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In memoria di Altamante, maestro

di Marco Rovelli

Quando muore un uomo, la perdita è, sempre, incommensurabile. Quando muoiono gli artisti, uomini che sono riusciti a dare una forma di sé singolarmente espressiva, la perdita sembra ancor più irrimediabile. Ma la morte di un uomo come Altamante Logli sembra incommensurabilmente irrimediabile. Perché pare davvero la morte definitiva di un’epoca, il suo congedo assoluto, il segno di un trapasso.
Ho l’onore di averlo conosciuto, Altamante Logli. Il maestro della poesia improvvisata in ottava rima. Un uomo il cui nome fu davvero presagio. Uomini che incarnavano una tradizione, perché attraverso di loro passava una visione del mondo, si trasmettevano informazioni, si replicavano modi di vita, si riflettevano modi di produzione, si esprimevano sogni speranze e conflitti. Uomini come Altamante hanno appreso l’arte della poesia improvvisata fin da piccoli, appreso a sviluppare un tema assegnato per farne un’ottava all’impronta, e poi a fare “contrasti” con un altro poeta, e andare avanti per ore senza mai replicare una rima, con enjambement che lasciavano senza fiato, del resto sul comodino tenevano Dante e Ariosto, sapevano interi canti a memoria, e pure non avevano fatto che le elementari, le loro scuole furono le osterie.
«Facevo il garzone a Cantagallo, avrò avuto sì e no 12 anni – disse –. Fu lì che conobbi Nello Quaranti, un pecoraio che si dilettava a cantare in ottava. Fu lui a portarmi a una festa a Vaiano. Mi misero su un tavolino ed io partii. E non mi sono più fermato».
Buona retorica vorrebbe che si dicesse che neppure adesso Altamante si è fermato, ché il suo canto resta, come resta eternamente la traccia di un mandala. Ma non è vero, perché Altamante quel canto se l’è portato via con sé, perché lui era l’ultimo maestro dell’ottava rima, perché dopo di lui non ce ne saranno più. O forse sì, c’è Realdo Tonti, di Agliana nel pistoiese, e altri ancora, e a Realdo, con il quale ho avuto l’onore di mangiare bere e cantare, auguro ancora anni e anni di vita, e poi ci sono seminari di tecnica di ottava rima, e c’è l’Accademia, e i meeting di Scansano, nel grossetano, ma di certo il lutto per Altamante è il lutto per un mondo di cui questi che se ne vanno sono “gli ultimi testimoni”.
Non l’ho conosciuto bene, non l’ho conosciuto davvero, solo uno scambio fugace, giusto un paio di volte, un canto che io osai fare al grande maestro, un altro canto in cambio, come accoglienza, lui diceva che l’ottava rima non si impara, che è “un dono di natura”, e mi aveva detto Tu ce l’hai di natura, e quest’onore me lo porto addosso come una medaglia, e poi una promessa, una cena a Sovicille che sarebbe dovuta venire, il numero di telefono…ma è rimasta una traccia, un’insussistenza. E resta la speranza sola di poterne godere per un’intera serata, resta la scomparsa di un mondo, e per me, in più, la cancellazione di una traccia che poteva essere e non è stata.
Eccole dunque due poesie di Altamante. Una è un contrasto improvvisato con Realdo Tonti. L’altra una poesia improvvisata dal giovane Altamante, di cui il vecchio ha tenuto memoria e che i Gang hanno messo in coda alla traccia “4 marzo 1944”. Una canzone davvero di un altro mondo. Cantava, addirittura, di comunismo.

