Il letto di Procuste e la Cura Ludovico #4
di Giorgio Vasta
Terza intervista su editing e sistema editoriale. Risponde Nicola Lagioia, scrittore e responsabile di nichel, la collana di narrativa italiana di minimum fax.
Proviamo a partire da una definizione secca: che cosa si intende per editing?
Limitiamoci alla narrativa. È il lavoro volto a migliorare un testo letterario operato tra l’autore del testo e una persona che di solito, ma non necessariamente, lavora nella casa editrice per cui il testo verrà pubblicato. E ora una puntualizzazione, inutile per gli happy few ma salvifica per chi è convinto che la letteratura sia una cosa talmente piccola da poter venire stritolata tra le pareti mobili di una redazione: l’editing dovrebbe sempre rimanere sul piano della cifra letteraria senza invadere quello dell’opportunità editoriale. Se una casa editrice – per consapevolezza o per un fortunato abbaglio – decide di pubblicare un testo letterario, se ne dovrebbe assumere il merito e le responsabilità. E tra le responsabilità dovrebbe esserci, e molto spesso è così, quella di lavorare sul testo letterario in termini squisitamente, tautologicamente letterari. Ossia dimenticandosi temporaneamente che esiste un mercato, una distribuzione, le proprie ragioni di bottega e le ragioni, probabilmente ancora più misere, di certi pennivendoli da terza pagina sublimi nell’arte incrociata di travestirsi da critici e di ridurre la letteratura a giornalismo o a sociologia. Questi ragionamenti un editore li può fare prima di pubblicare un testo letterario (e quindi, pavidamente, potrebbe decidersi di tirarsi indietro) oppure dopo averlo pubblicato, e cioè – operazione triste ma, ahimè, legittima – promuovendolo come se non fosse tale, in termini appunto giornalistici o sociologici, puntando ad esempio sull’affaire Clinton-Lewinsky per cercare di far recensire La macchia umana. Ma quando si lavora sul testo… be’, in quel caso il referente non è l’edicola né la libreria né chi fa quadrare i conti nella casa editrice ma il testo stesso e al massimo quelli che lo hanno preceduto, cioè la storia della letteratura. Un editor che non ragioni in questo modo è l’ambizione elevata all’altezza dei barboncini.
Come si imposta il lavoro con gli autori?
L’editor, prima di iniziare con l’autore il lavoro sul testo, sceglie di pubblicare il libro di quell’autore. Ora, per un limite personale che mi concedo il lusso di non riuscire a superare – e grazie a Dio la minimum fax asseconda questo mio deficit – ho grossi problemi ad affrontare un testo letterario il cui autore non sia anche uno scrittore. E cioè una persona sufficientemente consapevole dei propri mezzi, con un’idea forte del proprio lavoro. Per questo motivo su uno scrittore, se è davvero tale, possono venire operati con successo infiniti tentativi di circonvenzione purché non abbiano a che fare con la letteratura. Di conseguenza, mi limito a esporre all’autore tutti i miei dubbi sul testo in questione lasciando a lui, naturalmente, l’ultima parola. Ci sono editing che possono durare molti mesi e casi in cui tutto si risolve in poche settimane. Ci sono tempi fisiologici che sono insuperabili. A seconda del temperamento, della sensibilità, della reattività dell’autore che ti ritrovi di fronte, e anche ovviamente dello stato del testo nel momento in cui inizia l’editing. Bisogna dare il tempo all’autore di recepire, di metabolizzare i tuoi suggerimenti e poi decidere quali accogliere e quali no. Io dico sempre a ogni autore: “Guarda, questi sono i miei rilievi. Pensaci… non tenere conto di quelli che ti sembrano avere poco senso ma lavora duramente su quelli che ti fanno suonare un campanello d’allarme” – e uno scrittore di solito lo sa, anche quando ha terminato la prima stesura di un libro e persiste quella sorta di autoipnosi che si genera su pagine scritte e riscritte in continuazione, ha perfettamente incisi in una zona temporaneamente impermeabile della mente i punti in cui il libro è ancora debole, o non del tutto all’altezza delle proprie ambizioni e possibilità. Il suggerimento dell’editor, per così dire, velocizza il processo di “permeabilizzazione”, rende più facile all’autore far diventare il libro ciò che in potenza è già.
Come si comportano gli autori rispetto all’editing? C’è disponibilità? Resistenza?
C’è grande disponibilità in generale e c’è ovviamente (e giustamente) una circoscritta resistenza quando fai a un autore un rilievo su cui non è d’accordo. In quel caso si discute, anche in maniera accesa, ma rimanendo sempre sottomessi a una carta costituzionale fatta di due soli articoli, semplici semplici: 1) se hai deciso di pubblicare il libro di un determinato autore, significa che stimi, quando non ami, il suo lavoro; 2) l’autore in questione ha l’ultima parola, che va rispettata anche nel caso in cui l’editor non sia d’accordo. Ho naturalmente avuto a che fare da editor con libri su cui l’autore, a mio parere, avrebbe potuto lavorare meglio. Ma è la mia parola contro la sua ed è la sua, secondo il punto 2, a vincere. Questo non toglie dignità alla mia opinione (che rimane tale, anche nel caso in cui il libro dovesse andare molto bene) e alla decisione dell’autore.
La disponibilità nasce dal fatto che l’editing, inteso in questo modo, è un lungo, approfondito, appassionato discorso sulla letteratura. E non è scontato che uno scrittore abbia sempre a portata di mano una persona disponibile a confrontarsi così lungamente sui propri libri. Sarebbe interessante chiamare in causa po’ di scrittori italiani e domandargli se sui propri testi si sono confrontati più lungamente e proficuamente con gli editor o con i critici letterari. Sono certo della non univocità delle risposte.
Il luogo comune, con particolare solerzia ribadito negli ultimi tempi, vuole l’editing come una forma di manipolazione capziosa del testo – ad opera di uno sgherro della casa editrice, appunto l’editor – finalizzata all’adeguamento del testo stesso alle condizioni delle mode e del mercato. Cosa produce, secondo te, un’idea di questo genere? Perché, cioè, in Italia l’editing subisce questo destino di demonizzazione?
Maddai, non vorrai mica prendere sul serio una puttanata simile… È una puttanata se stiamo ragionando di letteratura, ed è invece un discorso che può avere senso se ci muoviamo sul territorio dei non scrittori che pubblicano libri sulla cui copertina compare la dicitura “romanzo”. Ma qui siamo ai Moccia, siamo ai Veltroni… e a me interessa solo la letteratura, di quella parlo. Quindi. Se un autore si fa manipolare in questo modo significa che non è uno scrittore, punto e basta. Non perché uno scrittore debba avere chissà quale forza d’animo e integrità morale di fronte all’editore, gli scrittori hanno mille debolezze… ma per una questione molto più profonda: uno scrittore, se è tale, è geneticamente, fisiologicamente non manipolabile sul territorio del proprio lavoro letterario. Non è una questione di resistenza alle pressioni esterne ma un argomento di fisiologia: anche a volerlo fare, un vero scrittore non riuscirebbe a tradirsi. A scrivere un libro meno bello del precedente, addirittura un libro brutto sì, a tradirsi mai.
Parlare di editing normalizzatore e riferirlo alla letteratura significa tra l’altro sganciare la militanza dalla storia della letteratura e quindi ridurre la militanza a un guaito da cortile. Parlando della storia, anche recente, della letteratura, bastano quattro memento per riassumere tutto quello che stiamo dicendo: 1) chiedere a T.S. Eliot di Ezra Pound, 2) chiedere ad Arbasino di Pasolini e Calvino, 3) chiedere a Thomas Pynchon di Ray Roberts, 4) rileggersi l’introduzione all’edizione Adelphi del Seminario sulla gioventù dove viene raccontata la decennale gestazione che portò Il monoclino a diventare uno dei libri più importanti della letteratura italiana degli ultimi decenni.
Un’altra idea – per molti una convinzione indiscutibile – è quella che pensa al sistema editoriale come a un qualcosa di omogeneamente cinico e opportunista, un luogo nel quale – attraverso la già descritta mortificazione dell’autorialità – si procede compattamente alla fabbricazione di prodotti commerciali. Sembra quasi che la condizione d’accesso al lavoro editoriale sia il pelo sullo stomaco, una cinica ignoranza, un appetito da squali e un disincanto assoluto che si traduce in strategia commerciale. È tutto davvero così semplice o ha senso pensare invece a uno scenario più contrastato e contraddittorio?
