? E’ quasi mezzanotte. Non giocate così nell’oscurità… Siete dei bambini… (ridendo nervosamente) Che bambini! Che bambini! (Esce con Pelléas.) |
Il figlio del Re non sale sulla torre, come ci si aspetta nelle favole, ma, mentre la musica vira in un ardore parossistico, febbrile, malato, sono solo i capelli che scivolano giù, seguendo la fisicità musicale della complessa scala di accordi discendenti:
Capelli che saranno oggetto di una specie di gioco crudele, onanistico, quasi sadomaso, di un feticismo sensuale e privo di sfogo. Mélisande con la testa rovesciata all’indietro, Pelléas avvolto e vibrante di desiderio. Immobilizzati, in un liberty noir, in una contorsione erotica che già prelude ai corpi tormentati di Egon Schiele, (1890-1918).Quello che arriva ad interrompere il gioco della strana scena d’amore fra Pelléas ed i capelli di Mélisande sembra un nonno un po’ burbero dei due enfants, o tutt’al più un padre saggio e tollerante che li “sgrida” con le stesse parole con cui si manderebbero in castigo nelle loro camerette due bambini dispettosi, ed invece è il di lei anziano marito, il principe Golaud. Nonché fratellastro del giovane Pelléas. Di questa reazione così paternalistica e soft non ci convince nemmeno per un istante: dal suo arrivo in poi cominciano a battere in sottofondo i timpani del destino, ad oscillare il pendolo di una gelosia segreta ma terribile. Nell’interludio che segue
il flusso amoroso, con piccole punte in cui la musica per pochi istanti pare distendersi in una speranza serena, quasi romantica, finisce poi per spegnersi e lo stesso rullo cupo e sordo che accompagnava l’arrivo di Golaud chiude e rabbrividisce ogni illusione. Nella scena successiva egli proporrà a Pelléas, guarda caso, un tour nell’orribile sotterraneo del castello, da cui si levano esalazioni mortali, e sull’orlo di un abisso gli tremeranno le mani e, in un clima di suspence alla Hitchcock, si tratterrà a stento dallo spingerlo giù nel baratro.
PELLÉAS
Sì, un odore di morto si leva tutto attorno a noi.
GOLAUD
Sporgetevi, non abbiate paura… Vi terrò io… datemi… no, no, non la mano… potrebbe sfuggire… il braccio. Il braccio… Vedete l’abisso? (turbato). Pelléas? Pelléas?
PELLÉAS
Sì, credo di vedere il fondo dell’abisso… é la luce che trema così?… Voi… (Si raddrizza, si volge, guarda Golaud)
Si sa, le storie fra cognati finiscono sempre male. Golaud, non molto tempo prima, aveva trovato Mélisande sperduta, anche lui perdutosi dopo una battuta di caccia, in una delle foreste dell’isola dove sorge il castello, con le vesti stracciate, piangente. Infreddolita, come sarà per tutta la vicenda, da un gelo che viene dalle regioni artiche degli spiriti inquieti, che comincia a farla morire dentro fin dalle prime note. E il primo suono che di lei si ode, non è un acuto lirico, ma un sommesso e disperato singhiozzare di fianco ad una fontana, dove ha gettato la sua corona. Non si riesce a strapparle una parola del suo passato e delle sue sventure. Le sue prime parole Ne me touchez pas! ne me touchez pas! Non toccatemi.
I 1
GOLAUD GOLAUD |
GOLAUD MÉLISANDE |
E non lo dirà mai. Resterà “straniera”, comme un oiseau qui n’est pas d’ici, per tutta l’opera. Sempre con gli occhi spalancati, non li chiude mai, sì, sì, li chiudo la notte, dice, come i gatti, come fosse sempre preda di un’eterna stupita meraviglia. Golaud se la sposa lo stesso, ahimè al posto di una e più adatta, forse, mia rara omonima, tal Principessa Orsola, che i parenti gli avevano consigliato, ma i consigli dei parenti non si ascoltano mai. La porta al castello, lei strana nella sua altrettanto strana famiglia dalle complicate parentele, dello strano regno dove sembra non battere mai il sole e il disgraziato popolo muore di carestia, mentre i regnanti si disperano nella camera chiusa delle loro vite.
