Poesie
di Pierluigi Lanfranchi
ESIODO
Nell’estate della grande canicola
crepavano disidratati i vecchi.
Gravi i danni alla produzione agricola.
Spighe riarse in cima agli stecchi
sfarinavano tra le dita. I becchi
dei corvi dentro i frutti del fico
infilzavano cenere. Lo specchio
retrovisore metteva in pericolo
come una lente ustoria il bosco.
Vuote le fonti, le cisterne, i pozzi.
Chiuse le imposte. Esauste le mosche.
Aprendo i rubinetti e accostando
l’orecchio potevi sentire il rantolo
della terra salire a singhiozzi.
*
7 REECE MEWS
A Londra si smonta lo studio di Bacon
per poi ricreare uguale a Dublino
in qualche museo lo stesso casino:
barattoli secchi a terra e spreco
di colori sui muri, ovunque strati
di polvere, grumi di tempera, scarpe
spaiate, ritagli, riviste di arte
bottiglie di whisky e tele sventrate,
pennelli confitti in vasi di latta
identici ai giavellotti e alle lance
di Paolo Uccello. Il cibo rancido
sulle stoviglie infestate di blatte
è stato gettato perché le narici
dei visitatori non sappiano il fetore
di corruzione. Idem i contenitori
di sostanze nocive e di vernici.
Feticci che ci raccontano una storia
come dalla fessura di una porta
che in questa Pompei domestica la morte
spalanca per mostrare detriti e scorie.
Leviamo i sigilli e senza invito
entriamo approfittando dell’assenza
dell’ospite. Pezzo a pezzo l’esistenza
proviamo a comporre, a rifarne la vita.
Relitti privati. Memorie. Perché
anche noi indossiamo un accappatoio
a strisce, ci sbarbiamo con un rasoio
uguale a questo, beviamo del tè.
Perciò crediamo di capire. Ma Bacon
non abita più al sette di Reece Mews.
Staccato in eterno il telefono, chiuse
le imposte. Se chiami a rispondere è l’eco.
*
SETTE SONETTI PER UNA CITTÀ
a Kees Verheul
I.
La pioggia fa da terza dimensione
a questo paesaggio altrimenti
del tutto piano, una composizione
monocroma di linee e gradienti
creata da un Mondriaan divino.
Sulla campagna un silenzio compatto.
Soltanto l’elica di un mulino
eolico apre l’aria con esatta
cadenza. Poi la pioggia si arresta.
Il sole scopre la trama d’argento
dei canali. Nell’occhio di chi osserva
da un treno questi raggi convergenti
fanno girare come una ruota
di bicicletta l’orizzonte vuoto.
II.
La pioggia sferza le torri neogotiche
della stazione. L’ago nel quadrante
dell’anemometro ondeggia avanti
e indietro attratto da un nord dispotico.
Sembrano tendere tutti i passanti
a un punto, ma secondo caotici
disegni o lungo linee asintotiche,
quindi restando tra loro distanti.
Come uno dei martiri a Sebaste,
al supplizio del gelo non resiste
l’ombra che il trabocchetto di una porta
girevole sottrae alla scena.
Nessun altro di certo si è accorto
del vacuo che ha lasciato la sua pena.
III.
La pioggia scroscia obliqua contro i vetri
e la stella dell’insegna, illustrando
ai clienti seduti in veranda
la teoria del clinamen. Da scheletrici
rami e dalle ciglia delle grondaie
sgocciola senza posa. Al selciato
s’incolla il fogliame come al palato
la lingua. Dai tombini le caldaie
alitano vapore. Un nessuno
in impermeabile entra nel fumo
del caffé per sottrarre al paesaggio
ogni traccia di sé: autonegazione
significa che non c’è distinzione
tra prima e dopo il nostro passaggio.
IV.
Nell’acqua dei canali si riflettono
capovolti i frontoni dei palazzi
come spalliere in fila di letti
barocchi. Attorno alle barche guazzano
le folaghe. È immobile lo specchio
su cui aleggia dal principio un occhio
liquido. O quasi. Le cose rifratte
nell’H2O perdono i contorni
netti, anche la pietra si deforma,
l’acqua inarca le linee rette
per effetto dell’onda e le spezza.
La città tiene i piedi a mollo fino
alla caviglia in questo catino
dove il flusso intacca la saldezza.
V.
Non è più alto il sole a mezzogiorno
né più lucente dei rari lampioni
che si alonano di arancione
nel cielo inallusivo e disadorno.
I corvi a scatti si guardano attorno
zampettanti sui fili in tensione.
Dall’immobilità dei cornicioni
si scioglie in volo una schiera di storni.
Anche per gli uccelli una retta
è la linea più breve che unisce
il davanzale al vertice del tetto,
ma nelle nubi senza superficie
come in un vetro coperto di polvere
la prospettiva sfuma, si dissolve.
VI.
La pioggia riga i cristalli del tram
con gocce in tutto simili a flagelli
di semi. Ad ogni svolta una scintilla
illumina il cielo di Amsterdàm.
