A Gamba Tesa /In fondo, a destra…
Come alcuni di voi sanno, la mia traduzione dell’articolo di Céline su Rabelais, era stata pubblicata senza che mi fosse chiesto alcunché, su Libero. A seguito di alcune mie considerazioni sullo scippo mi arrivava la mail del redattore responsabile che, in buonissima fede, mi raccontava la genesi del gesto e la difficoltà a rintracciarmi. Poichè questo accadeva in contemporanea alla discussione aperta da Andrea Inglese sul gesto di Berlusconi – io la penso come Giuliano Mesa quando, qualche giorno fa, mi diceva che Leopardi avrebbe rifiutato quel denaro– avevo chiesto al redattore , Francesco Borgonovo di intervenire.
Lui come promesso mi ha mandato una sua riflessione per Nazione Indiana. Lo ringrazio ribadendo quanto ci siamo scritti nel nostro scambio mail, ovvero che per la mia traduzione non avrei richiesto alcun compenso. Che è un modo come un altro, il mio sicuramente, per essere libero, ma libero veramente.
effeffe
ps
Francesco è mio ospite. Questa è un’occasione di confronto e sicuramente anche di scontro, ma senza colpi sotto la cintura. Mi sono solo permesso alcune velate correzioni e di promettere a breve una replica.
Posizioni
di
Francesco Borgonovo, redazione cultura di Libero
Nei giorni scorsi Francesco Forlani mi ha invitato a prendere posizione sul dibattito riguardante la gestione della cultura nei giornali di destra e di sinistra, scoppiato su Nazione Indiana dopo che Libero, il quotidiano per cui scrivo, ha sostenuto l’appello di Franco D’Intino – docente alla Sapienza di Roma – per la traduzione dello Zibaldone di Leopardi in Inglese.
Casualmente, proprio oggi Repubblica propone (con rimando in prima pagina) un articolo del regista Bernardo Bertolucci, dal titolo Cultura, la parola dimenticata dalla politica. Bertolucci cita una frase di XXXXXX XXXXXXXXXX: Dal governo di centrosinistra vogliamo azioni, fatti concreti, tutto il resto è poesia. E subito dopo spiega che quest’espressione ripropone esemplarmente la mappa elementare del rapporto tra B. e la cultura.
Da un lato gli affari, i valori veri, quel che per lui conta nella vita, dall’altro qualcosa che suona più o meno come un dileggio. Personalmente, credo che quest’atteggiamento sia esso sì emblematico di una postura culturale propria di molta sinistra. Considerare gli avversari politici antropologicamente inferiori, ignoranti, privi di qualsiasi interesse nei confronti dell’arte e della cultura, miopi e spregiudicati.
Quando Libero ha pubblicato l’appello del professor D’Intino (e di Antonio Moresco sul Primo Amore), nessun giornale di destra o di sinistra l’ha rilanciato o ha aderito alla nostra campagna. E quando XXXXXXXXXX ha deciso di finanziare la traduzione donando centomila euro, solo un paio di testate hanno dato in breve la notizia. Il quotidiano Repubblica ha citato Libero in un articolo che parlava di tutt’altro, senza far cenno all’iniziativa di Leopardi, ma facendo riferimento ai due fotomontaggi ironici (XXXXXXXXXX-Napoleone e XXXXXXXXXX Federico Da Montefeltro) che abbiamo messo in pagina.
Bene, forse la dichiarazione sulla poesia sarà stata poco felice (o interpretata faziosamente da Bertolucci), ma sicuramente il XXXXXXXX è stato coerente con la sua linea. Al governo ha chiesto fatti. E con i fatti ha risposto a chi chiedeva una mano per realizzare qualcosa di concreto in ambito culturale. Se XXXXX avesse voluto darci 100mila euro per Leopardi, li avremmo presi più che volentieri. Il problema è che nessuno, tranne XXXXX, si è mosso. Dimenticavo: nessuno tranne XXXXXX e lo studente che ha donato 25 euro depositandoli sul conto corrente aperto da Il primo amore. Bertolucci può dire quel che vuole, ma né lui né il quotidiano che ha pubblicato la sua lettera hanno degnato lo Zibaldone di un’occhiata.
Veniamo alla polemica su Nazione Indiana. Qualcuno se la prende con XXXXXXXXXX, ancora una volta: prevedibile. Lo accusano di aver strumentalizzato la faccenda. Vorrei invitare chi la pensa così a leggersi la lettera del XXXXXXXX pubblicata in prima pagina da Libero qualche giorno fa. Non cè una riga di polemica con gli avversari politici. Mai che XXXXXX dica: guardate come sono bravo mentre il governo se ne frega. Eppure, ne avrebbe avuto tutto il diritto (e sarebbe anche stato dalla parte della ragione). Non solo: avete visto qualche telegiornale che abbia ripreso la notizia? Ore di intervista da Emilio Fede? Opuscoli promozionali di Forza Italia che scrivessero: Abbiamo finanziato Leopardi, quanto siamo bravi. Magari qualcuno in televisione si fosse accorto dell’importanza di un’iniziativa di questo genere.
C’è un secondo punto su cui vorrei intervenire. Molte delle persone che hanno scritto su Nazione Indiana probabilmente non hanno mai sfogliato le pagine culturali di Libero, almeno da un anno e mezzo a questa parte. Se l’avessero fatto, si sarebbero accorti che abbiamo sostenuto tutta una serie di autori più o meno dimenticati, che noi invece consideriamo molto importanti. Guido Morselli, per esempio, René Char, Ernst Kantorowicz e Stepan George, Cristina Campo, Bret Harte, Jack London, lo stesso Céline ( di cui mancano ancora traduzioni importanti) e via dicendo.
Non solo: abbiamo parlato degli autori Beat, tradizionalmente considerati di sinistra. Abbiamo dedicato grande spazio a Bukowski, a John Fante, a Ferlinghetti. Abbiamo recensito e non per denigrarli tanti libri dell’editore Shake. Il nostro responsabile delle pagine culturali, insieme con editorialisti come Alberto Mingardi e altri, da tempo si batte per far conoscere lo stato delle biblioteche, degli archivi storici, dei musei, delle collane importanti come la Ricciardi. Siamo fra i pochi a pubblicare racconti. E non mi riferisco solo agli estratti da libri di successo o da classifica, ma anche a giovani autori come Davide Brullo e Giordano Tedoldi (per non parlare di Andrea Vitali, ormai conosciuto ai più, e dello spazio che abbiamo concesso con piacere ad Antonio Moresco).
