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Il letto di Procuste e la Cura Ludovico #6 (e fine)

di Giorgio Vasta

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Con quella a Maurizio Donati, editor della saggistica per la casa editrice Chiarelettere, concludo il ciclo di interviste sull’editing e il sistema editoriale. Per chi fosse interessato alle interviste precedenti, qui la premessa, segue il punto di vista di Paola Gallo, di Giulio Mozzi, di Nicola Lagioia, di Michele Rossi.
Ringrazio tutti gli editor per le loro risposte e tutti coloro che hanno voluto commentare. gv.

Proviamo a partire da una definizione secca: che cosa si intende per editing?

S’intende per editing il lavoro di lettura e revisione di un testo prima che questo arrivi in libreria. Anzitutto credo vada subito fatta una precisazione, ossia va detto che l’editor non si occupa solo di editare un testo. Il suo ruolo e le sue funzioni sono diverse – e solitamente cambiano da casa editrice a casa editrice e da linea editoriale a linea editoriale. L’editor nello specifico segue il libro in tutto il suo sviluppo, e non solo nella sua maturazione letteraria: dalla valutazione iniziale alla grafica di copertina alla comunicazione con chi poi dovrà occuparsi di promuovere il libro, sia dal punto di vista commerciale che per ciò che concerne la copertura stampa, con recensioni anticipazioni e altro. Ovviamente sono ruoli coperti da altre persone, c’è un ufficio commerciale, un ufficio stampa eccetera, ma va detto che l’editor è la persona che per primo e in maniera più profonda conosce il testo.
Mi chiedi una “definizione secca” ma credo che ogni definizione in quanto tale si lasci sfuggire qualcosa. Qualcosa d’importante. Credo, senza scadere in inutili sentimentalismi, che il lavoro di editing abbia qualche analogia con la Compagnia, con l’Accompagnare nel senso migliore del termine, non perché l’autore sia una specie d’infermo ma perché nell’incontro con l’editor e con l’editing l’autore trova un primo confronto, un confronto necessario, un confronto solitamente cercato dall’autore stesso, e un confronto volta a volta diverso. Ci sono autori così importanti e navigati da far diventare questo Accompagnamento una semplice attività di servizio. Altri trasformano questo Accompagnare in un’amicizia tutta particolare, un’amicizia editoriale che può essere anche molto intima, una specie di condivisione molto sottile, un’esperienza reciprocamente molto appassionante.

Come si imposta il lavoro con gli autori?

Il lavoro con gli autori si sviluppa, cresce, diventa via via più complesso mano a mano che cresce la conoscenza e la padronanza del testo. È un investimento reciproco, fatto sia dall’autore, che crede nelle potenzialità della casa editrice, sia dall’editor, che crede nell’idea, nello stile, nella ricchezza di quel particolare testo. L’editor in questo caso offre sostegno e professionalità. L’autore invece offre creatività e conoscenza (ricordo che mi occupo di saggistica). Questa divisione è sempre molto chiara ed esplicita.

Come si comportano gli autori rispetto all’editing? C’è disponibilità? Resistenza?

Il rapporto con gli autori è molto singolare, volta a volta diverso. Richiede una plasticità anche caratteriale perché poi è sempre l’editor – che quando si dispone all’editing ha praticamente già creduto e investito nell’idea del libro in oggetto – a dover trovare una sintonia tutta particolare con l’autore. Disponibilità? Resistenza? Credo che questo lavoro e questo incontro debba essere sempre inteso in maniera non agonistica, ossia come una sorta di confronto-scontro. Anche se è innegabile che un editing vero, profondo, reciprocamente partecipato raggiunga pure un’intensità emotiva molto forte, a volte su certi aspetti anche di scontro, sebbene sia piuttosto raro. Più spesso s’instaura un rapporto di complicità tra editor e autore.

Il luogo comune, con particolare solerzia ribadito negli ultimi tempi, vuole l’editing come una forma di manipolazione capziosa del testo – ad opera di uno sgherro della casa editrice, appunto l’editor – finalizzata all’adeguamento del testo stesso alle condizioni delle mode e del mercato.
Cosa produce, secondo te, un’idea di questo genere? Perché, cioè, in Italia l’editing subisce questo destino di demonizzazione?

