L’energia
di Antonio Sparzani
Come ci riferisce Diogene Laerzio (III sec. d.C.), allorché nelle sue Vite dei Filosofi parla del grande Epicuro (IV-III sec. a.C.), nell’antichità, ma anche – aggiungerei – poi nel Medioevo, si dibatteva del singolare tema se il piacere fosse connesso necessariamente col movimento o se consistesse semplicemente nell’assenza di dolore (piacere catastematico, ovvero calmo e stabile). Diogene osserva che, a differenza dei Cirenaici che “non ammettono il piacere catastematico, bensì soltanto quello che consiste in un movimento”, Epicuro li “ammette entrambi, quello della mente e quello del corpo”. E infatti, entrando poi nel merito della dottrina epicurea, Diogene cita esplicitamente la seguente affermazione di Epicuro: “Infatti, l’imperturbabilità e l’assenza di dolore sono piaceri catastematici, mentre la gioia e la letizia sono viste come piaceri in movimento e in azione” (1). Questa locuzione “in azione” è, nell’originale, energeìa(i), dove la parola vale ‘attività’,(2) qualcosa comunque di dinamico. Deriva ovviamente da érgon, opera, impresa, dalla stessa radice indoeuropea che ha dato luogo al tedesco Werk e all’inglese work, tanto per dire.
Per una singolare coincidenza, lo stesso problema, quello se il piacere richieda movimento o no. dà occasione alla prima comparsa, in un volgarizzamento italiano del Tesoro di Brunetto Latini, nella storia della lingua italiana (3), della parola ‘relativo’, ma, naturalmente, scusate, questa è un’altra storia, ma la relatività è così bella…
Energia, vedete, è prima di tutto una parola, che ha assunto un po’ alla volta nel linguaggio naturale un significato non rigorosamente definito, piuttosto, come spesso accade, ha individuato un campo semantico che a tutti noi è famigliare. Si può dire che per sollevare un oggetto pesante occorre molta energia, o che occorre molta forza, senza che alcuno si scandalizzi; si parla anche di energia mentale, psicologica, o di energia vitale, fino agli usi più esoterici e francamente imbarazzanti del termine, su cui né qui né altrove intenderei soffermarmi.
La fisica, come credo di aver già detto varie volte, pesca le parole nel linguaggio comune e ne fa poi quel che pare a lei, inchiodandole, così almeno si spera, ad un significato univoco e nettamente definito. Un po’ alla volta, durante l’Ottocento, il termine appunto si specializzò a designare una grandezza fisica, che, allora come oggi, assume, a seconda dei contesti, varie forme e varie espressioni, che però mantengono tra loro una sostanziale unità. Come quando si somma il peso di un sacco di mele e quello di un sacco di melanzane, si possono sommare e la somma dà il peso globale, anche se le mele e le melanzane sono assai diverse (ancorché ottime entrambe). Ricorderete, da qualche lontano, o forse non tanto, studio, che si parla di energia cinetica, quella legata al fatto di muoversi, e di energia potenziale (terminologia aristotelica, notate) che è l’energia che compete ad un corpo in quanto è in una situazione nella quale gli altri corpi che gli stanno intorno possono esercitare delle forze su di esso e quindi compiere del lavoro.
La cosa bella di queste prime definizioni di energia era che la somma di quei due tipi di energia rimane costante durante il movimento di un sistema di corpi comunque interagenti, cosa che rende tutti i fisici assai contenti; i fisici vanno matti per le grandezze che rimangono costanti durante il movimento – che chiamano costanti del moto – perché attraverso di esse le soluzioni dei problemi si trovano più agevolmente. Quando i fisici si accorsero che a ben guardare, in un processo reale, questa energia somma di cinetica e potenziale (detta energia meccanica) non si conserva affatto (quando lasciate cadere un oggetto per terra, questo, una volta arrivato, non avrà più né energia cinetica – è fermo a terra – né energia potenziale – la gravità ha smesso di poter agire perché il corpo è ormai a terra), invece di dire che l’energia in certi casi non si conserva, preferirono dire che c’è un’altra energia di cui non s’era tenuto conto, nell’esempio sopra, l’energia termica (arrivando a terra, il corpo si è un po’ scaldato e ha scaldato la terra che ha subìto l’impatto).
Così è proseguita la storia: anche tenendo conto dell’energia meccanica e dell’energia termica l’energia totale non si conserva. Prendete la luce del Sole, che ci mette otto minuti e mezzo circa ad arrivare dal Sole a noi; questa luce ci porta calore e quindi energia, sì, ma in quegli otto minuti e mezzo che sta viaggiando, dove sta questa energia, che noi poi ci ritroviamo sulla Terra? Dove sta? Nello spazio vuoto non c’è alcunché di ‘caldo’ che abbia un’energia termica. Ovvio, sta nei raggi, direte voi, allora però bisogna aggiungere ai tipi di energia finora noti anche quella elettromagnetica, perché i ‘raggi’ sono onde elettromagnetiche, mica sono fenomeni meccanici o termici. Ecco quindi che s’ha da aggiungere un altro termine, per mantenere in piedi l’ormai celebre e irrinunciabile ‘conservazione dell’energia’. Consiglio agli interessati di andarsi a leggere quanto dice in proposito il grandissimo scienziato francese Henri Poincaré, nel suo libro La Scienza e l’ipotesi (1902), recentemente riedito da Bompiani (collana testi a fronte) :”tra le funzioni che rimangono costanti non ve n’è alcuna che possa essere espressa rigorosamente in questa forma particolare; perciò, come scegliere tra di esse quella che va chiamata energia? Non abbiamo più nulla che possa guidarci nella nostra scelta.
