Da “EPIFANIE”
Di Alberto Casadei
III
Viareggio, Pineta di Levante (h. 21.46 del 2 luglio 2005)
Il rosso, il verde, l’azzurro, l’arancio
formano un bruco
scavato. Sussistono
urli e silenzi, giochi
infantili.
Il bambino fa uno slalom
tra sacchi di gomma colorata.
Il pino è bloccato fra le
plastiche modellate, pezzo antico
nell’oggi.
La via della terra
è azzurra puntinata
con cuori
a rilievo.
Si attende solo
il fischio di chiusura.
*
V
Roma (h. 14.21 del 20.12.2005)
Dalle pietre trapela il silenzio
abbastanza determinato per risultare
sensibile, passi passati
calce sgretolata
angoli smussati, tra via
del Divino Amore e piazza Firenze.
Le escrescenze che durano qualche
secolo determinano
la storia, fatta qui,
sotto questi lastroni,
iperboli azzerate,
condensazioni di potere, lavoro, gloria,
ancora
altro.
*
VI
Clessidra orizzontale (Forlì, h. 22.26 del 26.2.2006)
Immobile quel tempo
che la mente riporta a granelli
correnti, senza ordigni dentro,
denti, rote, attese, cubiche
sfere, andanti.
No, fermo, da vetro a
vetro e così orizzontale
da non scorrere da non stridere
quasi ossimoro di sé.
La vita resta in mezzo, strettoia
fra due ampolle, membrana
nobile
da lacerare.
*
XI
Rigoli (11 giugno 2006, h. 13.58)
Nessuna verità, se non genetica,
per saturare il vuoto della vista
di questi campi ricchi, ubertosi, fecondi
e futili.
Il senso della Natura
non può essere che autotelico,
diramazioni e condotti dentro
la foglia, del sole preda-figlia-fatta
sfatta linfa, macinata
per cibo ancora:
l’uomo-accidente distrugge
il generato,
crea mondi a sua
misura,
vive solo di aiuti.
*
XIII
(Del reale e del virtuale)
Si mescolano le mancanze,
si smarcano i limiti,
vedendo ora le foto di morti e
di morte prendere forme, una storia
da Blade runner, vera
come immagini ritorte, diventate
imitazioni, mìmesi,
lucidezza in devianza,
estraneità.
Quei volti, quei corpi che assumono
un battito ipotetico, permettono
di credere che la carne risorga:
l’attore defunto che si completa nel film,
il bandito nascosto che agisce digitalizzato,
la madre che partorisce senza funzionalità
cerebrale, e quindi il mio parto
è ripetibile, è ora, la nascita
continua, definisce un passaggio
inesauribile benché privo
di concretezza in sembianza,
quiddità.
(Intanto il volto implode,
torna quanto di massa,
scarico, amorfo, tolto).
l’uomo-accidente distrugge
il generato,
crea mondi a sua
misura,
vive solo di aiuti.
caro alberto
questi ed altri versi mi fanno molto riflettere
agiscono con funzionalità
cerebrale…
ti scrivo anche per dirti che ho visto con piacere che hai recensito il mio libro su l’immaginazione. sono curioso di sapere come lo hai letto.
proprio in questi giorni mi lamentavo con andrea del fatto che da un pò non mi giungevano notizie del mio “circo”. come se fosse una cosa già morta, già dimenticata.
ti allego la mia mail
farminio@libero.it
le poesie sono molto belle,
regalano immagini vivide…
La vita resta in mezzo, strettoia
fra due ampolle, membrana
nobile
da lacerare.
Complimenti!
@Arminio:
quale circo?
circo dell’ipocondria, edizioni le lettere.
Cari Franco e Carla,
vi ringrazio per questi primi pareri, e soprattutto per l’individuazione di alcune immagini a cui sono particolarmente affezionato.
Le poesie fanno parte di una serie piu’ ampia, che forse le giustificherebbe meglio. In ogni caso, si tratta di una sezione di un libro che sto scrivendo (e ci vorra’ un bel po’ prima che riesca a finirlo).
Per Franco: ti mandero’ all’indirizzo email il mio pezzettino (che pero’ e’ davvero piccolo piccolo…) sul tuo “Circo”.
Un saluto da
Alberto
“La vita resta in mezzo, strettoia
fra due ampolle, membrana
nobile
da lacerare.”
e poesia. un altro incontro.
ho pensato a dorian gray – al suo calvario di lacrime cartonate in grigio che scendono giù da pietre d’ardesia molto antiche – molto superate –
a plenoptici sistemi operativi grandangolari in cui l’uomo partorisce ognissanti in quadrangolare
e si concede tutto – si concede a tutto ma non al silenzio
non alle mute di certi insetti che durano anni.
un uomo che si divora dai piedi. un uomo dall’ombelico
sfigurato-
un uomo che prende il tempo della terra e gliene rende uno infermo, privo di ritmi solari, tamburi, gesti di semina e attese e poteri terrigni. così perde il controllo. perchè non ha più la madre. ecco-
anche le mosche hanno cambiato cibo.
adesso vanno al fast food
molti complimenti
per i versi. davvero.
grazie anche ad Andrea Inglese
un saluto
paola
““La vita resta in mezzo, strettoia
fra due ampolle, membrana
nobile
da lacerare.”
nobile?
davvero nobile?
solo un umano può pensarlo, dunque può anche essere ignobile.
o più semplicemente, vita, con i due noti capi.
mario
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