IV 2
ARKEL Car depuis ta venue, on n’a vecu ici qu’en chuchotant autour d’une chambre fermée… |
ARKEL |
C’è un vecchio che giace malato in punto di morte, il padre di Pelléas, un ancor più vecchio è il re, Arkel, il nonno. Una regina rassegnata, Geneviève, madre di Golaud, avuto da un primo marito di cui nulla si sa (il sotterraneo?) e di Pelléas. Il luogo non è lieto e nemmeno fosse il castello di Barbablù, anche la prima moglie di Golaud è morta, lasciando Inyold, un orfano piccolo principe solo ed infelice, sempre fra i grandi e da loro coinvolto nelle loro storie intricate. Quando gioca con la sua palla d’oro, essa s’incaglia sempre sotto massi scuri e pesanti e piange e si turba per il destino delle simboliche pecore condotte al macello da un pastore, come quando da bambini ci si dispera al funerale del canarino, o per un gattino sperduto al bordo della strada, sentendo la prima avvisaglia di quella linea d’ombra che incombe su tutte le vite. Pelléas e Golaud sono quindi fratellastri. Pelléas è l’unico giovane, ma è un ragazzo tormentato, “strano” dirà Arkel stesso, vuol sempre partire, andarsene via, si aggira per grotte e sotterranei come un Amleto stanco senza nemmeno il coraggio di vendicare o scoprire i crimini e le congiure che ci saranno sicuramente state sotto tutte queste morti e parentele. S’innamoreranno dal primo istante lui e Mélisande, senza quasi guardarsi:
IV 4
PELLÉAS Et je n’ai pas encore regardé son regard… |
PELLÉAS E non ho ancora guardato il suo sguardo… |
Così lui dirà, già nel quarto atto, ormai vicino al tragico epilogo. Sono come due entità di carica complementare, che si attraggono per un magnetismo obbligato e fatale. Come due sonnambuli. Senza la forza di guardare la realtà del loro sentimento. Lasciando i baci correre lungo i fili sottili dei capelli. Senza la volontà di sfuggire al luogo ed alle sue influenze. Se si dirà metaforicamente in Amleto di Shakespeare C’e del marcio in Danimarca, qui dal sotterraneo provengono veramente miasmi di morte che inondano tutte le stanze cui non c’è rimedio. Nessuno ha il coraggio di reagire. In questo nuovo secolo sembra non essere più possibile alcun eroismo, alcuna ribellione, dei ed eroi wagneriani sono già tramontati. Anche il Cielo è vuoto e muto. Dio sembra aver abbandonato gli uomini.
IV 2
ARKEL Si j’étais Dieu, j’aurais pitié du cœur des hommes… |
ARKEL |
Ed in questo condizionale senza alcuna possibilità di diventare presente, nei puntini di sospensione che ricorrono per ben 528 volte nel testo, in un’anticipazione céliniana, le parole si affacciano sul vuoto del loro senso letterale, sull’incapacità di dire e definire il reale.
Portala via verrebbe voglia di gridare a Pelléas, come fanno i bambini al Teatro dei Burattini: lascia stare i capelli, più li annodi ai rami del salice, più siete entrambi prigionieri, salta su, baciala sulla bocca, scalda il suo freddo e la sua infelicità. Salvala, è lei la rosa nelle tenebre, salvala prima che esse la inghiottano. Volate via come le colombe dalla torre. Lontano.
Dopo essere stati scoperti da Golaud, Pelléas sarà da lui “paternamente” ammonito a non indulgere più in simili “giochi,” la ragazza si viene a sapere è anche incinta. Ma sembra non rendersene nemmeno conto come se fosse una cosa che non capita a lei, di cui non ha una precisa coscienza. Ha un carattere incostante, psicolabile, minaccia sempre di buttarsi nelle fontane, ma sappiamo che non ha il coraggio di farlo. Non è felice al castello, ed anche se è felice, è triste.