Altamante Logli (Vino)

Collega mio mettiti in cammino
Lo vedi che i ttema gli é arrivato
Si tratta sa dell’acqua per dí il vino
Dimmi te a quale cosa se’ legato
Lo comincia a bere ero un bambino
Coll’acqua solo i piedi mi son lavato
Perché é bella e rispettalla devo
Io mi ci lavo i piedi ma un la bevo
Realdo Tonti (Acqua)
Che tu eri sbiancato e lo vedevo
Io con l’acqua bene sempre stavo
Che tu fossi cosí io non credevo
Con l’acqua non solamente mi ba- mi lavavo
E poi mattina e sera la bevevo
Son cresciuto lo vedi e bene stavo
E te co i vvino caschi in un tranello
Perché subito ti corre al cervello

Altamante
Te tu staresti bene in un fiumicello
Io ho bevuto i vvino dei vigneti
Lo vedi ome sono snello
Dove fanno il vinsanto per i preti
Lo vedi io sono un gran modello
Coll’acqua amico mio ti diseti
Te l’acqua l’hai beuta nella fossa
T’é venuto la pancia troppo grossa

Realdo
Attento amico nun pigliá la scossa
Di tutto il vino che tu hai tracannato
Nun sei capace schizzare pe’ la fossa
Un tu lo vedi ome se male andato
Bevila l’acqua e dattela una mossa
Il tuo cervello sará risanato
Rihordo una sera da quanto ne bevei
Ti riportonno a casa erano in sei

Altamante
Ma guarda un po’ che omo e tu sei
Colla pancia grossa un si po’ fa all’amore
T’ha sempre la lancetta sulle sei
Ma se t’avei bevuto quil liquore
E tu potevi andá con quell’e lei
Meglio ti funzionava il tu motore
Io lo bevo a colazione, a desinare, a cena
Ma te lo vedi tu sta ritto a pena

Realdo
Io la mente l’ho sempre serena
e diritto le vado per la via
te invece tu staresto a malapena
ogno po’ i pprontosoccorso ti porta via
e tu tentenni come un fiume in piena
e poi ti manca sai la fanta’asia
perche’ i vvin se da troppo calore
dimmi come fa te a fare all’amore

Altamante
ti farebbe bene a i ccervello e a i ccuore
se battezzato un e’ nella cantina
tu va ‘n tasca a i farmacista e i dottore
alle punture e alla medicina
e’ bono quello dell’ agricoltore
bisogna berlo sempre la mattina
quand’ho bevuto di bicchier di cChianti
nun c’ e’ nessuno che mi passa avanti
Realdo
se tu l’avessi bevuto di quel de cChianti
allora amico ti darei ragione
invece sei cascato in lacrime e pianti
tu ha beuto di kello sull’ Ombrone
cosi non tu potevi andare avanti
e tu l’ha perso l’uso e la ragione
chi ha beuto piu’ sciancia e anche fricogna
che oggi al mondo fa vergogna

Altamante
e tu se sempre stato una carogna
sentite questo ui cosa mi dice
e tu saresti da mettere alla gogna
perche’ tu se un povero infelice
il vino sa a tutti che bisogna
se nel mondo vo essere infelice
e costa piu’ un bicchiere di vino
che cento grazie da gesu’ bambino

Alternati:
Realdo
anch’io lo bevvi quand’ero piccino
Altamante
e n lo vedi ora non n’ha piú bevuto
Realdo
lo bevvi nella Ruffina e l Pomino
Altamante
o sta bono te tu se un rifiuto
Realdo
all’ora dimmi quel gesu bambino
Altamante
a chi non piace il vino gli e’ un cornuto
Realdo
specialmente di quello’o la del Chianti
ora diamo la ragione ai musicanti

[Introduzione di Altamante Logli]

…Questa poesia l’ho scritta n’i’mille e novecento quarantaquattro. Dopo tornato dalla guerra, venuto via dalla Francia. Mi ributtai a cantà’ di poesia e scrissi…tra le prime storie che feci, feci questa poesia. Scuseranno se c’è qualche…attacco a certa gente, però…[parola incomprensibile]. Allora… Senza leggere.

Se si pensa alla spaventosa guerra
voluta da de’ perfidi sovrani
per avere i’ dominio della terra
distrùggano villaggi e corpi umani.
A questa brutalità i’ cuor si serra
voluta […] nel ripensare a’ casi disumani
voi già un’infame dinastia
mise l’umanità all’agonia.

L’ùrtimo sforzo della borghesia
ne’ popoli si cambian le opinioni
i proletari gli hanno preso i’ via,
trionferanno in tutte le nazioni.
E’ giusto l’eguaglianza la ci sia,
non più le guerre o le distruzioni,
ma ci sia la pace e i’lavoro,
la giustizia sociale e i’ decoro.

