di Jacopo Galimberti
Due antenati
Braccia arrossate che ammassano il letame, ma sono lasciate a pascolo
per gli insetti. Braccia ricchissime, che mescolano malta e latte,
che castrano il gallo che inalano il catrame, braccia con la rivoltella e il chiodo
che dilania il cranio del maiale. Braccia che hanno perso un dito nella fresatrice,
intirizzite, ricchissime, all'alba bevono
caffè e uovo.
La biscia è schizzata in aria trebbiata insieme al grano. Il toro frisone è malato
(anche questa notte lo farà scendere dal letto alle tre). Un topolino terrorizzato
dal muggito saetta nell'androne acceso.
A fine mese ha il colpo in canna sotto la camicia bianca. Scende in città
a ritirare la paga degli uomini dell'azienda. La sera il colpo in canna
è nel comodino, i carabinieri più vicini sono a sei chilometri.
I frutti del lavoro, la pazienza, la fatica dei sacrifici, il premio del lavoro,
le soddisfazioni solo dopo tanta pazienza, i risultati di tanta fatica, la serietà,
la bellezza di fare, di lavorare,
di lavorare.
Schiena sotto la doccia che, all'alba, ripassa gli appuntamenti. Schiena ricchissima,
che ascolta lo scroscio delle prime saracinesche, che si lava via il fritto della cena
coi colleghi, che deve chiamare l'assicurazione, che si stende ancora e aspetta,
a occhi aperti, le sei e cinquanta (dovrà parlare poi con lei per la bega delle assunzioni).
Schiena che si fa un'altra doccia, che accende una sigaretta,
che si scotta col caffè. Ricchissima, che è certa che non si metteranno a farle causa.
Ventiquattrore in pugno nella torre vitrea, è salutato, riconosciuto, lo nausea
la moquette, l'odore di detersivo. L'ascensore, lo prende, sale.
La camicia bianca, l'ha ritirata ieri, è già sporca, sale. Arriva quasi all'ultimo piano.
E' salutato, stimato, scruta la cordialità di chi ne condivide le ambizioni,
di chi lo sfida.
L'ambizione, la coerenza, l'eccellenza sempre, la determinazione di chi porta avanti
il proprio lavoro, il proprio pensiero, la coerenza di chi persevera, i risultati del lavoro
di chi non perde tempo, di chi ci pensa per tempo, di chi ha capito il proprio tempo
e sale.
*
Il lavoro
Adesso accendo la luce e faccio la doccia.
Fintanto che c’è. Mi accendo persino la stufetta.
Poi scendo dal cinese a lasciargli i maglioni,
sarà un mattino terso.
Andrò a vedere ai cantieri, se hanno bisogno,
mi hanno detto che cercavano. Sembro più vecchio di quello che sono forse.
Questo è certo, l’attesa segna. La colazione, al bar. Il cameriere
con il ghigno correrà tra i tavoli, io farò sempre attenzione
alle solite pagine degli annunci. Poi faccio la spesa.
Se è bello vado al parco a vedere i cigni. Magari mi fumo un sigaro.
Per le telefonate al parco c’è la cabina. Io dico che prima o poi
arriverà una lettera, credere al destino non logora mai.
Il destino di questa casa, mi copre, ma non sa quanto mi costa.
Questo soffitto bianco è la pace raggiunta, le formiche irretite
nel loro tran tran, le spugne erano animali che respiravano?
La luce l’ho accesa, ora alzarsi, fare la doccia.
Tutto intorno gli amici sottratti alle cure terrene:
la bici sul balcone, le maniglie consunte, la stessa
pattumiera, gli interruttori
nella loro mandorla di nume domestico.
Solo che non hanno una figlia loro.
Smetterla di cercare lavoro,
spegnere la luce.
*
I due lavori
Il grande architetto si regalerà una pausa. Le mani ai bagagli
il facchino li sposta fisicamente fin dentro all'ascensore.
Il grande architetto avrà la piega dei pantaloni verticale alla terra
che lo slancia, la guancia rosa, i pugni senza traccia di presa,
le unghie non saranno listate né da sporco
né da pelle che se ne va.
I bagagli ora. Bisogna farli risalire fino all'ultimo piano, il consunto
facchino si frega la fronte sudata con la manica,
fortuna è ancora bassa stagione, comanda al marchingegno
di sollevare il Signore e tutto il resto del carico
fino all'ultimo piano. Lasciati entrare i bagagli il grande architetto
attuerà la prassi di calare una mancia nella mano abbronzata
del gentile uomo dell'hotel. Gli chiederà cortesemente di riferire
che desidera mangiare in camera,
rivelandogli così di essere solcato da acquitrini,
burroni, crateri che si sgretolano.
Dopo cena l'uomo, nell'ampia stanza, scivola verso le tende,
le scosta. Si affaccia al balcone, appena sotto il cielo. Lì si sente
crepare il respiro, ha dinanzi a sé il gigantesco ghiacciaio perenne
azzurrato dalla luna e il cielo delle stelle fisse
da cui sa di discendere.