Su questo lascerei parlare le persone-autori che nell’editing hanno avuto un’esperienza fortemente negativa e manipolatoria. Il resto risulta abbastanza gratuito e sa di polemica facile.

Un’altra idea – per molti una convinzione indiscutibile – è quella che pensa al sistema editoriale come a un qualcosa di omogeneamente cinico e opportunista, un luogo nel quale – attraverso la già descritta mortificazione dell’autorialità – si procede compattamente alla fabbricazione di prodotti commerciali. Sembra quasi che la condizione d’accesso al lavoro editoriale sia il pelo sullo stomaco, una cinica ignoranza, un appetito da squali e un disincanto assoluto che si traduce in strategia commerciale.
È tutto davvero così semplice o ha senso pensare invece a uno scenario più contrastato e contraddittorio?

Io credo, in un senso che forse è inutile qui spiegare, nell’“intelligenza” del mercato e credo che i lettori non siano degli imbecilli, tutti clonati a misura di best-seller. C’è, è indubbio, una caccia sempre più sfrenata al best-seller ma oltre a questo – e soprattutto per chi non può permettersi investimenti milionari, o forse più semplicemente non vuol giocare a chi offre di più (e per fortuna non son pochi) – c’è uno spazio gigantesco fatto d’idee, di libri possibili che nessuno fa, di libri a loro modo necessari. Mi sembra una banalizzazione questa dell’intendere il lavoro dell’editor nei termini di una semplice strategia commerciale, anche se poi i libri vanno fatti vedere, le idee che stanno dietro il progetto devono essere visibili, e lo spazio in cui possono essere visibili è uno spazio commerciale, ossia la libreria.

Qual è, nel rapporto tra editor e autore così come in quello tra i diversi comparti di una casa editrice, il valore della negoziazione?

Io non parlerei tanto di negoziazione, non ridurrei tutto nei termini di una trattativa. Quello che s’instaura tra editor e autore è un confronto tutto particolare, va detto, e qui mi ripeto, che già precedentemente alla fase in cui ci si dispone al lavoro di editing, tra editor e autore si è instaurato un rapporto molto stretto legato al fatto che l’editor ha deciso d’investire in quel libro. Già questa fase, di più stretta valutazione del progetto editoriale, contribuisce non poco a instaurare un rapporto molto ravvicinato con l’autore. Va detto, e anche qui mi ripeto, che la situazione cambia da autore ad autore, ossia se ti trovi a lavorare con uno scrittore o un giornalista che ha già una storia editoriale, e, come dire, un’abitudine al lavoro editoriale, be’ questo confronto con l’editor assume una fisionomia molto differente. Ci tengo a sottolineare però che in molti casi il ruolo dell’editor non è semplicemente quello di chi, seduto quotidianamente alla sua scrivania, riceve testi da leggere e ne valuta la pubblicabilità. Sarebbe francamente un po’ triste. Il ruolo dell’editor è un ruolo attivo, di ricerca di idee da sviluppare, di libri potenziali a partire dai quali poi prendere contatti con persone del mondo della cultura o dell’informazione capaci di realizzarli. Non parlo di libri commissionati dall’editor. L’editor è perfettamente consapevole del suo mestiere, dei suoi limiti. Deve tenere occhi e orecchie bene aperti per capire che aria tira là fuori nel mondo, quali sono gli interessi, di cosa è urgente parlare. Raccogliere suggestioni che poi solo l’autore giusto potrà far diventare concretamente dei libri, assolutamente non come semplice esecutore, ma come soggetto capace di raccogliere quella suggestione, magari ribaltarla, trasformarla, filtrarla attraverso la propria esperienza, il proprio lavoro, la propria intelligenza, le proprie competenze. Be’ questo, oltre che molto istruttivo, è anche parecchio divertente. Anche in questo consiste il lavoro dell’editor.

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28 Commenti

  1. Mi sembrano risposte oneste e sensate, bravo Donati.
    Solo una curiosità.
    Di grazia, in quali branche del sapere spazia la saggistica di Chiarelettere?
    Se interessa, io avrei nel cassetto un piccolo compendio su quattrocentoquarantaquattro infallibili stratagemmi per farsi pubblicare prima della propria morte. Andrebbe via come il pane.