Non ci resta che un enunciato per il principio di conservazione dell’energia: vi è qualche cosa che rimane costante. In questa forma, esso diventa immune dagli attacchi dell’esperienza e si riduce a una sorta di tautologia.” (corsivo nell’originale, p. 195).
Insomma, un po’ deludente per chi si aspetta una definizione chiara e distinta – e generale – di una grandezza fisica, mi immagino che tutti dicano, ma la scienza non è almeno capace di definire con precisione i propri termini? Se neanche il linguaggio è chiaro, come si fa, dove andremo a finire, non c’è più religione, e via di questo passo.
E invece il bello sta proprio qui, anche nelle questioni più astratte e (apparentemente) teoretiche la scienza (la fisica non è la matematica) procede per prove ed errori, si arrangia, si precisa un po’ alla volta, le definizioni diventano sempre meglio delimitate, le affermazioni si affinano in maniera da specificare meglio il proprio campo di applicazione. Ovvero, si lancia il sasso, e poi, non si ritira proprio la mano, ma ci si deve fermare un attimo, o molti attimi, a valutare come mai il sasso è andato a finire proprio là, come si potrebbe lanciarlo meglio e così via.
Questo per dire che non è che adesso bisogna disperarsi perché non abbiamo una definizione chiara di energia, affatto, ne abbiamo molte buone approssimazioni che vanno bene, working [ricordate, vero, working, parente di ergon…] definitions, si potrebbe dire, definizioni che funzionano nella maggior parte dei casi, che sono poi quelli che abbiamo rapidamente percorso per introdurre il concetto. L’importante è forse non confonderla con altre grandezze fisiche, che hanno a che fare con la “produzione di attività”. La forza, ad esempio. Sul libro appoggiato qui sul mio tavolo agisce comunque la forza di gravità – tanto che se gli tolgo il tavolo dal di sotto, il libro cade al suolo (e se poi tolgo il suolo, ecc.) – ma nessuna energia è connessa con ciò, quella forza non sta producendo ora energia su quel libro, la produrrebbe soltanto qualora appunto levassi il tavolo, e in questo consiste l’affermazione che quel libro possiede energia potenziale.
Nei discorsi fatti nelle ultime puntate sulla complementarità l’energia che interessa è proprio anche quella elettromagnetica, perché è quella portata dai ‘raggi di luce’, ‘fotoni’, che vanno a sbattere su un atomo o che un atomo emette.
Parentesi terra terra sulle parole dei nostri consumi domestici: anche la parola ‘potenza’ sta in questo campo semantico definito vagamente dalla lingua naturale. Non suona strano dire che per sollevare un gran peso ci vuole molta potenza, ma la fisica ha accuratamente riservato per questa nuova parola un significato distinto: la potenza è l’energia (il lavoro, si dice nei manuali di fisica) erogata (o assorbita, secondo i casi) per unità di tempo. Una macchina capace di darvi 1000 J (joule, unità di misura di energia) in un’ora è meno potente di una in grado di fornirvi gli stessi 1000 J in un minuto, o in un secondo. L’unità di misura della potenza è il watt, simbolo W, che indica la potenza di una macchina che vi fornisce un J al secondo. Un Kilowatt, simbolo Kw, è la potenza di una macchina che fornisce 1000 J in un secondo, quindi 3.600.000 J in un’ora, perché in un’ora ci sono 3600 secondi. Tra l’altro quei 3.600.000 J sono l’energia che corrisponde a 1 Kw adoperato per un’ora, il celebre Chilowattora che compare nella vostra bolletta della luce. Il vostro contatore Enel mediamente ha una potenza (massima consentita) di 3 Kw, non potete prelevare più di 3 x 3.600.000 = 10.800.000 J al secondo. Vi sembrano tanti, così, come numero, in realtà sapete anche voi che la lavatrice e il forno assieme eccedono la potenza consentita. Il joule è un’unità piccolina per le necessità energetiche dell’uomo d’oggi.
(1) cito dall’ottima edizione curata da Ilaria Ramelli, Epicurea (Bompiani 2002); si tratta del frammento 2 dell’edizione Usener, p. 227 del volume curato dalla Ramelli.
(2) i curiosi possono andare a vedere qui.
(3) v. Grande dizionario della lingua italiana a cura di Salvatore Battaglia e altri, UTET, s. v. relativo.
Che meraviglia Antonio!
Grazie per questa bellissima sorpresa, tutta da gustare, che riempie di energia il mio mattino!