Infin’ a ché a i’ potere ci stan loro,
infinché gli è questa crasse dirigente,
se ‘un si metterà artro lavoro
in questo mondo ‘un si risorve niente.
Sono accaparrator d’argento e oro,
La guerra gli resta conveniente,
marzagrando [*] operai e contadini
ingrandiscano possesso su’ quattrini.

Va ricordato poi di Mussolini,
sì pieno d’arderigia [**] e d’ambizione,
lui chiamava tutti cittadini
la voleva aggrandì questa nazione.
La guerra si portò oltre confine,
e marzagrando le popolazione,
pell’espansionismo della sua dottrina
nel mondo fece una carneficina.

Sulla ristessa [***] strada si cammina,
‘e vogliano rifà i’ romano impero,
povera Italia mia, terra latina,
a servizio tu sei dello straniero.
I’ capitale e tutta quella trina
accompagnato sì dall’alto clero,
con tutto questo covo di signori
son l’agonia de’ lavoratori.

[Altamante si interrompe e dice: “Questa la piddiava (****) foco…L’è un’artra rima perché ho paura mi dìin noia, capito…e gli ho messo ‘un po’ i’ fascismo…allora dice:…]

Allora qui, carissimi uditori,
Io da poeta vi lancio un appello,
chi ha la fronte riversa a’ sudori:
associàssi alla farce e a i’ martello.
Lì dentro non ci sta gli sfruttatori,
e fra tutti i programmi gli è i’ più bello,
lì dentro non ci sta i’ capitalista,
sta una democrazia progressista.

O crasse disagiata, alla conquista!
dato che sete tutti a i’ tradimento,
deve pestare i’ capitalista
coll’altre forze dello sfruttamento.
Non ci hanno più un terreno sulla pista,
i’ popolino non è più addormento [*****],
vole rispetto degno e la sua stima,
non vol’essere schiavo come prima.

Noi siamo in mezzo e saliremo in cima,
anche qui dentro a i’popolo italiano,
non c’è nessun governo che intìma
Sullo sviluppo del progresso umano.
Vogliamo respirarlo un altro clima,
ché quello del passato è stato vano,
crollerà i’ mondo d’i’capitalismo
con i’ grande avvenir d’i’comunismo!

[*] massacrando
[**] alterigia
[***] “la stessa ancora una volta”
[****] pigliava, prendeva
[*****] addormentato

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10 Commenti

  1. ‘gli ultimi testimoni’
    a dare voce e canto – un vino –
    che nella vena versa e
    nutre, ancora!
    Una preghiera, ora.

  2. […] In memoria di Altamante, maestro e? bono quello dell? agricoltore bisogna berlo sempre la mattina quand?ho bevuto di bicchier di cChianti nun c? e? nessuno che mi passa avanti Realdo se tu l?avessi bevuto di quel de cChianti allora amico ti darei ragione … […]

  3. Vorrei segnalare un poeta spagnolo, Leopoldo Maria Panero, attualmente ricoverato presso l’istituto psichiatrico di Las Palmas.
    Di lui sono stati pubblicati due libri, ambedue dalla casa editrice Azimut di Roma. Il secondo, intitolato: Dal manicomio di Mondragon, raccoglie le ultime poesie, generate dalla sua attuale situazione sia fisica che mentale e sono di una bellezza straziante. Vorrei proporsi solo due esempi:
    *
    Un pazzo toccato dalla maledizione del cielo
    canta umiliato in un angolo
    le sue canzoni parlano di angeli e cose
    che costano la vita all’occhio umano
    la vita marcisce ai suoi piedi come una rosa
    e ormai prossimo alla tomba, gli passa a fianco
    una Principessa.

    *
    Nella lotta tra le coscienze qualcosa cadde al suolo
    e il fragore dei cristalli rallentò l’adunanza.
    Da allora abito tra gli Immortali
    dove un re mangia dinanzi all’Angelo caduto
    e simili a fiori la morte ci sfoglia
    e ci scaglia nel giardino dove cresciamo
    temendo che ci giunga il ricordo degli uomini.