/
(foto di A Inglese)
-L’attesa segna –
e la verità chiusa in questi versi grida
tutta la sua determinazione…
La sera è un bene grande che ci abbraccia.
grazie di queste poesie che senza “piume e nuvole” hanno nella concretezza dei termini una loro ruvida e diretta e non meno poetica incisività.
[caro Andrea ORA E SEMPRE <PRE> :)
se vuoi c’è anche il modo di rimettere il carattere del blog al posto del monospazio Courier New… e cambiare le dimensioni, ma è bello anche così, ricorda le vecchie care macchine da scrivere.]
13:17
Ginevra FLIC!
“Sembro più vecchio di quello che sono forse.
Questo è certo, l’attesa segna.”
Bel testo.
Marco
Ciao Jacopo,
rileggo con piacere qualcosa di tuo, soprattutto il lavoro mi è piaciuto.
Oramai il lavoro è uno dei frutti più velenosi offerti “generosamente” da questo tempo…
Lunga vita al “pre”
mi sembrano pezzi molto belli.
tuttavia sono perplesso, non capisco la necessità della forma versificata.
fatico a capire il perché degli a capo.
@ Giorgio Mascitelli
Per una pura coincidenza altri miei testi sono disponibili sul Blog “la poesia e lo spirito” postati domenica, spero di dirti cosa che ti faccia piacere.
@ Gianluca Parravicini
Andrea Inglese leggendo mi disse, bisognerebbe scrivere sul nuovo lavoro. Il tuo commento mi sembra in qualche misura affine. Se ho ben capito la tua osservazione ti rispondo che sono d’accordo, in queste poesie non si affrontano alcune delle questioni poste dal “nuovo lavoro”. Tuttavia l’urgenza di affrontare certe tematiche l’ avverto.
@Tash
Hai centrato in pieno uno dei rovelli formali di questi ultimi mesi, il famoso ” a capo”. Nei pezzi (come dici tu) piu’ recenti mi sto misurando con questa delicata questione.
Le cose che scrivo sono fatte per essere lette ad alta voce. Gli a capo sono un aiuto alla lettura, come le virgole i punti etc…uno puo’ leggere queste come gli pare, ma se si vuole leggere ad alta voce io do un indicazione di lettura (che puo’ essere a sua volta variamente interpretata, ben inteso).
Gli a capo non sono li a dire “sono una poesia, esigo deferenza, raccoglimento, un pizzico di oppiacei, una musa”.
@jacopo
li ho definiti “pezzi” perché non sapevo quale termine usare, spero non ti dispiaccia.
mi piace che la tua poesia stia dentro il tema centrale dell'”essere nel lavoro”.
Forse proprio nella scelta “inspiegata” di usare il verso si capisce l’essenza di questo “poeta” o “scrittore” o come meglio si vuole definire. In realta io trovo il tutto molto artificioso, come se si volesse sforzare a tutti i costi di colpire, cosa che si nota tra l’altro anche dalla ricerca accurata del termine che colpisca.
Risultato: il tutto mi sembra freddo e sinceramente ho letto racconti e prose di giovanissimi scrittori che hanno colto in maniera molto piu’ forte questa “poetica struggente” del quotidiano utilizzando anche una scrittura molto meno ricercata.
non la “poetica struggente” del quotidiano, qui, ma appunto la registrazione impersonale degli automatismi psico-fisici indotti dalle necessità del lavoro, necessità di trovarsi un lavoro, necessità di credere nel proprio lavoro, nei frutti del lavoro, nei sacrifici che verranno premiati -(e sempre riservarsi un colpo in canna!)- necessità di crederci prerogativa tanto del lavoro agricolo che di quello d’ufficio, con annessi i requisiti di ambizione, forte motivazione, modello di competitività… -aberrante, veramente aberrante, tanto più se all’absurdum di un sacrificio totale di sé, del proprio corpo, dei propri pensieri, d’una volontà autonoma, si aggiunge quella patina di artificiosa confidenzialità, che circonda l’ambientino, il pettegolezzo, lo sgambetto, il fregarsi a turno… come quegli odiosissimi operatori telefonici che insieme alle promozioni ti svendono un tu, un nome proprio, affettando un’intimità tutta gratuita, entrare in confidenza, ottenere la fiducia, e tutta la psicologia applicata alle dinamiche del mercato, e porcheria varia.
Brainwashing che non spetta solo al consumatore, ma anche al lavoratore, come la filastrocca da ripetersi a memoria alla fine del primo componimento: “l’ambizione, la coerenza, l’eccellenza sempre, la determinazione…” tutto questo inferno solo per raggiungere la pace di quel bianco del soffitto, un tetto che ricopra e che ” non sa quanto mi costi” o quella di chi rinuncia a quel soffitto, accettando di “essere solcato da acquitrini, burroni, crateri che si sgretolano” pur di scostare le tende la sera e trovarci una luna di ghiaccio.
Veramente molto belli. Avevo già letto qualcosa sui quaderni di Cepollaro, ma questa selezione mi ha colpito maggiormente. Complimenti all’autore!
vorrei solo obiettare che i “grandi architetti” viaggiano con uno zainetto, di solito.
vedere per credere.
