Prima di tutto la Luigiona

Panchina - foto di Mauro Baldrati

di Mauro Baldrati

Disanimati, disarticolati, aspettiamo nella notte gelida e nebbiosa. Aspettiamo qualche novità, facciamo l’ultimo tentativo prima di naufragare nel salone immenso del Bar Unità gremito di omacci urlanti che giocano a carte, a biliardo, a Mah-Jong.
Sulle panchine del Viale dei Platani, il nostro quartier generale, c’è un po’ di gente, altri arrivano alla spicciolata. Arriva anche il mio amico Dennis che dice, tremebondo: “O’, andiamo a Caprarossa o no?”
Sulle panchine sghignazzano, gridano “A Caprarossa c’è Zambaldo! O vacca ah-ah-ah!”
Zambaldo è un simpatico chitarrista pazzo che indossa sempre una tuta da meccanico e suona solo pezzi di Frank Zappa, il suo idolo. Le Rane Elettriche sono i due componenti del suo gruppo: un bassista magro come un chiodo che suona sempre con la testa china, coi capelli che gli coprono la faccia, e un batterista invasato che spruzza sudore da tutte le parti.
“Zambaldo cosa!” protestano dalle panchine, “l’avrò sentito venti volte!”.
“Ma sì, dai che ci caviamo da questo freddo! Chi è che ha la macchina però?”
“Dovrebbe passare Mayall che l’ho visto oggi pomeriggio”.
Dunque arriverà Mayall. Non so neppure come si chiama. I suoi genitori sono ferraresi e dicono sempre “maiàll!”, così è stato un giochetto per Dennis affibbiargli il cognome del grande bluesman bianco come soprannome. Mayall guida la macchina di suo padre, una carcassona su cui possiamo salire in cinque o sei.
Dennis mi viene vicino, pesta i piedi, soffia condensa dal naso e dice: “Se non andiamo in là che cazzo facciamo?” E io: “Niente. Speriamo solo di schiodarci da qui”.
Avessimo almeno la patente, non dovremmo sempre dipendere da questo e quell’altro. A me manca ancora più di un anno, a Dennis nove mesi.
Finalmente arriva Mayall l’entusiasta, un ragazzone con la faccia rossa che ha piantato la scuola e lavora nell’azienda agricola di suo padre. Si frega le mani e dice: “Be’ dunque? Come siamo spianati qua?”
Dennis fa subito la proposta del concerto e Mayall annuisce con ampi cenni del capo. “Zambaldo? Chi è quello sventronato sbudellato che fa tutte quelle urla e risate e scorregge? Sì, sì, però prima voglio fare un giretto dalla Luigiona”.
A quelle parole un ragazzo di nome Farinelli balza in piedi e si mette al fianco di Mayall. “Osta della miseria” dice, “dalla Luigiona poi vengo anch’io!”
“Allora siamo già a posto” dice Mayall, “ho la macchina con una sospensione rotta, andiamo noi quattro e via”.
Io e Dennis ci guardiamo e ridacchiamo. “Ascolta” dice Dennis, “voi andate in là dalla Luigiona poi tornate a prenderci”. Mayall lo spintona, fa un gesto di impazienza. “O’ Dennis! La casa della Luigiona è sulla strada per Caprarossa e io ho poca benzina! Dai dunque, vieni anche te dalla Luigiona e falla finita”.
Dennis pesta coi piedi e ride. Lo diverte l’irruenza di Mayall, quel suo rivolgersi a lui non come il poeta psichedelico, l’autore de “L’Urlo di Mezzaluna”, il poema che ha avuto una menzione speciale a Ravenna Poesia, ma come un invasato suo pari.
Dennis mi guarda e dice “be’ allora? Andiamo con loro e li aspettiamo?” Io dico “va be’”. In verità sono curioso, ho sempre sentito parlare della Luigiona, che tra noi ragazzi è una specie di leggenda, ma non l’ho mai vista.
Mayall fa dei gesti teatrali, si avvia verso la sconquassata macchina a grandi passi, grida “andiamo porca della befanona impestata! dai dai dai!” Saliamo in macchina e partiamo tra gli schiamazzi e le risate sguaiate dei ragazzi delle panchine mentre Dennis, sul sedile posteriore accanto a me, scuote le spalle e ride.