:-)
au revoir
carla
non è che adesso bisogna disperarsi perché non abbiamo una definizione chiara di energia
Leonardo da Vinci
Aforismi, novelle e profezie
La pietra focaia e l’acciarino
La pietra, essendo battuta dall’acciarolo del foco, forte si maravigliò, e con rigida voce disse a quello:” Che presunzio ti move a darmi fatica? Non mi dare affanno, che tu m’hai colto in iscambio. Io non dispiacei mai a nessuno”. Al quale l’acciarolo rispose:” Se sarai paziente, vedrai che maraviglioso frutto uscirà di te”. Alle quale parole la pietra, datosi pace, con pazienza stette forte al martire, e vide di sé nascere il maraviglioso foco, il quale, colla sua virtù operava in infinite cose.
Detta per quelli i quali spaventano ne’ prencipi delli studi, e poi che a loro medesimi si dispongano potere comandare, e dare con pazienza opera continua a essi studi, di quelli si vede resultare cose di maravigliose dimostrazioni.
[(2) i curiosi possono andare a vedere qui… io son curiosa assai, lo sai, ma quel qui non mi porta là, pourquoi?]
cara c&c, io schiacciando “qui” arrivo là, comunque l’indirizzo è:
http://www.perseus.tufts.edu/cgi-bin/ptext?doc=
Perseus%3Atext%3A1999.04.0057%3Aentry%3D%2335418 (si tratta dell’edizione online del dizionario di greco Liddell-Scott, meraviglioso repertorio di informazioni e citazioni).
Grazie per la favoletta di Leonardo, che molto amo. a.
Credo che non sia possibile ottenere una definizione “chiara” di qualsivoglia grandezza fisica, se per “chiara” si intende “assoluta”.
Sempre di parole si tratta, sempre di linguaggio, sempre a qualcos’altro occorre riferirla.
Anche in un’equazione matematica devi battezzarla in qualche modo, ancor prima di sapere in quale altro modo l’equazione ti dirà che sei autorizzato a pensarla.
È il problema del riferimento assoluto, come fosse una sorta di motore immobile non riferibile a nessun’altra cosa se non a se stesso.
Risfodero senza volerlo San Tommaso: imbarazzante.
bene così, caro tashtego, amo molto san tommaso.
:-)
Estremamente intrigante il rapporto tra linguaggio e scienza. La scienza che crea il proprio linguaggio grazie alla matematica e che, nonostante tutto, deve utilizzare il linguaggio qutidiano per rendersi disponibile all’altro.
Un giorno o l’altro dovro spostare i miei studi anche in questa direzione…
Complimenti Antonio, avanti cosi!
@tashtego Sai, il riferimento assoluto, vecchia storia penso sia più che altro un modello che ci fa comodo, ma in realtà aggirabile senza troppi guai se si accetta un modello paradigmatico e contrattualista della lingua. Aristotele, Tommaso, Frege e Russel sono affascinanti senza dubbio, ma i più recenti lavori di Strawson, Donnellan, Salmon e alcuni appunti di Eco mi sembrano estremamente più floridi da questo punto di vista.
Il riferimento potrebbe davvero essere un surplus, un’idea comoda per spiegare tutta una serie di piccole attività pragmatiche che compiamo quasi senza averne coscienza…
Pensa, proprio domattina dovro allegramente intrattenere compagni e professori sull’argomento per un’oretta. Quando si dice la casualità…
Buon pranzo!
:-)
Volevo dire, sommessamente perché non ne so nulla o quasi, che ogni grandezza (entità? concetto?) fisica è esprimibile solamente per rapporto ad altre grandezze.
Non esiste una grandezza esprimibile in sé.
O sbaglio?
Sai che non ne sarei cosi sicuro…
Nel linguaggio questo è certo, non esiste parola che non acquisisca il proprio valore in base alla sua differenza rispetto a tutte le altre parole esistenti in un dato momento.
Nelle scienze matematiche invece mi pare ci siano definizioni a priori basate su alcuni assiomi indimostrati da cui il tutto prende il via. Ad esempio la lunghezza potrebbe essere definita in maniera autonoma partendo dal fatto che due lunghezza si dicono uguali quando sovrapponendole gli estremi coincidono. Dicendo che un suo multiplo si ottiene affiancando tante volte la lunghezza quanto il valore dato al multiplo e dicendo che la sua unità di misura è il metro.
Si tratta quindi di una convenzione stabile al contrario del linguaggio. Eppure essa non puo esprimersi fuori dal linguaggio stesso che stabile di certo non è. Ma qui entriamo in un altro problema.
Ma aspetto che ti risponda anche qualcuno di più ferrato matematicamente, io se me la cavo col linguaggio ho comunque lacune spaventose dall’altro lato!
