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La cultura non è un prodotto come gli altri

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Chi l’ha detto?

Uno scrittore è produttivo non nella misura in cui produce idee, ma nella misura in cui arricchisce l’editore che pubblica le sue opere.

Soluzione à suivre (a seguire)

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34 Commenti

  1. Dobbiamo fare in modo che la letteratura e l’arte si integrino perfettamente nel meccanismo generale della rivoluzione, diventino un’arma potente per unire e educare il popolo, per colpire e annientare il nemico, e per aiutare il popolo a lottare contro il nemico con un cuore solo e una sola volontà.

    Chi l’ha detto?

  2. Ma se provassimo a tornare al titolo: la cultura non è un prodotto come gli altri? Cercando di capire in concreto come si differenzia? Forse perché non si compra e non si vende, o forse perché è scarsamente definibile. Cosa dire della cultura raffinata di un bambino bantu che conosce mediamente centinaia di piante con le loro proprietà e che distingue il verso di decine di uccelli della foresta? Io dico che il problema sta dentro lì: una cultura è tutte le culture.

  3. Se la cultura è uno stile di vita
    e lo stile è l’uomo
    la cultura non è un prodotto perchè non è un oggetto.
    E’ un soggetto.

  4. Gli scrittori di oggi, perlopiù, producono prodotti. Ma i prodotti non rimangono. Ne consegue che scrivere è un mestiere non diverso dal fare l’impiegato. Si dovrebbe scrivere per i posteri, per essere al di là dell’essere mero prodotto. Ma oggi si preferisce di gran lunga raccogliere il poco che i prodotti della penna, degli editor e degli autori producono. I famosi 15 minuti secondo la formula di Warhol.

  5. Forse non molti sanno che del citato, illuminante capoverso:

    Uno scrittore è produttivo non nella misura in cui produce idee, ma nella misura in cui arricchisce l’editore che pubblica le sue opere.

    recentemente è stato ritrovato dalla studiosa anglosassone Arthemisia Goldpound, fra alcuni altri preziosi inediti, il seguito, scritto a matita:

    Il plusvalore prodotto dalle opere dello scrittore di successo, anche, e sopratutto, se non di eccelsa qualità, serva all’editore, per riuscire a pubblicare quelle degli scrittori di assoluto valore, che di copie non ne venderanno che poche migliaia.

    La modernissima considerazione stava, ignorata, sul retro di una consunta lista della spesa:

    candele
    sapone
    lardo
    patate
    inchiostro
    pennini
    laudano

    rinvenuta nella tasca di una vecchia redingote, insieme a diversi scontrini del Banco dei Pegni, conservata miracolosamente intatta in un baule di vimini della soffitta del modesto appartamento che Marx e famiglia occuparono nel 1849 a Londra, situato nel malsano quartiere di Soho.
    Lì moriranno tre dei suoi figli Heinrich e Franziska, di denutrizione, e il piccolo Edgard, affettuosamente chiamato Musch, di tubercolosi. Con l’unico aiuto dell’amico Engels che scriverà:

    ” Credo che nessuno abbia mai scritto di denaro con una simile mancanza di denaro”.

    Karl, dopo la morte del figlio, scriverà ad Engels:

    “La casa è del tutto desolata e vuota dopo la morte del caro bambino che ne era l’anima. Non si può dire come il bambino ci manchi a ogni istante […] Mi sento spezzato […] Tra tutte le pene terribili che ho passato in questi giorni, il pensiero di te e della tua amicizia, e la speranza che noi abbiamo ancora da fare insieme al mondo qualche cosa di intelligente, mi hanno tenuto su”.

    [Vite luminose_Numero: xyz]

  6. L’immundus di Karl Marx

    L’aforisma del post è di Karl Marx. Precursore della cultura capitalista, sosteneva anche che: Non esiste nulla che abbia valore senza essere un oggetto d’utilità.
    Il dramma è che oggi solo la mondezza sarebbe dannatamente utile, se non la lasciasssimo marcire nelle discariche clandestine.

  7. diciamo meglio che:
    uno scrittore è produttivo nella misura in cui
    riesce a venire del suo…..

  8. e comunque, riguardo al detto qua sopra evidenziato,
    una cosa non esclude l’altra!
    chi produce lo fa per un fine
    chi pubblica lo fa per continuare quel fine!
    è sì, sempre di fine si tratta….:-(

  9. A me convince abbastanza l’origine della cultura dalla teoria mimetica di Girard. Quindi cultura come struttura, messa in scena del Desiderio.
    Nel Desiderio però è inscritto un elemento di violenza che è l’effetto dovuto alla mancanza del Reale da parte dell’Immaginario e del Simbolico.
    La cultura così dovrebbe depotenziare questo elemento violento con l’immaginario e il simbolico. Ma può come ben sappiamo invece codificare, costruire l’elemento violento.

    Il bambino bantu ha certo grande cultura e su quella conoscenza costruisce anche lui un mondo come i Jivaro cacciatori di sogni costruiscono un mondo a partire dalla conoscenza dell’ayahuasca.