La Luigiona è una vecchia che vive in una casetta lungo l’argine del canale Molino. Legge i tarocchi, fa oroscopi, dicono che conosca la magia nera. Molti anni fa un ragazzo che voleva apprendere l’arte della magia le chiese di diventare suo discepolo. La Luigiona accettò, ma prima l’aspirante doveva portare una certa canottiera di lana, su cui lei aveva riversato degli influssi particolari, per sei mesi di seguito senza toglierla mai, neppure per lavarsi. Il ragazzo accettò e indossò la canottiera. Ma dopo quattro mesi, quando ormai l’indumento era ridotto a uno straccio scuro e puzzolente, un’infestazione di parassiti gli causò un problema sotto le ascelle. I vicini raccontano che si sentivano le urla del ragazzo mentre suo padre, suo zio e suo nonno lo tenevano fermo per permettere a sua madre di tagliare la lana fradicia con le forbici.
Ma la Luigiona è famosa soprattutto per i lavori da prostituta, e la sua specialità è la bocca con le gengive senza denti. Molti ragazzi vengono anche dai paesi vicini, persino da Ravenna per le sue prestazioni.
Avanziamo nella nebbia fitta. Sulla strada ci sono delle buche e lastre di ghiaccio e la macchina sbanda. Mayall grida, agita le mani, si avvicina e si allontana dal volante, si rivolge quasi sempre a Dennis che ride scuotendo le spalle. Ai lati della strada si intuiscono le grandi distese di terreno arato, senza alberi, che si estendono per chilometri fino agli argini bassi dei canali di scolo.
Siamo come sospesi nel vuoto, illuminati dalla luce spettrale dei fari che si riflette nella nebbia densa. Talvolta Mayall deve rallentare fino quasi a fermarsi, perché non si riesce neppure a vedere il ciglio della strada. Finalmente iniziamo a costeggiare il canale Molino e dopo un quarto d’ora di andatura a passo d’uomo arriviamo nello spiazzo brullo dove sorge la casetta a un piano della Luigiona.
Appena scendiamo dalla macchina Mayall si mette a gridare “ohèi Luigiona! Siamo qua! Siamo noi!”
Si accende una lampadina sopra la porta, che manda un debole chiarore nella nebbia grigia, e una vecchietta coi capelli bianchi si affaccia sulla soglia. “O’ cosa gridi? Siete matti? Ah, mo sei te. Venite dentro dunque, e fate poco zavaglio!”
Entriamo in una cucina abbastanza in ordine, in cui la prima cosa che noto è una civetta impagliata con le ali aperte sopra una credenza di legno lucido. C’è un divano coi cuscini sporchi accanto a una grossa radio accesa, una tavola col ripiano di marmo, una cucina economica a legna. Una lampadina nuda pende dal soffitto e illumina debolmente la stanza con bagliori di luce e ombre filiformi.
La Luigiona è piccola, coi capelli corti ispidi, la faccia solcata dalle rughe. Indossa un grembiale a fiori con aloni di macchie sul petto, calze di lana grossa e ciabatte di velluto. Quando parla tiene la bocca piuttosto chiusa, sicché non riesco mai a vedere le famose gengive.
“Allora siete in quattro?” dice la Luigiona, e guarda me e Dennis.
“No no” ribatte Mayall, che la sovrasta con la sua corporatura massiccia, “loro due non fanno, siamo io e lui. Ascolta, Luigiona” soggiunge, e si assesta prima su un piede e poi sull’altro. “Ascolta, abbiamo solo tremila lire in due, facci lo sconto, dai”.
La Luigiona lo affronta con le mani sui fianchi, pianta i suoi piccoli occhi mobili in quelli dilatati di Mayall. “Cosa? Eh, no, tabacchi. Cosa credete, di venire qua a togliermi in volta? Sono quattromila, lo sai pure”.
Mayall fa un passo indietro, si accascia quasi volesse abbassarsi allo stesso livello della vecchia. “No dai, Luigiona, per questa volta, solo per questa volta!” Interviene anche Farinelli, che dice “dai Luigiona, per piacere, facci per tremila lire, te li portiamo quest’altra volta”.
“Sì, sto fresca!” esclama la Luigiona, “mi fate andare giù la catena, mi fate”.
“Dai Luigiona, non fare così” insiste Mayall, sempre più supplichevole, “te li abbiamo poi sempre dati tutti, i bollini. Solo per questa volta.”
La vecchia fa una pausa, gonfia le guance; fa “puf!”, scuote la testa. “Cio’ tabacchi” dice con tono severo, “che non succeda mica più eh? Quando venite qua dovete avere tutti i bollini, capito?”
Mayall si rianima, raddrizza la schiena, si frega le mani. “Sì, sì! Sta pure tranquilla, eh!”
“Allora andiamo” dice la Luigiona, e si dirige verso una porticina chiusa. “Chi fa per primo?”
“Va pure te” dice Farinelli.
“No no” dice Mayall, e va a sedersi sul divano. “Comincia te che io me lo voglio spippolare”.
La Luigiona apre la porticina ed entra seguita da Farinelli. Io, Dennis e Mayall sediamo stretti sul divano coi cuscini sporchi.
“Io i lavorini della Luigiona me li voglio spippolare” dice Mayall, e muove le mani come fanno i giocatori di poker quando scoprono una carta dopo l’altra, lentamente. “O sporcacciona della befana, con quelle gengive là ti fa diventare matto! Ooohhh! pi-pi-pi-pi-pi” esclama facendo schioccare la lingua.
Aspettiamo in silenzio per un tempo che a me sembra lunghissimo. Poi si apre la porticina ed esce Farinelli. Cammina lentamente, a gambe larghe e con le braccia penzoloni, gli occhi semichiusi, come la caricatura di una scimmia suonata. Fa “aaaahhhhh!” mentre viene verso il divano e Mayall si alza di scatto. Farinelli crolla seduto e si copre gli occhi con una mano. Rimane così, senza dire una parola, come se avesse un mal di testa lancinante, finché non esce anche Mayall, dopo un tempo ancora più lungo. Mayall si ferma al centro della stanza con la bocca spalancata e la lingua fuori, fa “aaaahhhh” in coro con Farinelli. Esce anche la Luigiona, si guarda le mani e se le strofina sul grembiale. Ci alziamo anche io e Dennis, ci prepariamo a uscire. La Luigiona guarda me e Dennis, dice “osta della miseria come siete belli voi due. Non lo volete un lavoretto fatto bene? Vi faccio lo sconto anche a voi, dai.”
Io e Dennis ridiamo, diciamo “oh be’, ecco, eh-eh-eh, no no”. Mayall dà una pacca sulla spalla a Dennis, dice “brava Luigiona, diglielo te a questi due, che hanno ancora il buratello verginello!”
Io e Dennis ridacchiamo imbarazzati, e anche la Luigiona ride. Poi apre la bocca e finalmente vedo le leggendarie gengive. Sono proprio senza denti, sembrano le gengive di mia nonna Uccia. Le guardo fisso e ho un vuoto alle stomaco, perché davvero mi sembra che ci sia nonna Uccia lì davanti a me, a dire e a fare quelle cose.