A Maria(valente)..credo sia facile anche per te riempirsi la bocca di belle parole e frasi toccanti riguardo il mondo del lavoro…ti ricordo che ad esempio gli operatori telefonici a qui ti riferisci sono quelli che si recano al lavoro col voltastomaco, che prendono 300 telefonate al giorno, che sono sotto pagati, che vengono lasciati a casa da un giorno all’altro e che hanno dietro di loro dei supervisor che gli urlano di stringere le telefonate! E magari hanno anche studiato e si sono fatti il culo per fare qualcosa di diverso o hanno bisogno di soldi per poter fare nella loro vita qualcosa di meglio! Siamo tutti sulla stessa barca e credo sia necessario affrontare tutto con un po’ di positivita e’ voglia di vivere..senza tutte ste tragedie!!
ok, tralasciando il fatto che io devo avere qualche problema serio col telefono- che tra l’altro qui non c’entra niente- tutto il resto che ho detto cos’era se non che siamo tutti sulla stessa barca? Mi stupisco sempre di più del fatto che qualcuno, ogni volta, attribuisca alle mie parole un significato diverso, comincio seriamente a credere di avere un problema grave di comunicazione e non solo telefonica, a questo punto.
Detto questo, non ho capito da quale cilindro dovrebbe saltar fuori la mia gioia di vivere per far contento lei, io mi sono limitata a contestare la sua definizione di “poetica struggente”, a proposito dei testi, al contrario, lei si è dimostrato quanto meno indelicato ad attribuirmi “tutte ‘ste tragedie”, mi scusi ma le chiederei come ad uno di quegli affabili amici del telefono, ma noi due, per caso, ci conosciamo?
@Maria (valente)..scusami ma dal momento che hai contestato le mie parole mi sono permesso di contestare le tue, comunque le mie “critiche” erano sempre dirette al lavoro del nostro “poeta”. Dicevo che appunto ho letto e visto tante cose su questo tema (libri, spettacoli teatrali..) che ci fanno capire che in qualche modo si, e’ vero, siamo nella merda…pero’ ci si puo’ anche nuotare nella merda alla ricerca di qualcosa di meglio. Mia personalissima opinione. A che servono queste poesie? O le tue parole? A far sentire qualcun’altro ancora peggio una volta che le ha lette? Credo che molti si siano accorti di queste cose e non vedo la necessita’ di farci su’ tutti sti poemi e “pezzi”…E poi per quanto riguarda gli affabili amici del telefono, tu di cosa campi? Mi spiace ma siamo tutti costretti a scendere a compromessi per andare avanti e non penso che l’atteggiamento di nessuno di quelli qui dentro l’abbia capita sta cosa..senza per questo dobbiamo smettere di essere coerenti, qualcuno diceva “la vita e’ un gran teatro”….non credo ci conosciamo..
@Maria(valente)..mi scuso per il finale del mio commento ma l’ho scritto di fretta, sto lavorando..
sicuramente alfonso di mestiere non fa il correttore di bozze. un saluto da andrea barbato a maria parentesi valente parentesi, anche se non ci conosciamo.
@Alfonso
perché “l’ottimismo è il sale della vita = da Trony non ci sono paragoni”
perché il sorriso del Cavaliere è = allo stemma di un partito
perché la felicità a portata di mano & il sole a casa tua è un detersivo per il bucato o un acquisto da effettuare in comode rate mensili
perché la fiducia te la compri dal negoziante
perché la famiglia serve al mulino bianco per continuare a fare i biscotti e un milione e mezzo di persone a Roma, poche settimane fa, chiedeva non brioches, ma “biscotti”
(va bene su quest’ultima mia suggerirei di glissare)
quanto agli obiettivi insiti in una tale modalità poetica (sottolineo a mio modesto parere, che potrebbe non coincidere affatto con quello dell’autore qui esaminato, che nemmeno conosco), ho contestato la tua qualifica di “struggente”, proprio per evitare il malinteso che qualcuno qui mirasse a suscitare in te un sentimento down, manipolando un po’ le parole e un po’ le tue reazioni, perché scattasse il meccanismo “alla ricerca della compensazione”.
La registrazione impersonale non commette invadenza, posso parlare dello stato di cose attuale scattando una foto, dopo sarai tu a decidere che reazione avere, ma essa non sarà stata da me coartata in nessun modo.
Quella che tu hai deciso di avere è stato un rigetto, il mio di buona accoglienza.
Il tuo rigetto si basa su questo assunto: tutti sanno che il mondo è triste, non c’è bisogno che lo dica il poeta che non è nemmeno triste abbastanza, piuttosto freddo, meglio l’hanno detto poeti più tristi, ma dei poeti tristi comunque non sappiam che farcene, un po’ più d’ottimismo, il mondo è un gran teatro, scendere a compromessi, evviva la coerenza!???!!!
@sitting
invece credo proprio che noi due ci conosciamo, anche se dal mio comportamento non sembrerebbe, hai ragione, ho il vizio di scomparire, ti porgo le mie scuse e un abbraccio affettuoso.