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Discesa negli inferi di un cronista padano

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Franz Krauspenhaar intervista Valter Binaghi

Un romanzo inquietante sulla contemporaneità che qualcuno potrebbe con leggerezza chiamare semplicemente thriller ma che è decisamente qualcosa di più. “I tre giorni all’inferno di Enrico Bonetti, cronista padano”, Sironi, pagg.406, euro 17,00, è un romanzo che sfugge alle catalogazioni, è una sorta di viaggio post-iniziatico alla ricerca del male pervadente la società e le anime che di questa società sono in svariatissimo modo latrici.

Non è facile riassumere un romanzo così composito. Binaghi, attraverso le peripezie di un cronista padano di nera, ha voluto entrare nei meccanismi quasi mai oliati della macchina delle idee contemporanea, e avvistare quelli che sono gli incroci destinali, le contaminazioni insospettabili tra la politica, la cultura, la religione, la criminalità organizzata. E più oltre, o più in basso, va a puntare con decisione lo sguardo sensibile e coraggioso dell’autore, che non ha paura di sporcarsi le mani col Male, coll’ agglomerato di quel tutto e di niente che lui scrive, quasi col rispetto dovuto alle divinità, con la maiuscola. Un romanzo contenitore e post-moderno nel senso migliore del termine, il suo, nel quale ha tentato, riuscendovi, l’ambiziosa impresa di rinserrare in una morsa narrativa il Tutto e il contrario del Tutto, il bene e il male, scavando infaticabile strati e strati di ingannatrici apparenze.

Il romanzo tocca problemi e argomenti molto contemporanei che diventano, tramite la tua narrazione, molto universali. Ho avuto l’impressione che tu volessi, in questo romanzo, creare una sintesi pregnante che desse delle risposte innanzitutto a te stesso. E’ corretta?

Certo, il suo oggetto è il Male: Satana, nella vulgata. E’ molto più di un problema teorico, per ognuno di noi. Ciò che preferiamo considerare come il caso o la necessità, ma secondo alcuni è un disegno intelligente. Oggi è la sistematica riduzione della persona umana a progetto tecnico e merce disponibile, in nome della scienza, dello scontro di civiltà o della qualità della vita dei ricchi. Satana è il mito che i sapienti rifiutano, ma che la gente comune torna a percepire: come Enrico Bonetti, un cronista di provincia, uno che ancora va in giro a sentire le puzze, chiacchiera col barbiere e non scrive gli articoli coll’ANSA.

Quanto di Valter Binaghi c’è nel protagonista Enrico Bonetti? Quanto è invece spalmato in altri personaggi?

Bonetti è un puro, a suo modo romantico: è innamorato di una prostituta slava che progetta di strappare al racket. Io sono un uomo di cinquant’anni, una generazione che ha seppellito molti amici e molte idee. C’è un altro personaggio del libro su cui ho caricato molto del mio. Si chiama Zivago, e non dico di più.

Non si puo’ dire che “I tre giorni all’inferno” sia un romanzo sulla disperazione contemporanea. Va oltre: alla ricerca della misteriosa ragione come del farmaco contro questa malattia del secolo. E’ così?

Il mio è inevitabilmente un romanzo cristiano, e questo a prescindere dal fatto che l’autore sia credente o no. Inevitabilmente perché l’unica narrazione disponibile ad interpretare il Male come progetto e come ragione è la teologia e l’unico pensiero che protegge col sacro la persona umana senza se e senza ma è il Vangelo: qualcosa di diametralmente opposto al cristianismo di Bush, che ci vuole arruolare allo scontro di civiltà. Ma non è un romanzo teologico, è un romanzo italiano: c’è il popolo e gli intellettuali, i maghi e gli onorevoli. E come la tirannia dell’economico, l’assenza della politica e la futilità della cultura consegnano un paese ai demoni.

Quando hai cominciato a scrivere il libro avevi già un’idea chiara di dove andasse a parare? Puoi raccontarci del  metodo di lavoro, se non altro per quest’ ultimo romanzo.

La struttura è complessa, in qualche modo corrisponde a una discesa nei gironi infernali, dove le colpe peggiori sono le meno carnali, fino alla superbia del potere. La materia è vasta: ci ho studiato parecchio e i riferimenti sono molti ed espliciti. Ho messo quello che in un romanzo non si mette mai, cioè una bibliografia finale, perché la vicenda è anche un viaggio tra eresie mediatiche e teorie del reale, leggende della rete e teorie del complotto. Ma anche citazioni di scrittori italiani che a mio avviso hanno fatto luce su questioni essenziali, e spesso con dei romanzi. Siti, Scurati, Genna, Bernardi, Avoledo.

Il tuo percorso spirituale è piuttosto particolare e di grande interesse.

A vent’anni nell’ area dell’autonomia, quella più fricchettona. Re Nudo, ci ho anche lavorato. Scrivevo di musica, anche qualche racconto. Poi il diluvio, in tutti i sensi. Brutte storie con droghe pesanti. Via da tutto e più scritto niente per vent’anni. Li ho passati insegnando filosofia ai ragazzi del liceo, più che altro una scusa per imparare qualcosa. Ho visto cambiare questo paese e il resto. Mi sono fatto una certa idea di quello che succede e ho provato a scriverla. Con romanzi. Fiction. Ci sono cose talmente serie che si possono dire solo per finta.

A questo punto della carriera  c’è qualcosa di definito in cantiere? “I tre giorni all’inferno” chiude una trilogia e l’impressione è proprio di uno stacco definitivo. Viene da pensare che il Binaghi del prossimo libro sarà molto diverso. 

