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Ricevo e pubblico (effeffe)

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opera di Ernest Pignon Ernest
NAPOLI. RIFONDAZIONE.

a cura della Redazione del Premio Napoli
Devi provare da qui. Capovolgere le prospettive.
Vista dal mare la città assume un’altra conformazione, cambia identità. Quello che ti appare è il controcampo di una scena che hai sempre vissuto nell’altra prospettiva, che conduce lo sguardo dagli edifici al mare. Adesso mentre ti avvicini la città appare diversa.

Molto compatta, con case addossate l’una all’altra. Ti meravigli che qualcuno ne parli in termini di metropoli, mentre gli edifici colorati sopra Mergellina la fanno assomigliare ad un’isola su cui fare vacanza estiva.

Nel momento dell’attracco, il passaggio dall’elemento liquido alla solidità delle strade è anche un’introduzione alla dispersione, alla mancata focalizzazione dello sguardo. Non c’è un punto dove concentrare l’attenzione, riposare lo sguardo. È uno slittare continuo di luci su altre luci, mentre il rumore diventa dominante sulle immagini. E sembra che i volumi non si tocchino mai, e le superfici si allontanino, distaccandosi.

Palazzo Reale visto dal mare. E potrebbe essere uno di quei luoghi in cui si realizza il compito di tenere assieme i punti che si allontanano, mare e città ad esempio. Oppure i linguaggi che non si fondono.
Ha finestre che affacciano verso la folla di Via Toledo e dei Quartieri Spagnoli, e altre che puntano lo spazio luminoso del lungomare. Ci sono altre finestre, poi, accessibili solo dall’interno. Stanze che immettono nel cuore della biblioteca, nello spazio storico dei saperi stratificati.
Costruito ai primi del ‘600 dai viceré spagnoli, sembra studiato per reggere con la sua mole le diffrazioni delle città, i continui travasi dal solido al liquido. E viceversa.

Alcune stanze di questo edificio sono occupate dalla Fondazione Premio Napoli. Il premio Napoli è un premio letterario, che esiste da circa cinquant’anni e che nel corso dei decenni ha celebrato scrittori di narrativa, saggistica e poesia. La fondazione invece è un’istituzione più recente. Da quest’anno ne è presidente Silvio Perrella.
Sei introdotto in queste stanze perché nasce il progetto di costruire un centro. L’idea è di riequilibrare il rapporto tra premio e fondazione, focalizzando l’attenzione non più esclusivamente sulla serata finale del premio, con sfilata di vincitori e libri. Ma facendo sì che per tutto l’anno in queste stanze si producano progetti ed idee, nel tentativo di ripristinare la vocazione naturale della letteratura: fare da collante, dialogare al di fuori dei perimetri astratti di un libro.
La scommessa, ambiziosa, è di dire alla città: qui c’è un posto, è all’interno dell’edificio monarchico. Qui è possibile costruire uno spazio permanente, nel cuore della città assediata, per provare a elaborare progetti e rendere possibile quel dialogo tra gli estremi mentali della città che si scollano.
In una città come Napoli, che ama da sempre la forma dell’osservatorio (sulla criminalità, sul disagio, sulle politiche assistenziali al meridione), la Fondazione vuol provare a diventare un osservatorio sull’eco.
Che eco può produrre Napoli nello spazio circostante quando opera e smette di autocompiacersi?

Si è cominciato un pomeriggio di fine febbraio, con l’attore Carlo Cecchi che è venuto in Fondazione a raccontare di sé. E raccontando di sé e del proprio percorso umano ed artistico, ha mostrato come fosse stata Napoli, nel mare agitato degli sperimentalismi e delle avanguardie degli anni ’60, ad indicargli una possibile traiettoria conoscitiva da seguire.
Napoli gli è arrivata attraverso un’eco; grazie al rumore – la lingua della città – che ha contaminato il suo apprendistato attoriale fino a farsi spina dorsale del suo percorso. Quasi un viaggio a ritroso, nel cuore antico di una lingua che ha dentro di sé tutte le sfumature dell’immanenza teatrale.