    Più storicamente invece c’è una Cultura esoterica: è la radice di tutte le ideologie del nostro mondo. Nel secolo decimonono la sua espressione è il liberalismo risalendo alle su prime manifestazioni nel Seicento che emanano dal complesso delle idee isoteriche dei Rosacroce. Il socialismo e il comunismo sono riconducibili alle logge di stampo illuminato del Settecento sopratutto in Germania. Nell’Ottocento logge ginevrine acquisiscono l’ideologia cmunista dalla quale emergeranno gli albori socialisti. Anche la cultura fascista ha radici esoteriche insufficientemente esplorate.

    Rimane la Religione (il Religioso) come madre di tutte le culture.
    Ma attenzione, la parola religione, per me rimanda a certi programmi mentali, a una griglia cognitiva congegnata per funzionare dentro sequenze storiche, in cui avviene una rielaborazione continua di vecchie credenze. Su questa griglia cognitiva: programmi mentali, trasmissioni in base a norme, le quali implicano oblio, annullamento e innovazione continui. Questa è la Cultura!
    Poi avrei qualcosa da dire sui dualismi (culturali) fondanti, ma che presto saranno superati quando prenderemo coscienza della realtà virtuale per quello che è!

  10. Credo che la nozione antropologica di cultura sia l’unica da considerare e la sola capace di prevenire il rischio (sempre incombente) di darne definizioni ‘aristocratiche’.

    Dunque, per dirla con Tylor, cultura come “quell’insieme complesso che include la conoscenza, le credenze, l’arte, la morale, il diritto, il costume e qualsiasi altra capacità e abitudine acquisita dall’uomo come membro di una società”.

  11. A proposito di Furlen, qualcuno per caso ha già avuto in mano una copia del numero 8 di «SUD», la rivista letteraria più fantasmatica mai concepita?

  12. io ce l’ho il Sud n.8. l’ho avuto poco fa dal Furlen in persona alla Camera Verde di Roma. c’è un grande Saul Bellow e foto eccezionali di un certo Vittorio Pandolfi. il resto devo ancora leggerlo. Ciao Francesco, speriamo di vederci all’appuntamento con Arrabal!!! dege.

  13. Re-vista
    Nunca-vista
    :-)
    effeffe
    ps

    O cappuccetto
    postai me misere en viajio
    un cummentar post post
    ma nella fritta il post nun l’acceptò.

    Nun cum lo dash ma col penzer que livro
    seria nu detersivo n’assurbente
    et alors du marketing et du rest
    a nuie nun ce ne fotte niente

    l’ispirazione venne da una campagna “pubblicitaria” del ministero della cultura francese che metteva tutti gli operatori culturali in guardia dal trattare l’oggetto culturale come un oggetto qualsiasi di consumo.
    non mi sembra eccessivo se si pensa a quante realtà artistiche scomparirebbero se non ci fosse una disponibilità alla loro diffusione, comunicazione, a prescindere dalla quantità di pubblico o di mercato disposto ad accoglierle.
    Pensiamo per esempio al free Jazz, o alla musica contemporanea, alla video art o alla poesia tout court. Si tratta di linguaggi non necessariamente popolari, non redditizi, eppure necessari.
    France Culture mostro- helas in crisi- dell’emittenza francese presenta 24 ore su 24 programmi che spaziano dalla filosofia, alla storia della musica, dai docudrama alle tavole rotonde, il tutto senza pubblicità. Perchè in Italia ogni cosa, tutte le cose devono avere una vocazione commerciale?
    effeffe
    ps
    besos a todos et a esmeralda e a capusceto rojo

  14. Tchau Dege
    à bientot
    effeffe
    ps
    mi raccomando, precipitatevi alla camera verde per il libretto rosso appena edito
    daltonici e anticomunisti astenersi

  15. E vabbe’, mo’ s’aspetta…
    (Ao, er direttore daa rivista
    m’ha cazziato ar telefono perché
    ci ho er fuoco ar culo, co’sto Sudde – stìca!)

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Sono musicista, quando si studia un brano si considera che anche il silenzio, la pausa sia musica. Compositori come Beethoven ne hanno fatto uso per sorprendere, catturare, ritardare le emozioni del pubblico, il silenzio parte della bellezza. Il silenzio qui però non è la bellezza. Il silenzio che c’è qui, da più di dieci mesi, è anti musicale, è solo vuoto.
francesco forlani
francesco forlani
Vivo e lavoro a Parigi. Fondatore delle riviste internazionali Paso Doble e Sud, collaboratore dell’Atelier du Roman . Attualmente direttore artistico della rivista italo-francese Focus-in. Spettacoli teatrali: Do you remember revolution, Patrioska, Cave canem, Zazà et tuti l’ati sturiellet, Miss Take. È redattore del blog letterario Nazione Indiana e gioca nella nazionale di calcio scrittori Osvaldo Soriano Football Club, Era l’anno dei mondiali e Racconti in bottiglia (Rizzoli/Corriere della Sera). Métromorphoses, Autoreverse, Blu di Prussia, Manifesto del Comunista Dandy, Le Chat Noir, Manhattan Experiment, 1997 Fuga da New York, edizioni La Camera Verde, Chiunque cerca chiunque, Il peso del Ciao, Parigi, senza passare dal via, Il manifesto del comunista dandy, Peli, Penultimi, Par-delà la forêt. , L'estate corsa   Traduttore dal francese, L'insegnamento dell'ignoranza di Jean-Claude Michéa, Immediatamente di Dominique De Roux
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