Pecca di espianto (2007)
di Marina Pizzi
[ogni limite è linguistico, a parte il biologico: limite di vita per la morte.]
*
sorriso di ebetudine l’inizio del mondo
quando la giara-madre s’interrompe
ebetudine di separazione
frode di pozza pecca di espianto
fatto compiuto, morte in teca al seme.
*
convinse le lucertole,
dacché le sostanze della madre
non dettero sole,
al ponte degli sfrattati
tutti tali a liriche di chele in cerca
addirittura ancora della cosiddetta
vetta di un tozzo di pane vieto,
raffermo, muffa di fato, zero stantio.
*
non ho mica bivacco né elettrodo
a sapermi illuminare il mare smorzato
la zolla refrattaria perfino alla tomba.
il tuo bavero l’ho perso al primo bacio
al cimelio di guardarti o vederti ancora vivo.
leggo libri velati ancora oggi
non so salpare un’altra civiltà
grado gradito occaso.
*
il libro è ben rilegato
le pagine da tagliare
il tram che non arriva
vale un’intera enciclopedia.
*
andai a scuola con i pantaloni,
il preside mi sospese,
venne mia madre a ritirarmi,
da quel giorno misi le bretelle
all’inguine del sorpasso.
*
caro in un eremo la modalità
del remo, il moto in lite di starsene
zitto; fartene resine i passi
senza placente né curve di cenere.
salvo, poi, dalla porticina alla scalea
legare al laccio l’improvvisata
del ruzzolone dell’ora di chiusura.
*
Alcune parole non significano
sostegno o perdita
addendi o sottraendi
discoli o condotte dotte.
Solo la fune cessa lo scempio
del pio con il tetto del tempio
dell’io in fase amorosa o farsa
o similoro una banca da svaligiare.
Solo la cresta del gallo consacra
la fase ennesima del marciapiede
il ciak del film che non gira più.
La dedica del no che dentro m’inciampa
paganesimo sismico di falena
la luce al sì: brutalità e pozzo
il pulpito della nuvola svogliata
a te quella con le persiane agiate
simbolo e nascita di una rotta
di gruzzolo di pane appena sfornato.
*
a tratti un giretto intorno al giardinetto
e la giornata è tratta:
dimentichi che la taglia è senza indice.
*
l’orologio senza lancette dà l’ora esatta
sa dare la fonia del fianco al fango
la gondola per amanti senza cuore.
*
festa molesta questa scaturigine
casa circondariale
sorso di voce
tornante dispiacere.
*
Dilemmi alle mani
miniature del nulla
quasi la soglia qua
bolgia già la cenere.
*
fu lo scampo apice soqquadro
bravura edita d’inedito
figlio dell’uva vana
aneddoto del falso sole del freddo.
convinse, ti dissi, il soliloquio
ulivo potato per voglie credule
dubbio del mare riveder la riva.
valse il silenzio il lutto a zonzo
quale veto di senso quale sudario
ritto alla nebbia in braccio alla sirena.
*
minaccia in cialda questa infanzia
sgraziata zavorra di promesse
acidule melense quanto basti
di sfingi. nullità del saio il baco
da seta indefesso, intonso nonostante
il lavoro senza sirena di stop.
*
con un gruzzolo di acque in piena foce
parta la zolla che mi terrà
apostrofo di goccia.
*
interminabilmente un vicolo di lacrima
lacrima di stoppie
pile su pile i libri da leggere
non letti
e tu che muri e muori
e le vestali darsene
e le creature nuove.
*
bella come una giungla
la madre da abbandonare
*
dà dolore l’entità del tale
tizio sconosciuto sciupio addosso
torto addentro l’addendo e il sottraendo
di una strada qualsiasi abitudine o soppiatto
improvvisamente scarto.
così col tuffo magnifico del peso
so la gente del comune accordo
quando per disaccordo si spensierò
e adesso si spensiera con un saltello
adatto sfaglio.
*
the spaghetti was mushy, gli spaghetti erano scotti
se mi permetti un arrivo in forma di palude
è questa la confidenza appesantita al tempo
al tempo appesantita tanto da temprarsi
in un cimelio d’olio fritto freddo
contumace il cielo con le teche di baci
oggi appena un cenno alla mestizia
di stirarsi affronto un altro giorno
stinto, dimentico e petulanza il tic
di farsi vivi.
*
alle spalle guardi il tuo ulisse
dal braccio braccato
canterino incanto quando di convivio
elemosinava vivo il vivo.
e non bastò il moto né il modo
per studiare o stupire uno stuolo
di mosche già crepe di cancrena.
crebbe l’arringa per creparti meglio.
*
alla maniglia i fasti delle tue vesti
daranno nicchia alle tue spoglie
donna già tutta in pasto al capodanno
alla maniera del profugo profano
nell’osanna di sale. l’azzardo lapidario
sia la zattera salita controcorrente
del poeta in prima benedizione.
*
zendado sul dado del volto
sei andato via dal viso dal cinque delle dita
per un abisso qualunque lucetta
di odio sottile o primitivo balsamo
primo:
apriti al mito del benservito
quale un orafo in balìa di stagno.