  4. mi viene in mente ‘Incontro’ di Francesco Guccini….
    queste righe intense, da dedicargli:

    “Restano i sogni senza tempo, le impressioni di un momento,
    le luci nel buio, di case intraviste da un treno.
    Siamo qualcosa che non resta, frasi vuote nella testa, e il cuore di simboli pieno.”

  5. l’ottava rima è una grande cosa, e così i suoi profeti, che non conoscevo. Grazie Marco. a.

  6. Di mente acuta e lingua svelta è l’estro
    che ho trovato in quest’amena stanza
    son qui per onorare il gran maestro
    di cui eterna sarà la mancanza
    anche se nel rimar io son maldestro
    per Altamante esprimo la doglianza
    e senza pianti ma con tutto il fiato
    la morte sua così i’avrò onorato

  7. Cantore beneamato per paesi
    errando te ne andavi a cuor leggero
    le mani a dissetare un grido antico
    di libertà contro le numerose guerre
    donasti voce al pane e vino ai tristi
    ed ogni fior nasceva sotto i ponti
    più rosso di quel sangue mai scordato
    più vivo nella rima che ora batte.

  8. Ricordo qui un poeta che in Italia
    è certamente stato una gran lingua
    la sua figura ancor molto mi ammalia
    e il cuor d ‘affetto ognor mi si rimpingua
    fortunati color che tenne a balia
    razza che in terra spero non s’estingua
    per insegnare a tutti s’è diviso
    e ora canta lieto in Paradiso

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marco rovelli
marco rovelli
Marco Rovelli nasce nel 1969 a Massa. Scrive e canta. Come scrittore, dopo il libro di poesie Corpo esposto, pubblicato nel 2004, ha pubblicato Lager italiani, un "reportage narrativo" interamente dedicato ai centri di permanenza temporanea (CPT), raccontati attraverso le storie di coloro che vi sono stati reclusi e analizzati dal punto di vista politico e filosofico. Nel 2008 ha pubblicato Lavorare uccide, un nuovo reportage narrativo dedicato ad un'analisi critica del fenomeno delle morti sul lavoro in Italia. Nel 2009 ha pubblicato Servi, il racconto di un viaggio nei luoghi e nelle storie dei clandestini al lavoro. Sempre nel 2009 ha pubblicato il secondo libro di poesie, L'inappartenenza. Suoi racconti e reportage sono apparsi su diverse riviste, tra cui Nuovi Argomenti. Collabora con il manifesto e l'Unità, sulla quale tiene una rubrica settimanale. Fa parte della redazione della rivista online Nazione Indiana. Collabora con Transeuropa Edizioni, per cui cura la collana "Margini a fuoco" insieme a Marco Revelli. Come musicista, dopo l'esperienza col gruppo degli Swan Crash, dal 2001 al 2006 fa parte (come cantante e autore di canzoni) dei Les Anarchistes, gruppo vincitore, fra le altre cose, del premio Ciampi 2002 per il miglior album d'esordio, gruppo che spesso ha rivisitato antichi canti della tradizione anarchica e popolare italiana. Nel 2007 ha lasciato il vecchio gruppo e ha iniziato un percorso come solista. Nel 2009 ha pubblicato il primo cd, libertAria, nel quale ci sono canzoni scritte insieme a Erri De Luca, Maurizio Maggiani e Wu Ming 2, e al quale hanno collaborato Yo Yo Mundi e Daniele Sepe. A Rovelli è stato assegnato il Premio Fuori dal controllo 2009 nell'ambito del Meeting Etichette Indipendenti. In campo teatrale, dal libro Servi Marco Rovelli ha tratto, nel 2009, un omonimo "racconto teatrale e musicale" che lo ha visto in scena insieme a Mohamed Ba, per la regia di Renato Sarti del Teatro della Cooperativa. Nel 2011 ha scritto un nuovo racconto teatrale e musicale, Homo Migrans, diretto ancora da Renato Sarti: in scena, insieme a Rovelli, Moni Ovadia, Mohamed Ba, il maestro di fisarmonica cromatica rom serbo Jovica Jovic e Camilla Barone.
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