El boligrafo boliviano 2

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di Silvio Mignano

24 gennaio 2007

È il giorno delle Alasitas. L’idolo aymara Ekeko, che salvò dalla fame La Paz assediata dagli ultimi Incas nel 1781, invade oggi le piazze della città con un esercito di artigiani e venditori che espongono migliaia di incredibili miniature di qualsiasi cosa possa venire in mente. Dollari americani ed euro perfettamente riprodotti in scala, edizioni dei giornali, certificati di laurea e di proprietà che entrano nel palmo di una mano, passaporti poco più grandi di un polpastrello, casette tascabili con i loro bei giardinetti rettangolari, automobiline, manine, bebè, cucinini, pentolini, rane e rospi, rane e rospi dovunque, perlopiù dorati. Gli anuri a quanto pare portano fortuna, ma tutto quello che si vende e che si compra è destinato a cambiare la sorte dei boliviani.
Perché questo accada, tuttavia, è necessario che le miniature acquistate siano affumicate. Funziona così: si mettono gli oggetti in una sottile busta di plastica, si ricoprono di petali e coriandoli, si irrorano di incenso, profumi e un po’ di alcol e si sospendono su un braciere acceso. In ogni mercatino delle alasitas ci sono persone specializzate in questo ufficio.
Il mercato centrale, verso avenida Simón Bolivar, è una città nella città, uno sterminato dedalo di bancarelle ordinate, una festa di colori e di odori, l’impossibile e inimmaginabile germinazione di ogni pensiero tradotto in ornamento lillipuziano. Perfino le bambole – da quelle tradizionali alle globalizzate Barbie o Principesse Disney – hanno le loro riproduzioni più piccole, accompagnate, in altre bottegucce specializzate, dal loro florilegio di accessori miniaturizzati. File intere sono dedicate alle frittelle, focacce, salteñas, ciambelle, donuts e dolci vari: un po’ più piccoli del normale, cosa credevate, ma egualmente saporiti.
Un serpente che si snoda avvolgendo nelle sue spire compratori e venditori, curiosi, spazzini e poliziotti. Giostre e altalene svettano sui teloni multicolori che proteggono dal sole dell’altura battaglioni di soldatini, bamboline, personaggi dei fumetti, microborsalini delle cholitas, trenini e giochi dell’oca, maialini, papaye, manghi, avocadi, banane, mele e angurie.
Nel mercatino in plaza 16 de Julio, più piccolo ma non meno vivace, compro quattro alasitas. Una casetta, un rospo dorato, una piramide di cristallo ripiena di oggetti vari e un ekeko. L’idolo ha acquisito parvenze più moderne, porta un berretto di lana verde, un maglione di tanti colori, pantaloni larghi e una quantità di cose che pendono dal suo collo, un’automobilina di terracotta, cento euro e cento dollari, un sacco di cemento e uno di farina. Ha occhi furbi e baffetti alla Clark Gable (si dirà ancora?). Vado con le miniature in mezzo alla piazza, dove una vecchia inginocchiata dentro un mantello rosa, col naso enorme e un volto sottile, ripiegato mille volte su se stesso in una scalinata di rughe, procede alla cerimonia del braciere.
Attorno, in un via vai incessante, le mille Bolivie si incrociano, vecchi, ragazzi, abiti europei, cravatte, minigonne, vestiti tradizionali, ponchos e bombette, banditori che declamano in giro le virtù dei finti dollari o dei passaporti, gli eterni passaporti che ovunque, a qualsiasi latitudine e altitudine, incarnano il sogno della fuga o semplicemente della libertà di muoversi dove e come si vuole – anche di rimanere a casa, immaginando di poter partire un giorno o l’altro.
Anche qui si vende da mangiare, e così il fumo dei piatti e delle pignatte si confonde con quello dell’incenso, il cibo vero con quello riprodotto in scala, l’immaginazione con i bisogni della vita.
Una ragazza mi ferma e mi chiede di firmarle il certificato di laurea che ha appena comprato. Solo così, dice la tradizione, il suo desiderio si avvererà. Rettore fresco di nomina, traccio un pomposo ghirigoro in calce al documento. «Grazie», mi dice commossa, prima di allontanarsi.

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2 Commenti

  1. Si respira aria equatoriale
    e il sapore dei riti degli incas risuona di antico,
    anche se:

    – Attorno, in un via vai incessante, le mille Bolivie si incrociano –

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GIANNI BIONDILLO (Milano, 1966), camminatore, scrittore e architetto pubblica per Guanda dal 2004. Come autore e saggista s’è occupato di narrativa di genere, psicogeografia, architettura, viaggi, eros, fiabe. Ha vinto il Premio Scerbanenco (2011), il Premio Bergamo (2018) e il Premio Bagutta (2024). Scrive per il cinema, il teatro e la televisione. È tradotto in varie lingue europee.
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