*
il respiro non è più tornato,
la mela resta sul comodino
sapiente per un altro morente
*
il sipario è già dentro il tuo no
questo sparviero stocastico
coda di veleno normalità del caso chiuso
sotto il parapetto di aver creduto
a tutte credute a proprio tutte
le credenziali della madre sotto
l’ospizio del tradimento.
*
albero secolare un salice
senza consolazione.
*
lo spessore del segreto
così sotto il buio
la novena della giostra
stranezza da riso
sopruso anche da cheto.
*
sitibonda la fossa con tutto il bordo
senza movenza d’atrio
senza scapicollo d’orizzonte
nascita scissione il senso
sottocosto d’abituro, toro con picca
cavillo di filosofo il gozzo.
nel mirino la perdita del tempo
pagliacciata d’avanzo e sottocosto
financo la facciata.
*
pendio di autunno vienimi di fianco
giuoco del nulla alfabeto santo:
nell’era digitale sono on line i trenini
i ninnoli blasfemi le cipolle che fanno
piangere. genere d’inedia plasma di ben altro
il dispendio al buio la frottola del fatuo
con la primavera auto-fotografa in coda
di estinzione talento e sacco di saccheggio.
*
i bambini cresceranno per farmi piccola
crepitante binario senza fine
*
nel lutto di collina l’inceneritore
combusto con le torri d’ogni crollo
*
Quale aurora-sillaba
con la barella nonostante
stante la luce in breccia
sola nella combriccola degli angoli.
*
non c’è tenerezza nel colmo del sole
solo nessuna tenerezza nel colmo del sole
nelle ore del minimo silenzio
del lavoro padronale,
la padronanza accademica non mini
la ruggine in gita sotto il sole.
*
portami a saltare le tare le fandonie
domestiche le scienze dentro il globo
il bolide del sale già di primo mattino
già la notte prima l’intera notte
abbassata alla scorta alla sporta
dello stemma miserrimo di resistere
le credenziali cretine dentro il petto
del sottosopra guanciale al maialino
da latte la pasqua del giorno dopo
che non fu gioia della morte giovane
*
uno scandaglio di te
non l’ho mai nemmeno sfiorato
eppure ti amai già tanto sullo
scapicollo di un comatoso idioma.
*
altrove dove penombra sia le braccia
vero il dì di non bastarsi mai
a penzoloni di avverbi
con le travi a vista
solo per beatitudine di alture le discendenze
ortiche di orchidee, ortiche alle orchidee e
orchidee da ortiche e dee le finestre
per volare al volo in volo
*
in un rimorso che somiglia all’eros
lo stordimento di starsene
servo al volere di un altro messaggio
escluso/incluso al senso.
*
al tracollo del pendolo
giammai pensa l’araldica
gli stemmi mai in stupore
nelle armature immortali.
attorno lo spiffero del chiodo
che sorge al riarmo nel moto
doloso del bricco senza latte
giuria del sale la siepe.
*
ossuto silenzio
pigrizia e germoglio.
il grigiore del loglio
nel cumulo di io.
il mulo con lo strazio
sotto scudiscio e diverbio
di padroni di nullo nitore.
almeno rinuncio a darmi per vinta
anche dall’aceto che dal vino
s’incede per le sedi di altre cucine.
*
nell’ora che distacca le sembianze
acredine di approdo o contumacia
o stanza di arsura o rarità del cippo
o ceppo un altro albero di testo il grave.
*
tritume di menzogna araba fenice
questa avventura di soqquadro limite
imposta dal verdetto della pelle.
*
nel solco della voce
questa manciata di resine e lenticchie
questa bravura vuota a far di cenere
l’elastico del mito con la favola.
*
troverò il conteggio per farmi secca
contumelia dell’orto senza la lumaca
*
in un agguato preso per una gran
buona maternità
la fila è straccia nel mercato con le bancarelle
vuote
marcate a fuoco per catture di non nascite.
*
il campidoglio di un tempo
postava le lucertole di guardia
oggi la cenere di un post
stordito dal silenzio sul rumore.
*
in un mare di catture
anche le sirene si sono azzittite
titubanze scorte dentro un bacio
combusto di ciliegio.
ti vidi al suolo nell’anno del tuo gelo
modello d’oggi che ti ricorda
morto dondolio alla lavagna
di rondini dismesse.
*
mi germoglio con un alone di soppiatto
e sotto il piatto c’è un ladruncolo-ladrone
comunque di chiunque su chiunque
e senza burla mi vedrò morire
spendacciona sul celato con il lato mozzo
sulla faccenda curva di un’altra gravidanza.
e la bestemmia sul caso di un altro soldato
straziato dalla mummia della terra.
*
nell’arco ad arco prendimi
raggio di coma benedetto giro
arco di arpa in palio l’eccidio
autunno di soppiatto stammi più dentro
questo castigo che mi freme ancora
con giochi di prestigio il mago nero.