Torniamo in macchina e ripartiamo. Mayall è calmo adesso, ogni tanto lancia un “aaaaaaahhhh” cui risponde un Farinelli in fase calante.
Io e Dennis siamo sul sedile posteriore in silenzio. Tra una ventina di minuti, forse mezz’ora considerando la nebbia fittissima, arriveremo a Caprarossa. E qui, nel capannone della cooperativa braccianti, ci sarà il concerto di Zambaldo e le Rane Elettriche. L’ho già sentito al Milleluci di Alfonsine, al Pi Greco di S. Lorenzo, in varie feste de l’Unità, e anche Dennis, ma si va tanto per fare qualcosa. Ci troviamo coi ragazzi degli altri paesi, come ad ogni concerto del resto. Chiacchieriamo, beviamo birra, facciamo nuove conoscenze, cerchiamo di parlare con le ragazze. Stiamo insieme, lasciamo scorrere il tempo. Aspettiamo il giorno in cui finalmente potremo scrollarci di dosso questo interminabile invernaccio.


La fotografia è di Mauro Baldrati

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13 Commenti

  1. Ma questa poetica estetica delle Luigione, tabaccaie felliniane &C, Maddalene sfatte e un po’ ripugnanti, sempre con quella lampadina nuda appesa al filo, che senso ha in definitiva?