  2. è un post che dovrebbe leggere tutta la rete, è interessantissimo.
    ho sentito di scrittori che “o così o non lo pubblico”, e la cosa mi fece ridere. di cuore.

  3. Bella questa definizione dell'”accompagnare”
    una sorta di empatia indispensabile,
    aver cura, completare….condividere.
    così che la nostra scrittura possa essere compresa.

  4. Dato che si è alla conclusione sul tema, dato che certamente c’è da prendere molto e di buono in questa inchiesta, mi aspetterei in futuro un’inchiesta altrettanto qualificata intorno a ciò che non va nel mondo editoriale: sistema delle agenzie non sempre qualificate, sistema dei lettori professionisti, sistema dei brifing di valutazione della vendibilità di un testo, correzione delle bozze mediocre, errori tipografici eccetera. Grazie.

  5. una domandina…
    ma alla fine, quando l’editor ha apportato le sue modifiche, l’autore con che spirito le accoglie, di solito…?
    Lo spirito di un brindisi?
    è così che sarebbe bello!
    L’augurio che si trovi sempre un’intesa.

  6. Mi pare che sia stato solo sfiorato il tema delle differenze tra editing di un testo narrativo e quello di un testo saggistico. A leggere l’intervista di Donati non si coglie nessuna differenza, nel senso che le sue parole potevano essere scritte allo stesso modo da un editor di narrativa (e Donati probabilmente lo è stato).
    Un editor interviene con più disinvoltura su una parola o su una caratteristica stilistica (l’esempio che ho sottomano: un uso ossessivo dei due punti) in un testo narrativo o in un testo di saggistica? Cambia il metodo da seguire nel salvaguardare la letterarietà di un romanzo e nel favorire l’interpretabilità di un saggio?

  7. Tanto per essere concreti: fossi stato l’editor di Candida, gli avrei mosso i rilievi elencati nelle tre puntate della mia rece (mio blog: oggi, ieri, l’altro ieri). Nei commenti, le sue “controdeduzioni”:- /

  8. Oh, finalmente si è alla fine! :-D
    Autori navigati: certo, mi sembra un po’ difficile dover intervenire d’ufficio con dell’editing su Umberto Eco, ad esempio.

    Ci sono poi scrittori, che però tali non sono, che scrivono solo se hanno l’editor accanto. Un po’ come gli ipocondriaci che stanno bene solo con il dottore accanto. Alcuni libri dovrebbero portare due firme, perché di fatto sono stati scritti da due persone, e una è l’editor. Come per Carver: quand’è che si scriverà in copertina Raymond Carver e Gordon Lish?

    Ci sono stati editor che hanno manipolato degli scrittori, degli scritti?
    Giuro che non l’avrei mai sospettato. :-D

    L’editor dovrebbe limitarsi a fare delle correzioni. Un editing leggero, dove l’editor mette a posto delle virgole, delle parole, un periodo o anche due un po’ troppo oscuri, mi sta bene.
    L’editing pesante, cioè la parziale riscrittura, di un libro mi sembra un lavoro inutile per quegli autori che se ne avvalgono e che però, forse, non ne possono fare a meno, perché se ne facessero a meno non sarebbero pubblicabili. E allora: perché non rimetterli al mittente tutti quelli che per pubblicare hanno bisogno che l’editor intervenga pesantemente sullo scritto originale?

    E poi ci sono scrittori, che chissà come mai, si sono fatti un nome ma non per meriti e che avrebbero bisogno sul serio d’un editing, non leggero, ma pesante come il piombo. Eppure su molti autori il cui nome è solo per il nome, editing niente.