E’ in clima neopositivista e nell’eco del concetto kantiano di oggettività che la riflessione critica sulla scienza rende completamente esplicito il carattere intersoggettivo e linguisto del dato. Nella sua forma esterna questa esplicitazione si presenta (in Neurath, Popper, Reininger, Carnap, Reichenbach) come negazione del valore assoluto delle proposizioni che si riferiscono ai dati empirici – un valore assoluto che pure era stato affermato nella fase iniziale del neopositivismo (da Wittgenstein, Schlich e dallo stesso Carnap). Rispetto a tutte le proposizioni della scienza, le proposizioni protocollari (sopratutto nella forma in cui esse sono espressione di dati spazio-temporali quantificati) ottengono certamente il grado più elevato di consenso intersoggettivo e sono assunte come base dell’intero edificio linguistico della scienza. Ma questo consenso e questa funzione di base sono semplicemente un fatto, cioè una situazione provvisoria e quindi mutevole: non sono dovuti a un presunto valore assoluto delle proposizioni che si riferiscono ai dati empirici, le quali, invece, possono essere considerate, a loro volta, come prove, cioè teorie da controllare, e funzionano come base solo per la decisione di non coinvolgerle nel processo di controllo. Quali siano le proposizioni che esprimono il dato è stabilito da un verdetto, cioè dal consenso sociale.
Al di fuori del neopositivismo, era già in atto l’indicazione dell’essenziale solidarietà tra il carattere intersoggettivo della scienza moderna e il principio democratico della volontà della maggioranza (Bakunin, Dietzgen, Sombart, Scheler). Popper, ad esempio ha stabilito un’analogia tra l’accettazione delle proposizioni protocollari e il verdetto, col quale, in un certo tipo di processo giudiziario, la giuria decide di accettare la proposizione affermante l’accadimento di un certo fatto. Ma è ancora la critica del valore assoluto del dato – cioè del valore assoluto dell’intuizione o dell’evidenza del significato intuitivo – a determinare la radicale trasformazione della geometria, della matematica e della logica moderna in sistemi assomiatici formalizzati, le cui regole di formazione e di trasformazione non sono più espressione di una evidenza intuitiva, ma si pongono come convenzioni, cioè come decisioni prese all’interno di un consenso intersoggettivo.
E il tentativo di Hilbert di dimostrare l’incontradditorietà del sistema assiomatico in cui viene formalizzata l’aritmetica fallisce di fronte alla dimostrazione di Godel della impossibilità di operare un controllo siffatto della contraddizione, sulla base delle regole di formazione e trasformazione del sistema (i logici buddisti avevano detto proprio quanto ha genialmente scoperto Godel). L’operazione culturale di Godel, rivolta contro la pretesa di autogaranzia dei sistemi formali rispetto all’insorgere della contraddizione, è analoga non solo all’operazione con la quale la scienza empirica si tiene aperta alla novità dell’evento, ma anche l’operazione con cui il marxismo e anche il neocapitalismo di Weber, Schumpeter e Keynes concepiscono l’assetto economico capitalistico come un sistema non assoluto, ma aperto all’irruzione dell’evento sociale imprevedibile che fa esplodere la contraddizione del sistema.
La grandezza è storicamente definita ente primitivo della matematica elementare la cui nozione può essere caratterizzata in modo assiomatico subordinandola alla nozione di numero reale. A partite dalle due nozioni primitive di grandezza e molteplicazione di un numero reale non negativo per una grandezza, la teoria si fonda sui seguenti postulati:
1) il prodotto di un numero reale non negativo per una grandezza è una grandezza.
Salto gli altri 2 postulati.
Poi fissata una grandezza U, detta unità di misura, la misura di una grandezza G (relativamente ad U) è il rapporto di G rispetto a U.
Essendo un ente, viene studiato anche in Ontologia (per intenderci Maurizio Ferraris, per esempio)
Le cose si complicano quando Aristotile dice in Metafisica che è logico che l’Uno non sia un numero, giacché l’unità di misura non si identifica con le misure, ma tanto l’unità di misura quanto l’Uno sono un principio.
Uno, è in matematica greca antica parimpari
joule,
sciagurato, già che parli di pranzo, abbi il coraggio di farti riconoscere, firmati pure “caloria”, sigh.
ma io sono una esigua particella di energia….
e tu mi mangeresti!
;-)))
bravo luminamenti! ( quasi mi vendico rispondendoti)
giusto il contrario, mi@ car@…
dieta perpetua, qui.
ri-sigh.
;-)
“Poi fissata una grandezza U, detta unità di misura, la misura di una grandezza G (relativamente ad U) è il rapporto di G rispetto a U.”
allora sembra che si possa affermare che il mondo fisico si studia e si valuta unicamente in relazione con se stesso, senza che si possa definire una lunghezza se non per rapporto ad un’altra lunghezza e un numero se non per rapporto ad un altro numero, tranne forse l’1.
bravo luminamenti! quasi ti rispondo!
Non è forse Tasthego quanto dice Zhuangzi?
Invero ogni essere è altro da sé, e ogni essere è se stesso.
Questa verità non la si vede a partire dall’altro, ma si comprende partendo da se stessi. Così è stato detto: l’altro proviene dal se stesso, ma se stesso dipende anche dall’altro
allora ti rimando alla concezione dell’intelletto ilico separato di Averroè, al general intellect di Marx, al processo di costruzione dell’individualità di Simondon, per la precisione la transduzione, che forma la moltitudine, ente differenziato molto diverso dal popolo, unificato dallo Stato a differenza della moltitudine che pur generandosi in ambito colettivo, non trasferisce poteri, non si identifica nell’uno, non crea massa informe.
posizioni simili a quelle di Vigosky sul versante ontogenetico( che non si scrive così) e di Chomsky sul versante linguistico.
vabbè, allora bisogna salire fino in cima all’himalaia per apprendere che l’universo è un cane che si morde la coda?