  2. Ma la storia che ho appena finito di leggere era scritta in italiano, in dialetto, o non era invece uno di quei diari fantastici che saltano fuori ogni tanto dai bar della provincia romagnola?
    Noi abitanti di queste terre di confine parliamo indifferentemente (diciamo pure contemporaneamente) la lingua di Dante e quella di Secondo Casadei. Non lo sapevi? Siamo esseri anfibi, stereofonici, dadaisti organici quel tanto che basta per farci capire dal mondo intero.
    Fellini ha detto che “l’unico vero realista è il visionario”. E noi, da bravi ocaroni, facciamo il possibile per non dargli torto.
    E poi lo sapevi che la Romagna è oramai di fatto la terra di adozione di Eraclito, William Blake, Bunuel, Mozart, Jimi Hendrix, John Coltrane, Leopoardi, Erik Satie, Thoreau, Frank Zappa e Joseph Joubert?
    Chiunque si senta una creatura multipla ed iridescente può chiedere ufficialmente la cittadinanza onoraria, ne ha diritto per decreto regio di sua maestà E Pataca. Scommettiamo che anche questo non lo sapevi?
    Sbucato (chissà come e chissà perchè) da una macchina del tempo, questa storia di Mauro Baldrati è, secondo me, la cronaca precisa e fantasiosa di un qualche cosa accaduto nel 1970, ed è anche, se non mi sbaglio, quanto di più realista ci sia da leggere oggi sul web.
    A me sta già dando le visioni. Buon segno.

  3. Il racconto è sapido, ma la Luigiona mi ricorda un po’ i freaks dell’ultimo romanzo di Ammanniti che, per quanto stancamente cannibale, vincerà sicuramente lo Strega. Ma non voglio farti torto, Baldrati: nel tuo racconto l’umanità si sente, non è solo pittura del grottesco.

  4. A me sembra una commedia del grotesque rappresentata molto bene. L’ho letta con divertimento, ma ci trovo anche una punta di malinconia. Forti i dialettismi che sono perfetti per la nostra terra antica (il racconto è ambientato in tempi antichi no?), da dove vengo anch’io. Quanto alla Luigiona, a me sembra un personaggio di un orrore che mi lascia basito. E’ l’orrore fatto persona, è una maschera che non ha nessun riscatto, descritta senza pietà. Questa è ovviamente la mia personalissima opinione.

  5. Il racconto sembra una didascalia della foto. O quasi una sua storia -o una delle sue storie. La panchina degli incontri, delle attese -sbrecciata, scarabocchiata…; un molo da cui si è tentato di partire diverse volte. La panchina vuota, lasciata vuota perchè ce se ne è allontanati infine per sempre, al di là dei porti delle nebbie che inghiottono le nostre soste… L`intermittance du coeur ce la riporta e la libera -e ci libera- anche nella sua tristezza o melanconia.
    Bel racconto: e trovo l’italianizzazione del dialetto è un tocco raffinato.

  6. Grazie a tutti voi per i commenti.
    Bartolomeo: non dipende solo da me; non solo l’unico attore in questa scena… quando ciò accadrà te ne regalerò uno, o mona in mano. Ex della Via Paal e Cristiana, e anche Lorpat (che mi lascia a bocca aperta coi suoi commenti) e hag reijk (che coglie sempre degli aspetti fondamentali dei testi sui quali interviene) in questo periodo sto cercando di sperimentare una sorta di fusione tra dialetto e italiano, che non concepisco come dialettismo, ma proprio come comunicazione tra le due lingue (e il romagnolo è veramente una seconda lingua). Questa operazione secondo me è particolarmente adatta per i dialoghi, la lingua viva dei personaggi. Valter, non mi fai un torto ricordando Ammanniti, che ha una potenza narrativa enorme; forse vince davvero lo Strega (ho appena ricevuto il comunicato stampa del Premio dove leggo che è primo dei cinque finalisti con 72 voti, contro i 67 di Fortunato, 56 di Matteucci, 47 di Bosio e 39 di Agus); grazie anche per l’aggettivo “sapido” che avevo tradotto “insipido”, poi però sono andato a vedere sul vocabolario di mia figlia e ho letto “saporito” e “scrittore s. – dotato di arguzia sottile e vivace”. Amarcord, alla tua osservazione davvero non so cosa osservare; non è una critica né una difesa, sono propria senza risposta. Infine pisello medio, La Luigiona ti aspetta!

  7. Baldrati, anche se non sono mai intevenuta, volevo dirle che trovo poetici i suoi racconti, il mio muto grazie glielo lascio, di nascosto, ogni volta che mi fermo a sostare sulla sua panchina, ma il sorriso sdentato della luigiona – io la trovo bellissima- non mi riusciva proprio di trattenere e così stavolta, se dà un’occhiata, c’è un altro scippo sulla panchina, scritto grazie

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