Ci siamo battuti contro la dittatura del mercato letterario e delle classifiche, criticando non il mercato in sé, quanto la piaggeria della critica nei confronti di autori molto venduti. Infine, più di una volta abbiamo ripreso il dibattito in corso su Internet. Abbiamo riportato, con qualche correzione, la traduzione che Francesco Forlani ha fatto di un articolo di Céline, spiegando che ci sembrava interessante e che ci trovava perfettamente daccordo. E abbiamo citato più volte sia Forlani che Nazione Indiana. Abbiamo ripreso articoli di Carmilla e di altri siti e riviste. Dico questo a dimostrazione del fatto che noi seguiamo con attenzione ciò che di nuovo e interessante viene dal web e non abbiamo paura a riprendere e citare una cosa che ci piace, indipendentemente dal fatto che sia di destra o di sinistra (postilla: vogliamo novità e siamo ancora fermi a categorie antidiluviane come queste?). Noi vi leggiamo e continueremo a farlo – voi potete dire lo stesso?
Grazie
I commenti a questo post sono chiusi
Tutte quelle XXXX fanno un gran brutto effetto, Forlani, mi ricordano la censura alle lettere dei carcerati.
Post Scriptum: Stepan George è, ovviamente, Stefan George. Trattasi di refuso. E le XXXX stanno a indicare Silvio Berlusconi e, in un caso, Romano Prodi.
Lasciando stare l’effetto grafico delle XXX (che potrebbero pure allietare qualcuno, invece) sono contenta di questo dibattito. Mi sembra che il livello sia quello di persone perbene.
‘abbiamo sostenuto tutta una serie di autori più o meno dimenticati, che noi invece consideriamo molto importanti’
Questo è importante ricordarlo!
le XXX passano in terzo piano…
un bacio a effeffe.
Borgonovo: “Abbiamo riportato, con qualche correzione, la traduzione che Forlani ha fatto di un articolo di Céline, spiegando che ci sembrava interessante e che ci trovava perfettamente daccordo.” Dunque, Forlani aveva presentato qui la sua traduzione come provvisoria, Libero la prende e la corregge… mi ricorda qualcosa…
Forlani: “A seguito di alcune mie considerazioni sullo scippo mi arrivava la mail del redattore responsabile che, in buonissima fede, mi raccontava la genesi del gesto e la difficoltà a rintracciarmi.” ??? Uno fruga nel mio cappotto lasciato appeso all’attaccapanni di un bar e mi scippa il portafoglio: lo prendo per il collo, ma lui in buonissima fede mi dice che l’ha fatto perché tra i tavoli non era riuscito a rintracciarmi !!!
“per la mia traduzione non avrei richiesto alcun compenso. Che è un modo come un altro, il mio sicuramente, per essere libero, ma libero veramente.” Un altro modo è andare a fondo.
Su Leopardi-Berlusconi, qui a NI sotto il post di Moresco comincia a emergere la verità: c’è del marcio in Cassamarca…
Sarà, ma non ho capito chi è Federico da Montefeltro, sempre lui? Non avendo visto il montaggio faccio un po’ di confusione, anche perché il nome di Berlusconi Forlani in apertura lo fa.
Insomma, le X non mi piacciono. E poi alcune sono in neretto, altre no, perciò pensavo che ci fosse una folla.
Per un pò di informazione ‘pulita’ ogni lunedì e giovedì nuova puntata di:
http://www.nonrassegnatastampa.it/
Resto in attesa della replica di Furlen: Francesco vs Francesco:-)
Mi pare utile, oltre che attualissimo, questo tema.
FRANCESCO BORGONOVO
Noi vi leggiamo e continueremo a farlo – voi potete dire lo stesso?
GEO
che simpatico e che spiritoso :-)))
Voi ci (nel senso la rete) leggete aggratis (e prelevate pure non certo a fini no-profit) noi dovremmo invece comprare il giornale :-)
Provate a mettere on line Libero, come fanno Liberazione e il Manifesto e poi potrai rifarci la domanda alla pari :-)
Per ora più che la prima pagina (che non è granchè) non possiamo leggerla aggratis ;-)
La questione che è riemersa attraverso la campagna di Libero per il finanziamento della traduzione di Leopardi non è del tutto nuova. Almeno su NI. In occasione di una replica ad Alfonso Brardinelli, che dalle pagine del Foglio aveva stroncato un dossier sulla poesia francese curato da me e Raos, avevamo sollevato queste domande:
“1) perché qualcuno come Berardinelli (che ha scritto quello che ha scritto, che ha la storia che ha) è finito a scrivere per un quotidiano diretto da Giuliano Ferrara? La variegata stampa di sinistra ha qualche responsabilità in questo?
2) Può un critico separare senza alcuna conseguenza l’universo dei temi cosiddetti “culturali” da quello dei temi cosiddetti “politici”, sostenendo che i due possono vivere in completa e tranquilla indipendenza?
3) Il fatto di collaborare per un quotidiano di cui non si condivide la linea politica non condiziona in nessuno modo ciò che uno, come critico, può scrivere?”
Queste domande riguardano ovviamente sia le pagine culturali dei quotidiani e settimanali di sinistra più letti, sia coloro che, schierati politicamente a sinistra, collaborano regolarmente con giornali di destra. Queste domande, che anche in quest’occasione possiamo riprendere tali e quali, non implicano che chi le pone sia convinto che un giornale di destra sia, per motivi antropologici, incapace di fare delle buone pagine culturali.
Quello che sfugge a Francesco Borgonovo, ma anche a tanti sereni collaboratori di Libero, schierati a sinistra, è che appunto questa separazione tra linea politica del quotidiano e inserto culturale E’ IL PROBLEMA.
D’altra parte, questa separazione tra sfera politica e sfera culturale è tipica di una visione conservatrice della cultura. Mentre tutte le pagine di un quotidiano di destra sostengono punto per punto le politiche economiche e culturali della destra, che incidono sull’organizzazione del lavoro, sulle istituzioni, sul controllo dei mezzi d’informazione, sul mantenimento dei privilegi di classe, ecc., le pagine culturali rappresentano l’oasi felice, in cui anche il più spietato affarista può sedersi e discorrere amabilmente di Morselli o Matisse. La sinistra istituzionale (PCI soprattutto) in Italia ha avuto diversi atteggiamenti nei confronti della cultura. E non tutti condivisibili. Ma di certo, fino ad una cert’epoca, non ha mai pensato alla cultura come il momento di purificazione dello spirito dopo la crudele vita degli affari. In altri termini, non ha mai creduto di poter separare serenamente sfera politica e sfera culturale, considerandole ambiti stagni.
non credo sia possibile vedere la cultura come la purificazione dello spirito, anche perchè la cultura è sempre un qualcosa di impastato e sporcato dai suoi tempi, altrimenti non sarebbe cultura ma ricostruzione liofilizzata a tavolino. Ogni scrittore è come le cozze, assorbe tutto il male del tempo, se i tempi sono orridi anche lo scrittore lo sarà e viceversa, lo scrittore è un filtro depuratore, e tutto lo scporco lo butta nella sua opera, come farebbe un depuratore. Servirà la sua narrazione a depurare le acque in cui vivrà la generazione dopo. Non che questa sia la volontà dello scrittore, certo che no, anzi, altrimenti sarebbe solo uno scrivano e basta.