Davvero orribile questo thread.
dopo il nobile e puntuale commento precedente, posso tentare qualche risposta, anche se ovviamente non posso qui addentrarmi nelle spire invocate da luminamenti, se no vien fuori un trattatello, e non mi pare il luogo. Mi colpiva il primo commento di tash (che sempre, in un modo o nell’altro, mi colpisce)
“È il problema del riferimento assoluto, come fosse una sorta di motore immobile non riferibile a nessun’altra cosa se non a se stesso.” che solleva domande che poi vengono rimestate anche in seguito. Il problema del riferimento assoluto può venire interpretato in molti modi. Se vogliamo dire che per cominciare bisogna cominciare con qualcosa, cioè che non c’è teoria (né pratica, si badi bene) senza assiomi di partenza, allora ciò è ovvio, dal nulla non si estrae nulla, neppure dalle pure leggi del pensiero, che sono quelle del pensiero di Homo Sapiens, che si è evoluto sulla Terra, in precise condizioni ambientali e con precisi problemi di adattamento. Non esiste il pensiero puro universale, che andrebbe bene anche ai Marziani, come pensava Planck, che Iddio lo benedica.
Se poi il riferimento assoluto ha un significato spazio-temporale allora non si può che consentire, con tutto il bagaglio dell’evoluzione della teoria della relatività, che, come forse ho cercato di spiegare altre volte, è una teoria dell’assoluto, cosa che non posso riassumere in due righe, ma che, chissà, sarà l’oggetto di qualche futuro post. Questione cruciale peraltro, che ha dato luogo a un fraintendimento colossale in tutto l’ultimo secolo (“tutto è relativo!”, ah, ah! The contrary, my lads, the contrary).
Sulla fondazione delle ‘grandezze’ in fisica avrei da dire, ma rimando a un prossimo commento, anticipo solo che occorre partire da una ragionevole fondazione delle misure spaziali e temporali, vedi ad esempio la procedura di Carnap in “I fondamenti filosofici della fisica”.
grazie sparz, per la tua pazienza.
a proposito di metrica spaziale vorrei chiedere a Sparzani quali aspettative ripone nelle imminenti sperimentazioni dell’accelleratore di particelle di Ginevra e quali riscontri hanno le ipotesi avanzate delle teorie delle stringhe, delle teorie delle brane, dello spazio curvo a cinque dimensioni, presso la comunità scientifica.
mi pare di capire che le posizioni di Feyerabend, per esempio, risultano aleatorie e forse la concezione “altalenante” di Thomas Kuhn sembrerebbe più conciliante verso l’esigenza di assunti paradigmatici aprioristici. diciamo che le categorie spaziotemporali mobili di kuhn sono una posizione media tra il rigore dell’assulto e l’aleatorietà dispersiva del rifiuto di metodo.
Il mio era un giudizio estestico (insindacabile quanto quello espresso da Carla in apertura) e si riferiva a questo scambio, una maionese impazzita di pensieri allentati. Penso inoltre che questo sia l’esito naturale della bizzarra opera di “umanizzazione” delle scienze perseguita da Sparzani, il quale sembra semplicemente invertire il procedimento scientifico, che si sforza di rimuovere le distrazioni dell’inessenziale per giungere ad una chiara ed inequivocabile formulazione dei contesti. A Sperzani preme riportarci nel caos delle origini, e mi pare ci riesca egregiamente. Si tratta di un’operazione che potrebbe divertire degli scienziati “hard” a corto di distrazioni umanistiche, ma che applicata a degli umanisti a corto di preparazione scientifica mi pare davvero disastrosa, con esiti grotteschi quanto le “zichicchiadi” descritte da Odifreddi ( http://www.vialattea.net/odifreddi/zichichi.htm ).
in pratica wovo non ti sono piaciuti i commenti.
vabbè, che devo dire?
solo che “zichichi” lo dici a tua sorella.
e “umanista” pure.
Non prendertela Tash, ti ho apprezzato tante di quelle volte …
In attesa che Andrea Inglese ci spieghi la via coercitiva per cambiare il mondo, la fisica dei materiali quantico-dimensionali cambierà entro 50 anni tutta la nostra rappresentazione della realtà. Chi vivrà vedrà!
In quanto all’energia e il corpo umano molto presto l’ipotesi termochimica assolutamente insufficiente a spiegare la bolletta energetica del sistema informativo della materia vivente, sarà sostituita dall’ipotesi elettromagnetica (la coerenza elettromagnetica alla base di stati ordinati della materia).
Basta pensare agli sciami di insetti la cui coerenza è stata mostrata dall’entomologo americano Philip Callahan identica ad un’oscillazione elettromagnatica del battito delle ali.