    No, non faccio nomi.
    Uno: gli ultimi due romanzi di Valerio Evangelisti; ecco, questi avrebbero avuto bisogno d’un editing pesante. Così come sono, sono veramente brutti. Si spera in una revisione, in una edizione successiva dove sia l’autore stesso a fare un buon editing.
    Ho fatto un nome.
    Ne faccio un altro?
    Wu Ming 5: un editing pesantissimo, se proprio lo si deve pubblicare.
    Un altro ancora?
    Cesare Battisti: neanche un miracolo!
    Marco Candida, perché citato da Lucio: un editing pesante, se proprio lo si doveva pubblicare.
    Giuseppe Genna: un editing miracoloso e pesante, almeno per “L’anno luce”. Altre cose che ha pubblicato, meglio sarebbe stato che mai le avesse pubblicate: si veda “Costantino e l’impero”, non c’è editing né miracolo che possa farci qualche cosa.
    Igino Domanin: un editing pesante, sullo stile, spesse volte davvero troppo ma troppissimo involuto e confusionario.
    Antonio Moresco: oddio! E’ così prolisso, così prolisso.
    Tiziano Scarpa: dio ce ne scampi. Impubblicabile con o senza editing pesante e pesantissimo.

    Ok, è la mia opinione.

    Ciao

  9. Sull’idea di editing come “amicizia”, il bel volume di Massimo Canalini, “Federica in Cina (Pier Vittorio Tondelli e la sua ragazza)”, Transeuropa 2004.
    http://www.transeuropalibri.it/?Page=cat_tond2.htm

    Più in generale, il lavoro svolto da questa piccola grande casa editrice che ha dato lustro alla letteratura italiana degli ultimi anni. Potrebbe essere una via da seguire anche qui, incrociando il lavoro sociale con i ritrovati e le tecnologie offerte dal web 2.0

    Da approfondire anche quello che dicono Gilliat (l’editing per la saggistica, aggiungerei per la scrittura burocratica e l’italiano professionale) e Luminamenti (magari per sfatare certi miti nichilisti sull’auto-pubblicazione).

    Gilliat, mi sa che te l’avevo già chiesta e l’ho (colpevolmente) persa; mi rilasci la tua e-mail?

  10. Iannozzi, ti faccio presente che: Candida ha avuto un suo editor, che evidentemente ha trovato ottimale la forma nel quale poi il libro è stato stampato; avesse avuto come editor te, si sarebbe ridotto di 150 pagine e avrebbe subito cambiamenti pesantissimi; avesse avuto come editor Maurizio Donati, sarebbe stato modificato in forma probabilmente molto più delicata… La morale è: quello che vorrebbe “jannozzare” i poveri autori sei soprattutto tu…
    Inoltre: non credo Evangelisti o Scarpa possano avere molto da imparare da te, scusa la franchezza. Manco avessi chissà che prosa rapinosa:- )

  11. Lucio, mai pensato anche solo lontanamente che Candida non sia passato per l’editor: dico che l’editor avrebbe dovuto andarci giù mOOOltOOO più pesante. T’è chiaro il concetto? Speruma.

    Li potremmo sempre angelinizzare gli autori, ma io ho il presentimento che sarebbe un affronto immane.

    Non intendo insegnare niente a nessuno, tanto più se non vengo pagato sull’unghia per farlo. Ho solo espresso una mia opinione su alcuni autori sopravvalutati. Evangelisti e Scarpa, e tutti gli altri, per quel che me ne frega, possono scrivere quello che diavolo vogliono e come vogliono… tanto non mi pare abbiano problemi con gli editori: li pubblicano. Ma io se fossi un editore Scarpa manco morto, Evangelisti sì, perché di Evangelisti non mi sono piaciuti gli ultimi due, tutto il resto di Valerio lo adoro. T’è chiaro il concetto? E aggiungo: può capitare di non azzeccare una storia, non completamente, come per “Il collare di fuoco” e il “Il collare spezzato”. Non c’è da farne un dramma. Ci metto la mano sul fuoco sin da ora che il prossimo libro di Evangelisti sarà formidabile. Speruma che ti sia chiaro il concetto.

    Ciao e buon sabato, Lucignolo :-)