Detto questo io credo che per uno di sinistra (di una certa età) sia traumatico, se è, o è stato, veramente di sinistra, scrivere su un giornale di destra. Ad esempio Berardinelli ne soffre, ma nello stesso tempo io ritengo (oggi, perchè non ero così sicura nella precedente discussione, anzi) che uno come berardinelli sia vaccinato e abbia abbastanza anticorpi per poter scrivere ovunque dicendo le stesse cose e uscendone uguale. Ritengo inoltre che se lui oggi scrive sul foglio sia una cosa che non fa onore alla stampa di sinistra che potrebbe benissimo prenderselo (se queste cose andassero per meriti) con grande facilità se è vero che al foglio guadagna solo 2000 euro.
Ma lasciamo perdere berardinelli, veniamo invece al problema di un giovanissimo (di sinistra) alle prime armi che scriva su un giornale di destra, io credo che per lui invece la cosa non sia priva di conseguenze, anzi.
Del tutto legittimo farlo ugualmente e nessuno pò storcere il naso con moralismo politico. Del tutto legittimo costruirsi la carriera dove si preferisca, o si guadagni di più, o anche solo perchè è l’unico luogo dove ci permettano di scrivere, ma sappia che non uscirà uguale a prima.
Ad ogni modo, che lo si voglia o meno la pagina culturale è il luogo meno marcato, politicamente, nelle pagine dei gionali, non del tutto neutro certo ma che può permettere, a chi ne abbia gli strumenti, di non essere contagiato del tutto dalla politica del giornale.
In fondo i più grandi intellettuali del dopo gerra avevano scritto tutti su gionali fascisti, anche chi per molto finse di non averlo mai fatto. Se non lo avessero fatto, semplicemente non avrebbero scritto a parte pochissime oasi come solaria e letteratura.
La cosa che invece mi sconvolge un po’, è l’uso dei giornalidi destra che molti politici di estrema sinistra stanno facendo per intervenire, soprattutto per criticare la sinistra di governo. Passi se cossiga scrive su libero e sulla padania, lui NOn è di sinistra e si trova perfettamente a suo agio, e infatti nessuno si stupisce. Ma perchè turigliatto usa il domeicale per farsi intervistare? E perche ferrando solo ieri ha usato il gornale per farsi intervistare? Difficile trovare le stesse scusanti che si possano trovare per chi scrive di letteratura. Il motivo per cui tali giornali danno loro spazio goloso è profondamente e SOLO politiko.
geo
@Inglese
io credo che alcuni patiscano di più certe chiusure un po’ da clan di persone o ambienti che si definiscono e magari anche sono di sinistra.
Se Berardinelli si è trovato di fronte alla scelta di non scrivere affatto o scrivere almeno in modo episodico, o invece di scrivere in un giornale dove Ferrara gli garantiva ogni libertà (e non dubito che gliel’abbia esplicitamente garantita) doveva rinunciare a scrivere?
Scrivere, per un critico, vuol anche dire intervenire su ciò che accade, non solo scrivere libri e perciò vuol scrivere ogni settimana.
Io sono d’accordo con te sul rilievo che fai a Borgonovo se ci riferiamo al passato, ma l’attuale sinistra, che certamente per cultura non considera separate le due sfere, è capace di tenerle vicine ma autonome e libere? O non chiede quella specie di “fedeltà” non tanto alla linea, ma al muoversi compatto e collettivo di un gruppo?
Cioè, è diventata, da sinistra che era, “ambiente”.
E quando parlo di gruppo non lo dico in senso mafioso, ma nel senso di quella immobilità che è calata addosso a gruppi che sono diventati anche da troppo tempo reti amicali, nate per visioni magari comuni, ma che col tempo hanno solo continuato in modo conservativo a interagire tra loro.
La sinistra, parlo della vecchia sinistra culturale, è molto cambiata, a parte poche personalità autonome e anche individualiste, come è sempre stato Berardinelli.
Del resto, e qui divento pragnatica, quali sarebbero i giornali “di sinistra” o almeno neutri? E di quei giornali, si potrebbe approvare senza esitazioni la linea? e se non la si approva, che si fa?
Voglio dire, sarebbe stato meno censurato Beradinelli, qui su NI, se avesse scritto sul Sole24ore?
Io penso che nessuno avrebbe battuto ciglio, considerando per chi sa quale miracoloso abbaglio, il giornale della confindustria come un organo culturalmente privo di linea.
O sul Corriere o sulla Stampa o sulla Repubblica.
E però, di tutti questi giornali, si condivide la linea? O vengono considerati di sinistra solo perchè non appartengono alla cerchia di influenza berlusconiana?
Dunque non si parla più di sinistra, ma di antiberlusconismo, e questo, a mio avviso, è anche il segno che non pensiamo in modo davvero radicale. E se non lo facciamo una ragione ci sarà.
no, pragnatica forse non divento, pragmatica magari sì.
uhmmm, questo dipendente del quotidiano milanese “Schiavo” è convinto di avere un ruolo nella diffusione della cultura. non si accorge che la sua unica funzione è quella della foglia di fico da apporre con gentilezza sul manganello del manganellatore feltri. il dipendente non censura morselli, london, cristina campo, orwell, non manda i loro libri al rogo, forse li legge addirittura, chiaramente senza occuparsi delle biografie degli autori e oscurando il contenuto politico dei testi. il manganellatore feltri, invece, chiuderebbe nei vagoni piombati molti lettori di quegli stessi libri che, coerentemente, sfilano pacificamente nei cortei antiBush. che il gioco sia questo non sorprende, lasciamo credere al dipendente di “Schiavo” di essere “Libero” (anche se io credo più alla logica del “tengo famiglia”, diffusisissima nei giornali, piuttosto che alla buona fede: come potrebbe costui, in questo caso, leggere il resto del giornale, dove scrivono moggi e numerosi giornalisti espulsi per questioni morali da quotidiani più seri, senza vomitare?). il problema è che, nel finale del suo aureo intervento, il dipendente di “Schiavo” definisce destra e sinistra, udite udite, “categorie antidiluviane”. ah, qui cascano l’asino e la foglia! forse è vero che il personale politico della destra e della sinistra confermano quel detto che dice: il più pulito ha la rogna. ma le idee, no. le idee e i sistemi di valore devono stare fuori. consiglio dunque al redattore in questione, prima di scrivere ancora tali corbellerie, di leggersi almeno un po’ di bobbio. dopodichè potrebbe provare a ripetere quello che ha sostenuto, se gli riesce. io lo dico per il suo bene: la definizione suddetta, che egli giudica senza dubbio illuminante, innovativa, una sorta di invito al “volemose bbene”, al siamo tutti uguali (solo quando ci fa comodo siamo diversi, prima di tutto davanti al fisco e alla giustizia), mina infatti alle fondamenta il castelletto mentale che il dipendente di “Schiavo” si è costruito per proteggersi da un comprensibile e crescente senso di frustrazione. ma così non va bene e non fa bene a nessuno. meno di tutti a lui.