La coerenza di specie, cioè l’esistenza di oscillazioni dei potenziali elettromagnetici individuali comuni all’intera specie, è mantenuta non dallo stretto contatto dei corpi materiali, ma dalla mediazione dei potenziali elettromagnetici che possono coprire grandi distanze e perciò assicurano correlazione anche di grande raggio.
I conflitti interindividuali riducono la coerenza di specie.
Il contatto con il potenziale elettromagnetico risultante dalle oscillazioni collettive della fase dell’intera umanità appare alla singola percezione individuale come un’esperienza “misitca” trascendente la sua individualità e può dar luogo alla percezione di un “sacro” diffuso nel mondo (Emilio Del Giudice, prof di Fisica all’Università di Milano e Istituto Nazionale di Fisica nucleare)
Per approfondimenti, minimi: Preparata G. QED, World Scientific, Singapore, London, New York, 1995
Roger Nelson, direttore del Global Consciousness Project fin dall’agosto del 1998 attraverso un network mondiale di 65 computer raccoglie dati da macchinette programmate per generare a caso serie costanti di 0 e 1. Questo avviene ogni secondo, in qualsiasi momento dell’anno.
Tutti i dati vengono trasmessi via internet all’università di princeton che li analizza. L’obiettivo è studiare le sottili variazioni di questi numeri, che sembrano riflettere la presenza e l’attività di una sorta coscienza del mondo. Si vuole dimostrare che migliaia di menti tutte concentrate in una stessa direzione sono in grado di dare un ordine alle sequenze casuali di quei numeri. Il 20 maggio ci sarà l’esperimento del Global Peace Meditation Day, in cui 100mila persone riunite in 12 angoli della terra si concentreranno su concetti astratti come la pace e l’armonia con la natura.
Quello che viene fatto il 20 maggio non è niente di più di quello che da 8 anni a questa parte facciamo: esaminare i dati per cogliere eventuali cambiamenti. Solo che ora l’esperimento è su scala mondiale.
I primi risultati raccolti di questi 8 anni sull’interazione tra mente e materia, indicano in maniera definita che ogni volta che nel pianeta succede qualcosa che ha un forte impatto emotivo quella serie 0 e 1 cambia in maniera statisticamente significativa.
Se tutto va bene nel 2012 ci sarà L’embrace the Planet Celebration, idea di Ervin Laszlo, candidato al Nobel, fisico e presidente della Società internazionale per la scienza dei sistemi.
Per ulteriori informazioni e idee vedere Elisabet Sathouris, biologa evoluzionista, futurologa e Robert Thurman, presidente della Tibet House, insegna buddismo indo-tibetana alla Columby University, e lo scrittore Alan Wallace, in Contemplative Science, Columbia University Press
fa bene tash a prendersela, zichichi non si dice neanche alla sorella, ne’ al peggior nemico. Prego Wovoka primo di non sbagliare il ,mio cognome, di cui sono geloso, secondo di non equivocare cosi’ grossolanamente sui miei intenti (“A Sperzani preme riportarci nel caos delle origini”) con un’ironia che non esiste.
A luminamenti lascio la responsabilita’ della fiducia in esperimenti ancora assai nebulosi sui quali comunque nulla riesco a dire.
A Magda dico che non ho aspettative dal nuovo acceleratore, anche perche’ non sono un cultore delle stringhe e dell’ultima particella in arrivo. Non so poi perche’ le posizioni di Feyerabend dovrebbero apparire “aleatorie” e migliori quelle di Kuhn, ormai accettabili soltanto ad uno sguardo a grana veramente grossa sulla storia della scienza.
A c&c dico che la sua idea di energia e’ forse la migliore di quelle qui citate e che le auguro di mantenerla sempre.
Feyerabend a me risulta consono, ma è pur sempre un anarchico del metodo. Mi ricorda molto Giordano Bruno nel suo eroico furore.L’ultimo suo libro, pubblicato postumo dalla moglie, mi ha lasciato ammutolita, sopratutto nelle ultime sue frasi che risultano come un testamento etico, una sorta di viatico avulso da qualsiasi intellettualismo.
il libro è : Ammazzando il tempo.
Quando si fanno esperimenti la fiducia bisogna lasciarla a casa ed eseguire con rigore scientifico l’esperimento. In 8 anni di lavoro si sono raccolti dati interessanti. Invece, con i pregiudizi, non si va da nessuna parte. E’ meglio tenere la mente elastica e senza irrigidirla su nulla.
Tutto si può dire di Lazslo, ex rettore dell’università di vienna, tranne che sia nebuloso nei suoi progetti. E’ un fisico ampiamente stimato nel mondo della comunità scientifica. Ha dalla sua una quantità enorme di pubblicazione sulle più importanti riviste scientifiche accreditate.
Inoltre se si studia la storia del pensiero scientifico, non è la prima volta che ciò che era stato considerato molto più che nebuloso – folle – ha trovato a distanza di anni considerazione, prova, fatti che hanno cambiato il mondo. La Storia è piena di studiosi rifiutati e poi finalmente capiti.
Per dirne uno tra i recenti, la questione delle geometrie non euclidee, che non si poteva neanche osare parlarne (leggere Imre Toht). Oggi nessuno si stupisce più.