Ecco che al di là di qualunque sfasamento progettuale, hai di nuovo quella sensazione che questa città abbia in sé una carica di energia che si irradia costantemente, più forte delle incurie politiche e delle aberrazioni della volontà.
Che se non occorre un ordine che disciplini, potrebbe essere utile un luogo dove le energie confluiscano. Un luogo capace di suturare terra e mare, canto e libri, arti visive e discussioni urbanistiche. Ecco un’utopia che vale la pena costruire.

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11 Commenti

  1. Se clicco, l’immagine si sposta a destra, e se ne resta lì.
    Doveva succedere qualcosa? Visto che riesco a entrare ogni tot giorni forse non lo saprò mai.

  2. “gli estremi mentali della città” sono davvero una chicca imperdibile.
    cos’è, questa roba – adesso facciamo anche pubblicità ai premi letterari? bravi, complimenti, vedo che avete fatto carriera (o ve l’hanno promessa, chissà…)…

  3. a volte le immagini contengono un’energia capace di “toccarci”…

    il punto focalizzato, inteso come Luogo, dove confluiscano terra e acqua, canto e libri, arte…
    Gran bella prospettiva!

    Ciao Effeffe

  4. Napoli ha dato il meglio di sè proprio nei momenti in cui sembrava destinata a diventare una città fantasma. Accadde nei primi anni 80, nel pieno del dopoterremoto. Daniele, Bennato, Troisi, Martone, Corsicato, De Simone, ecc.
    Pare che qualcosa, oggi, cominci a muoversi.
    Però qualcuno dovrebbe spiegarlo al prefetto Pansa, che ha parlato di borghesia disfattista. Quale borghesia, quale disfattismo, quale prefetto ?

  5. Non mi pare un articolo su un premio letterario, anzi mi sembra che venga indicata una strada esattamente contraria. Si parla di riequlibrio. Te lo dice un napoletano vecchio e inacidito, che ogni tanto ha dei soprassalti quando sente che nell’aria c’è un vento positivo. E comunque tutta la prospettiva giocata sul rapporto degli estremi, delle coppie antagoniste da annodare in un luogo mi appare bella, un articolo molto limpido e ben scritto, peccato non si capisca di chi è.

  6. Un alone di mistero fa sempre bene
    e poi,
    Francesco ha reso il concetto degnamente!
    a mio modesto parere!
    napoli per me è ancora un sogno lontano, da visitare….

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Sono musicista, quando si studia un brano si considera che anche il silenzio, la pausa sia musica. Compositori come Beethoven ne hanno fatto uso per sorprendere, catturare, ritardare le emozioni del pubblico, il silenzio parte della bellezza. Il silenzio qui però non è la bellezza. Il silenzio che c’è qui, da più di dieci mesi, è anti musicale, è solo vuoto.
francesco forlani
francesco forlani
Vivo e lavoro a Parigi. Fondatore delle riviste internazionali Paso Doble e Sud, collaboratore dell’Atelier du Roman . Attualmente direttore artistico della rivista italo-francese Focus-in. Spettacoli teatrali: Do you remember revolution, Patrioska, Cave canem, Zazà et tuti l’ati sturiellet, Miss Take. È redattore del blog letterario Nazione Indiana e gioca nella nazionale di calcio scrittori Osvaldo Soriano Football Club, Era l’anno dei mondiali e Racconti in bottiglia (Rizzoli/Corriere della Sera). Métromorphoses, Autoreverse, Blu di Prussia, Manifesto del Comunista Dandy, Le Chat Noir, Manhattan Experiment, 1997 Fuga da New York, edizioni La Camera Verde, Chiunque cerca chiunque, Il peso del Ciao, Parigi, senza passare dal via, Il manifesto del comunista dandy, Peli, Penultimi, Par-delà la forêt. , L'estate corsa   Traduttore dal francese, L'insegnamento dell'ignoranza di Jean-Claude Michéa, Immediatamente di Dominique De Roux
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