IV 4
PELLÉAS Tu es distraite… Qu’as-tu donc? Tu ne me sembles pas heureuse… Si, si, je suis bien heureuse, mais je suis triste… |
PELLÉAS |
Romeo salta sul balcone in un attimo e la sua Giulietta gli trema fra le braccia senza pensarci due volte e non lo vuole lasciare andare via. Francesca, quella dell’amor ch’a nullo amato amar perdona anche precipitata nel suo apposito girone infernale sarà orgogliosa di aver ceduto ad un amore infelice e non lo rinnegherà mai. Qui siamo arrivati ad un punto di non ritorno che apre all’immobilità al silenzio del teatro beckettiano. Nessuno dei personaggi ha la forza di fare un gesto, le parole si riducono ad un sussurro, la musica ne amplia il mistero emotivo, la complessità inconscia.
Anche nella scena in cui Golaud scoprirà i due amanti finalmente abbracciati che si baciano disperatamente solo nel momento in cui vedono la morte davanti a se, Pelléas, passato a fil di spada finirà nella fontana, siamo quasi portati a sospettare che ciò avvenga per sua volontà. Una specie di suicidio per conto terzi. E Mélisande riceverà una ferita quasi inesistente, metaforica.
V 1
LE MÉDECIN Ce n’est pas de cette petite blessure qu’elle peut mourir; un oiseau n’en serait pas mort… |
IL MEDICO Non è di questa piccola ferita che ella può morire; anche un uccello non ne sarebbe morto… |
Ma non si riprenderà più, morirà dopo uno stato di quasi coma che le ha fatto dimenticare tutto:
V 1
MÉLISANDE Je ne comprends pas non plus tout ce que je dis, voyez-vous… Je ne sais pas ce que je dis… Je ne sais pas ce que je sais… Je ne dis plus ce que je veux… |
MÉLISANDE Anch’io non comprendo più quello che dico, vedete… Non so cosa dico… Non so quello che so… Non dico più quello che voglio… |
Parole spezzate che finiscono per essere una dichiarazione di assoluto nichilismo esistenziale e spirituale. Assoluto presagio di future incomunicabilità.
Mélisande, poco prima di morire, dà alla luce, una povera bambina, di cui una vecchia serva, in una delle scene tagliate da Debussy, dirà:
LA VECCHIA SERVA
Ha le doglie sul letto di morte; non è questo un gran segno? E che figlia! L’avete vista? Una bambinetta che un povero non vorrebbe mettere al mondo… una figurina di cera che è nata troppo presto… una figurina di cera che deve vivere nella lana d’agnello… sì, sì, non è entrata la gioia in questa casa…
Morta la madre purtroppo adesso toccherà a lei ereditarne la sofferenza. Dal cerchio non si esce.
V 1
ARKEL (…) C’était un petit être si tranquille, si timide et si silencieux… C’était un pauvre petit être mystérieux comme tout le monde… Elle est là comme si elle était la grande sœur de son enfant… Venez… Il ne faut pas que l’enfant reste ici dans cette chambre… Il faut qu’il vive, maintenant, à sa place C’est au tour de la pauvre petite. |
ARKEL |
E non possiamo certo sperare che, diventata grande, faccia come la Nora di Casa di bambola di Ibsen (1880) che solo una ventina d’anni prima avrebbe avuto ancora il coraggio di andarsene da quel castello buio, sbattendo il portone e facendo l’autostop ad una nave di passaggio. Tutt’al più le toccherà quel ragazzino triste e complessato del piccolo Ynyold.
Adieu Mélisande, arrivata nel regno di Allemonde come l’eroina stanca di tante altre storie infelici, portando su di sé il dolore di tutte le altre fanciulle luminose e fragili, perseguitate: della povera Proserpina in libertà vigilata per sei mesi all’anno e poi costretta a tornare nel buio dell’Ade, della tenera Euridice che quello sciocco di Orfeo per pura impazienza di uno sguardo non riuscirà a riportare fra i vivi, della Francesca tradita da un libro delle stesse avventure tristi e speculari di Lancillotto e Ginevra. Non sei forse tu Ofelia, la dolce folle, che veleggiando attraverso i secoli, con le vesti gonfie d’acqua fra i fiori del suo stagno è arrivata fino alle acque fredde di questo fiordo infelice?