Senti… molto cinicamente: il mio compito alla minimum fax è di trovare ogni anno un tot numero di libri da pubblicare in nichel. Ogni anno arrivano in casa editrice circa duemila manoscritti. Il novantanove per cento di questi manoscritti testimoniano che l’Italia è, tra le altre cose, un paese di grafomani esaltati con pochissime esperienze di lettura (soprattutto per ciò che riguarda la letteratura contemporanea). Di conseguenza: quando arriva un testo che supera il minimo sindacale di qualità letteraria io stappo la bottiglia di spumante: non perché quel testo lo pubblicheremo necessariamente (magari si tratta di un testo mediocre e però capace di lasciarti almeno un minimo ricordo…) ma perché il nonsense di tante letture inutili viene almeno parzialmente sovvertito. Le case editrici sono affamate di testi letterari di qualità. Il che non impedisce che si facciano anche operazioni commerciali. Assolutamente legittimo, anche se non mi interessa e non mi piace. “Harry Potter” è un’ottima operazione commerciale. Certo intrattenimento seriale (parte del fenomeno dei gialli…) è un’onesta operazione commerciale. Ma il problema è che si grida troppo facilmente al Morselli senza avere un briciolo del suo talento e quindi – piegandolo alla causa della propria frustrazione – infangandone la memoria. In realtà è difficilissimo che un testo letterario di qualità non trovi oggi un editore disponibile a pubblicarlo. Parlo ovviamente anche dei cosiddetti testi difficili, anticommerciali. Moresco è pubblicato da Feltrinelli e da Rizzoli. Mari è pubblicato da Mondadori e da Einaudi, la quale per esempio pubblica anche Franco Stelzer. Arbasino è pubblicato da Adelphi, che qualche anno fa ha rimandato in libreria un testo come Super-Eliogabalo… Bisogna vedere poi se le case editrici (e la critica) (e il sistema della distribuzione) (e i lettori) riescano a fare tesoro dei piccoli o grandi tesori letterari che si ritrovano tra le mani, a valorizzarli oltre il bancone delle librerie. Il che purtroppo non succede con la frequenza con cui dovrebbe succedere. È un fatto molto grave, ma è un altro discorso.
Qual è, nel rapporto tra editor e autore così come in quello tra i diversi comparti di una casa editrice, il valore della negoziazione?
Nel momento in cui si riesce a instaurare un rapporto di schiettezza e di fiducia e di confidenza e di intelligenza reciproca (l’autore riesce a servirsi dell’editor per migliorare un proprio testo, l’editor sa bene di essere uno sparring partner e non il co-autore di alcunché) lo stesso problema della negoziazione cede il posto a un rapporto ancora più interessante: ci si dice in faccia le cose, si mettono al confronto idee diverse, ci si scontra addirittura. Io personalmente, da autore, sia con minimum fax che con Paola Gallo (la mia editor a Einaudi) mi sono trovato bene proprio perché si è sempre instaurato un rapporto del genere, un rapporto voluto (anzi, preteso) da entrambe le parti. Se la letteratura è in grado di scatenare emozioni forti questo discorso ha un senso. Uno scrittore dovrebbe sentirsi ferito da un editor passivo come dovrebbe sentirsi ferito di fronte alle recensioni che riscrivono (spesso peggiorandola) la quarta di copertina del proprio libro.
Alla fine, dopo mesi e mesi, il succo è: la solita robetta sottovuoto.
Se avere conoscenza della letteratura contemporanea significa avere dimestichezza con l’infantilismo e il minimalismo made in USA, allora molto meglio farne a meno. A “Harry Potter” preferisco Christopher Paolini, commerciale per commerciale, divertimento per divertimento, evasione per evasione.
E il più delle volte la quarta di copertina è la sola cosa che merita d’esser letta, perché assai più bella dei libri. Bisognerebbe valorizzarlo molto di più il lavoro di chi scrive i risvolti.
Bene. Adesso sappiamo che Giorgio Vasta è un maître à penser. La communis opinio degli addetti ai lavori. La letteratura. Il paradigma. La rappresentatività. Il modello e la misura del mondo.
Amen.
“Grafomani esaltati con pochissime esperienze di lettura”. Definizione realistica ma un po’ ingenerosa, viste la premessa e soprattutto la conclusione dell’intervista. L’inedito non si può liquidare così, se ami davvero questo lavoro. E’ ‘letteratura’ e sono ‘scrittori’ almeno quanto la Letteratura e gli Scrittori.
Un saluto.
Più che “ingenorosa” direi che questa intervista è avvolta dello stesso infantilismo grafomane che Lagioia crede di vedere… nel 99% dei manoscritti altrui. Avrebbe avuto bisogno d’un po’ di editing questa intervista, magari dal suo editor in Einaudi, ma oggi è il primo maggio, e si sa che gli editor non amano tagliare in giornate così. Comunqe, da M.F. non ho visto uscire un solo genio italiano, con editor o no. Solamente Carver. Almeno accompagnassero il nome di Carver a quello del suo Editor, perché quei due scrivevano in coppia, in maniera infantile, ma le penne le tenevano in mano.
Sono stato disattento. Ecco perché non riesco a sintonizzarmi col resto del mondo! È Nicola Lagioia tutto ciò che il povero Giorgio Vasta aspira ad essere!
Pure Lagioia ragione ce l’ha: “i grafomani esaltati con pochissima esperienza da lettori”, esistono. Io collaboro con alcune agenzie letterarie e la gran parte di manoscritti con cui ho a che fare sono davvero sconcertanti.
e poi Lagioia risponde alle domande che gli vengono poste e lo fa in maniera esauriente e corretta. è il suo punto di vista da “editor”. che poi sia anche scrittore a sua volta dovrebbe essere un altro discorso.
Si dice in questo articolo che: “l’Italia è, tra le altre cose, un paese di grafomani esaltati con pochissime esperienze di lettura (soprattutto per ciò che riguarda la letteratura contemporanea”, aggiungo io, che vengono pubblicati ahimé.
Poi, prima di conoscere la letteratura contemporanea italiana, occorrerebbe conoscere la letteratura inglese, francese, russa, italiana, spagnola e tedesca. Poi non si possono ignorare i latini e i greci. Senza Omero e Pindaro, Virgilio, Ovidio, Apuleio e Agostino è impossibile. E la Bibbia no? e indispensabile è anche il Corano e le Mille e una Notte e gli storici arabi. La letteratura persiana, i romanzi taoisti e la Murasaki. Quindi la letteratura indiana, africana e mongola, i testi precolombiani.
Almeno questi, compresi i minori.
A questo punto sarebbe bello per uno scrittore incontrare un editor che ha conoscenza profonda di queste letterature citate.
In genere constato che è sempre più raro questo incontro, perchè o manca l’uno o manca l’altro. Manca la cultura e lo studio. Almeno 12 ore al giorno di lettura per i primi 20 anni di apprendistato alla scrittura, così mi aveva insegnato Mircea Eliade, quando avevo 17 anni.
Il puro momento della negatività è lo spauracchio col quale oggi si vorrebbe arrestare chiunque osi pensare. Ciò che stupisce, per la prima volta nella storia, è che si pretenda in modo unanime di essere consolati, rassicurati, si voglia a ogni costo essere confortati dalla positività.
Non è più concesso vergognarsi. Marx replicò in una lettera giovanile a Ruge: “la vergogna è già la rivoluzione, una nazione che la provasse sarebbe il leone che si stringe tutto in se stesso per balzare innanzi.
Così se davvero assalisse vergogna alla distesa di arti sfiorite o infrollite, all’idea che non c’è più pittore capace di insegnare a ritrarre, fra poco non più un musicista capace di insegnare a comporre, non più uno scrittore che preservi ogni possibile ricchezza del suo linguaggio ma solo guitti dell’industria che disintegrano il linguaggio o lo riducono al punto di chi lo parla nelle strade, se davvero assalisse vergogna, chissà di quali impeti si sarebbe capaci; invece nulla potrà nemmeno afferrare il pugno che rifiuti di sciogliersi
Magari questi grafomani esaltati leggono Carver e si sentono geniali. Almeno sulla cresta dell’onda… Immagino che i 2000 aspiranti autori della Minimun Fax, almeno un’occhiata allo scrittore di punta della Maison che dovrebbe lanciarli nel firmamento delle Lettere l’abbiano data! Nelle librerie ci sono dei veri salottini dove rintanarsi a leggere le gesta di uomini che tendono a ridurrre al minimo il proprio intervento sulla realtà. Il cui epico gesto quotidiano è sedersi sulla tazza a defecare.