a alcor
ti prego di spiegarmi quasta frase che hai scritto: “Voglio dire, sarebbe stato meno censurato Beradinelli, qui su NI, se avesse scritto sul Sole24ore?” Ti ho sempre reputato una persona intelligente. Se adesso mi tiri fuori che che Berardinelli è stato “censurato” su NI, vuol dire che siamo a comunicazione 0 concetti 0 principio di realtà 0, ma ben al di là della tua singola persona. E quindi anch’io è ora che vada ad occuparmi d’altro.
Sul resto, rincollo qui sotto la citazione di Mengaldo che utilizzai già nella replica a Beradinelli:
“Una posizione coerente da parte ‘degli antichi romani’, per usare la spiritosa etichetta di Cases, vorrebbe che non si scrivesse sulla ‘terza pagina’ di un giornale di cui non si condivide affatto la linea politica della prima. Naturalmente così non è stato e non è: quasi tutti, a cominciare dal sottoscritto che non è precisamente un antico romano, abbiamo derogato a quel principio, e non sempre per vile compromesso ma spesso con buoni argomenti ed esiti apprezzabili (ricordo in particolare la collaborazione ‘rivoluzionaria’, ma per questo a un certo punto bloccata, di Fortini al ‘Corriere’); o anche per la semplice coscienza che i padroni del vapore ti lasciano dire ogni cosa sulle pagine culturali, tanto non contano niente: certo purché non si passi, come Fortini con l’invasione statunitense di Grenada, il limite. E questo vale anche in partenza. Sarà difficile ad esempio che nel giornale x, parlando con la dovuta ammirazione dell’ultimo romanzo di Oz o di Yehoshua, io possa attaccare a fondo – e non sarebbe una divagazione – la politica dell’attuale governo israeliano; o forse mi censurerei io per primo, nel timore di essere infamato, per il riflesso pavloviano oggi vigente, come antisemita, macchiando così la mia finora candida fedina.
Non è il caso di insistere con gli aneddoti. Ma è chiaro che le cose sono due e non una. La prima già accennata, è che l’intiepidimento della critica, militante o no, in Italia è connesso con il preoccupante calo del suo tasso di politicità; ma il secondo è che la mala politicità dei giornali (non tutti, per amor del cielo) impedisce che si eserciti su di loro una critica che sia, come deve, anche critica politica.”
(Pier Vincenzo Mengaldo, La critica militante in Italia, oggi, in “L’ospite ingrato”, n°1 / 2004)
censurato berardinelli? dove, come, perchè?.
analizzato e criticato sì, censurato proprio non ricordo.
Così poco censurato da tutti che la più critica sono stata io (e pure ripresa se non censurata) e ora lo adoro e lo posto appena posso, prelevandolo con due dita dal foglio che prima NON aprivo mai :-)
geo
Scusami, Inglese, hai perfettamente ragione, criticato, volevo dire. E’ stato un lapsus.
cen|su|rà|re
2a fig., biasimare: c. un comportamento, una proposta
3 BU rilevare i difetti di un’opera, criticare
D’accordissimo con Dege. Il problema – antidiluviano – è l’origine dei centomila euro…
Me lo ricordo quel commento di Mengaldo, e condivido anche le parole di Cases.
Quel che è cambiato però, [e non lo faccio notare perchè mi piaccia, ma perché se davvero si vuole fare critica bisogna, io credo, vedere anche con lucidità i cambiamenti della società in generale, che non è separata dalla politica, e della società più piccola che è quella culturale] è che la maggiore chiusura degli spazi, le maggiori incertezze sul futuro, le maggiori angustie hanno portato a un timore.
Sì, non saprei come chiamarlo se non timore, un timore di esclusione.
Che stringe anche più strettamente assieme le maglie di quelle reti di sodali di cui parlavo e che portano anche, forse, a quel continuo sghignazzare contro chi “ce l’ha fatta”.
La relativa facilità di trovare spazi, trent’anni fa, faceva sì che non ci fosse questa ansia di non riuscire ad aprire bocca.
Non mitizzo, ma è un dato di fatto che io da giovane, anche se di fatto facevo la stessa vita precaria di molti giovani di adesso, non la vedevo come precaria, avevo, e con me molti altri, la tranquilla incoscienza del futuro, che è stato un grande patrimonio disperso.
Poi sono successe molte cose, su alcune ho le idee abbastanza chiare, altre sono più complesse e non le vedo lucidamente.
Ma certo, tornando all’oggi, credo che un critico ultrasessantenne (quale che sia, non parliamo solo di B.) dopo aver magari subito alcune batoste, si chieda, ma posso parlare, io? e dove?
Cases non era in quella situazione, e neppure Mengaldo. Professori di chiara fama e rappresentanti della generazione felice dell’italia che nasceva, hanno respirato a pieni polmoni.
Ora a pieni polmoni non si respira più.
Perciò fai bene a porre il problema, ma anche, ed era questo il senso del mio commento, bisognerebbe chiedersi come mai c’è oggi questa mescolanza, questa permeabilità, questa nuova spregiudicatezza.
Quest’ansia di non poter parlare, credo, fa sì che si vedano strani assembramenti.
Critichiamoli, ma non attribuiamoli solo alla politica.
Prima di fare una critica politica io farei una critica sociale.
PS
non ti è venuto in mente che potevo aver sbagliato verbo? anche questa reattività, e mi tiro dentro anch’io, è un segno dei tempi, contro chi siamo in guerra?
“tranne XXXXX, si è mosso. Dimenticavo: nessuno tranne XXXXXX ”
scusate ma in questa sequenza c’è un refuso. La versione corretta è
tranne XXXXXX ………..nessuno tranne XXXXXX
di qui credo la convinzione di Alcor che per X plus X si intendessero più persone.