I
Sur l’onde calme et noire où dorment les étoiles
La blanche Ophélie flotte comme un grand lys,
Flotte très lentement, couchée en ses longs voiles…
On entend dans le bois lointains des hallalis.
Voici plus de mille ans que la triste Ophélie
Pass fantôme blanc, sur le long fleuve noir;
Voici plus de mille ans que sa douce folie
Murmure sa romance à la brise du soir.
I
Sull’onda calma e nera dove dormono le stelle
La bianca Ofelia fluttua come un grande giglio
Fluttua molto lentamente, stesa nei suoi lunghi veli
Si sentono dai boschi lontani gridi di caccia.
Ecco da più di mille anni la triste Ofelia
Passa, fantasma bianco, sul lungo fiume nero;
Ecco da più di mille anni la sua dolce follia
Mormora la sua romanza alla brezza della sera.
Arthur Rimbaud, Ophélie, 1870
——————————
Riferimenti musicali per la prima e seconda parte:
C. Debussy,Pelléas et Mélisande
Camille Maurane, Erna Spoorenberg, Guus Hoekman,
Josephine Veasey, John Shirley-Quirk, Choeur du Grand
Théâtre de Genève
Orchestre de la Suisse Romande,
conducted by Ernest Ansermet
Agosto 1964
Decca 473-351-2
C. Debussy,Chanson de Bilitis, La chevelure
Véronique Gens (soprano)
Roger Vignoles (Piano)
27 Febbraio 2000
Virgin Classics
ASIN : B00003ZKR9
Gabriel Faure, Pelléas et Mélisande suite per
orchestra Op.80
Arnold Schoenberg, Pelleas und Melisande poema
sinfonico op.5
Orchestra: Israel Philharmonic Orchestra
conducted by Zubin Mehta
14 Gennaio 1991
Sony
ASIN: B00000270L
C. Debussy,Pelléas et Mélisande
Camille Maurane, Erna Spoorenberg, Guus Hoekman,
Josephine Veasey, John Shirley-Quirk, Choeur du Grand
Théâtre de Genève
Orchestre de la Suisse Romande,
conducted by Ernest Ansermet
Agosto 1964
Decca 473-351-2
ineguagliabile.
merci albert!
e tutti.
ma c’è un piccolo errore :
IV 4
PELLÉAS
Tu es distraite…
Qu’as-tu donc?
Tu ne me sembles pas heureuse…
MÉLISANDE
Si, si, je suis bien heureuse, mais je suis triste…
PELLÉAS
Sei distratta…
Cos’hai dunque?
Non mi sembri felice…
MÉLISANDE
Sì, sì, sono molto felice, ma sono triste…
La capigliatura è straripata, fugge dal corpo, sopravvive alla prigione, si intravede nella tenebra, il viso di Melissande scompare; la capigliature maschera e smachera nella tensione erotica, inghiottisce l’amante, lo supera eroticamente (La chevelure Baudelaire), l’annienta, l’annega.
Accade il desiderio di domara la capigliatura, farla soffrire, squartarla; la capigliatura vive nel corpo fantasma, diventa oggetto di orrore, feticcio spaventoso (La chevelure: Guy de Maupassant)
Associata al sogno acquatica diventa mondo stellare, viaggio nelle verginità, nel regno dei fiori bianchi, capigliatura irraggiungible, che scende nera lungo il fiume nero.
Grazie per il testo: è spendide.
dal cerchio non si esce
bisogna imbastire una danza
lieve, come partitura
amarla ed amarsi…
Altra donna, sempre capelli, sempre amore sublimato.
37 Ed ecco, una donna che era in quella città, una peccatrice, saputo che egli era a tavola in casa del fariseo, portò un vaso di alabastro pieno di olio profumato; 38 e, stando ai piedi di lui, di dietro, piangendo, cominciò a rigargli di lacrime i piedi; e li asciugava con i suoi capelli; e gli baciava e ribaciava i piedi e li ungeva con l’olio.
(Luca 7, 37-50)