“Quando arriva un testo che supera il minimo sindacale di qualità letteraria io stappo la bottiglia di spumante”.
OK. Mi hai convinto. Aprimi un canale privilegiato e ti mando “Lucio in the sky with diamonds”:- )
hey…se si parla di spumante arrivo anch’io!!!
prediligo gli invecchiati in botti di rovere, sui 12°….
hehehehe
@Luminamenti,
La vedo un po’ depressa dal piatto konfortismus della vita borghese. Proverei con qualche puntata dei Simpson.
Esistono, eccome se esistono i ‘grafomani’. Il problema è che scarseggiano i progetti editoriali in grado di dargli voce e visibilità. Questi ‘testi’ possono apparire “sconcertanti”, e forse lo sono davvero, ma di Rabito sai quanti ce ne sono dimenticati negli archivi delle case editrici.
Il problema è la ‘sensibilità’ che uno ci mette a leggerli, ‘sti testi, a selezionarli e a lavorarci sopra. Realisticamente, non mi sembra che gli editori siano molto interessati a un lavoro del genere. I lettori e il pubblico dei sapientoni e sapientini lo dimostra alla grande.
Forse sarebbe auspicabile maggiore indipendenza degli editor dalle case editrici, ma poi scontentiamo Iannozzi che non vuole avere niente a che fare co’ ‘sti americani.
@ Iannozzi
Carver infantile? Buona questa. Qui mi sa che qualcuno s’è dimenticato chi è il nano e chi è il gigante e che (di solito) i nani stanno sulle spalle dei giganti. Quando scendono iniziano i problemi.
@Scerbanenko
nessuno mette in dubbio la “correttezza” di Lagioia, anche se da un insider non banale come lui sarebbe stato interessante avere un po’ più di notizie, dico proprio gossip, su quei “salotti” romani che terrorizzano tanto i moralizzatori e i normalizzatori della nostra vita culturale. Sento odor di duopallismo e quasi dimentichiamo il profumo del cazzeggio.
Lagioia ha preferito concentrarsi sulla didattica sulle tecniche editoriali, senza dubbio necessaria; ma questa scelta è da attribuire alle domande un po’ astratte dell’intervistatore.
Saluti
tornando seri;
“Per questo motivo su uno scrittore, se è davvero tale, possono venire operati con successo infiniti tentativi di circonvenzione purché non abbiano a che fare con la letteratura”
mi puoi cortesemente chiarire questa frase?
grazie.
un’altra domanda:
che importanza ha l’intuizione in questo campo?
Non conosco la vita borghese. Conosco la differenza tra povertà e miseria. Conosco KOROGOCHO, Nairobi…padre zanotelli e i miei libri. E qualche depresso che curo per mestiere. E sopratutto non conosco il modo di farsi un’idea degli stati d’animo di un altro leggiucchiando…
Del resto non sono passati che alcuni secondi e sono stato profetico. E’ spuntato uno che s’infastidisce al puro momento della negatività e che crede che scrivere la verità comporti una vita immersa nel cattivo umore
Carissimo,
dai, un po’ più di buonumore!
Saluti cordiali
io sono d’accordo sul fatto che una buona recensione è fondamentale!
il libro ha bisogno di spinte, anche se viene da un autore già affermato.
“Grafomani esaltati con pochissime esperienze di lettura”.
Esagerato? Ma dai, adesso si chiede di misurare le parole a un poveraccio costretto a sciropparsi duemila manoscritti l’anno. D’accordo, nessuno lo obbliga, direte voi, si scegliesse un altro mestiere, se questo gli costa sì tanta fatica. Però un minimo di comprensione, che diamine, si può amare il mestiere e al contempo ammettere che in questo paese non è più possibile incontrare qualcuno che non t’afferri il braccio tirandoti a sé per confessarti sottovoce: “sai, avrei un romanzo nel cassetto…”.
Ormai è un’infezione dello spirito, una distorsione della personalità che non risparmia più nessuna categoria sociale. Tutta la mia solidarietà e comprensione agli editing d’Italia.
Comprensione vivissima.
Leggo sulla rivista Cognitive System Researche di un programma chiamato Mexica che genera storie originali basandosi sulla rappresentazione computerizzata di emozioni e tensioni fra i personaggi.
Inizialmente al software vengono forniti elementi base sui personaggi e la trama. Il programma vede i personaggi come variabili e l’utente assegna un valore numerico, da -3 a +3 ai vari legami emotivi. Si va così dall’odio totale all’amore indissolubile. Il programma è costruito poi per leggere certe parole portatrici di tensione, valutandole ancora una volta con una cifra. Una volta stabilite tensioni delle interazioni e personaggi, il programma comincia a paescare elementi narrativi nel suo database di azioni plausibili, finché non trova le più appropriate. Fa anche altre cose.
In un sondaggio Internet che ha messo a confronto le storie generate da Mexica con quelle di altri computer o di persone, i lettori hanno ritenuto le opere di Mexica insuperabili per fluidità, coerenza, struttura, contenuti e suspence.
Bene, lo scrittore tradizionale è finalmente sulla via dell’estinzione!
Quanto è bello il Tramonto! Perfectum! come il verbo!
Mi piacerebbe sapere da Srinivasa Varadhan, probabilista di origine indiana e autore della teoria generale che descrive il comportamento delle grandi deviazioni in statistica, che ha vinto il premio Abel, cosa potrebbe succedere quando la ricerca matematica pura piomberà come un falco rapace nel mondo delle lettere…
Già mi viene in mente un progetto…
Madonna e che è il nazismo?
“Lascia che ti dica subito che non vedo come il libro possa essere tagliato senza essere messo sottosopra. Soprattutto se è tagliato l’inizio (ed è evidente che la prima metà è una passeggiata abbastanza agevole). La seconda parte verrà a mancare delle risonanze che ha ora. Non riesco a immaginare che cosa vogliono che tolga. Rifiuto di toccare la parte intitolata Amor Intellectualis quo W. se ipsum amat, così come rifiuto di toccare la partita a scacchi. Anche il capitolo dell’oroscopo è essenziale. Ma sono ansioso di vedere il libro pubblicato e quindi non posso permettermi di rispondere semplicemente rifiutando qualsiasi ritocco.
Vorrai dunque comunicare che l’estrema riluttanza a eliminare un terzo dell’opera consegue dalla mia assoluta incapacità di capire come ciò possa essere fatto in modo che rimanga qualcosa? Aggiungi, però, che se indicassero con precisione che cosa hanno in mente, e i passi che li affliggono, sarei disposto a eliminare i passi che non siano essenziali al tutto, e a modificarne altri che a loro sembrino originare confusione … Non capiscono che il libro è un po’ oscuro perché è un concentrato, e che una ulteriore concentrazione non può che renderlo più oscuro? A me pare che i dialoghi stravolti e irreali non possano essere tolti senza confondere e appiattire l’intero testo. Sono l’esagerazione comica di ciò che altrove viene espresso in modo elegiaco, ovvero, se preferisci, l’ermetismo dello spirito. E’ qui che trovano le “impennate”? In un libro del genere non c’è spazio, né tempo, per un semplice sollievo. Il sollievo deve anche operare e rinforzare ciò che mitiga. E naturalmente il corso narrativo è difficile da seguire. E, naturalmente, ciò è voluto.”
Scusate … quanto sopra da una lettera di Samuel Beckett a George Reavy, a proposito di “Murphy”, del 13 novembre 1936.
In:
S. Beckett, Disiecta. Scritti sparsi e un frammento drammatico. EGEA, 1991.
Questo era per dire che l’editore, con tutti gli annessi e connessi, è sempre stato non il nemico, perché senza di lui il libro non esce, ma neppure l’amico, solo banalmente, e non da oggi, la CONTROPARTE, vecchia ma buona parola sindacale che spiega forse cosa si intenda, allora e ora, con negoziazione.