In realtà si tratta di più persone però se consideriamo XXXXXX cui si tolga una X riducendo da sei a cinque le lettere “anonime”si potrebbe pensare ad un’opera di translation, traghettamento da un silvificante verso un altro silvificato (Formalisti russi, pp12-13 ). Il “refuso” nel senso francese di Coque plus Ile sarebbe stato ben più grave se la X mancante fosse stata quella del cognome. Se infatti si trasformasse il nome (e cognome) del celebre dittatore (statista?) italiano ci troveremmo da una parte il nostro, contemporaneo amato, e considerato da Francesco B.
ovvero lo statista (l’emittente?) XXXXXX e XXXXXXXXXX
e quell’altro, preso in considerazione da F.F. XXXXXX e XXXXXXXXX
Di questo ed altro spero scuserete l’umile Postator, l’inseritor, di post, Comunista dandy, effeffe, Furlen, che coglie ivi l’occasione per ringraziare
Francesco Borgonovo.
Per rispondere a Bart vi dirò soltanto che la replica dall’illuminante titolo
precedenza a destra, sorpasso a sinistra, apparirà entro sabato da queste stesse colonne.
effeffe
Ripeto: Alcor NON ha sbagliato verbo, perché un’accezione comune di censurare è proprio criticare. Rinsavisca dunque, previo vocabolario, e Inglese si scusi ammettendo l’ignoranza dello stesso.
“Cases e Mengaldo hanno respirato a pieni polmoni. Ora a pieni polmoni non si respira più.” Se è così, ci vuole il Foglio (della mutua e magari un sanatorio).
Sono d’accordo con Domina e Degé: C’E’ DEL MARCIO IN CASSAMARCA (la puzza si espande dal post leopardesco di Moresco, e Inglese non fa niente per…)
@carlo
Tu hai ragione, ma ha ragione anche Inglese, perché la lingua dei commenti non è la lingua italiana tout court.
La scelta del verbo, fuori contesto e fuori mimica, deve rispondere a una minore elasticità semantica e a una maggiore riconoscibilità, e lo impone la fretta.
Ogni spostamento dalla medietà e riconoscibilità immediata può essere intesa come un attacco.
E chi poteva capirlo che lo chiamavi per nome?
Io non ho con lui tutta questa familiarità:–)
[Ho aggiunto l’emoticon perché non vorrei…]
Arrghhh, quello sopra per Forlani.
Arrghh, Forlani per quello sopra
a alcor
la mia reattività è stata proporzionale al credito che attribuisco ai tuoi commenti
quanto poi aggiungi sulle difese di corporazione interne alla sinistra, è tristemente condivisibile, ma credo che cio’ appaia ben più gravemente sul piano strettamente politico;
@inglès
dal de mauro on line, censurare significa anche “biasimare: c. un comportamento, una proposta”.
io così ne avevo inteso l’uso nel commento di alcor.
dunque la tua reazione verso alcor, che non doveva affatto scusarsi, era sbagliata.
quindi calma.
m’è sparito un commento.
Libero mi fa politicamente, culturalmente, eticamente, schifo.
anche il Foglio è di destra, ma è altra cosa.
ci sono molti modi di fare i giornalisti, di essere di destra, di tenere per una parte politica.
la discriminante non passa per l’essere o no di destra, ma nel modo in cui si fa il proprio mestiere.
possono pubblicare tutto il céline che vogliono, secchiate di jack london, possono allegare Stato e rivoluzione di Lenin a dispense.
possono farcire il giornale di inestimabili perle di cultura, ma sempre dentro le pagine di Libero si troveranno, sempre il giornale Libero bisognerà comprare, per leggerle.
la stessa cosa vale per i soldi di Berlusconi: sempre di Berlusconi sono e non è vero che pecunia non olet.
se gli inglesi non possono leggere lo zibaldone, resta un problema degli inglesi: loro almeno ragionano così, rispetto ai loro autori.
credo abbiano ragione: se lo zibaldone non viene tradotto non è per colpa di leopardi, ma è per il peso leggerissimo della cultura cui appartiene quel testo e questo non per la scarsa qualità di quella cultura, ma per il complessivo ruolo storico giocato dal Paese negli ultimi due secoli.
cioè per colpa nostra, in fondo.
Sottoscrivo Tashtego.
Ho scritto uor ora ad un amico traduttore e poeta Jean Charles Vegliante per avere lumi sulla traduzione francese dello Zibaldone, curata da
Bertrand Schefer, di cui riporto qui una bella intervista. Vi fornirò la traduzione a condizione che mi sia pagata 32 franchi svizzeri a cartella.
effeffe
Édition. Le Zibaldone de Leopardi enfin traduit.
Le texte sauvage inconnu des Français
ou
Aliéné à son propre texte.
Le Zibaldone était le dernier grand chef-d’ouvre de la littérature italienne à ne pas avoir été traduit en français. Bertrand Schefer a tenté l’aventure, au prix d’un travail acharné de cinq ans. Le résultat, c’est un objet hors normes, un texte de 2 400 pages où s’expose une pensée en train de s’accoucher elle-même.
Le Zibaldone, c’est, selon son traducteur, ” la chambre noire de l’esprit “. le désordre, l’obscurité où les idées se révèlent et se fixent dans leur mouvement même. Le terme même, qui a donné en français le mot de sabayon, renvoie au mélange, au chaos. Il n’obéit à aucun plan, ne raconte aucune vie, mais, dit Bertrand Schefer, ” tourne autour d’un axe (…), celui de la constance d’un certain usage de la langue, tenue de vérifier à chaque instant la validité du discours “.
Le Zibaldone, ainsi que l’a dénommé Leopardi, n’était pas destiné à être publié. Quelle était la fonction de ce texte ?
Bertrand Schefer. C’est assez mystérieux. Leopardi n’en a rien dit, et c’est le texte qu’il faut interroger. Il ne dit pas ” je suis en train d’écrire un journal qui me permet de… ” Ce n’est pas un journal au sens où ne s’y trouvent pas consignés d’événements, ou très peu, et en plus ils ne sont pas rapportés au jour le jour. C’est par un jeu de déduction qu’on peut reconstituer que tout ce qu’il dit là c’est la matière première, au sens strict du terme, de sa pensée. C’est aussi le matériau de son ouvre philologique, puisqu’il était engagé professionnellement dans cette discipline, et évidemment de sa poésie. C’est une espèce de texte de réserve, de premier jet constant, qui se reprend lui-même, et d’où émergeront plus tard dans sa carrière des moments de composition stricts qui donneront des livres.