Robinia blues (2004), La porta degli Innocenti (2005) e questo. Era appunto una trilogia su tre generazioni di italiani, con un occhio di riguardo all’adolescenza, perché è lì che si scopre il mondo e lo sguardo è più stupito e doloroso. In quest’ultimo libro l’orizzonte da provinciale si fa globale, e il nuovo romanzo che ho iniziato avrà uno scenario fantapolitico: un mondo governato da calcio e terrorismo. Ti ricorda qualcosa?

(Pubblicato su Liberazione – supplemento “Queer” – il 18.03.07)

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28 Commenti

  1. Lo sto leggendo, e a parte che la storia prende, una cosa posso ancora dirla, Binaghi, secondo me, scrive incredibilmente bene.

  2. signor binaghi
    comprerò anche il suo di buc e poi lo passerò a mia sorella chè io la stimo ma ho poco tempo, mia sorella mi screma insomma.
    tanti baci e…incula/o la balena (per il successo del suo lavoro nè)
    la fu

  3. come Enrico Bonetti, un cronista di provincia, uno che ancora va in giro a sentire le puzze, chiacchiera col barbiere e non scrive gli articoli coll’ANSA.

    caro binaghi
    questo bonetti mi somiglia.
    letta con piacere la bella intervista.

  4. trovo l’intervista molto interessante e stimolante, credo che indurrà molte persone a comprare il libro di binaghi, forse anch’io … andrei oggi stesso in libreria a comprarlo, ma … devo dire che ho, in questo periodo, una certa allergia per i romanzi, ho preso troppe solenni fregature e perso veramente tanto tempo prezioso (che è quello dedicato alla lettura) ho una tale allergia che compro ormai solo racconti o libri strutturati a racconto.
    Può essere che faccia una eccezione per questo … ho trovato nell’intervista alcune spie interessanti … ad esempio mi è piaciuta molto la frase: “Satana è il mito che i sapienti rifiutano, ma che la gente comune torna a percepire” … ben mi sono trovata nell’atmosfera delle prime pagine di “Il maestro e margherita” e la cosa non è da sottovalutare.
    Altra cosa che mi è piaciuta è stato dove binaghi scrive: “Il mio è inevitabilmente un romanzo cristiano, e questo a prescindere dal fatto che l’autore sia credente o no. Inevitabilmente perché l’unica narrazione disponibile ad interpretare il Male come progetto e come ragione è la teologia”.
    Condivido in linea di massima questa affermazione.
    Vedro … cosa fare, ad ogni modo l’intervista è molto bella … bravi.
    geo

  5. Come quel cyberpunk francese passato dal pop e dalla percezione del nichilismo alla conversione cattolica.

  6. Bella intervista!
    Complimenti a Valter,
    questa frase è molto bella;

    ….con un occhio di riguardo all’adolescenza, perché è lì che si scopre il mondo e lo sguardo è più stupito e doloroso.

  7. Negare Satana porta a concepire un Dio impotente.
    Opzione largamente percorsa, dall’antichità a diverse gnosi contemporanee.
    Vedere su tutti: Hans Jonas, Il concetto di Dio dopo Auschwitz.

  8. Comprerò ( o ruberò ) e leggerò. Mi ha catturato.
    E poi Re Nudo, diamine, gli anni 70, i fricchettoni…

  9. Se mi deludi, Valter, ti spesso tutto le ossa. :-)

    Dillo che sei 400 e passa pagine scritte tutte fitte fitte? ammettila questa colpa? ^___* Quattrocentosei pagine che fanno per 800 almeno: questa la verità. :-) Scherzo ma non troppo, vero Valter?

    “opposto al cristianismo di Bush, che ci vuole arruolare allo scontro di civiltà”: io parlerei di “cattolicesimo bushiano” più che di cristianesimo.

    Un filosofo disse: “L’uomo ha creato Dio e non viceversa”. Tu sai chi, nevvero? E io aggiungo: “E Dio a sua volta ha creato Satana perché gli uomini si dimenticassero della loro prima creazione: Dio.”

    Avremo modo di approfondire, se lo vorrai, Valter.
    Per ora ti sto leggendo con molto interesse. E non lo dico a tutti. Non c’è bisogno che aggiunga altro. Non per ora.

    Bravo. E a presto.

    g.

  10. Veramente, Iannozzi?
    Dopo tutto il sangue che abbiamo sparso, mi stai leggendo?
    E’ un onore, o mio fiero avversario.

  11. Nel caso a qualcuno interessi,
    stasera 23 marzo faccio un reading con la mia blues band, ispirato al romanzo ma con tanta musica, alla Casa del Popolo di Arona, ore 21.30

  12. Ti sto leggendo. Certo. Non vedo perché no.
    C’è stato del sangue… obbe’, ce n’è sempre. :-)
    E pensa tu: mi sta pure piacendo, forse più di Avoledo, che ha comunque detto bene nella bandella…

  13. “mi sta pure piacendo, forse più di Avoledo, che ha comunque detto bene nella bandella…”

    Bandella che è, ovviamente, l’unica parte del libro di Binaghi attualmente a conoscenza di Iannozzi! :-)))

  14. “il nuovo romanzo che ho iniziato avrà uno scenario fantapolitico: un mondo governato da calcio e terrorismo”

    Pensa che oggi, per la seconda volta in mese, in tutta la Puglia è stata oscurata la trasmissione di Lucia Annunziata per mandare in onda una partita di calcio di serie c del Manfredonia, decisione presa dal questore “per motivi di ordine pubblico”. A prescindere dal valore della trasmissione e dalle tesi esposte da chi oggi era ospite, vale il principio: per motivi di ordine pubblico, una regione di più di 4 milioni di abitanti non può guardare una trasmissione di approfondimento politico.

  15. Questa me la segno, Gilliat.
    E’ con la cronaca trasfigurata in allegoria che si fa letteratura.

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