Per @lumina
leggiucchiando non si capisce forse lo stato d’animo, ma di che tempra è il libro magari sì.
oh Alcor ma oggi questi editor così di “buon senso” Samuel l’avrebbero pubblicato?
@ Luminamenti
Narrazione fluida, coerente, ben strutturata nei contenuti. Quel giusto di tensione che susciti ansiosa attesa…
Queste sono le regole fondamentali per ogni processo di simulazione o di dissimulazione in cui sereno opera chi vive nel diniego. Morto ai paesi.
@c&c
Non ne ho idea, bisognerebbe avere un altro Beckett e provarci:–)
E non era per dire ah, les neiges d’antan … ogni epoca ha i suoi scrittori.
gradirei che Giorgio Vasta rispondesse alle mie domande,
grazie.
Certo Alessandro. Ho solo descritto il futuro, un funerale: la morte dello scrittore, così come si concepiva. E’ in atto un’agonia. La matematica accellererà il processo già in atto (potrei sviluppare quest’argomentazione in maniera vertiginosa, ma non ne ho voglia, ora). Io credo che esista una grande letteratura perché credo che tutto abbia una fine. Credo nelle discontinuità. Non sono evoluzionista. Non sono apocalittico. Certamente si continueranno a scrivere libri. D’altra parte se l’uomo va verso l’innesto di protesi, verso il Cyborg di Donna J. Haraway, Testimone_Modesta@FemaleMan_incontra_Oncotopo, ad un lettore che leggerà diversamente occorrerà uno scrittore differente.
Grande Samuel!
L’aveva già fatto Hans Magnus nel 2000….
http://www.vicoacitillo.it/extra/12.html
osservando la figura lassù…
mi è venuta una voglia pazzesca di ritagliare greche sulla carta,
magari con le forbici zigrinate….
ora vado
bonsoir a tutti!
Una piccola cosa che mi riguarda. Mi rendo conto che a volte posso sembrare un po’ pompier. E’ che mi piace sempre molto chi lavora, anche se capisco il piacere di chi sta lì a guardare. In chi lavora, con tutte le critiche che gli si possono fare, e che anche a me piace fare, perchè criticando mi avvicino di più a quello che per me è il fondo della questione, c’è, se lavora onestamente, una mancanza di fronzoli, una concretezza che è la sola, mi pare, da cui si possa partire per lavorare eventualmente meglio, mentre nei lamenti, c’è sempre, mi pare, molta retorica e molto tempo perso.
Non so se credo totalmente nella discontinuità, come @lumina, non potrei dirlo perchè le mie conoscenze scientifiche non mi permettono di fare paragoni, ma credo, se non ricordo male, che anche l’evoluzionismo preveda discontinuità. Diciamo che, se bisogna metterla per forza nel senso della fede, credo in un evoluzionismo discontinuo, per cui ci sono nascite, agonie, morti e nuove nascite che non necessariamente presentano caratteri di linearità. Non ci sarà più quel Beckett che conosciamo, a meno che non lo si cloni, ma altro di buono io me lo aspetto sempre: Anche perché non è con lui che si fanno i conti qui, parlando di editing, ma con quella massa di prodotti editoriali che c’erano anche ai suoi tempi e di cui forse non ci è rimasta memoria, o se è rimasta è rimasta per la gioia di eventuali storici dell’editoria occidentale.
Fare l’editing di un libro o riscrivere un copione per intero?
Cos’è peggio – un brutto libro o un brutto copione? Non so, ma i geni ci sono, basta attendere e sperare… Quando ci è arrivato ‘Romanzo criminale’ (Rulli-Petraglia-De Cataldo) ci è sembrato che Dio esistesse. Nemmeno un ritocco da fare, era già pronto per il take-one (magari quel fesso di Lagioia l’avrebbe pure cestinato, va a gusti, diciamo…)
Ma poi è anche arrivato ‘Il mio miglior nemico’ (S. Muccino-Verdone), e i capoccia lo volevano fare SUBITO, perchè Verdone è Verdone e Muccino ‘tira’, così l’abbiamo riscritto praticamente da zero, mentre i due si sollazzavano con le loro troiette. E abbiamo pensato che Dio esistesse ‘ogni tanto’.
[da qui in poi, compresi due commenti sotto, Christian s’è dilettato a insultare. E noi ci siamo dilettati a cancellare]
“persiste quella sorta di autoipnosi che si genera su pagine scritte e riscritte in continuazione”.
Vero.
Mai dubitato del fatto che Muccino non sappia scrivere. Mi chiedo ancora, come perfetto stupido, perché lo si pubblica. Non vende, nonostante la tanta pubblicità per “Parlami d’amore”.
Uh, circa le copie vendute sin qui da Muccino non sono aggiornato; ma noto una caterva di recensioni su IBS; siam proprio sicuri che non stia vendendo?
Uh…è arrivato Livermore!
accipicchia, mi par proprio di conoscerti…..
Almeno Minimum ha pubblicato un’esordiente che si chiama Valeria Parrella. Niente male, direi.
Non ho dati precisi su Muccino. Però ho delle osservazioni interessanti che tutt* possono verificare da sé.
Ho visto che “la pubblicità” è stata ed è tantissima, a distanza di tempo dell’uscita del libro. Persino sulla free press, e non su un solo giornaletto, ma su tanti e per diversi giorni. A pagina intera anche.
Correggo il tiro, perché non sono stato preciso: Muccino se vende qualche copia la vende in virtù d’una pubblicità molto ma molto forte, non di certo per meriti. Diciamoci la verità: Muccino le ragazzine lo vogliono “vedere” e non leggere.
In quanto ai commenti su IBS: non so quanto possano dirsi attendibili, per qualsiasi libro. E soprattutto quando c’è di mezzo un personaggio della tele o del cine, ognuno/a usa IBS come fosse un forum, senza aver letto il libro.
Da IBS:
Silvio Muccino: mediocre attore, improponibile scrittore. Braccia sottratte all’agricoltura, ma oggi va così…
Finirlo è una sfida… mai letta una simile accozzaglia di banalità e frasi patetiche.
L’impoverimento culturale si testa anche in libri pessimi come questo.
E via così, con quelle che invece ne dicono tutto il bene possibile. Ma non saranno i 125 commenti su IBS a decretare il successo d’un libro scritto dagli editor! Vogliamo pure ammettere che abbia venduto 125 copie? Diciamo che le moltiplichiamo per 10, perché non c’è solo la vendita on line ma anche le librerie e gli autogrill oltre ai supermaket? Diciamo che ha venduto anche 5000 copie o 10000. E’ comunque un dato risibile per un nome che se avesse venduto quanto ha riempito le sale…
Poi, magari ho detto un mare di cavolate: ma non credo. Tanta pubblicità per un risultato così, per un libro che non è un libro, che è invece frutto dell’editing.
Se imparerà a camminare con le proprie gambe, la Parrella potrebbe regalarci storie di ben altro spessore. Sto dicendo che può dare di più e non che non è brava. Per il resto, gli italiani in m.f. che ho letto, mio dio!
Un ultimo appunto, poi me ne sgattaiolo via: ci sono libri su IBS che non hanno ottenuto un solo commento o comunque pochissimi, e che ciò nonostante hanno venduto tantissimo. Cifre astronomiche. Dacché “Il nome della Rosa” è su IBS, circa 6 anni, in questi 6 anni poco più di 45 commenti. Come strumento per capire le dinamiche di vendita mi sa che i commenti non servano a molto. A poco o niente. Ma, in alcuni casi un commento positivo può decretare la fortuna o la sfortuna d’un libro.
Ciao e buona serata
Concordo sull’inutilità dei commenti. Quando pubblicai la mia prima ( ma non ultima ) fesseria mi misi d’accordo con degli amici per inserire commenti di totale adorazione al libro ( sul sito Feltrinelli ) descritto dai “lettori” come un capolavoro. Segnalate cinque stelle. Le risate, non vi dico.