  12. IN TOPIC
    Per le opere di divulgazione o di informazione serve solo una firma autorevole e/o popolare. Non ha senso affidare un saggio o un’inchiesta ad un emerito sconosciuto. Al massimo potrà dare il suo contributo alla redazione del testo. Inutile parlare poi di stile. Deve essere giornalistico. Condizione a priori.
    Sarò un consumatore non occasionale delle pubblicazioni di Chiarelettere. Occuperanno un vuoto di mercato. Faranno quella che qualcuno definirebbe erroneamente controinformazione. Dietro hanno nomi importanti. Ma dubito che editeranno il nuovo Baudrillard. Fra l’altro non credo che la cosa rientri nei loro piani editoriali. Potrei sbagliarmi.
    Uguale è il discorso per la narrativa popolare, anche per quella con pretese letterarie.  Se non hai nessuno alle spalle non vali un cazzo. E al massimo devi essere un autore generazionale. Incarnare un certo gusto. Mai incidere sulla realtà. Il tuo pensiero poi non interessa a nessuno. Questo non è un paese che legittima le idee ma gli apparati. In fondo l’Italia è un paese di simulacri.
    Buon lavoro ai redattori di Chiarelettere. Fateci leggere di inchieste che altri non oserebbero fare mai. Con semplicità e chiarezza. Attualmente sto finendo il vostro primo libro editato. Quello di Oliviero Beha. Anche se spesso le denunce affondano nelle paludi del sistema senza riuscira mai a delegittimarlo. Anzi.

  13. @ Iannozzi
    Concordo con te sul fatto che l’editing in Italia è di basso profilo.
    Non mancano gli artisti. Rari invece sono gli artigiani a cui affidare la realizzazione delle proprie opere. Molti scultori internazionali commissionano i loro progetti ad artigiani di grande mestiere. Penso agli scultori di Pietrasanta in Toscana che realizzano i donnoni di Botero.
    Adesso che ci penso… Non vorrei che in Italia fossero gli artigiani a commissionare le opere agli artisti. Tutto è possibile. Questo è un paese dove le cose vanno al contrario. Al negativo.
    In ogni caso, Botero o meno, l’arte, quella vera, è un’altra cosa. Difficile, difficilissimo metterla oggi su carta. Godiamoci i paesaggisti… Quelli che si ancorano alla tradizione del realismo. Sepolcri imbiancati.
    Quanto a Carver… Un nano che fa sentire giganti i suoi lettori. Capaci finalmente di intelligere

  14. Iannozzy, Angelillo voleva solo farti notare l’evidente contraddizione logica in cui cadi nel momento in cui dici che a) l’editor dovrebbe apportare modifiche leggerissime, una virgola, due o tre frasi e b) che Candida abbisognava di un editing moooolto più pesante. Delle due, l’una. E per citarti: “T’è chiaro il concetto? Speruma”.

  15. @ CINZIA
    Questo è un paesaggio di cui godere tutti i giorni.

    [URL=http://imageshack.us][IMG]http://img156.imageshack.us/img156/4619/chapmanbl6.jpg[/IMG][/URL]

    Jane & Dinos Chapman
    Disasters of war
    1999

  16. Ti leggo con molto interesse e piacere Alessandro Morgillo. Condivido quanto hai detto e lo dici bene!

  17. @ Beppe De Coccio

    No, nessuna contraddizione.
    Per Candida, come per altri autori citati in altro commento qui, ho detto che se proprio devono essere pubblicati, allora che sia applicato un pesante editing.

    Scrivevo difatti: “Marco Candida, perché citato da Lucio: un editing pesante, se proprio lo si doveva pubblicare.

    Ma se non venissero pubblicati, molto meglio.

    Impara a leggere, se non altro.

  18. Vorrei sapere da Iannozzi cosa c’è che non va in Tiziano Scarpa.
    Secondo me è uno degli scrittori italiani più talentuosi in circolazione
    oggi.
    Boh.

    MM

  19. Qualche esempio di scrittore esordiente (o meno) che è passato sotto un editing pesante, please…
    Tiriamoli fuori ‘sti nomi, altrimenti parlare non ha senso.
    Nessuno mai che abbia il coraggio di metterci la faccia fino in fondo.
    Paradosso: se non si possono dire significa che implicitamente l’editing (pesante) è comunque percepito come un’operazione “scorretta”.

    Su Marco Candida: Sto leggendo “La Mania per l’alfabeto” e non mi sembra per niente “impubblicabile”, anzi, sotto molti aspetti è notevolmente interessante. è un libro sullo scrivere. su come scrivere sia per alcuni di noi un esercizio irrinunciabile. sul fatto che si può essere “scrittori” al di là di un riconoscimento esterno.
    E questo, a mio modo di vedere, apre tutta una serie di riflessioni.

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