Invece di dire “luminamenti si assume la responsabilità della fiducia in esperimenti ancora assai nebulosi sui quali comunque niente riesco a dire”, perché prima ancora di attribuirmi la fiducia e ancor peggio la responsabilità, è meglio guardare a quello che accade svuotando la tazza di té piuttosto che tenersi la benda ben incollata davanti agli occhi perché si ha paura a vedere crollare ogni certezza che abbiamo faticosamente acquisito. Da parte mia ho la mente aperta a qualsiasi contrario. L’importante è distinguere tra coloro che hanno superato un esame intorno alla significatività statistica e coloro che non lo hanno superato.
Può darsi poi che la significatività statistica sarà superata (ne sono nel mio caso tra l’altro convinto), ma rimane cmq la differenza tra chi a un esame sa cos’è la significatività statistica e come si controlla e coloro che agli esami non arrivano al 18. Questo indipendentemente dal fatto che la comunità scientifica arrivi a fare a meno della significativà statistica considerandola superata, non più utilizzabile per un esperimento scientifico.
Mi impegno a prestare in futuro particolare attenzione ai nomi (trovo odiosa la storpiatura volontaria) però l’equivoco è inscindibile dall’interpretazione – a meno che non si sospetti della malafede da parte mia, circostanza che smentisco categoricamente (posso certo dare testimonianza dei miei limiti, ma il mio atteggiamento su N.I. non è mai stato coscientemente distruttivo).
Luminamenti e Magda mi sembrano, nella loro diversità, accomunati da una certa “elasticità” mentale che non riesco proprio a fare mia. Si direbbe una preponderanza di pensiero associativo, accompagnata da un indebolimento del principio del “terzo escluso”. Forse una simile disinvoltura si acquisisce soltanto al raggiungimento di una qualche “massa critica” sapienzale.
Ma come può una mente meno sfaccettata (la mia) interpretarne una più sfaccettata (la loro)? Ce lo chiedevamo su N.I. qualche tempo fa. La risposta mi sembra una sola: è la mente più sfaccettata che deve venire incontro a quella meno sfaccettata, con pazienza e spirito di immedesimazione.
Si Wowo, a me interessano gli incroci disciplinari, e trovo che sia una costante perchè quando mi addentro nello specifico di qualche argomento, mi rendo conto che è sempre ciò che all’interno del noto si distanzia per una qualsiasi forma di anomalia che m’interessa. Perciò mi arrendo alla mia sorte che evidentemente è il confine, la frontiera, l’indistinto. Se un fisico approda alla narrazione aprendosi a mentalità normalmente estranee, per me è già considerevole.
Prova wowo a fare domande su ciò che non ti è chiaro o piacevole, vediamo cosa ne esce.
Principalmente, mi sgomentano gli accostamenti su grande scala, del tipo Feyerabend e la “teoria delle stringhe”. In subordine, le enumerazioni, “name dropping”, di autori (filosofi, scienziati ecc.) come se ciascuno di essi potesse aggiungere, additivamente, un tassello ad un certo mosaico complessivo già predefinito – mentre sono il più delle volte rappresentanti (specie nel caso di filosofi e assimilati) di sistemi di pensiero, o progetti esplicativi, largamente incompatibili, cioè alternativi, mutuamente esclusivi. Pur avendo ricevuto una seria formazione matematica di livello universitario, non oserei fare il minimo accenno alla “teoria delle stringhe”, a me accessibile soltanto attraverso divulgazione (per quanto buona). Essendomi interessato seriamente alla “visualizzazione”, attraverso gli ausili del computer, di un semplice ipercubo a quattro dimensioni, troverei semplicemente pazzesco trattare con confidenza gli spazi di Calabi-Yau a 6 dimensioni (“arrotolate”, per giunta.) In simili dominii possiamo penentrare soltanto attraverso “antenne matematiche”, astrazioni ardue, faticosissime, che non sono per tutti. Tu ti senti dotata di simili antenne, Magda? Oppure tu, Luminamenti? Io, da fuori, posso anche guardare con curiosità il disegnino fatto con “Mathematica 3-D”, però, avendo un’idea di quanto di strutturalmente “essenziale” si perda in qualsiasi proiezione (già un quadrato non è un cubo) non troverei decente proiettare a sopra quel artistico groviglio qualche mia arbitraria fissazione fisiognomica, traendo magari somiglianze con il mandala di un eremita del ‘500. Feyerabend e la “teoria delle stringhe” costituiscono un “ready-made” concettuale, l’accostamento incongruo che certamente “genera nuovi pensieri”. Possiamo anche giocarlo, che si tratta di un bel gioco, ma non dimentichiamoci che Duchamp ci metteva parecchia ironia nel suo “procedimento”. Ma tu in fondo Magda l’ironia la fai anche trasparire (facendomi pensare: è tutto ok, mi sta soltanto prendendo per i fondelli :-)
Non trovo migliore risposta se non questa:
Ogni volta che c’è qualcosa,
c’è sempre anche qualcos’altro.
La vita è una maschera che danza.
Se vuoi vederla davvero,
non sostare da un lato
(proverbio nigeriano igbo)
questo proverbio mi piace dimolto, ma dimolto.