@alcor. Sono ottimista sul futuro dell’Uomo. Non condivido solo tutto questo positivismo letterario contemporaneo italo-provinciale che brulica in maniera più o meno sotterraneo e velato. Quando leggo l’ultimo Ishiguro mi si dilata l’orizzonte comprendendo eleganza nella scrittura e futuro nello sguardo sul mondo. Lo stesso potrei dire con Gao Xingjian.
Inoltre credo a tal punto nel sapere che la volontà di sapere, questa volontà sfrenata, lubrica, non porta al fine: fermarsi in questa corsa scomposta, approdare a un “saputo”. L’attaccamento al sapere e ai suoi frutti deve dunque approdare non allo scialbo lenitivo che l’educazione libresca si trascina comodamente nelle sue stesse viscere. Chi ha capito questo non è fuori dal sapere, ma l’ha veramente raggiunto, e perciò non ha più nulla da “volere”. Mentre la brama di sapere, l’inseguimento di un sapere dopo l’altro non è mosso dal retto “desiderio” di sapere una volta per tutte, finalmente appagato avendo raggiunto la vera quiete conoscitiva.
Perché qui, infine, è il punto. E’ qui che deve pervenire il sapere. A questo acquietamento del profondo (che è tutt’altro che immobilità rispetto al mondo ma sua trasfomazione)
@G. Iannozzi,
lungi da me l’idea che i commenti su IBS costituiscano una spia attendibile rispetto alle dinamiche di vendita di un libro, ci mancherebbe. No, chiedevo, la mia era semplice curiosità, quasi il desiderio di essere rassicurato, mi sento meglio all’idea di un possibile fiasco editoriale di Muccino, ché non corriamo il rischio che ingombri una seconda volta la vetrina e lo scaffale principale di una libreria, magari a scapito di una Parrella, appunto…
Buona serata.
Gao Xinggjian: “…il romanzo è un prodotto della sensibilità che fonde in una miscela di desideri un sistema di segni arbitrariamente costruito.
Quando la miscela si amalgama e genera nuove cellule nasce qualcosa di nuovo. Osservi il prodotto e lo trovi molto più interessante di qualsivoglia gioco dell’intelletto. E come la vita non ha un obiettivo”
“Come trovare una lingua musicale, indissolubile, superiroe alla melodia, che vada oltre i limiti della morfologia e della sintassi, senza distinzione tra soggetto e oggetto, che superi i pronomi, che si sbarazzi della logica, che sia in costante evoluzione, che non faccia ricorso a metafore, associazioni d’idee o simboli? una lingua che possa esprimere allo stesso tempo le sofferenze della vita e la paura della morte, le pene e le gioie, la solitudine e l’appagamento, lo smarrimento e l’attesa, l’esitazione e la determinazione, la codardia e il coraggio, la gelosia e il rimorso, la calma, la frenesia, la sicurezza di sé, la generosità e il disagio, la bontà e l’odio, la compassione e lo scoramento, l’indifferenza e la sensibilità, la meschinità e la bassezza, la nobiltà e la crudeltà, la ferocia e l’umanità, l’entusiasmo e la freddezza, l’imperturbabilità, la sincerità, l’immoralità, la vanità, la cupidigia, il disprezzo e il rispetto, la certezza e il dubbio, la modestia e l’arroganza, la caparbietà e l’indignazione, il risentimento ela vergogna, al sorpresa e l’incredulità, la spossatezza, l’ottenebramento, l’illuminazione improvvisa, la perenne incapacità di comprendere, e il non comprendere nulla nonostante tutto e lasciar andare tutto al diavolo?”
Ma Christian Frascella parla dei copioni cinematografici, no? Forse è più “etico” riscrivere una sceneggiatura che un libro, credo….
@ LIVERMORE
Non sono sicuro che Muccino, o altri sédicenti scrittori dell’ultima ora, domani non ce li troveremo più fra i piedi. Il nome. E’ il loro nome che interessa agli editori, il fatto di poter dire alle masse, “Con noi che siamo Rizzoli pubblica Silvio Muccino… con noi che siamo Mondadori pubblica Giovanni Lindo Ferretti…, ecc. ecc.” Sono libri, anzi oggetti civetta che servono agli editori per attirare l’attenzione, su di sé ovviamente, in qualità di editori: un modo come un altro per farsi propaganda. L’importante non è tanto vendere il prodotto, piuttosto il farlo vedere in giro, e possibilmente rifarsi delle spese di stampa – che comunque son poche per un grande editore. Pagato l’editor e pagata la stampa, con librettini così un editore si fa pubblicità. Tu pensa: tu sei un editore, viene da te un Pippo Baudo, ti presenta il suo manoscritto, tu lo leggi, capisci subito che è uno schifo ma davanti a Pippo che fai?, ti dichiari entusiasta perché di fatto lo sei realmente, perché a breve, dopo che l’editor avrà messo la sua penna sul lavoro di Pippo scrittore, tu editore potrai annunciare ai quattro venti che tu e solo TU sei l’EDITORE che pubblica Pippo Baudo. E vuoi che il nome Pippo Baudo non faccia grancassa, che non ti porti propaganda anche se poi venderà solamente 10.000 copie o meno?
‘Notte
Temo tu abbia ragione. Non resta che sperare in qualche forma di nemesi editoriale, quella carica destinale positiva teorizzata da Marx allorché scrive che “Il plusvalore prodotto dalle opere dello scrittore di successo, anche, e sopratutto, se non di eccelsa qualità, serve all’editore per riuscire a pubblicare quelle degli scrittori di assoluto valore, che di copie non ne venderanno che poche migliaia”. (cfr. topic di F. Forlani, “La cultura non è un prodotto come gli altri”). Là dove il plusvalore, nell’esempio da te riportato, sarebbe dato non tanto dalle vendite (poche), quanto dal ritorno d’immagine…
Ma sì, stiamo a ‘sta versione (consolatoria?), raccontiamocela così ché andiamo a nanna più quieti e pacificati.
‘Notte.
Ho trovato l’intervista interessante e, nel suo genere, esauriente, però la parola “grafomani” mi ha impensierito o meglio incuriosito.
Infatti vedo che non ha destato solo la mia attenzione, né mi sento punto nel vivo, e so che invero in Italia, specialmente da quando esiste la possibilità di scrivere col pc, una alta percentuale di cittadini italiani scrive libri poesie romanzi racconti pamphlets e zibaldoni o ribalderia d’ogni genere.
E’ li che si inserisce il mio dilemma: ma sono “grafomani” cioè “maniaci” cioè folli, pazzi, pazzarielli e magari manicomiabili o sono solo esseri umani desiderano contar storie?
Magari il pazzo ci sarà pure, è vero.
Però non mi piace anzi mi disturba assai l’atteggiamento sprezzante, spesso altezzoso dei direttori editoriali che van brontolando, con bocca all’ingiù, delle tonnellate di manoscritti che ricevono, quasi i “grafomani” li volessero soffocare; ma se hanno scelto questo loro mestiere si tengono pure le missive visto che se le vogliono e a volte le cerniscono e magari ci trovano pure la gallina dalle uova d’oro!
E poi i direttori editoriali hanno ben poco da lamentarsi visto che i “grafomani”, poi pubblicati, sono quelli che della fetta dei profitti prendono solo l’8 o il 10 %.
Anzi sarebbe bene e scientificamente studiare il fenomeno presente ovvero perché in Italia, paese tanto ignorante, tanta gente scriva ed abbia voglia di narrare; ciò potrebbe essere visto in modo positivo invece che col deteriore epiteto di “grafomania”, magari.
MarioB. cartografo folle
http://societe.splinder.com/
En Attendant Voltaire
Uno scrittore di assoluto valore vende almeno 2.000 copie. Al di sotto delle quali l’Âge classique non può ufficializzare l’evento culturale.
I testi invece che mettono in discussione i valori fondanti dell’identità occidentale sono da considerarsi sempre letteratura clandestina.
Nicola Lagioia aveva risposto in modo chiaro, lineare, senza dubbio discutibile, alle domande di Vasta. Difendeva una sua idea di letteratura e del lavoro editoriale.
Cos’è rimasto il giorno dopo? Un pizzico di nipponerie e scientologie, tanta verve su Muccino e ciccino, qualche “fesso” ad alzo zero e il solito ombelichismo.
Andrebbe ripensato proprio il senso dei commenti su NI. La redazione non dovrebbe limitarsi a tagliare gli insulti ma valutare anche l’idoneità del commento stesso rispetto al testo. Magari invitando gli stessi commentatori a nuove stesure, visto che si parla di editing.
