Nella mia ora di libertà
Oggi è il 25 aprile e non riesco a pensare – malgrado i 62 anni trascorsi – che sul blog non ci sia un segnale di questo. Vi propongo il testo di una delle canzoni di Fabrizio de André che preferisco. Basta leggerla e si capisce subito che non sia tra le più trasmesse e frequentate. Altro che Marinella e Bocca di rosa. Andrebbe frequentata di più, e c’entra col 25 aprile. (Forse qualcuno più abile di me potrebbe inserirci anche la musica.) a.s.
Nella mia ora di libertà
Di respirare la stessa aria
di un secondino non mi va
perciò ho deciso di rinunciare
alla mia ora di libertà,
se c’è qualcosa da spartire
tra un prigioniero e il suo piantone
che non sia l’aria di quel cortile
voglio soltanto che sia prigione,
che non sia l’aria di quel cortile
voglio soltanto che sia prigione.
È cominciata un’ora prima
e un’ora dopo era già finita
ho visto gente venire sola
e poi insieme verso l’uscita,
non mi aspettavo un vostro errore
uomini e donne di tribunale
se fossi stato al vostro posto…
ma al vostro posto non ci so stare
se fossi stato al vostro posto…
ma al vostro posto non ci so stare.
Fuori dell’aula sulla strada
ma in mezzo al fuori anche fuori di là,
ho chiesto al meglio della mia faccia
una polemica di dignità,
tante le grinte, le ghigne, i musi,
vagli a spiegare che è primavera
e poi lo sanno ma preferiscono
vederla togliere a chi va in galera,
e poi lo sanno ma preferiscono
vederla togliere a chi va in galera.
Tante le grinte, le ghigne, i musi,
poche le facce, tra loro lei,
si sta chiedendo tutto in un giorno
si suggerisce, ci giurerei
quel che dirà di me alla gente
quel che dirà ve lo dico io
da un po’ di tempo era un po’ cambiato
ma non nel dirmi amore mio,
da un po’ di tempo era un po’ cambiato
ma non nel dirmi amore mio.
Certo bisogna farne di strada
da una ginnastica d’obbedienza
fino ad un gesto molto più umano
che ti dia il senso della violenza
però bisogna farne altrettanta
per diventare così coglioni
da non riuscire più a capire
che non ci sono poteri buoni
da non riuscire più a capire
che non ci sono poteri buoni.
E adesso imparo un sacco di cose
in mezzo agli altri vestiti uguali
tranne qual è il crimine giusto
per non passare da criminali.
Ci hanno insegnato la meraviglia
verso la gente che ruba il pane
ora sappiamo che è un delitto
il non rubare quando si ha fame
ora sappiamo che è un delitto
il non rubare quando si ha fame.
Di respirare la stessa aria
dei secondini non ci va
e abbiam deciso di imprigionarli
durante l’ora di libertà,
venite adesso alla prigione
state a sentire sulla porta
la nostra ultima canzone
che vi ripete un’altra volta
per quanto voi vi crediate assolti
siete lo stesso coinvolti.
Per quanto voi vi crediate assolti
siete lo stesso coinvolti.
“Storia di un impiegato” fu scritta da De Andrè sull’onda del Maggio francese. Sinceramente non vedo grossi riferimenti al 25 Aprile. Che andrebbe sempre e comunque ricordato, concordo.
Ho inviato un commento prima che non è andato a buon fine.
Riprovo:
Concordo nell’opportunità di ricordare il 25 aprile, non ci vedo grandi collegamenti con Nella mia ora di libertà in cui la sensibilità dell’autore nell’interpretare la realtà esprime il contrasto tra potere e libertà ed il non senso di certi metodi pseudo democratici per ciò che “È cominciata un’ora prima e un’ora dopo era già finita”.
Io ci vedrei meglio “La ballata degli impiccati”, che di sicuro centra poco ma che ha un finale molto efficace:
“Coltiviamo per tutti un rancore che ha l’odore del sangue rappreso
ciò che allora chiamammo dolore è soltanto un discorso sospeso”
Lady Lazarus= sfigata
Ti confondi con tua sorella, anacleto.
Faber è sempre Faber, Poesia.
Il ministro dei temporali
in un tripudio di tromboni
auspicava democrazia
con la tovaglia sulle mani e le mani sui coglioni
“voglio vivere in una città
dove all’ora dell’aperitivo
non ci siano spargimenti di sangue
o di detersivo”
Dalla “Domenica delle slame” … nel ’91 era un pezzo molto “attuale”, da un po’ di anni a questa parte andrebbe risconsiderato come profetico.
Pardon … “La domenica delle salme” :-)
Chissà che avrebbero pensato gli operai milanesi che fecero il 25 aprile sentendo i coretti qualunquisti di Stadio San Babila, i fischi “bipartizan”*** a Bertinotti e Cofferati, gli slogan incancreniti da un ideologismo astorico quanto infantile.
Chissà che reazione avrebbero avuto i Padri di fronte al ritratto tipico dell’Ora-E-Sempre-Resistente: uno scoppiato con il Peroncino in canna che, tra un insulto e l’altro, scolletta allegramenta in piazza, rutta e scoreggia, scodinzolando riconoscente quando una monetina da 50 cents gli finisce in tasca.
Sono più narcisi di un Paolini qualsiasi. Più chic di Finkelstein e della solita, lugubre menata sull'”industria” del 25 aprile. Vergogna, vergogna.
***strepitosa definizione di RaiNews24
Ieri ho ricordato, in occasione del 25 aprile, Arrigo Benedetti e il suo “Il passo dei longobardi”:
http://www.vibrissebollettino.net/archives/2007/04/scrittori_lucch_10.html
Faber l’odiava quel disco, Storia di un impiegato. Diceva che lui voleva dire tante cose in quell’album, e che alla fine era venuto fuori un mezzo pasticcio. Non era riuscito a infondergli quello spirito di anarchica libertà che lui voleva. Eppure sentitelo oggi, Storia di un impiegato! Vale oggi più che negli anni ’70. Oggi vale di più. Sì, non c’entra nulla col 25 aprile, è vero. Però non importa…
Appoggio la scelta di ricordare “Nella mia ora di libertà”, ma non credo che per parlarne sia necessario sminuire Marinella o Bocca di rosa