Per non fare confusione nel caos, preciso: Accomuno l’immaginazione di Giordano Bruno, dai suoi contemporanei intesa come visionaria ed eretica, alla potenza intuitiva, non ermetica come dice la Yates, ma epitemologica, che condusse il nolano a postulare, attravero il principio di pienezza ontologica e di vicissitudine, l’uniformità tra l’infinitamente piccolo e l’infinitamente grande. Detto questo, l’universo bruniano assume di conseguenza connotazioni illimitate, portando a ipotizzare l’universo infinito e sopratutto a dire che, se i nostri organi di senso, possono percepire solo un universo alle 3 dimensioni di allora, alla 4 di adesso aggiungendoci il tempo, ciò non significa che l’universo sia fatto a nostra immagine e somiglianza e che non sia invece dotato di più dimensioni da noi non percepibili. Questo è lo stesso assunto con cui, 400 anni più tardi, Lisa Randall, mi dicono fisica di spiccoo, teorizza che la materia potrebbe essere costituita da più dimensioni e sviluppa un modello “bizzarro” a 5 dimensioni di cui una curva. La mentalità “visionaria” è la stessa, ma sono proprio questi elementi di anomalia con cui spesso l’umanità progredisce, benchè in una ambito di rottura paradigmatica, caonfusione teoretica e insolita attenzione della comunità scientifica alla cultura filosofica.( praticamente come adesso) Kuhn a me serve per capire la storia, non la scienza:-) e Feyerabend mi serve per capire l’amore non l’ordine.
E dell’antimateria che ne facciamo? Leggo spesso che il tempo è assimilitato alla quarta dimensione. Ma esistono modelli dove la quarta dimensione e dimensioni successive non sono il Tempo.
Il Tempo cmq è l’argomento (filosofico? fisico?) che più mi appassiona a livello speculativo.
La cosa che più mi impressiona è la capacità filosofica, attraverso il ragionamento, di giungere a conclusione e osservazioni che si mostrano analogiche rispetto a formulazioni scientifiche intorno al Tempo.
I due campi si mescolano in maniera inscindibile.
per il tempo aspetta un attimo che poi faccio un accomunamento strabizzarro.per il momento rispondo al tuo nigeriano sempre con iordani bruni nolani, filosofo di nessuna filosofia detto il fastidio.(cosi lui si definisce):
” Non è forse vero che qualunque cosa ti si presenti davanti agli occhi, essa implica sempre qualcos’altro di più comprensivo in cui possa esere contenuta, e ti induce a conseguire mentalmente quella forma, simile a qualcos’altro, tale che poi, grazie alla testimonianza dei sensi, il cammino interminabile della ricerca pervenga a conferire a questa forma la materia corrispondente?”
Opere Latine….è in riferimento ai fantasmata interni, corrispondenti alla struttura ontologica esterna tale per cui, la simbologia matematica, che egli mutua dall’arte combinatoria lulliana, spogliandola dalle accezzioni religiose, diventa l’arte del simbolo e il simulacro della conoscenza epistemologica, che egli riveste di una strana connotazione ermetica e contemporaneamente geometrica. la semimatematica.
Va be’ oggi e’ il 5 maggio con tutto quello che comporta e sono in ritardo,
ma come Sparz (ti posso chiamare cosi’? e’ bello perche’ fa rima con Schwartz [Laurent]… sto iniziando solo ora il tuo libro sulla relativita’ e mi ammalia! Ho poi dato in quarta scientifico da leggere tutto il dialogo sull’entropia!) insomma, Sparz, come e’ possibile, che l’energia meccanica non si conservi??
Scusa, prendiamo l’esempio del corpo che cade: all’inizio ha solo energia potenziale mgh e alla fine ha solo energia cinetica (uguale in modulo a quella di partenza, se siamo nel vuoto, altrimenti non c’e’ ragione che questa energia se ne vada da qualche altra parte: il corpo perde energia potenziale perche’ perde in altezza e in ugual maniera acquista en. cinetica perche’ acquista velocita’). Quando si ferma la sua energia cinetica si trasferisce in toto al terreno, che avendo un’inerzia considerevole non si sposta. Se proprio nel punto di impatto ci fosse un’altra pallina ferma, questa si metterebbe subito in moto grazie all’energia cinetica trasferita dal corpo che cade.
Infatti nelle montagne russe (ad esempio a meta’ strada) il carrello puo’ arrivare a terra ma non si ferma e continua a risalire. Si ferma solo se trova un ostacolo e trasferisce a lui la sua energia.
E poi e’ sbagliato definire l’energia come la capacita’ dei corpi a compiere lavoro? Dove lavoro e’ definito in maniera operativa (forza per spostamento ecc ecc. ).
Chiedo aiuto!
(a proposito di rivedere i concetti che ormai si davano per scontai, hai letto “Verso una fisica evolutiva” di Enzo Tiezzi e quello che dice sul paradosso dei gemelli a pag. 33 sul fatto che la derivata non esiste ecc ecc??)
Chissa’ se avrai tempo di rispondermi…
Ti ringrazio
fem