Se no si perde tutto nel chiacchierio, compreso il mio.
Cordialità
@ O. C.
Concordo. A me pare che ognuno sia più preso dall’ebbrezza del proprio commento che dal senso generale del costruire una discussione pertinente e onesta. Che qui ognuno si crede detentore di verità eccelse e non tollera il confronto con gli altri.
e che il sacro mondo delle Lettere non è molto diverso dagli altri ambiti della società.
Con rammarico ne deduco che forse, allora, la Letteratura, non serve davvero a niente.
Infatti io sono passato ai telefilm.
Chi viene sabato a Officina Italia a regalare frutti a Piperno?
E’ davvero incredibile quanto astio, frustrazione, acredine, rancore, odio (degli altri e di se stessi) viene fuori da questi commenti.
Sulle prime si poteva pensare che tutto questo servisse a liberare l’ES, e quindi fosse quasi un sostituto psicanalitico. Il problema è che lo sfogatoio non erompe in maniera liberatoria su tutto ciò che il Superio dovrebbe contenere (paura della morte, fame di amore, di sesso, di cibo ecc.) ma, come dire, cortocircuita su questioni di carriera, su piccole frustrazioni condominiali, sul manoscritto nel cassetto che non sarà mai stampato, su cazzeggi filologici, su un certa pavida versione del fascismo che è in noi.
Davvero, è deprimente. Non ho mai visto in vita mia tanta sofferenza per questioni condominiali. E’ chiaro, fate una vita di merda. Però ad agire in questo modo la merda viene solo moltiplicata. Cerchiamo di uscire fuori dal guscio. Perché, davvero, è una cosa tristissima. Sono proprio dispiaciuto per voi che scrivete questi commenti, per me che li leggo, e ora per me che scrivo anche io. Aiutatevi.
Gli stessi che ieri diretti al Primo Maggio hanno distrutto un treno pur di non pagare il biglietto e poi sono fuggiti tirando la maniglia da bravi vigliacchetti?
Quello che dovrebbe far riflettere, qui, è che si intervistano tra di loro… “i furbetti della nazioncina”…
Un addio sentitissimo.
Ohi così&come, la prossima volta sistemo qualche faccina divertita per mostrare che si era rimasti sul piano dell’ironia, eh… (:-D)
E sì che quel “raccontiamocela”, per andare a nanna tranquilli, avrebbe dovuto essere chiaro… :-(
@The O.C.
Se ti sbrighi becchi il finale di Hazard. Salutami quella gran gnocca di Daysy.
Grande Bottalico!
Commento precedente in risposta a mr. Pomidoro.
@Bottalico
Meglio i telefilm che la telopsicanalisi.
Saluti cari
E forse (visto che NI ha tanti bravi scrittori) bisognerebbe scrivere un pezzo sui commentatori.
Perché davvero inizia a essere una branca della clinica. Bisognerebbe metterci tutta l’intelligenza e la pietà umana che tutto questo merita. Anche una certa caritatevolezza.
La feccia morale nasconde insomma sempre grandi sofferenze e quindi, forse, a scavare, anche la luminosità dei lontani giorni felici.
@Pomidoro
Eheheheh…
Giusto ieri ho rivisto il Piperno (nel senso del libro) nella mia
libreria, mi sono detta che a suo tempo buttai via un pò di soldi, e mi sa che non lo comprai nemmeno col 15% di sconto dell’Esselunga…sic !
Per esempio, Christian Frascella si vede che sta male. Guarda che se non sei Tonino Guerra, se nessuno ti conosce fuori da questi post, se non hai fatto carriera, se non hai talento, se niente rimarrà di quello che hai scritto, non è che per questo sei una persona che non merita di essere nata.
La tua dignità di essere umano, secondo me, è pari a quella di Tonino Guerra. Il primo che non è convinto però sei tu. Altrimenti non spargeresti queste pagine di un vomito che alla fine è tutto chiaramente rivolto a te stesso. Mettiti l’animo in pace. Pace.
Francamente, se mi devo fare una idea di letteratura, guardando al catalogo della Minimum Fax ne rimango deluso.
D’altra parte la loro esistenza poteva dipendere solo da certe scelte di nicchia. Nicchia mediocre ma che non c’era e che era attesa. Un caso di buona politica imprenditoriale.
Quando invece parlai con Elisabetta Sgarbi a Catania responsabile editoriale della Bompiani mi spiegò molto bene il modo attraverso il quale venivano selezionati i testi attraverso gli agenti.
Senti senti che leccaparabole. Domani ti intervistano, Bottalico, tranquillo.
E infatti… pure Frascella è il classico manoscrittore frustrato.
Ecco per esempio, in rete, una sua lettera a Elisabetta Sgarbi di Bompiani:
“Cara Elisabetta, l’ultima volta avevamo parlato di Rick Moody (un grande!) Ora le parlo di un nuovo autore, di prossima misteriosa pubblicazione Bompiani (talmente misteriosa che nemmeno lei, editor con le stellette, NE SA NULLA!) Si tratta di Christian Frascella, 34enne talento narrativo torinese, che ha deciso, finalmente, di inviarle il suo primo romanzo. Lui mi domanda: dove esattamente spedirlo e come, potendo, farlo passare direttamente sotto i suoi amabili occhi?
Christian Frascella”
Come cambiano i toni, eh?
Meditiamo, fratelli, meditiamo…
@ The O.C.
Ma sì, sostituiamo i simboli alle parole, viva il flusso della semiosi, tanto questo topic non è già abbastanza ambiguo! :-D
Non posso invidiare Tonino Guerra, poi, perchè è stato il mio maestro con Benvenuti. Nessuno mi conosce? Se un copione arriva da queste parti, è senpre alla mia ‘Cortese Attenzione’. Mi conosce chi mi deve conoscere, ciccio, e mi srotolano il red carpet, quando conviene.
Chiarissima presa per il culo alla signora Sgarbi, ma solo tu, Raimondi, non l’hai capito. Googla meglio.
Quelli col “leinonsachisonoio” in canna, sono di solito i più sfigati. Mi dispiace per te.
ma a me piacciono tanto i simboli! :-(
Certo, certo.
Senti… tappeto rosso… ho googleato un po’… uno che si mette col proprio nome e cognome nei siti internet per single mi fa quasi commuovere. Non vado oltre. Ma ci ha ragione quello di sopra: anche la mediocrità ha un’anima.
Ora vi lascio, miei cari, devo limare il copione di ‘Caos calmo’ mentre voi sciacquate il vostro ego in mediocri bacinelle.
Raimondi, mi hai fatto ridere, bravo. Spediscimi qualcosa all c. a.
… con la coda tra le gambe…
@c.a. redazione
Ripeto, perché non ripensare la struttura e i fini dei commenti? Lasciamo il chiacchierio criptato, così i warneristi si sentono meno accreditati. E magari Nicola Lagioia interviene per partecipare alla discussione, invece di rispondere all’intervista e basta.
@Luminamenti
Sarà che alla Minimum fanno un po’ troppo gli americani, ma vista l’aria che tira dire “idea imprenditoriale riuscita” è una specie di miracolo di Pietralcina.
La Elisabetta è un’acuta signorinetta (gira voce), ma chissà che ne pensa delle eredi Bompiani, aristofreak di professione con sede signorile in Piazza Navona.
Meglio le nicchie o i salottini?
Saluti amletici
Sì, bannatemi, ne gioverà il dibattito.
‘A Frascé,
qua nisciun ha ditt’ che adda ess’ bannat. Se ti rileggi meglio cosa dicevo prima era:
1. Criptiamo il chat-style senza censurare nisciuno, mango le parolacce;
2. Selezioniamo i commenti più adatti al testo pubblicato su NI (criterio: selezione e merito. In Warner funziona così? Penzo de sì). I suddetti commenti li pubblichiamo in chiaro.
3. Proponiamo ai commentatori impubblicabili di riscrivere il loro “sfogo”, con tanto di editing dalla teoria alla pratica.
U’ capisti, ‘a Frasce?
Statt’ Bùn.