Sopra la strada i lampioni oscillano
sospesi ai fili che il vento sgronda
ora allungando ora scorciando l’ombra
dei passanti aggrappati ai loro ombrelli.
Si aprono i ponti, i bracci levati
come in atto di arrendersi all’inverno.
La pioggia ammolla le ossa all’interno
come l’olio il midollo di patate
fritte. Un corpo trascina l’ombra fradicia
fino a casa, entra, appende il soprabito.
VII.
Parlano un identico linguaggio
la città e la pioggia, geometrico
elementare. L’occhio dietro ai vetri
impara a guardare il paesaggio
nel suo luogo natale. Millimetrico
lo sguardo. Inutile ogni personaggio
osservatore incluso. Il coraggio
è sapere sparire nella metrica,
svoltare all’angolo. Mandano ancora
riflessi i vetri anche se le tende
sono tutte calate a quest’ora.
Dentro si scorgono sagome intente
a qualcosa – sui fogli segni, forme.
Sotto la palpebra l’occhio non dorme.
Rinnovo la stima e i complimenti a Pierluigi, poeta di cui sentiremo (senza dubbio) parlare sempre di più.
Una domanda: la clausola dell’ultimo sonetto è corretta o trattasi di refuso? (cfr: dorm)
sig. Lanfranchi mi complimento e la ringrazio.
grazie Nacci, il refuso era mio, provvedo…
“Esiodo” mi ha incantato. Qualcuno mi spiega il titolo?
Esiodo è davvero molto bella. Ha un ritmo essenziale, che s’insegue nelle due quartine e nella prima terzina in un unico fluire.
Un paesaggio urbano che striano linee geometriche, quasi una pittura esigente; una città in cui “un nessuno in impermeabile entra nel fumo del caffè.” Mi piace questa identità cancellata. E quale regolarità nei versi! Cosi l’originalità delle immagini sembra palese:” il fogliame come al palato la lingua” o ” come una ruota di bicicletta l’orizzonte vuoto”.
Tuttavia la mia preferenza va a Esiodo per il soffio: sete, ustione.
Il titolo mi fa pensare alla biblia ed a esodo.
notevoli. tutte.
Non me la ricordavo così bella 7 REECE MEWS; la mia memoria è ingenerosa o sei tu che laborlimi?
Kees è un uomo fortunato.
Esiodo è molto bella. Credo che il titolo sia legato proprio ad un’accostamento al significato etico dell’opera esiodea. In ogni modo è un gran titolo sopra dei versi che filano che è una meraviglia tra imperfetti, gerundi e una chiusa che chiede di essere riletta.
io la sto leggendo adesso…..la chiusa….
la chiusa….sì,
la sto leggendo adesso.
Non conoscevo questo autore e devo dire che è stata una bellissima scoperta. Notevole padronanza della materia. Riesce a rendere fluida la stesura mai a scapito dell’intensità e della forza delle immagini. Quando il contenente esalta il contenuto. Complimenti all’autore.
pepe
in Ediodo c’è troppo montale
Grazie a tutti, davvero.
Pierluigi
@ Carla Bariffi. Proprio quella “chiusa”? “Rientrando”, ecc.?
sì…la chiusa era quella….
tre versi che accolgono
un gorgoglìo vitale.
evitando le solite glosse inutili, mi è piaciuto molto
“Se chiami a rispondere è l’eco”
“Sotto la palpebra l’occhio non dorme” . Bellissimi versi finali che sostengono l’intero dettato e non lo fanno scivolare via.
In altri punti un po’ troppo calligrafico.
O buca_neve,
hai ragione: troppo Montale; non ci avevo fatto caso (lente ustoria, pozzi, canicola: e sì, un po’ grave non averci pensato). Cosa fare per uccidere Montale (paletti nel cuore a parte?)?
O buca_neve,
hai ragione: troppo Montale; non ci avevo fatto caso (lente ustoria, pozzi, canicola: e sì, un po’ grave non averci pensato). Cosa fare per uccidere Montale (paletti nel cuore a parte?)?
io ci noto una certa ironia che nel Montale degli Ossi non è presente. Se i vecchi che crepano disadrati fossero proprio…
ma sì, il poeta cita tra i versi e ci mette l’ironia. ah, quanto ne manca tra i letterati d’italia!
Avevo già letto i 15 sonetti per una città, ma leggo con piacere ora Esiodo e 7 Reece Mews: le ho trovate, così come i sonetti, di una “precisione” davvero invidiabile, dalla quale traspare il lavoro attento di Pierluigi sulla parola, nella ricerca e nella sua cesellatura. Le rime imperfette non sono che un contraltare, estremamente contemporaneo, attuale, di imprecisione alla cristallina sobrietà delle composizioni. Davvero bravo.
è vero che, come dice massimo73, traspare il lavoro attento del poeta. solo che dal mio punto di vista la bottega è un pò troppo visibile, all’aria aperta. I procedimenti formali di queste composizioni sono eccessivamente in bella vista.
Comunque i testi sono notevoli.
Ah cireneo Montale
la gloria molesta
del nosto leggerti male!
(Giovanni Giudici)
Perdonami, Montale.
Che atto criminale
il nostro citarti male!
Pierluigi