Est-ce un anachronisme de penser à l’ouvre en progrès au sens que lui donnait James Joyce ?
Bertrand Schefer. Je ne pense pas que c’est anachronique, mais c’est le premier ” work in progress ” du genre. On peut y penser parce que l’une des règles que se fixe l’auteur est celle de ne pas revenir en arrière, de ne pas raturer. Donc, pour améliorer, il répète, reprend, précise, épure son idée. On la voit ainsi progresser jusqu’à la forme voulue.
Pour les Français qui ne l’avaient pas lu, on avait tendance à considérer Leopardi, en plus de sa renommée de poète, comme une sorte de Pascal ou de Montaigne, un essayiste ou un moraliste…
Bertrand Schefer. Pas du tout. Le Zibaldone est un texte sauvage, qui n’a jamais été considéré comme une ouvre par son auteur.
Qu’est-ce que ce texte représente pour les Italiens ? Il a été connu avec cent ans d’avance sur nous…
Bertrand Schefer. Et cent ans de retard sur l’auteur, puisqu’il n’a été édité qu’en 1998, pour le centenaire de sa mort. À cette époque, ils ont découvert un autre Leopardi. En Italie même, il a une double carrière. C’est LE grand poète italien qu’on appelait le dernier des anciens parce qu’il avait un savoir hallucinant sur la poésie grecque et latine, et qu’on considère maintenant comme le premier des modernes. Au début, les Italiens se sont penchés sur sa philosophie. Les choses évoluant, les recherches linguistiques se développant, et explosant avec le structuralisme, on s’est mis à relire ce texte et on a vu qu’il annonçait tout cela cent ou cent cinquante ans à l’avance. On s’est concentré sur la forme même, sur le texte, même dans son état d’inachèvement, et on a donné très récemment de nouvelles éditions critiques.
Dans quelles circonstances cette ouvre a-t-elle été écrite ?
Bertrand Schefer. Il a commencé un peu avant le moment ou il quitte le palais de son père à Recanati, et il arrête au moment ou il le quitte définitivement. Il y a toutes proportions gardées un côté Rimbaud dans cette décision, et de partir, et d’arrêter d’écrire. Il part, il s’exile, descend dans le sud de l’Italie et va mourir à Naples qui est à cette époque une ville très malsaine, rongée par le choléra.
Ce qui est intéressant c’est le moment où il découvre la poésie, et plus généralement la littérature du romantisme, qui pour lui s’incarne en Madame de Staël…
Bertrand Schefer. C’est très bizarre. Il déteste les romantiques, en particulier les romantiques italiens. Il n’aime guère Byron, pas plus que Chateaubriand, mais il voue un culte à Germaine de Staël, particulièrement Corinne, dans laquelle il s’est reconnu. Cependant, il défend un idéal néoclassique en contradiction avec l’esprit du temps. D’un point de vue politique, il est pour une sorte de monarchie éclairée. Mais cela n’en fait pas un réactionnaire, il est assez libéral, opposé aux Bourbons de Naples, à la souveraineté du pape. Napoléon est pour lui un tyran, même s’il est fasciné par la modernité et la rationalité de l’État napoléonien. La mort de Napoléon c’est la mort de la poésie, et son héritage l’arrivée de la prose.
Il est d’un pessimisme radical qui n’est pas l’esprit de son époque…
Bertrand Schefer. Non, c’est là encore un trait très personnel, qui anticipe sur les philosophies qui apparaîtront cinquante ans plus tard, celles de Nietzsche ou de Schopenhauer, et même dans certaines analyses celles de Kierkegaard. Il formule d’ailleurs assez précisément ce qui deviendra plus tard l’existentialisme : ” Il n’existe ni forme ni être ni idée, tout est postérieur à l’existence. ” Il frise le nihilisme, je pense à un fragment qui commence par ” Tout est mal “.
Le fait que la langue soit le ciment de l’ouvrage met au centre l’idée de la communication, du sens, de la vérité…
Bertrand Schefer. Pour lui, le sens tel qu’il est véhiculé par le langage est le dernier refuge de la vérité qui a été perdue en métaphysique après la fin du rationalisme classique, celle des ” idées innées “, des grands principes cassés progressivement par les philosophes des lumières. Devant ce néant, il reste l’élaboration d’un sens à partir de la langue, par laquelle on remonte à une réalité naturelle.
Ce livre est-il lisible ?
Bertrand Schefer. Oui. Leopardi lui-même avait constitué à cette fin six index, chronologiques, de noms, de thèmes, et même de pensées. C’est d’ailleurs en fonction de ceux-là qu’ont été faits les livres d’extraits sous lesquels a été d’ailleurs connu le texte. Lisible, il l’est, tout le temps, par n’importe quel bout.
Propos recueillis par Alain Nicolas
Giacomo Leopardi, le Zibaldone, traduction de l’italien et présenté par Bertrand Schefer
Édition Allia ; 2 400 pages, 40 euros.
Bertrand Schefer fera une présentation et une lecture d’extrait du Zibaldone le jeudi 18 décembre 2003 à partir de 19 heures. Librairie Michèle Ignazi 17, rue de Jouy 75004 Paris (01 42 71 17 00).
Inglese faceva riferimento al primo e più diffuso dei significati leggibili nel De Mauro (censurato, tra l’altro, da Carlo) e Alcor l’ha compreso ed ha preferito rettificare per una migliore interpretazione, nel contesto, del testo:
cen|su|rà|re
v.tr.
CO
1 sottoporre a censura, spec. eliminando ciò che non è conforme alle regole vigenti o alla pubblica morale: c. un film, un libro, una lettera.
Carlo è l’anagramma di Alcor
xxxxx è l’anagramma di xxxxx
Biondillo è anagramma di LLoBuondì
quasi anagramma
effeffe
magari a qualcuno interessa leggersi la lettere alla repubblica di bertolucci citato da borgonovo eccola
Bernardo Bertolucci, Cultura la parola dimenticata dalla politica, Repubblica 11 giugno 2007
Oggi c’è un articolo di Paolo D’Agostini Dopo la lettera di Bernardo Bertolucci a “Repubblica” su politica e cultura LaRepubblica 12 giugno 2007
geo
scusate il primo link allalettera non funziona, eccolo
“Sempre il giornale Libero bisognerà comprare, per leggerle”. Comprare è una parola grossa. Io lo trovo ogni mattina all’entrata del metro (cataste di copie sacrificate).
Da buon, com’era?, “cattolico di destra”, inviterei il nipotino di Melville a dare una scorsa anche al manifesto, o all’unità, prima che chiuda. Grosso modo stiamo là.
Tutto questo dovrebbe essere un vantaggio, ma ancora non ce ne rendiamo conto.