Ma non te ne dovevi anna’ prima? A lavora’ a Muccino & Moretti? E lavora, lavora… che magari poi in sala ce rifilate quarche cosa che non so’ le solite cazzate vostre che me derubano de 7 euri la vorta?
Ma ‘a Warner non è quela de Sirvestro e der Bip Bip? E mo’ s’è messa a fa’ Romanzo Criminogeno e Verdone? Aridatece er bip bip!
Aho’ ,ma non te ne dovevi anna’ prima? A lavora’ a Muccino & Moretti? E lavora, lavora… che magari poi in sala ce rifilate quarche cosa che non so’ le solite cazzate vostre che me derubano de 7 euri la vorta?
Ma ‘a Warner non è quela de Sirvestro e der Bip Bip? E mo’ s’è messa a fa’ Romanzo Criminogeno e Verdone? Aridatece er bip bip!
Attendo Lagioia con trepidazione. Dovrò pur dirgli una buona volta di smetterla di inviare libri da ‘trattare’ della sua famosa ‘collana colleghi’. Ma ve l’immaginate?
WARNER BROS ITALIA PRESENTA: ‘Escluso il cane’
dal romanzo omonimo di Carlo D’Amicis (Minimum Fax, Nichel, Lagioia productions)
trama: (la prendo da IBS che è meglio si Syd Field, a volte): “Cosa succede a un giovane avvocato omosessuale residente a Roma, tormentato da un problema psicosomatico di incontinenza, tiranneggiato dalla madre, inutilmente sollecitato a “emanciparsi” dal suo compagno nonché collega americano, se si innamora di un cliente accusato di duplice omicidio?”
Cosa succede? Che nemmeno Cecchi Gori, succede.
stesso livello del processo di biscardi…
Sarebbero meglio le case editrici che riescono a pubblicare buoni libri e venderli bene. Questo sarebbe un miracolo! non è colpa della case editrici, né degli editor che fanno il loro lavoro come possono se questa fenomenologia è meno frequente sebbene ancora accada.
I lettori sono pochi e spesso cattivi lettori. Troppo confusi da una molteplicità di stimoli eversivi e con una scala assiologica di valori che relega il libro, il suo fine, lo sforzo cognitivo e la solitudine necessaria per portare a termine una lettura tra gli ultimi posti. Occorrerebbe ripensare bene alla teoria mimetica per porvi rimedio. Si tratterebbe di un’impresa sociale di vasta portata e molto faticosa. Un ripensamento di molto ruoli in quanto modelli di mimesi. Un sconfinamento nella struttura della società che andrebbe rifondata. L’idea di una mediazione creativa. Bisognerebbe vedere l’interpretazione del doppio vincolo di Bateson data da Fornari (G.Fornari, Il doppio vincolo del desidero di Leonardo. Verso un’epistemologia dell’arte e della religione, in Trigona a cura di, Imitazione creativa. Evoluzioni e paradossi del desiderio, Moretti & Vitali, Bergamo 2004). E poi c’è sempre la teoria del Bloom. Insomma, tutto se si vuole è modificabile culturalmente.
@WarnerB.
‘Mbé, magari lo può adattare lui:
http://www.cuoresacro.com/
“L’anonimato rende stupidi”, Christian Frascelli, mai pubblicato.
@luminamenti
Sarà. Ma al doppio vincolo di Bateson preferisco i fumetti di Seth Cohen. Troppo eversivo? http://it.wikipedia.org/wiki/Seth_Cohen
Un saluto a Padre Alex, senza scherzi.
@The O.C. No, li seguo anche io. A quel livello c’è ancora speranza
Non mi sembra affatto che questa intervista abbia detto qualche cosa che già non si sapesse. Lagioia ha semplicemente difeso il suo posto di lavoro. Ha fatto bene. Ma non ha detto niente che sia realmente importante, niente di nuovo.
E spiacente per l’ombellichismo e i muccini e i moccia che sono stati tirati fuori dal cappello magico, ma così è fatto il mondo, sin tanto che lo si vuol credere libero: si è difatti discusso delle meccaniche che portano un Muccino a pubblicare ripetutamente, e dei tanti sédicenti scrittori uguali a lui. Delle vendite e di come queste funzionano. Ma si saranno toccati tasti non piacevoli e proibiti, così qualcuno se la sarà legata al dito.
E’ bello poi notare come le critiche vengano da parte di chi come O.C. e Scerbanenko e Giulio Bottalico adottano nicknames che non sono verificabili, che per quanto ne so io potrebbero celare qualsiasi identità, per assurdo lo stesso Muccino in persona.
Avevo scritto spiacente per l’ombellichismo? No, in verità non sono affatto spiacente. Sono un uomo libero ancora in questo paese che si chiami Nazione Indiana o meno e sono libero di dire quello che voglio, essendo che sempre con garbo intervengo, a differenza di altri, degli stessi padroni di casa che non lesinano a usare linguaggio da scaricatori di porto.
amen
Giusto!
Potranno legarsela al dito quanto vogliono, Iannox, ma io credo in te, e so che un giorno li sconvolgerai, li costringerai a ridefinire le coordinate della letteratura italiana. Se solo sapessero quale bomba hai in serbo! Tanti celebrati scrittorucoli correranno finalmente a nascondersi, di fronte all’evidenza di chi avrà fatto tutto da solo, senza un (pi)perno a cui aggrapparsi, senza essere parente di nessuno e senza essere desiato da alcuno.
A te, intanto, tutta la solidarietà degli scaricatori di porto e dei librai, benemerita categoria che umilmente rappresento.
Grazie, Fiorello M’Annoia. Sei il mio Mito Mondadori, il SuperPocket che tengo sempre meco insieme a una vecchia Bibbia colle pagine incollate… Sono commosso: grazie di cuore. Grazie. Che il Signore possa sempre benedire le tue parole.
Commosso.
Pura commozione. Cerebrale.
Monciccino c’est moi.
Dell’editing e della selezione dei testi da pubblicare si deve occupare la redazione di NI.
Quello che aggiungevo a margine di Lagioia riguarda i commenti, che a mio parere sono la marcia in più di quella che chiamate litblog.
In questo caso non tutto, e non subito, dovrebbe essere “in chiaro”, alla luce del web. Ma un lavorio preventivo e sotterraneo. Per evitare che scazzi e scazzetti, gattini ciechi e imprevedibili retromarce, finiscano per ‘depistare’ la discussione che si sviluppa intorno a un pezzo.
Questo non significa limitare o censurare nessuno. A differenza di altri io credo che si può essere, tutti, ‘scrittori per un giorno’. Sono sempre stato un fan di Pupkin. Dopo un po’ i Langford mi appallano.
http://it.movies.yahoo.com/r/re-per-una-notte/index-112905.html
Dice Scerba che forse sarebbe opportuno distinguere tra ciò che è letterario e cio che non lo è; la stessa cosa che prospettava Lagioia nel suo intervento.
Questo però mi toglierebbe gran parte del divertimento: i nick e i tic, il gossip intramuscolo nelle arterie editoriali e il vaffamokk, insomma il cazzeggio che poi è il succo dell’hot blog.
Non so voi, ma io qui ci vengo al 70% per questo (i commenti), mica per leggere Lagioia che ho già digerito a sufficienza. Saviano, Lagioia e i postatori sono solo uno stimolo. I protagonisti sono altri. Il protagonista è la condivisione. Che non è fatta di nomi e cognome.
Capisco però che ci sono tanti, ma tanti Priori del culturame che predicano bene (libertà di commento per tutti) e razzolano male, selezionando i pezzi (non i commenti) in base a una precisa linea ideologica, prima che editoriale.
Di questo non mi lamento, mi ci è voluto un po’ di tempo per esserne sicuro, ma è chiaro che è così. E in fondo questo è l’aspetto meno sorprendente di un blog come NI. Ma proprio in virtù di questa scoperta (dell’acqua calda) andrei oltre: estendere la selezione e l’editing anche ai commenti. ‘Moderati’ secondo nuovi e diversi criteri dalla redazione:
1. Criptiamo il chat-style senza censurare nessuno: chi si diverte in questo modo, io per primo, potrebbe essere disposto anche a diventare un vero sostenitore di NI, perché criptare vuol dire pagare. Datemi i riferimenti bancari, non aspetto altro.