*
I versi del rito di ieri
pagliaccio senza lacrima né riso né naso rosso
questo crono d’ascia dell’asfalto,
salutare il tuo sguardo è stato l’indice
di un cipresso precoce per tentativo
dell’appresso sostegno del cielo.
*
nel sottoscala del verdetto
singolo fodero del sipario plurimo
comunque non capirò
né lucertole solatie
né licheni nell’arsi
né sigle di potere.
grandezze a forme d’anca
furono le madri
rissose coi muri
le rose per qui, che se ne muore.
*
“Wake me up when september ends”
titola una canzone:
crepi la lenza con tutta l’esca
bio o virtual o artificial.
*
burò di acredine dì di un altro imperio
la nullità del perno infisso alla nuca infissa
che non può girar collo di logica e diorama.
*
perimetri di giardinetti gli spartitraffico
queste novene di morti in pieno gas
queste sterpaglie di storti al fatuo giro
dove nomadi con carrelli disertano
l’acqua piovana per un convoglio di deportazione.
*
“Let the sunshine in”
alla Magliana come si fa?
con uno strillo di alba
una pistola un numero al lotto
una stoviglia al posto di una donna
una voglia di stupro che ti taglia
una calunnia per bacio e sul portone
una vendita di cartone.
*
citrulla la città ormai è tonfo
contro i simulacri per bambini
i giocattoli che non ridono
*
La morte vinta
Ora compiuta
compieta
l’orto del tuo sguardo.
Dalla conventicola di sale
pietà derida
l’esodo del dado.
*
mimicry per stare sul tram
per non farsi accatastare
carcassa con sasso dentro la gola
sul corrimano che ti sopporta
tatuaggio di gelo di sudore di presagio
coma-sciattaggine ad arrivare
calcio sulla matassa del lascito: il posto libero.
*
trenodia l’apice del saluto
da questa aria gestapo
di fatica lanugine di taglio
gingillo di giro a nudo
frottola di svago
gomito d’innamoramento.
*
asole stentoree
bottoni persi sul tono di amarti
un no del solo. eppure non piansi
né tra le serve né tra le principesse
il sentiero scolare del tuo senso
la stiva nel letargo del gomito
comunque vittima. la muta del tempo
non rese mai niente: qui ti bacio
molla con te.
*
dar da scendere alle stelle
l’unico progetto
al coma delle rondini dismesse,
un bonus d’angolo
alla goliardia del logico.
*
con un silenzio alla fronte
passi dal rantolo alla pergamena
di un petto di pace la felicità felice.
con un pastrano per me che ho corpo
voglio il fronte di un patibolo
sottocosto sottoscopo scampolo
scarto di fiato la stazza di frana.
*
Nota bibliografica
Marina Pizzi è nata a Roma, dove vive, il 5-5-55.
Ha pubblicato i libri di poesia:
Il giornale dell’esule (Crocetti 1986)
Gli angioli patrioti (ivi 1988)
Acquerugiole (ivi 1990)
Darsene il respiro (Fondazione Corrente 1993)
La devozione di stare (Anterem 1994)
Le arsure (LietoColle 2004)
L’acciuga della sera i fuochi della tara (Luca Pensa 2006)
Raccolte inedite in carta, complete ed incomplete, rintracciabili sul Web:
La passione della fine
Intimità delle lontananze
Dissesti per il tramonto
Una camera di conforto
Sconforti di consorte
Brindisi e cipressi
Sorprese del pane nero
L’acciuga della sera i fuochi della tara
La giostra della lingua il suolo d’algebra
Staffetta irenica
Il solicello del basto
Sotto le ghiande delle querce
Pecca di espianto
Il poemetto L’alba del penitenziario. Il penitenziario dell’alba.
Le plaquette L’impresario reo (Tam Tam 1985) e Un cartone per la notte (edizione fuori commercio a cura di Fabrizio Mugnaini, 1998);
Le giostre del delta (foglio fuori commercio a cura di Elio Grasso nella collezione “Sagittario” 2004).
Suoi versi sono presenti in riviste, antologie e in alcuni siti web di poesia e letteratura. Ha vinto due premi di poesia.
Si sono interessati al suo lavoro, tra gli altri, Pier Vincenzo Mengaldo, Luca Canali, Giuliano Gramigna, Marco Giovenale, Massimo Sannelli, Elio Grasso, Luciano Pagano, Stefano Donno.
Sul Web cura i seguenti blogs di poesia:
http://marinapizzisconfortidico.splinder.com/=Sconforti di consorte
http://marinapizzibrindisiecipr.splinder.com/=Brindisi e cipressi
http://marinapizzisorpresedelpa.splinder.com/=Sorprese del pane nero
Nel 2004 e nel 2005 la rivista di poesia on line “Vico Acitillo 124 – Poetry Wave” l’ha nominata poeta dell’anno.
Marina Pizzi fa parte del comitato di redazione della rivista “Poesia”.
(Foto di Johannes Paasuke – da “Wikipedia”)
grande poesia.
cara marina ci sono cose che sento assai vicine. forse l’unica pecca è che sono troppe….
e stampa no?