Ecco, vedo l’intervista a Schefer, UN traduttore, come dev’essere, e non una squadra di fanciulli.
No, non è una squadra, dice un gruppo, ma poi fa due nomi, spero di non essere OT, ma mi sono appassionata.
Sono andata a cercare i libri del professor D’Intino e degli altri, ho letto gli appelli, e pur nella mia grandissima diffidenza per internet, che dà sempre immagini falsate, mi resta un retrogusto da strapaese accademico inter-nazionale.
Siamo sicuri che sarà un buon lavoro?
Perché farlo tanto per farlo non porterà niente né a Leopardi, né agli inglesi né alla cultura italiana.
Salvo l’etichetta, ovviamente, come troppe volte, e poi il macero.
@ rocla
sì, ma “il n’a été édité qu’en 1998” | leggi “1898”
e quanto ai pieni polmoni,
http://www.editions-verdier.fr/banquet/auteurs/leopardi.htm
@ carlo
Quanti segnali che stimolano il mio lato Dupin:–))
“Vi fornirò la traduzione a condizione che mi sia pagata 32 franchi svizzeri a cartella.”
Lancio una proposta di sottoscrizione per cominciare a raccogliere fondi.
@Francesco Sasso, beh mi sembra il POSTo giusto, visto che sicuramente borgonovo ci darà ascolto e pagherà lui la traduzione, magari a risarcimento di quella scippata;-)
@Alcor tu spesso sei intelligente e ti stimo, però secondo me stavolta sei ingiusta e oserei dire anche un tantino supponente. Perchè chiamarla “una squadra di fanciulli”? Cosa hai contro i fanciulli? Nel passato quelli che oggi chiami *grandi* sono stati “fanciulli” ed erano già bravini, perchè oggi non potrebbe accadere. Perchè l’intera generazione mondiale che è venuta dopo deve essere composta solo di fanciulli dementi che NON possono, ma soprattutto non devono fare nulla, quasi come se l’essere nati dopo volesse dire essere stati invalidati dai tempi? Io non nego l’esistenza di una caterva di incompetenti (ne sono sempre esistiti) ma perchè darlo per scontato come pre-giudizio senza neppure leggerne una pagina di traduzione?
E perchè fanciull inglesi (dove le università ancora funzionano abbastanza bene), dovrebber essere come quelli che escono dalle nostre disastrate?
Io conosco “fanciulli” inglesi in grado di tradurre brillantemente dall’italiano anche testi difficoltosi e soprattutto molto meglio di italiani dall’inglese
E poi perchè andare, come dei questurini, a far le pulci alla casa editrice … è stata vicina a rumor? e allora?
chissenefrega se pubblica lo zibaldone!, tanto non credo che potranno fare di leopardi un democristiano golpista. Se invece la traduzione sarà fatta male è, lo ammmetto, un vero problema (che non riguarderà la casa editrice) perchè allora sarebbe meglio lasciarlo intradotto, però non diamolo per scontato con simile protervia semmai pretendiamo che la traduzione sia pubblica e al vaglio dei leopardiani italiani (sperando che conoscano a sufficienza l’inglese).
Due link che mi ha fornito Gabriella:
Il Leopardi Centre.
E QUI notizie in iataliano
I tempi sono quello che sono e lo sappiamo, ma non per questo dobbiamo fermarci e chiuderci in un bozzolo senza far niente, o limitarci a distruggere e criticare (del resto ottimo esercizio se non serve solo a mettere i bastoni fra le ruote per non farle mai girare). del resto i *grandi* traduttori inglesi dall’italiano del passato Leopardi non lo hanno tradotto, un motivo ci sarà, e se oggi il centro leopardi inizia l’impresa perchè criticarlo, solo perchè l presidente è D’Intino (che io non conosco)? i presidenti di solito sono solo degli ammnistratori e coordinatori non certo i traduttori.
geo
Tashtego, scrivi: “la stessa cosa vale per i soldi di Berlusconi: sempre di Berlusconi sono e non è vero che pecunia non olet.”
E come potrei non essere d’accordo. Bravo, bravo.
Ma sei d’accordo anche tu vero?
Blackjack
Non do niente per scontato, mi interrogo.
Tu mi stimerai anche, ma mi dai, nell’ordine:
della supponente
del questurino
della proterva
mi chiedo come definisci quelli che non stimi.
:-)
in realtà quelli che stimo sono pochi.
Ho detto di stimarti spesso e NON per tutte le cose che scrivi, questa era una della cose NON stimate :-).
Nella realtà capita di conoscere le persone globalmente totalmente e quindi stimarle, o meno, in generale e sempre.
Nella rete non puoi che appigliarti a quello che gli altri scrivono, può capitare dunque di trovarti a stimare unapersona per un commento, per un post e poi trovarla supponente in un altro.
Questurino non mi sembra fosse indirizzato a te, semmai a carlo o comunque a chi stava facendo delle pulci *da questurino* a tutta l’iniziativa :-)
geo
L’epiteto “questurino” non mi si confà: semplicemente, sono un sottoscrittore, che tra i suoi diritti ha quello di conoscere bilanci ecc.
(e in ogni caso le “pulci” le faccio saltare al posto giusto, il post Inglese Leopardi Moresco, non qui)
L’autore che in primis parla di categorie antidiluviane e lamenta il manicheismo ideologico dovrebbe solo guardare il giornale per cui scrive, nient’altro.
Credo che il nodo di tanti dibattiti di Libero sia l’affanno latente per trovare qualcosa da dire, anche con sproloqui poetici e censure preventive. E comunque bastano poche righe per intuire la rotta, scontata il più di volte come in molta editoria partigiana.
(Viva i finanziamenti dello Stato ai giornali, viva i bilanci dei giornali che fatturano le copie gratis alle fermata della metropolitana)
in realtà quelli che georgia stima sono pochi.
dunque non facciamoci illusioni.
può darsi che ci stimi, ma è più probabile che no.
rassegnamoci.
Ancora una volta Leopardi è stato l’ospite più prestigioso dello stand delle Edizioni Allia al Salone del Libro di Parigi dal 23al 27 marzo [2007]. Ce lo ricordiamo Gérard Bérréby, questo dinamico editore francese di origine tunisina, al suo primo esordio al Salone 12 anni fa. Aveva appena edito i Pensieri e le Operette morali di Leopardi, e nel suo piccolo stand presentava la sua collezione di testi di saggistica e di filosofia, scelti per la loro qualità e originalità al di fuori di ogni moda. Oggi i titoli di Leopardi e su Leopardi sono 21, e il piccolo stand è diventato un grande spazio bene attrezzato e pieno di visitatori, accanto a quello di Gallimard. Poco tempo quindi per una lunga intervista ma quanto basta perché Bérréby dica la sua riconoscenza a Franco Foschi [direttore del Centro Studi leopardiani di Recanati], che ha creduto in lui e gli ha consentito di arrivare alla prima traduzione integrale dello Zibaldone. I riconoscimenti dell’importanza di questa opera e della qualità della traduzione sono unanimi. Recentemente Jean Starobinski, in una lettera congiunta al traduttore Bertrand Schefer e a Enrico Capodaglio, che gliene ha inviato una copia, ha definito la traduzione splendida.