2. Selezioniamo (ops, selezionate) i commenti più adatti al testo apparso in Home page. Il criterio? il merito. E chi lo decide chi merita? La redazione. E chi controlla i controllori? Lo chiamano direttore editoriale. E chi lo sceglie il direttore editoriale. Inventiamoci ‘na cosa tipo Primarie, ovviamente solo ai lettori muniti di password.
3. I suddetti commenti, remixati e corretti, li pubblichiamo in chiaro. Per ordine di attinenza e di valenza.
4. Proponiamo ai commentatori impubblicabili e impubblicati di riscrivere il loro “sfogo” con tanto di editing. Dalla teoria alla pratica.
5. Definiamo delle guidelines sulla scrittura web, non quella mondiale, ma nel particolare: il web writing nazionale.
Ce n’è da fare.
Per adesso mi tocca salutare
Ops, sbagliato a inserire il commento.
Andava a margine di Merisi.
Scusate assai.
“insomma il cazzeggio che poi è il succo dell’hot blog”
sono d’accordo, e muore se si censura, anche con le migliori intenzioni, perciò il piacere dovrà continuare a mescolarsi con l’insofferenza
Be’, proprio su quest’ultimissima di O.C. dei commenti “incanalati”, abbiamo licenziato giorni fa un’antologia poetica sui generis, a partire dalle “Bacheche” curate nel 2006 dal poeta e critico Gianfranco Fabbri sul suo blog “la costruzione del verso”. Trovate l’e-book riepilogativo su http://www.nabanassar.com/aggiornamenti.html ; e’ un .pdf di quasi 1MB con trentatre autori introdotti da Fabbri stesso, le poesie presentate sul blog e i commenti di chi e’ passato e ha scritto.
Che c’entra con il discorso di O.C.? In fase di editing, tutti i commenti non strettamente legati alla proposta letteraria (diremmo al topic, qui su NI) sono stati cassati. S’e’ persa vita e s’e’ persa la presa diretta, ma molto s’e’ salvato. Allora ecco che chi mette un testo su NI potrebbe prendersi la briga, ogni sette/dieci giorni, di ripulire il colonnino, liddove occorra, lasciando il succo per continuare a discutere in tema.
stato di pulizia?
Domanda :
dicono che Vasta pubblicherà il suo primo romanzo con Minum Fax; indi mi chiedo se a sua sarà “affiancato” da un editor.
Come funziona?
Lucia
a sua volta
Lucia
E poi, mi piacerebbe sapere se sono molti gli editor che ad un certo punto pubblicano un proprio libro.
Grazie.
Lucia
mi piacerebbe sapere, inoltre, se sono molti gli editor che ad un certo punto pubblicano un proprio libro.
Grazie.
Lucia
Arrivo in ritardo…
Ho letto da qualche parte
(forse proprio nella prefazione;
e vado a memoria quindi può darsi che mi sbagli)
che nella scelta dei racconti per Voi siete qui,
l’ultima antologia “best off” di minimum fax
ci sono state divergenze di opinioni anche forti
tra il curatore Desiati e Nicola Lagioia, che ne
ha curato l’editing.
In effetti – a fronte di qualche buon assolo –
almeno un paio di racconti sono
impresentabili
e uno è totale
spazzatura, impubblicabile,
e se non mi inganno sulla scrittura di Lagioia
e sui gusti/universo letterario che ne traspaiono in filigrana,
be’, ho la sensazione che lui non l’avrebbe pubblicato.
Grande mastrolindo!
Tutto giusto. Penso anch’io che tutti gli editori stiano smaniando alla ricerca di nuovi talenti.
Peccato che nell’ultimo anno e mezzo in cui ho bussato alle porte “smanianti”, non abbia ricevuto che cortesi no (nei casi più educati). Vige il principio del silenzio diniego e, quando qualcuno restituisce un manoscritto… l’autore scopre che 8 mesi non sono serviti neanche a sfogliarlo. Frustrante a dir poco e poco furbo per l’immagine di chi restituisce (forse per questo restituiscono in pochissimi ;-))
Ho provato anche a propormi alla minimum fax, ma (vado a memoria), mi è stato risposto che sono “pieni per due anni”. Vorrà dire che riproverò nel 2009.
Ultima chicca. una piccola casa editrice mi ha detto di si… peccato che la rilettura che vorrebbero fare… avverrebbe se e solo se falcidiassi (per ragioni di mercato) le pagine del mio romanzo da 300 a 150. Alla faccia della letteratura! ;-)
Cito anche un record di valutazione da Guiness dei Primati: una grande casa editric mi ha risposto dopo dieci giorni con un no impersonale via email (a fronte del cartaceo che ho inviato). Non hanno avuto la decenza di scrivere il mio nome e cognome nella lettera di risposta. Possibile che in dieci giorni si riesca a valutare un testo (è scritto in italiano perfetto, preciso).
Nell’articolo si scrive che si stappa una bottiglia di spumante quando si incontra un libro meritevole di una qualche lettura (che lasci qualcosa): ma siete davvero sicuri che ciò corrisponda a verità?
Io non ho santi in Paradiso, ho scritto due romanzi, leggo in modo feroce da quando ero men che adolescente. Ma pare che questo non basta all’editoria tradizionale…
Un discorso a parte andrebbe fatto per gli editori di autori APS (A Proprie Spese, secondo la bellissima definizione di Eco: da rileggere il capitolo del Pendolo). Ho avuto tre proposte, tutte entusiastiche, e tutte allineate a rifilarmi il nulla per 3.000€.
Capirete lo stato di profonda sfiducia che mi pervade ogni volta che entro in una libreria. Suggerirei meno retorica in questi interventi e un maggiore attagliarsi alla realtà dei cosiddetti “esordienti”.
Distinti Saluti
PG
“Falcidiassi (per ragioni di mercato) le pagine del mio romanzo da 300 a 150.” Be’, mi sembra un esercizio divertentente. Perché non provarci?
Un’altra cosa. Eco farebbe meglio a non ironizzare. Per rispetto di Moravia e di Giovene, tanto per dirne un paio.
3.000 euro mi sembra un po’ eccessivo. Sarebbe interessante valutare le proposte di pubblicazione.
Un saluto e in bocca al lupo.
@ The O.C.
Secondo te è giusto chiedere contributi per una pubblicazione?
Chiedere contributi x non meno di 3000 euro fornendo “servizi” improbabili e di fatto neanche una distribuzione/pubblicità minimamente degna?
Non andrebbero estirpati tali editori, perché editori non sono?
E se è così, se rappresentano il cancro, perché sono regolarmente invitati a manifestazioni come ad esempio Il Salone del Libro di Torino che a breve aprirà?
Se i servizi sono ‘improbabili’ 3.000 euro sono troppi, tanto vale trovarsi un tipografo solidale. Ma se c’è da rateizzare, se c’è una distribuzione e una promozione adeguata, non mi sembra una cifra così eccessiva e sensazionale (aggiungerei anche l’editing e la revisione del testo, il lavoro redazionale e altre piccolezze, come la visibilità internettiana, per esempio). E soprattutto grande attenzione al prezzo di copertina. Insomma, estirpare è una parola grave. Lasciamola a questo o quel pescecane.
Sorry. Il commento precedente è mio.
Forse bisognerebbe distinguere, ok. ma ci sono editori che guadagnano con l’esborso dell’autore e a cui vendere i libri, e quindi investire in promozione, non interessa più di tanto, perché il loro ricavo lo hanno già raggiunto.
Ci sono editori che chiedono all’autore l’acquisto di 300, 350 copie del loro libro con un prezzo di copertina che si aggira sui 15 euro (a conti fatti ci aggiriamo ben oltre i 3000 euro).
Implicitamente, questo modo di procedere non significa: vendili tu i tuoi libri, a noi non ce ne frega nulla?
che editori sono?
se non fosse così, potrebbero stampare meno copie e alleggerire il carico sull’autore. cioè, l’autore potrebbe dire: “scusate, stampate duecento copie di meno, quelle che dareste a me, e così siamo tutti d’accordo.
non so se mi sono spiegato.
e poi, la promozione sul loro sito, è una promozione internettiana, ok: ma è sufficiente così poco? che costi sostengono per la promozione in questo modo?
secondo me nessuno.
e perché questi “editori” sono chiamati a partecipare a eventi come il Salone del libro di Torino?