Donatella Donati
Cette traduction intégrale du « Zibaldone », Gérard Berréby l’avait en tête depuis les débuts de la maison Allia. Rendue possible grâce à la rencontre de Bertrand Schefer. Tout a commencé en 1998 lorsque ce dernier, avec le soutien d’une de ses amies (qui faisait alors une thèse sur Leopardi), a compilé et traduit pour Allia un recueil d’extraits du « Zibaldone », sous le titre de « Tout est rien ». Expérience suffisamment concluante pour que Gérard Berréby propose aux deux traducteurs de se lancer dans la traduction intégrale des 4 526 feuillets autographes. Philosophe de formation, spécialisé dans l’histoire de la Renaissance italienne, Bertrand Schefer est aussi de formation classique (helléniste et latiniste), ce qui s’avère indispensable pour traduire Leopardi dont sont légion les inserts, au cours du texte, de fragments en grec ou latin. Il accepte dans un premier temps de se lancer dans ce projet en collaboration avec la co-traductrice de « Tout est rien ». Qui se retire rapidement du projet de telle sorte que cette aventure devient dès lors celle du seul Bertrand Schefer. Il y travaille désormais d’arrache-pied, huit heures par jour, et investit une année et demie durant la langue de Leopardi, très complexe. Mais des restrictions de budget entraînent l’interruption brutale du travail, pourtant arrivé à mi-chemin. Travail qui semble perdu. Pendant deux ans, le projet est suspendu. Finalement, Gérard Berréby relance Bertrand Schefer. En dépit des difficultés et des tensions inhérentes à cette situation, le traducteur s’attèle à nouveau à son travail. Plus solitaire que jamais, il s’exile dans les Pyrénées.
Fin 2002, le travail de traduction est terminé. D’un point de vue technique du moins. Reste encore l’affinage, le travail de relecture et de corrections. Une année supplémentaire de travail, très importante pour le traducteur. Au cours de laquelle il se réapproprie le style de l’auteur. Avec la réécriture de ce texte labyrinthique, Bertrand Schefer découvre l’œuvre dans sa globalité. En définitive, la longue interruption qu’aura connue son travail aura été un bienfait. Elle a permis une mise à distance du texte et sa plus grande visibilité.
http://www.zazieweb.fr/site/page.php?page=html/magazine/zibaldone2/index.html
In rete ho visto che Schefer ha partecipato 3 anni fa a una tavola rotonda parigina con Andrea Raos. Raos, lui stesso traduttore, potrebbe saperne di più sulle condizioni economiche alla base della traduzione francese.
@ carlo
in riferimento al punto in cui dici, sotto l’altro post, che il fatto che i traduttori siano più d’uno è inessenziale, ri-cito quello che hai riportato
“I riconoscimenti dell’importanza di questa opera e della qualità della traduzione sono unanimi. Recentemente Jean Starobinski, in una lettera congiunta al traduttore Bertrand Schefer e a Enrico Capodaglio, che gliene ha inviato una copia, ha definito la traduzione splendida.”
Tu davvero pensi che se l’opera fosse stata fatta a più mani sarebbe stata definita splendida da Starobinski? Corretta, senz’altro, rivista con acribia filologica dal curatore senz’altro, ma un opera di questo livello non può, a mio avviso derivare da un collage di approcci traduttori differenti. Un conto è la doverosa revisione editoriale, un conto è omogeneizzare il lavoro di molti. Le traduzioni eccellenti sono sempre opera di un solo traduttore, lo dice la storia della traduzione, per chi la conosce.
Non ho mai visto traduzioni eccellenti e memorabili di un testo che pur frammentario è un corpus unico, a più mani. Ne escono dignitose traduzioni editoriali. Dignitose, non memorabili. Qua si parla invece di un’impresa che si vuole memorabile. O mi sbaglio?
Certo, potrei venir sorpresa e questa essere la prima volta, ma credo che siano dubbi legittimi, non pignolerie.
Mi rendo conto che il post è su tutt’altro, Forlani, ma ha portato anche a questo rivolo non secondario, secondo me, e che attiene alla qualità di lavoro che si chiede al pubblico di appoggiare economicamente e di cui si dice che la sola destra ha saputo (escluso Moresco e pochi altri) sostenere come merita.
E in qualche modo non è neppure del tutto OT, la destra finanzia, cosa finanzia la destra?
Vorrei fare una piccola chiosa per prevenire accuse sciocche, io non faccio le pulci all’iniziativa per spirito malevolo, ma perché mi piace la qualità, e come possibile sostenitrice (non credo che nell’appello ci sia scritto, tutti possono contribuire esclusa Alcor) vorrei chiedere a D’intino, ma ha pensato bene al problema dei traduttori? Non la mette giù troppo semplice?
D’Intino è un italianista, forse crede che per avere una buona traduzione basti la precisione e si sente di garantirla in prima persona, non è così. Quella garanzia la dà l’eccellenza del traduttore, altrimenti tanto varrebbe (per chi è lento di comprendonio, avviso che questo è un paradosso) usare un programma di traduzione automatica.
– Nel 1998 Schefer traduce con Eva Cantavenera “Tout est rien- anthologie du zibaldone, 285 p., Editeur Allia (5 novembre 1998)
– A inizio 1999 comincia a tradurre lo Zibaldone completo (Eva rinuncia subito), otto ore al giorno per un anno e mezzo.
– A metà 2000 smette per mancanza di fondi.
– A metà 2002 riprende e conclude, isolato sui Pirenei, la prima versione a fine 2002.
– A inizio 2003 procede alla versione finale che conclude a fine estate: Zibaldone, 2396 p., Editeur Allia (26 novembre 2003)
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Tutto sommato (compresa cioè l’antologia iniziale), la trad. dello Zibaldone è costata 4 anni esatti di lavoro a tempo pieno. Schefer, oggi 34nne, non è un docente universitario (dunque non attinge a fondi): mettendolo a stipendio per 2.000 € mensili, la traduzione & cura sarebbe costata all’editore 96.000 €.